Sunday, March 14, 2021

IL PENULTIMO MANOSCRITTO

                                       

                                    
                                    foto Rino Cipolli

                  


Pardona,  venerdì 11 ottobre 2023

 

APPARENTEMENTE UN DIARIO

 

 

Da soli si è se stessi, in compagnia lo si è soltanto a metà 

 

                                            (Leonardo Da Vinci)

 

 

 

Non ci è dato di sapere come e perché è partito questo virus, ma quello che ne è venuto fuori ha cambiato la vita e la morte di un pianeta, uno a caso, che non andava tanto bene nemmeno prima.

Chi l’ha detto che nella vita mancano le sorprese? Ammettiamo di faticare a trovarcene di positive, ma spesso molto dipende proprio da noi stessi, anche a proposito della capacità di valorizzarle, di non dimenticarsele subito.

Qua sulla penisola la gente, anche quando va tutto bene, ha la tendenza a pensare a quando tutto andava male, per non dimenticare, dice, però poi si scorda di vivere il presente, e va piuttosto a vagliare il futuro, cioè quando - per via della rotazione -  tutto di nuovo andrà per il peggio.

Io no, non voglio né dimenticare, né ricordare, piuttosto agire, muovermi senza stare a pensarmi addosso, viaggiare nello spazio e nel tempo.

Nel tempo libero, da qualche anno a questa parte, mi ficco quotidianamente in alcune diverse strutture di dialogo scritto, con me stesso o con altri personaggi virtuali, alcuni realmente esistiti. Ne viene fuori un’efficace terapia ruspante di mia invenzione, non solo a livello psicologico, ma anche pratico. Insomma io mi ci diverto assai, se serve a qualcosa magari lo vedremo in seguito. In questi dibattiti non si tiene minimamente conto dello spazio e del tempo, si parla con persone morte, inesistenti, o da me cambiate artificialmente.

È come una specie di confessione, ma senza il prete. Si discutono cose positive o negative, ma che a volte non sono ancora avvenute, che forse non accadranno mai, e forse questo è il bello, c’è una certa libertà dagli schemi. Si considera il carattere degli individui con cui si parla, ma si possono anche un po’ modificare, quelli che parlano troppo per esempio, li faccio ascoltare un po’ di più e mi vendico di tutte quelle volte che mi hanno sommerso sotto cataste di parole non richieste.

E a chi dice che mi conosce potrei dire che si sbaglia, i pareri espressi infatti discordano assai tra di loro, tutti però almeno sono d’accordo su un punto: dicono che ho diverse personalità, che non si sa nemmeno quante e meno male, aggiungo io, sennò mi annoierei. Non me ne vergogno, no-no, ma cerco di capirle, queste persone che ogni tanto affiorano e litigano dentro di me. Non sempre ci riesco, ma almeno ci provo, e a volte, forse per caso, vanno perfino quasi d’accordo.

 “Se qualcuno avesse pensato che io fossi diventato un emerito rompiscatole solo in vecchiaia non sa proprio di cosa sta parlando, né di chi. Gli si dovrebbe riferire che a cinque anni, a scuola, in una classe con bambini di prima, seconda e terza, rispondevo correttamente alle domande fatte ai più grandi da mia madre, che era la maestra e da lei mi prendevo le relative manate senza piangere.”

“Comunque l’età ti ha peggiorato almeno un po’, no?”

“Forse, comunque direi di non molto. Pensa che appena un po’ più grande mi indignavo e non riuscivo a starmene zitto quando una bambina della mia classe terza scriveva su un tema che la sera i signori del castello medioevale guardavano la TV. Non potevo tacere e far finta di niente quando miei coetanei non sapevano che i soldati romani non sparavano ancora ai barbari invasori con il mitragliatore.”

“Beh…”

“E non molti anni fa, a Ciudad Ojeda, i miei allievi di lingua italiana, tutti più anziani di me, mi hanno invitato a cena e uno di loro aveva fatto una pastasciutta ignobile. Pasta integrale fatta in casa con un sugo di pesce, poco sale ma esageratamente piccante, che tutti hanno lodato a profusione, aiutati dalla loro scarsa esperienza in merito, dalla grande facilità nel simulare e dissimulare tipica dei sudamericani. Visto che oltre a essere il loro professore d’italiano, per eccesso di sfortuna ero anche italiano, mi ero mentalmente preparato un sobrio apprezzamento, nel caso che mi avessero chiesto qualcosa. Inspiegabilmente non lo hanno fatto, almeno finché ormai tranquillizzato e scolatami quasi da solo una bottiglia di quelle buone cilene e invecchiate, quando stavamo per andarcene tutti, mi hanno preso di sorpresa e mi hanno chiesto se era piaciuta anche a me quella meravigliosa spaghettata preparata da Aroldito.

Una vigliaccata.

 Non sono riuscito a mentire e ho manifestato tutto il mio disgusto, ci sono rimasto male anch’io, ma non potevo più farci niente.”

A casa mia chi cucinava era mio padre, il vero italiano trai miei due genitori era lui e aveva anche lavorato come cuoco in un ristorante. Nella vita era un cazzone, inutile negarlo, ma in cucina ci sapeva fare e si ricordava perfino, quando cucinava, da dove veniva un particolare piatto che ti faceva mangiare, da quale città o regione italiana provenisse e anche se alla gente perlopiù non interessava, lui glielo diceva lo stesso.

Un tipo di dialogo è questo qui, come se il mio anonimo interlocutore non mi conoscesse, invece sono sempre io che mi pongo delle logiche questioni, se mi riesce occasionalmente anche illogiche, servono allo scopo pure loro, a volte anche meglio.

“Ma che ci facevi in Venezuela?”

“La mia famiglia era emigrata là. Sono nato in Venezuela e ci son rimasto fino a trentun’anni, da adulto ho fatto tanti lavori differenti. Per fortuna non ho messo su famiglia, solo per seguire quello che fanno gli altri e poi trovare una donna che mi garbasse sul serio e io allo stesso tempo a lei non era facile, non lo è nemmeno ora, ma per altri motivi. Vado a periodi, come tutti, ma vivendo da solo e facendo un mestiere in un certo senso privilegiato, sono assai padrone dei miei ritmi e se qualcosa mi va lo faccio, sennò lascio perdere e senza rimpianti.”

“Oltre a insegnare italiano cosa fai?”

“No, non ti dirò subito del mio secondo lavoro, che poi sarebbe il primo, in ordine d’importanza, per non indurti a pensare di me cose sbagliate. Prima voglio parlare di quello che mi circonda adesso, della mia vita fuori dal lavoro, quello difficilmente non è schiavitù, dopo confesserò ed entrerò anche nei particolari, ma solo se mi avrai seguito fino a quel punto e allora potrai capire meglio chi sono.”

“E chi sarai mai?”

“Non sono affatto un essere soprannaturale, come avrai già capito, sono anche troppo umano. Ma non sono nemmeno una persona comune, magari perché sono profondo e superficiale allo stesso tempo, perché ho scelto di semplificare la mia vita, dopo che si era complicata abbastanza da sola, come di solito accade, se non la sappiamo guidare bene. Ho avuto la determinazione, la forza e soprattutto l’occasione di tornare sui miei passi e cambiare prima il mio passato ai miei occhi e al mio cuore, poi il presente e il futuro hanno preso possesso della mia esistenza, tutto ha funzionato meglio. In sostanza avevo capito che i miei sforzi per adattarmi al gioco della società non servivano a niente, bastava cambiare gioco. E quello poi sarebbe stato il mio.”

“Faccio finta di crederci. La gente quando parla di sé stessa mente con una strana facilità, come se nascondesse cose fondamentali a sé stessa, a volte perfino cose evidenti per gli altri.”

“Purtroppo o per fortuna io non riesco a dire bugie, soprattutto a me stesso, per brutta che sia guardo sempre in faccia la realtà, per quanto sembri più facile ingannarsi, almeno a volte, io non lo faccio mai e pago subito il conto, prima che maturino gli interessi passivi.

Di me dicono tante cose, tipo che non lascio niente al caso, che il caso non mi piace, che non mi affido mai al caso. C’è un fondo di verità, lo ammetto, ma non sono un perfezionista pignolo, come sarebbe naturale pensare. Il caso mi piace, nella vita è prima di tutto inevitabile ed è anche bello che esista, che non sia per forza tutto sempre meccanico, logico e razionale, ma direi che è opportuno lasciare al caso solo quella parte laddove vogliamo che intervenga, che poi spesso è quella dove non possiamo intervenire noi. Questo è quello che cerco di fare io, però non è che mi riesca sempre.”

“Infatti.”

“No. Mia madre mi diceva sempre di non sudare, che mi faceva male, è per questo che io ora sudo tanto, più di tutti gli altri.

Ma come si fa a non sudare in Venezuela? Là sudano anche i sassi.

Per vivere bene dunque bisogna prima imparare a non ascoltare quello ti dice tua madre, tuo padre, poi la maestra, dopo il professore, poi il tuo superiore al lavoro, tua moglie, il medico, Annibale e sua moglie, e poi alla fine bisogna vedersela con Dio in persona. Ma se poi non esistesse? Sarebbe un’ulteriore fregatura.”

“Come sarebbe a dire fregatura?”

“D’accordo, tecnicamente il nome sarebbe un altro, le fregature ci sono però e così tante, comunque troppe, a partire dal fatto che siamo noi stessi, gli esseri umani, che per illuderci, magari per tentare di difenderci, ci illudiamo con una certa facilità, siamo un po’ troppo sognatori, senza controllare se i nostri sogni sono realizzabili o no, insomma cerchiamo sistematicamente di fuggire dalla realtà, ma poi quella ci morde il sedere.”

“Ho capito. E Annibale chi è?”

“Un grande e valido amico, nonché emerito rompiscatole, anche lui, a un certo punto della mia storia poi entrerà anche lui.”

“Ah, ecco, mi stavi raccontando la tua storia, se si può magari un riassuntino piuttosto sintetico…”

“Sì. Allora: dopo tanti anni sono venuto in Italia, inizialmente per lavoro, alla fine ci sono rimasto senza sapere se avrei voluto o no, per uno come me i servizi da fare abbondavano e i compensi erano alti, la moneta più stabile. Non avrei potuto andare in pensione regolarmente, ma di soldi ne avevo già messi da parte un po’ e decisi che mi sarei ritirato in campagna.”

“Ma che lavoro facevi?”

“Te lo dico dopo. Se ci penso ora ricordo che ero già vecchio, consideravo che i giovani facessero tanto rumore per affermare e riaffermare la loro esistenza, di cui evidentemente dubitavano. Ne avevo dubitato anch’io a suo tempo, è normale. Insomma i giovani si sentono insicuri, non sanno ancora chi sono e cosa devono, possono o vogliono fare. Gli anzianotti come me, attempati ed esperienti, invece erano già piuttosto stanchi di esserci, avrebbero voluto qualche tregua in più, per potersela dimenticare un po’. La famigerata esistenza pesava, la mia era una fase della vita che apprezzava dei tempi più laschi. Anche per questo la campagna come la intendevo io era quella dove non ci passava nessuno e non vedevi mai nemmeno un essere umano, se non per sbaglio. Qualcuno che si era perso e a quel punto ero anche disposto ad aiutarlo, per qualcosa che assomigliava alla carità umana, ma anche per farlo ritornare da dove era venuto, che era meglio per tutti e due eccetera. Insomma l’idea base era quella, ma rimandavo perché pensavo che dovevo trovare prima qualcuno con cui dividere bellezze, fatiche e solitudine. Stare da solo in mezzo agli altri mi pesava sempre di più e cercavo una compagna. Non avendola trovata, né prima né dopo, mi rassegnai a farne senza, come del resto avevo quasi sempre fatto, anche se a fasi alterne. Forse cercavo solo un’occasione propizia, o meglio una minaccia concreta, tipo un’ennesima pandemia.”

“Avevi bisogno di giustificare la tua fuga dalla società?”

“Può darsi, ma c’è da notare che io non ne ho mai fatto parte, nel senso che me ne sono sempre sentito estraneo.”

“Tanti la pensano in questo modo, ma tirarsene fuori è impossibile o quasi.”

“Vero, ma questa volta l’occasione era effettiva e propizia, per ottenere una separazione netta ed efficace.”

“Vabbè... Ci credo poco.”

“Aspetta. Stavo dicendo che speravo di trovare qualcosa sulle montagne del litorale della Toscana, non lontano da dove era partiti i miei genitori, in provincia di Massa Carrara. Cercavo una casetta abbandonata, magari un rudere da rimettere a posto. Andai un po’ a caso, che la gente non dicesse che il caso non mi garbava. Per cominciare un su e giù con una vecchia Panda arrugginita, che avrebbe anche potuto lasciarmi a piedi, ma non lo fece, perché il motore lo avevo controllato, mentre la carrozzeria poteva anche andare a pezzi, non me ne fregava niente.

Avevo già visitato il cimitero di Pisa, come mi ero ripromesso, dove c’erano i miei nonni ebrei da parte di madre, Eliezer e Chulda. Invece mio padre aveva i genitori, Mauro e Maria Stuarda, sepolti a Pardona, dove lui e mia madre si erano conosciuti."

"Ma non avevi detto che tua madre era brasiliana?"

"Sì, ma di origine ebraica. Era il relativo cimiterino di un paesino piccolo insomma, con case di pietra e una bella vista sul mare. Poca gente in giro e assolutamente niente di turistico. Al bar nell’unica piazzetta mi fermai a mangiare un panino con le acciughe marinate, con un’opportuna foglia d’insalata e a chiedere informazioni. Fuori, sotto la pergola, c’erano dei vecchietti anche troppo disponibili e non eccessivamente infetti, insomma secondo loro non in maniera pericolosa. Il barista e proprietario sembrava lievemente avvinazzato, di una giovialità non comune a quei tempi, era sposato con una russa, mi spiegò, per questo lo chiamavano Pierosky.

P: Per essici c’è, cioè ci sarebbe un metato a quattro o cinque chilometri da qui, ma son tutti da fassi a piedi, su e giù per i boschi, se le interessa parli col signor Bertacca Annibale, pensionato, figura folkloristica del paese e zone limitrofe. Se vuole un posto tranquillo è quello, c’è anche il torrente accanto, lì ci andavino a fa’ le castagne, ora non più, troppo fuori mano. Ogni tanto passa qualcheduno che cerca i funghi, ma anche quelli son diventati rari, sia i funghi che i cercatori.

I: Ah. E dove lo trovo?

P: Annibale? Che ore sono? Tra poco, alle due, arriva per la solita partita a tresette con i sopravvissuti qui presenti.

Che ci ascoltavano con la coda dell’orecchio e finta distrazione, mi salutarono con le mani, seriamente sorridenti, come se gli occhi fossero separati dalla faccia. Dopo una mezz’oretta arrivò vociando e ammiccando a tutti, non c’era da sbagliarsi, c’aveva proprio una faccia da signor Annibale Bertacca, tale vigoroso pensionato e pieno di storie da raccontare, che se ne uscivano da sole in mezzo a un gesticolare campagnolo.

La conversazione con lui partì interessante assai e dopo un caffè, che gli avevo offerto volentieri, poi lui insistette per un bicchierotto di rosso, per ammazzare il caffè, al quale dovetti retribuire quasi d’inerzia. Poi entrarono automaticamente nel giro anche tutti gli altri involontari ma curiosi ascoltatori, per scappare di lì ci volle un’ora e più e ce ne andammo, è vero, con passi piuttosto traballanti, direttamente al rudere.

Annibale mi condusse su e giù per quelle salite e discese, dentro e fuori dai boschi, fino a un casottino di pietra con una finestra per ogni lato, a dire il vero in condizioni non pessime, dovevano essere venticinque metri quadrati, insomma non più di trenta.

L’acqua del torrentello lì accanto era limpida e fredda-marmata come si diceva in zona.

C’eravamo già raccontati i riassunti della storia più sintetica delle nostre rispettive vite. Per quanto assai diverse, avevano in comune una tendenza, l’amore per gli animali e la natura, la stanchezza per gli esseri umani del terzo millennio, la sua molto più bonaria della mia. Ci facevamo reciproca simpatia, insomma.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pardona, domenica 20 ottobre 2023

 

IL BERTACCA

 

 

 

La prova basilare della libertà umana non è tanto in ciò che siamo liberi di fare, ma in ciò che siamo liberi di non fare.


                                                                       (Eric Hoffer)

 

 

 

Il tetto andava riparato, è vero, mi avrebbe dato volentieri una mano lui, che era stato muratore e carpentiere, aveva avuto a suo tempo una sua piccola impresa. Il materiale però andava portato lì col mulo, ma anche quello non era un problema. Il prezzo? Mi chiese un’offerta, ma io non gliela seppi fare, non ne avevo proprio idea. Allora mi posò una mano sulla spalla e poi senza toglierla mi disse, guardandomi negli occhi, con un movimento leggero dei baffi che accompagnavano le relative parole che se ne uscivano sotto:

A: Lei è da solo, mi par d’avé capito, quando muore lascia tutto ai miei nipoti, che tanto io muoio prima, senza fretta, ma muoio prima di lei. Se le va bene, non mi paga niente d’affitto e io non ni pago niente dei lavori che ci dovrà fare. Per conto mio non troppi euri ci dovrà spendere, noi muratori ni facciamo un prezzo da amici e al mulo ci penso io aggratisse. Che gliene pare?

I: Mi pare vantaggioso, ma di qui ci passa la gente, o no? Io voglio stare tranquillo, anche senza turisti, tanto per intenderci.

A: No, no, anch’io, anch’io. Turisti qui un ce ne viene punti, qualche raro tedesco, ma in paese e poghi anche di loro. Eppoi per caso qui un ci passa un’anima viva né morta, per i funghi un è tanto bono, per via che ci sono più pini che lecci o querce. I castagni sono più in là, ma le castagne non se le frega più nessuno, se le vogliano ormai se le comprano tutti al supermercato. Il problema casomai è l’opposto, per portacci il mangiare e tutto il resto, tutto a braccia è un tantino pesantuccio. No? Però se lei si fa anche un po’ d’orto la situazione migliora, volendo c’è un fornetto per il pane, dalla parte del boschetto, l’ha visto? E di legna ce n’è a sfa’. Ma l’inverno è lungo e i cervelli vanno anche in pappa, a’vvorte. Lei è convinto del su’ passo, voglio dì, tra noi: ce l’ha un po’ di esperienza almeno, della vita in campagna-guasi-montagna come qui?

I: Poca, ma sono più che convinto, imparerò tutto quello che c’è da imparare. Ma in paese c’è un alimentari o no?

A: C’è, ma tra poco chiude, con quei quattro vecchietti che ci abitano, Pardona non offre occasione per fare eccessivi miliardi, le tasse da pagare in compenso sono tante o magari anche troppe. Quindi lei avrà sempre bisogno di una macchina, scassata che sia, ma che monti le salite e non caschi giù per i burroni, per andare a Camaiore, o a Viareggio, a Sarzana o a Pietrasanta… che siamo vicini e lontani da tutto, qui la circolare un circola, un’ha mai nemmen circolato, un so se mi spiego…

I: Va bene. Questo l’avevo già messo in conto. Affare fatto.

Annibale mi aveva spiegato che lui era uno che stava bene e voleva terminare in pace la sua vita, non cercava problemi, di qualsiasi tipo fossero, le sue due figlie erano sposate con prole e abitavano già da tempo via da Pardona, lui e sua moglie Ivalda erano in pensione e facevano un po' di orto e di giardinaggio, qualche partita a carte e guardavano la televisione la sera in santa pace.

È vero, la casetta non aveva luce elettrica né acqua corrente, ma il ruscello era lì accanto e volendo uno poteva vivere senza televisione, internet e compagnia bella, anzi era questo che mi garbava. Solo qualche libro, la compagnia di un cane e di un gatto e via.”

“E per il mangiare?”

“Avevo pensato a tutto, cioè ci stavo cominciando a pensare, ma in maniera razionale e pratica, io non do molta importanza al mangiare, cioè molto meno di tanti italiani.

A guardarlo meglio il posto era incantevole, con le opportune modifiche da fare e la prima cosa sarebbe stata di buttare giù una mezza dozzina di giovani querce dalla parte del mare, secondo Annibale, che mi dette automaticamente il permesso, prima che io potessi dire qualcosa a riguardo e mi aiutò anche. Solo che io volevo uno spiraglio in mezzo alle frasche e non buttar giù tutti gli alberi, anzi se potevamo nemmeno uno. Fu un po’ più complicato di quello che lui aveva pensato, ma dopo un’ora di opportuna chirurgia giardiniera, dalle due finestre lato ovest e nord-ovest c’erano due non indifferenti e separate, ma ampie, visuali del mare dorato fino a Porto Venere, le sue relative tre isolette e un pezzo del vasto golfo di La Spezia.

I muri della casa avrebbero preso un po’ più di sole e magari ci sarebbe stata meno umidità, dissi, ma Annibale replicò che lì di umidità non ce n’era punta, era troppo ben ventilato, gli dispiaceva a lui, ma avrei dovuto fare senza.

Il tetto non fu facile da aggiustare, nel senso che dovemmo ritornare più volte sulle tavelle e sulle tegole per migliorare la tenuta stagna in caso di piogge che per fortuna o per sfortuna ce ne erano parecchie essendo ottobre, che già funzionava un po’ come il settembre di una volta. Le finestre nuove poi e la porta dettero alla casa un aspetto quasi definitivo. I muri erano robusti, misti di pietre e mattoni, mi garbavano così, rozzi e intonacati a chiazze dentro, fuori a vista.

L’arredamento del mio appartamentino di Muggiano, provincia La Spezia, lo avevo lasciato quasi tutto là. Di mobili nuovi ne comprai pochi, piccoli, usati e massicci in paese e nel prezzo c’era incluso il trasporto con il mulo. Nel giro di un mese ero già in casa nuova. Portai i vecchi libri e ne comprai qualcuno usato, gli attrezzi per l’orto, per tagliare gli alberi e per la manutenzione della casa me li trovò Annibale, ogni volta che scendevo in paese una capatina da lui ce la facevo. La moglie era un po’ scontrosa all’inizio, ma poi iniziò anche lei a prendermi in giro con il marito e dopo poco tempo sembrava che li avessi conosciuti tutti e due da sempre. Il vecchio carpentiere era ancora in forma, più di testa che di braccia e gambe, aveva avuto le sue brave malattie, come tutti, ma m’insegnava ogni volta qualcosa, per esempio a costruirmi sedie e panche con gli incastri e le viti, qualche raro chiodo grosso, medio o piccolo, senza raffinatezze inutili e cittadine.

Insomma se l’inverno stava velocemente arrivando io ero quasi pronto, la stufa a legna me l’aveva regalata il mio nuovo amico e me l’aveva portata personalmente, ce l’aveva in cantina e non sapeva che farsene. Ci tenne a installare lui il tubo per il fumo, disse che era una specie di arte e bisognava conoscerla ammodo, sennò quando c’era il vento ci si affumicava come scamorze.”

“Che bellezza! Te scappavi dalla gente, ma la gente ti dimostrava, mentre la stavi abbandonando, che invece non era come pensavi tu!”

“Sì, ma in campagna è sempre meglio, non tutti sono come Annibale, sennò il mondo sarebbe un’altra cosa. Lo sai meglio di me, basta una mela marcia per rovinare tutto il cesto e di quelle ce ne sono sempre di più.

Intanto io facevo già del pane che era quasi mangiabile, anche se per il momento toccava quasi tutto al cane, giacché digeriva qualsiasi cosa. Trattavasi di cane di stazza media, bianco-rossiccio da caccia, si chiamava Bico da Bicolore, o anche da Stephen Biko, che probabilmente è stato, insieme a Nelson Mandela, il simbolo della lotta all'apartheid in Sudafrica.”

“Ecco.”

“Non lo sapevi? Il cane invece veniva dalla Calabria, gente del paese lo aveva preso a Sarzana, da una di quelle Ong che distribuivano, a chi li volesse, cani senza padrone. Aveva due occhi malandrini, non aveva paura di niente, abbaiava solo quando c’era bisogno di avvisarmi di qualcosa di urgente, montava anche sugli alberi ed era sempre di un contagioso buonumore. Dai documenti risultava avere un anno e due mesi.”

 

Pardona, venerdì 25 novembre 2023

 

NON DIMENTICARTI DI RICORDARE

  

La memoria è assai importante, per quanto ingannevole possa essere, dato che i ricordi di solito si stratificano, a volte depositando successive impressioni, influenzate dai nostri occasionali stati d’animo. Anche così vale la pena di avere delle rimembranze indicative.

 

Holger Zaccaria  (dal romanzo “Pane olio, sale e aceto”)

 

 

 

Il suono musicale ritmico di una pianta di banano sbattuta dal vento e il picchiettare delle grosse gocce è uno di quei tipi di rumori romantici che evocano altre scene, che non questa di un grosso taccuino sul tavolo, vicino alla finestra, in un giorno di pioggia e vento, piuttosto una vela e il mare infinito, lo sciabordare di onde, i relativi schizzi…

La possibilità di scendere su queste pagine che si stanno formando sotto le mie dita è una occasione che la maggior parte della gente non ha, perché già raccontare è una cosa da pochi, ma raccontarsi lo è ancora di più.

 L’autoanalisi viene fuori da sola se io lascio scorrere la penna sui fogli e quelle vanno a raccontare quello che il cuore e il cervello dicono senza preoccuparsi che sia una cazzata o una serie di conseguenze senza controllo alcuno, al di fuori della grammatica italiana, un po’ di sintassi sparsa e maccheronica. Lo spagnolo dell’infanzia insiste per entrarci, ma di solito me ne accorgo a tempo.

Che cosa mi resta del passato?

Una buona memoria ce l’ho, ma anche la consapevolezza che pure la mia sbaglia e cambia, con stratificazioni successive, la verità originaria. Devo fare alla svelta a scrivere questi frammenti di storia, prima che cadano nell’oblio. Dovrei andare a trovare chi si ricorda e prima ancora cercare di capire chi.

Nessuno?

Beh, anche se annebbiati e confusi, tanti ne ho ancora nel cervello intriso di passato prossimo e remoto, eppure ancora umidi, tanti imperfetti e qualche trapassato prossimo, troppo lontani e spersi i trapassati remoti. Qualche periodo ipotetico, congiuntivi e condizionali, ma scarsi. Tanti discorsi a biscaro, fuori dalla Toscana chiamati anche mezze verità. Il difficile è ordinarli e metterli giù, ci vuole disciplina, tempo e concentrazione.

Non c’entra niente, ma forse invece sì, con la fantasia esagerata, che vicino a casa mia ci fosse un manicomio, sull’edificio più grande spesso si sentiva una civetta che cantava tutto mio! tutto mio! Anche di giorno. Più volte lanciava il suo lugubre richiamo dal tetto del padiglione delle donne, e siccome lassù c’era una specie di camino che aveva una forma strana, con dei grandi occhi che erano degli oblò, io pensavo che la civetta fosse quella, troppo gigantesca per essere vera, infatti mi chiedevo perché non si muoveva, forse perché era fatta di mattoni e cemento, più sopra qualche tegola rossa.

In passato la stessa fantasia mi ha portato a ricordi sovrapposti di un luogo, in maniera di vederlo come se fosse un altro e qui è difficile spiegarlo. È successo solo con posti che ho vissuto nell’infanzia e poi ho continuato a frequentare anche dopo. Come la vecchia casa vicina al fatiscente manicomio di Manavas, da determinati punti di vista la ricordo in due maniere, quella più antica e quella più recente. La casa dei nonnetti, per esempio, lì accanto, (non erano nonni miei, ma si comportavano come se lo fossero,) come la vidi da bambino e dopo con gli anni il ricordo si modificava, crescendo io, non solo la casa e il luogo, o comunque cambiando un po’ tutti e tre.

Poi ci sarebbe la curva dei banani di cui ho un ricordo nitido e nebuloso allo stesso tempo, stavo aspettando in macchina su quell’ampia curva in salita di una strada costeggiata da piante di banana e tante altre automobili erano posteggiate sui due lati, non ricordo dov’era, ma credo sulle colline di Carocito, non so chi stavo aspettando, penso mio padre e che questo sia successo più volte, la macchina dovrebbe essere stata una Chevrolet bianca e celeste, ero bambino e rimanevo lì da solo, per un tempo ragionevolmente lungo.

Le persone più disorientate che conosco sono quelle che hanno una memoria labile, non si ricordano di niente, non possono confrontare gli avvenimenti, i semplici dati della loro esistenza, in pratica non possono usare la loro esperienza. Sono sempre in alto mare e si tratta di un mare in burrasca, ogni porto è lontano, chissà dove.

Mia madre per esempio diceva che mio padre aveva anche lui un lavoro numero due, (che Iddio lo trasformasse in un essere un po’ meno spregevole,) ma che gli dava più soldi del numero uno. Io non ho mai capito cosa facesse anche di primo lavoro, ipotizzavamo che fosse un sensale, uno che intermediava a percentuale sugli affari della gente: macchine agricole e non, semi, diserbanti, terreni e animali da pascolo.

Penso che sottobanco vendesse armi, spero non droga, ma non mi sentirei di escluderlo.

 

 


Pardona, martedì 29 dicembre 2023

 

UN PIETRO RODOLFO A CASO

 

 

Il passato non è l’antitesi del futuro, sono due cose che si possono integrare anche assai bene, se si riesce ad agire seguendo la propria esperienza. Nei tempi moderni da tutti ormai dimenticato, quello che ne esce si chiama presente.

        Igor Tarallo  (dal romanzo: “Fonderemo la nostra pazienza sulla vostra rabbia”)

 

 

 

 

A volte parlo con un altro me stesso, sottintendendo che ci conosciamo già bene, noi due, ma una parte di me è più critica:

“I ricordi d’infanzia sono rimasti sempre forti in me, posso dire di aver una buona memoria, a differenza di tanta gente, proprio perché mi sforzo di rivivere il passato, prendo anche annotazioni e le rimetto in ordine, non so a cosa serviranno, ma lo faccio lo stesso. La sera a letto per esempio, o una volta anche nella sala di aspetto del dentista, alla fermata dell’autobus, ho sempre cercato di riempire i tempi morti di cose passate ma vive, insomma, e magari piacevoli. Cerco di pensare a cose belle, che quelle brutte vengono da sé.

Vivendo insieme agli altri, io avevo sentito sempre più la solitudine e mi accorgevo che non vivevo il presente in modo efficace, ma un sacrificato futuro e un distorto passato.”

“Ma quando parlavi con Annibale non ti garbava?”

“Parlare di queste cose con Annibale era difficile, per lui era inutile teoria, aveva sempre vissuto lì e sembrava contento di sé, della sua famiglia, dei suoi amici e del mondo, quel poco che ne sapeva gli bastava e avanzava.

Con il barista di soprannome Pierosky, un po’ di filosofia spicciola si poteva snocciolare, aveva vissuto anche in Russia e conosceva abbastanza il globo per apprezzare il suo ritorno e la sua vita a Pardona. Si trattava di un gigantesco tuttologo barbuto, parlava a evidenti mezze verità, ma forse della vita e del mondo ne sapeva più di tutti in paese. Mi spiegò che i russi avevano i nomi terminanti in -skij, i polacchi anche gli stessi cognomi ma terminavano in -i semplice. Gli italiani poi ci mettevano una ipsilon finale e sistemavano tutto, in fondo chi se ne fregava?

Per esempio lui era sposato con una russa, Olga Banishevskaja, quindi suo padre era Banishevskij, come l’attaccante sovietico della nazionale CCCP nel 1966, ai tempi del grande portiere Lev Yashin.

Era un lettore compulsivo, soprattutto di libri tecnici, un collezionista di manuali di ogni genere e me ne allungò alcuni per l’orto e la manutenzione sommaria di una casa di campagna-quasi-montagna: idraulica, elettricità, veterinaria, allevamento animali e pesci, come fare il pane, la pizza e i dolci in casa, sana decrescita, la fine del comunismo, politica ruspante, filosofia campagnola e così via.”

“Una bella conversazione con un essere umano può fare anche del bene a un altro essere… quasi umano, nel nostro caso.”

“A volte sì. Dipende. Mi dette anche un manuale per imparare a usare i manuali: “I pro e i contro dei manuali”, consigli di muratori veri, l’esperienza dei contadini autentici, pastori, fungaioli eccetera.

Se avete sempre vissuto da persone normali, persi nel movimento ripetitivo della vostra routine cittadina o di periferia, non avete mai avuto a che fare con i manuali, il che è un bene, ma quando uno ne avesse poi bisogno quello diventa un male.

Ci sono anche dei manuali buoni, intendiamoci, quelli per esempio che mi insegnano a usare i semi delle verdure, in modo da poterne sempre avere di scorta, senza dover andare a cercare altri.

Il manuale però spesso insegna le cose come se chi le impara le sapesse già. Oppure ha la tendenza a ripetere quello che sapete già e a tralasciare quello che non sapete e che vorreste sapere. In buona sostanza chi insegna spesso non sa mettersi nei panni degli allievi, perché sapere le cose non è la stessa cose che insegnarle, anzi, sono due robe che spesso cozzano e si ostacolano.

Insomma il manuale per riuscire a leggere i manuali ed eventualmente riuscire a impararci qualcosa, funziona un po’ come la nostra mente, usando la nostra memoria, scartando l’inutile e ricordando l’utile, ma prima di tutto, come riconoscerli? Siamo di nuovo al punto di partenza.

Il manuale migliore, spiega il manuale dei manuali, è il buonsenso, ma dove trovarlo? Non è una cosa che si può comprare o affittare, ma si sviluppa spontaneamente nelle persone che capiscono che magari può servire a qualcosa, che non si può fare tutto a caso, almeno nella vita, fuori magari sì.”

“Bello!”

“Infatti, io ne ho fatto tesoro. A dicembre comunque lasciai l’appartamento, che non volevo vendere e poteva starsene lì come magazzino, anche in maniera definitiva, tutto quello che m’interessava a breve termine era già lassù.

A più di un’ora a piedi dal paese, eravamo quasi a ottocento metri di altezza lì al metato, dietro a farci ombra c’era il monte Prana, alto 1221 metri e quando tirava vento di mare c’era un freddo antartico, ma anche la tramontana ci pigliava di laterale sorpresa e a livello di temperature erano guai, non solo d’inverno.”

“E per le spese come facevi? All’inizio ne avrai avute assai, o no?”

“Sì, infatti. Il mio mestiere, non quello del professore d’italiano, era in un certo senso privilegiato, mi aveva permesso di mettere i soldi da parte, sarebbero dovuti bastare per campare fino alla fine dei miei giorni, avevo calcolato, magari bisognava avere esigenze modeste e io ce le avevo, non tanto per scelta, piuttosto per naturale esclusione di tutto quello che non m’interessava. Le banche non mi garbavano, per esempio e in parti pressoché equivalenti avevo euro, dollari e sterline inglesi, tutti sotterrati in tre serie di scatole di plastica, l’una dentro l’altra, come la matrioska russa.

(Le otto bambole che originariamente componevano la prima matrioska rappresentavano, in ordine di grandezza, una madre, una ragazza, un ragazzo, una bambina... fino all'ultima figura, quella di un neonato in fasce, o appena nato: queste figure servivano a celebrare il concetto  di  famiglia, in tutte le sue forme.)

Fuori costruii un modesto capanno di legno da usare come magazzino e laboratorio. Si sfasciò tre o quattro volte con il vento forte e io lo ricostruii non senza bestemmiare. Di solito la bestemmia è usata dai cristiani cattolici, ma stranamente io non lo ero mai stato, ci avevo solo vissuto insieme e mi pareva pratica di una certa praticità.

Per il primo inverno mi feci prima di tutto una doccia rudimentale a legna e un piccolo bagno. Poi mobiletti vari e rustici, soprattutto panchetti, mensole e pensili. Importantissima la panca verde fuori dalla porta con la vista sul mare.

Ero un principiante quindi i tentativi falliti erano innumerevoli e talvolta anche le bestemmie fioccavano. Alla fine però trionfavo moderatamente e sempre. In fondo la testardaggine è una buona cosa, basta non perdere la calma.

Il freddo era notevole e il vento di notte fischiava, anche di giorno, per riuscire a dormire bisognava abituarsi. Le mie contromisure iniziali di organizzazione e di comodità spartane furono sempre aumentando finché arrivò la primavera. Molta lettura la sera a lume di lampioncini a petrolio, puzzava un po’ ma in compenso illuminava male.”

“Le difficoltà sono il sale dell’esistenza o no?”

“Effettivamente. Nonostante questo ero contento, forse anche felice, però come si fa a saperlo? Forse il mio sguardo era ancora troppo rivolto in avanti, al futuro.

Potevo leggere di giorno e la notte spesso ero troppo stanco solo per tentare di farlo. L’orto era già in funzione, i primi frutti della terra non arrivarono così come avrei voluto, ma anche in questo ramo avevo molta strada da fare.”

“Non ti sentivi solo?”

“Un po’, ma anche quando vivevo giù a valle non ero mai stato di troppa compagnia, insomma era la libertà che apprezzavo di più e lì mi sentivo meglio.

La luce elettrica io non volevo nemmeno mettercela, ma Annibale era un uomo prepotente, lo diceva anche sua moglie e quando pensava di aver ragione alla fine mi convinceva sempre, aveva sempre convinto pure lei, e quando eravamo totalmente contrari lui ci si divertiva anche di più. Io non avevo mai nemmeno tentato di convincere qualcuno a fare qualcosa, e lui invece lo faceva sempre con tutti.

In quel caso mi portò un elettricista senza preavviso, un amico suo, che poi diventò anche mio. In più Annibale rideva e mi dava robuste pacche sulle spalle. Zino disse che il percorso dei fili nel bosco era favorevole e se il lavoretto fosse stato ben fatto non se ne sarebbero mai accorti. Ci volevano un duecento metri di filo grosso, doppio e costoso assai, ma alla fine la resa sarebbe stata ottima, soprattutto per leggere e per fare il bagno. E poi era gratis.

Dopo una guerra verbale di una settimana sono riuscito a deviare sui pannelli solari, che non avevano bisogno di tanto filo, erano più cari ma era un investimento praticamente eterno. Gli avvenimenti a seguire mi dettero piena ragione, ma Annibale non fu facile da convincere. Per fortuna che Zino si dimostrò dalla mia parte.”

“Quali avvenimenti?”

“Aspetta, che ora viene il movimento.”

“Mi pare che tu l’abbia presa un po’ troppo larga. Non si era detto un riassunto breve?”

“Questo l’avevo detto a Pietro 2, ma tu sei Pietro 3, cerca di stare al tuo posto. E poi se non ti spiego tutto quello che è successo prima, dopo non ci capisci più niente.”

“Vabbè, basta non esagerare…”

“No, ascolta: il secondo cane venne da solo, una femmina piena di zecche e di pulci, ma in poco tempo la rimisi a funzionare come un pelosissimo orologio svizzero, si chiamava Annabella, sul solito suggerimento insistito di Annibale. Con l’aiuto del quale e con la lettura dei manuali pensammo anche di mettere su un piccolo allevamento di trote, bastava deviare in parte il torrente lì vicino, ma non sapevamo cosa dargli da mangiare.

In seguito stabilimmo che se non fossero state trote, potevano essere carpe, o qualsiasi tipo di pesce che fosse buono da mangiare e che non avesse problemi a cibarsi di un po’ di tutto quello che avanzava al metato.

Le due vasche grandi ci mettemmo un po’ a prepararle, per via della famosa impermeabilizzazione. Tutt’e due perdevano, appena un po’, non so più quanto catrame dentro a secchiellate, ma Annibale disse che tanto l’acqua lì non mancava mai e allora le lasciammo così.”

Durante le mie perlustrazioni al torrente non potevo non venire colpito dai Tricotteri (comunemente chiamati porta sassi o porta legna) questi insetti si mostrano in un sacco di forme, sfoggiando i loro astucci protettivi che compongono con il materiale che trovano sul fondo del corso d’acqua, o della pozza che abitano e che mettono insieme con seta che secernono da una ghiandola posta in prossimità della bocca.

Sono dei minuscoli cilindri semoventi, i nostri fatti di granelli di sabbia, con dentro insetti che sono tipici dei corsi d’acqua montani, anche se noi non arriviamo ai mille metri sul livello del mare, qui ce ne sono e sono piuttosto bizzarri, quando li vedi le prime volte non ci fai caso perché sono del colore dell’ambiente che li circonda, poi ti pare che si muovano e pensi che sia per via della corrente dell’acqua, dopo pensi a cosa diavolo siano e ci vuole un po’ di tempo per capire. La natura riesce sempre a sorprendermi.”

“Sì, vabbè, ma Annibale ha avuto una grande importanza nel tuo inizio di una nuova vita, non è vero?”

“Sì, è stato decisivo e poi era simpatico, un po’ rompicoglioni, ma anch’io lo ero… anzi lo sono ancora, lo sono sempre stato.

Insomma ci capivamo.

Figurati che poi con estrema serietà mi spiegò che le anguille per l’allevamento andavano più che bene, mangiavano di tutto ed erano delle bestiacce buone da fare fritte, arrosto e in umido, se non le ammazzavi te erano praticamente immortali, se ce n’era bisogno strusciavano anche sulla terra asciutta come serpi.

Risi e replicai che se il Mare dei Sargassi non fosse stato un po’ fuorimano sarebbero state l’ideale.

Disse che ero proprio uno scemo e promise che me le avrebbe portate lui, non c’era problema. Chiesi a Pierosky, che mi appoggiò con piacere, ma Annibale era duro come il nostro vicino e prezioso marmo di Carrara.

Il barista poi trovò trai suoi un volumetto che spiegava bene le cose, o almeno senza complicarsi troppo ci provava e l’allungammo ad Annibale, che era un San Tommaso irriducibile e non credeva mai d’acchito a quello che gli si raccontava. In alcuni casi di trincerava sulle sue posizioni e ne faceva un punto d’onore, allora anche due o tre acchiti non bastavano.

Il libretto diceva che la migrazione e la riproduzione delle anguille d'acqua dolce erano rimaste un mistero fino a metà circa del XX secolo, quando furono scoperti per la prima volta, nel mar dei Sargassi fra le isole Bermuda e Porto Rico, i luoghi di deposizione delle uova. Quando l'anguilla europea e la specie affine americana raggiungono la maturità sessuale nei laghi e fiumi d'acqua dolce cominciano la loro lunga migrazione che le porta nei luoghi di riproduzione.

Esse nuotano nei corsi d'acqua, ma a volte strisciano come serpenti fra l'erba bagnata dei campi, fino a raggiungere l'oceano, dove nuotano o si lasciano andare alla deriva portate dalle correnti; vagano così anche per un anno, fintanto che non raggiungono le acque ricche di vegetazione del mar dei Sargassi. Qui le anguille depongono le uova in acque profonde e muoiono. Non appena usciti dall'uovo, i leptocefali si lasciano portare dalla corrente del Golfo, raggiungendo le coste europee in tre anni e quelle nordamericane in un anno.

A questo punto, trasformatesi in cieche, si accumulano numerosissime presso le foci dei fiumi; quindi assumono una colorazione gialla sul ventre, nuotano controcorrente, risalgono i fiumi e si nutrono d'animali che vivono sui fondali; infine, diventano individui adulti dal corpo nero e argenteo, completando così il loro ciclo vitale.

E allora quelle della Cina come fanno? Fu la sua prima questione, ma il libretto per fortuna, che lui non aveva letto per intero, più avanti spiegava che per l’Asia e l’Oceano pacifico c’era un altro punto di riferimento. Lo specifico luogo di riproduzione è stato recentemente scoperto nelle vicinanze di una montagna marina sul lato occidentale delle Isole Marianne. Le anguille adulte migrano per migliaia di chilometri dai fiumi dell'Asia dell'est fino a questo luogo per potersi infine riprodurre.

Annibale insomma ci mise tutte le sue forze per andare contro a quella corrente di teoria pratica, ma alla fine, esausto, quando ne fu finalmente convinto, ne rimase entusiasmato.

Poi glielo raccontò anche alla moglie, erano a cena da me, ricordo che era maggio e fu l’ultima volta che li vidi entrambi.

Annibale aveva bevuto un po’ troppo Pitigliano bianco e la prese in giro per un po’ chiamandola ignorantella, lui queste cose le aveva sapute fin da bambino e mi strizzava l’occhio in segno d’intesa.

Ridendo e scherzando, bevendo e parlando, eravamo andati piuttosto sul filosofico quella sera e non mi avevano capito tanto bene, quando gli avevo parlato dell’assoluto relativo, una tra le tante mie teorie. Appena me ne ero accorto mi ero subito zittito. Avevamo cambiato argomento.”

“E meno male, ci mancava solo l’assoluto relativo!”

“Infatti. Annibale e sua moglie rimasero addirittura stupiti, quando gli dissi che anche mia madre era partita dall’Italia, come le anguille a settembre, si era riprodotta in America Latina e poi era morta, io me ne ero venuto in Italia, un po’ come le cieche, parlavo bene l’italiano ma non c’ero mai stato. Mi chiesero che lavoro facevo in Venezuela e io gli raccontai quello di professore d’italiano.”

“Hai fatto bene a non dirglielo, o magari non ci avrebbero nemmeno creduto, secondo me.”

“Dopo vari tentativi falliti decisi che le trote erano buone assai da mangiare ma troppo complicate, le carpe si rivelarono l’ideale, per me ci volevano pesci onnivori e meno sofisticati. Erano meno saporite delle trote, ma la loro stretta economia era sostenibile per me e le avrei mangiate con più sale, aglio, basilico e prezzemolo. La mia provvista d’olio d’oliva intanto era già imponente, un fusto da cento litri, poteva bastare forse per tutta la vita. Quanto volevo vivere ancora non lo sapevo e poi le mie intenzioni non erano necessariamente quello che si sarebbe realizzato.

Confesso che il mio obbiettivo finale non mi è sempre stato chiaro, però durante il percorso ho spesso saputo bene cosa non sopportavo e che non avevo assolutamente voglia d’impegnarmi a cercare d’ignorare tutte queste cose che non mi garbavano, che anzi mi facevano solo irritare e ancora di più tutti questi che adoravano situazioni che io non vedevo proprio alcun ragione per dovere, potere o voler considerare.”

“Sei un po’ esagerato, ma che ci vuoi fare, ormai è tardi per cambiare.”

“Ecco, infatti, tu lo sai che ho accantonato tanta gente durante la mia carriera di snob che si fa solo i fatti suoi, di bastiano assai contrario alla massa e ai gusti comuni, tanta altra gente l’avrei anche messa da parte io, ma per fortuna ci ha pensato prima da solo.”

“Selezione naturale?”

“Proprio. La selezione naturale non è per niente forzata, lo dice il nome stesso, non c’è nessuna scelta da fare. Conosco tanta gente che accetta tutto e tutti, magari non pensa nemmeno che sia una filosofia originale e bella, per loro è semplicemente più naturale così. Non mi sento di dire beati loro, perché vedo che sono trasportati dove non vorrebbero, sono manipolati tanto che non se ne accorgono nemmeno più, non sanno neppure più chi sia il responsabile dei propri guai, che poi alla fine sono proprio loro stessi, in maniera irregolare quanto sistematica. Da quando l’ho capito, il mio lavoro interno, il mio sforzo maggiore è stato eliminare un meccanismo in me, comune a tanti uomini e donne.”

Ridendo e scherzando, bevendo e parlando, eravamo andati piuttosto sul filosofico quella sera e non mi avevano capito tanto bene, quando gli avevo parlato dell’assoluto relativo, una tra le tante mie teorie. Appena me ne ero accorto mi ero subito zittito. Avevamo cambiato argomento.”

“E meno male, ci mancava solo l’assoluto relativo!” “Infatti. Annibale e sua moglie rimasero addirittura

stupiti quando gli dissi che anche mia madre era partita dall’Italia, come le anguille a settembre, si era riprodotta in America Latina e poi era morta, io me ne ero venuto in Italia, un po’ come le cieche, parlavo bene l’italiano ma non c’ero mai stato. Mi chiesero che lavoro facevo in Venezuela e io gli raccontai quello di professore d’italiano.”

“Hai fatto bene, non ci avrebbero nemmeno creduto, secondo me.”

“Dopo vari tentativi falliti decisi che le trote erano buone assai da mangiare ma troppo complicate, le carpe si rivelarono l’ideale, per me ci volevano pesci onnivori e meno sofisticati. Erano meno saporite delle trote, ma la loro stretta economia era sostenibile per me e le avrei mangiate con più sale, aglio, basilico e prezzemolo. La mia provvista d’olio d’oliva intanto era già imponente, un fusto da cento litri, poteva bastare forse per tutta la vita. Quanto volevo vivere ancora non lo sapevo e poi le mie intenzioni non erano necessariamente quello che si sarebbe realizzato. Confesso che il mio obbiettivo finale non mi è sempre stato chiaro, però durante il percorso ho spesso saputo bene cosa non sopportavo e che non avevo assolutamente voglia d’impegnarmi a cercare d’ignorare tutte queste cose che non mi garbavano, che anzi mi facevano solo irritare e ancora di più tutti questi che adoravano situazioni che io non vedevo proprio alcun ragione per dovere, potere o voler considerare.”

“Sei un po’ esagerato, ma che ci vuoi fare, ormai è tardi per cambiare.”

“Ecco, infatti, tu lo sai che ho accantonato tanta gente durante la mia carriera di snob che si fa solo i fatti suoi, di bastiano assai contrario alla massa e ai gusti comuni, tanta altra gente l’avrei anche messa da parte io, ma per fortuna ci ha pensato prima da sola.”

“Selezione naturale?”

“Proprio. La selezione naturale non è per niente forzata, lo dice il nome stesso, non c’è nessuna scelta da fare. Conosco tanta gente che accetta tutto e tutti, magari non pensa nemmeno che sia una filosofia originale e bella, per loro è semplicemente più naturale così. Non mi sento di dire beati loro, perché vedo che sono trasportati dove non vorrebbero, sono manipolati tanto che non se ne accorgono nemmeno più, non sanno neppure più chi sia il responsabile dei propri guai, che poi alla fine sono proprio loro stessi, in maniera irregolare quanto sistematica. Da quando l’ho capito, il mio lavoro interno, il mio sforzo maggiore è stato eliminare un meccanismo in me, comune a tanti uomini e donne.”


 

 

Pardona giovedì 13 gennaio 2024 LA NATURA PRIMA DI TUTTO

 

Non aveva rimorsi per la vita che conduceva, non nutriva rispetto per una società basata su valori come il benessere materiale e la normalizzazione sociale. Una società che, allo stesso tempo, non era in grado di garantire a un giovane un lavoro decoroso e soddisfacente. Il senso di colpa era scomparso da tempo e lui condivideva il pensiero di migliaia di suoi coetanei: che non aveva scelto di nascere in un sistema politico che andava contro l’essere umano e che richiedeva solidarietà in cambio di menzogna e tradimento; riteneva che a vergognarsi dovesse essere chi reggeva le fila di tale sistema, non lui.

(Maj Sjöwall, Per Wahlöö Un Assassino di Troppo)

 

 

 

 

Per mantenere il cervello funzionante ci vuole magari un alternarsi di attività positive che non è attuabile in una vita cittadina, o di intenso lavoro, come molte persone affrontano abitualmente. La vita dell’individuo in mezzo alla natura è più sana soprattutto se si ama stare in aperta campagna, se la compagnia degli animali funziona come terapia d’inerzia, se non ci si annoia e non ci si spaventa per via del silenzio, se non ci manca il contatto continuo con la gente al quale siamo purtroppo abituati. Se io avessi vissuto come quasi tutti gli altri, ora qui da solo non ci potrei stare bene. L’osservazione entusiastica della natura mi fa bene, non solo degli animali, ma anche delle piante e perfino delle rocce, insomma dei paesaggi la cui musica è la brezza che può piacevolmente diventare vento, il conseguente stormire delle fronde, il canto degli uccelli e così via discorrendo.

In questo contesto anche le scorregge dei cavalli, la puzza dello sterco di animali al pascolo hanno una loro ragione di essere e di rinfrancare, come di rilassare l’anima di un essere umano che abbia debitamente sempre tenuto presente l’importanza di queste cose, anche quando per necessità lavorativa viveva in città, tacitamente premettendo a sé stesso che doveva pur essere un periodo limitato e provvisorio, desiderando sempre e comunque togliersi dalla palle per andare a vivere in mezzo al verde e alla natura il più possibile selvatica.

Di conseguenza ho sempre avuto un rapporto efficace con gli animali, qui dovrei dire domestici, ma mi piace poco l’espressione, perché spesso sono schiavizzati dall’uomo e non vorrei essere io a fare lo stesso, ma con una pandemia non si può scherzare impunemente.

Rispetto il loro spazio, quello degli animali, che non sono assolutamente più bestie degli esseri umani, anzi. Sono autoritario senza essere tirannico, attento alla loro educazione ma non voglio assolutamente umanizzarli, ci sto proprio attento. Non mi garbano assolutamente i cappottini colorati e copricapi, le scarpine, insomma le decorazioni sgargianti che gli mettono addosso, senza minimamente pensare se a loro gli facciano piacere o no.

I cani più di tutti apprezzano la mia compagnia, forse perché non sto a parlargli continuamente con quella vocina stronza, come se loro fossero dei bambini scemi e così non devono stare a scervellarsi per capire che minchia io possa volere da loro.

Non mi dimentico mai di dare soddisfazione agli altri, e di dare da bere e da mangiare a chi ho attorno, cosa che fanno molti sedicenti amanti degli animali, che poi li trattano come se fossero oggetti, senza il minimo rispetto per le loro esigenze. Da un’osservazione più particolareggiata poi viene fuori che trattano anche stessi in quella maniera, non hanno la minima autocoscienza e ignorano la possibilità di avere un piano anche approssimativo per la loro stessa vita che non sia un tunnel senza interruzioni di lavoro, mangiare, riposo, divertimento. L'autocoscienza è un punto di non ritorno. Quando si diviene consapevoli di ciò che sta avvenendo non è più possibile fare finta di niente.

Procuro la chiarezza degli intenti, non solo con le bestioline, ma con ogni tipo di creatura, anche se so che l’individuo medio vuole piuttosto della confusione, perché la disciplina che deve mantenere al lavoro lo annoia, allora parla con dei doppi sensi, fa degli scherzetti idioti a parole che lo fanno morire dal ridere, specie se qualcuno più debole ne rimane umiliato, basta che non siano rivolti a lui. Teme il malinteso quotidiano, ma gli piace anche e alla fine non sa mai con chi ha a che fare e si mette nei peggiori casini, proprio perché non conosce sé stesso né gli altri, diffidente fino all’ossessione, si fida proprio di coloro di cui non dovrebbe mai fidarsi.

 

 

 

Pardona martedì 22 gennaio 2024

ZINO ED EZRI

 

Bisognava essere contenti che fosse solo una manovra finanziaria, una contromanovra per supplire a una situazione che gli era scappata di mano. Eppure a noi tutti ci giravano lo stesso i coglioni, forse perché, se le cose stavano così, noi esseri umani non valevamo più niente, o magari non avevamo mai avuto valore maggiore di zero.

Dario Stoya (dal libro “Dissociatevi Finché Siete in Tempo”)


In questo bar accogliente ma un po’ polveroso, il bar di Pierosky, tutto foderato di legno stagionato, faceva parte della tappezzeria e della mobilia anche un uomo piccolo che aveva sempre un colbacco in testa, non era particolarmente sporco, forse solo esageratamente barbuto, lo chiamavano Ezri, e dicevano che era un ebreo, come se fosse un’offesa. Attaccava discorso con tutti, le sue frasi erano piene di che dio l’abbia in gloria, che si conservi sano, che sappia distinguere tra il bene e il male, che riposi in pace… ogni tanto diceva anche qualche proverbio antico, non sempre a sproposito.

Se il suo concetto era affermativo la sua faccetta si muoveva in senso verticale confermando, se era negativo allora in senso orizzontale ripetendo a iosa il suo no, anche quando non diceva niente la faccia si muoveva ma un po’ meno, forse accompagnava i suoi pensieri.

Pierosky diceva che era un ottimo cliente, passava lì dentro ore e ore e personalmente non lo aveva mai visto pagare qualcosa, o anche solo consumare un’altra cosa offerta da qualcun altro.

Sono stato invitato da Annibale e Zino a giocare a carte al bar, di sera. Ho cercato di rifiutare invano, pareva una cosa importante per loro. Hanno anche insistito per giocare di soldi, pochi spiccioli, ma ero piuttosto stanco e poi andare e tornare al metato, ci vuole dell’ispirazione da giocatori incalliti, oltre alla forza fisica. Per principio non ho mai portato una bottiglia di vino al metato, non sono astemio solo che preferisco farne senza, ma loro mi riempivano continuamente il bicchiere e mi ubriacavano di vino oltre che di discorsi a biscaro, poi mi pelavano il portafoglio. E ridevano come matti. Non è che non ci ho provato a farmelo piacere, ma alla seconda volta li ho mandati affanculo senza troppi complimenti.

Forse ho sbagliato, distrattamente avevo chiesto non a Zino, come fosse al cielo del bar, quello che stava succedendo al mondo. Queste cazzo di pandemie mi parevano orchestrate a dovere, gonfiate dai media oltre il lecito bisogno. C’erano le case farmaceutiche di mezzo? O forse era una manovra finanziaria a livello mondiale? Non l’avessi mai fatto. Lui sull’argomento purtroppo era molto più ben preparato di quello che avessi potuto pensare.

Figurarsi che, mentre giocavamo, Zino ha spiegato questa sua articolata teoria, per niente facile, che ho registrato con un piccolo tascabile, di solito lo uso per impararmi le espressioni del loro gergo toscano del nord.

“Ecco, facciamoci uno schema mentale: nel 2008 c’è la crisi dei mutui subprime: un eccesso di debito causa il collasso del sistema finanziario.

[La crisi dei subprime è una crisi finanziaria scoppiata alla fine del 2006 negli Stati Uniti che ha avuto gravi conseguenze sull'economia mondiale,  in  particolar  modo  nei paesi sviluppati del mondo  occidentale,  innescando  la grande recessione (da molti considerata la peggior crisi economica dai tempi della grande depressione).

Prende il nome dai cosiddetti subprime, prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito in favore di clienti a forte rischio debitorio (insolvenza), considerati da molti analisti come fenomeni di eccessiva speculazione finanziaria.]

Il problema non viene risolto, anzi, si decide di affrontarlo con nuovo debito in misura monumentale rimandando le conseguenze e amplificandone la pericolosità.”

Ezri si è alzato e ne ha approfittato per dire la sua frase fondamentale: “L’uomo è il primo prossimo di sé stesso, dice un proverbio ebraico, quando si è buoni con gli altri, si è cattivi con stessi.” Guardando in faccia tutti e nessuno si è rimesso a sedere. Nessuno lo ha considerato e Zino ha continuato come se niente fosse.

“Seguono dieci anni di tassi a zero e crescita del debito incontrollata che non riescono a dare impulso all'economia. I tassi a zero e le emissioni monetarie finiscono nella finanza iper speculativa. Chiunque si può indebitare per comprare azioni e scommettere nel mondo dei derivati. La bolla si gonfia in modo preoccupante.

Settembre 2019 - La cuccagna sembra finire da un momento all'altro: la Banca Regolamenti Internazionali lancia l'allarme:

QUI SCOPPIA TUTTO!!!!”

E qui io mi ero fermato, ma visto che gli altri continuavano come se niente fosse, mi sono adeguato. Zino intanto aveva ripreso a spiegare giocando tranquillamente le sue carte, come se fossero due persone e due situazioni neanche lontanamente comunicanti, due film paralleli.

“Il 18 ottobre 2019 a New York andava in scena l'Event

201. I big del mondo si riuniscono per una simulazione che nel giro di poche settimane sarebbe diventata reale. Le prove generali di un’epidemia di un nuovo coronavirus zoonotico (Attributo che indica malattie e infezioni che possono essere trasmesse dagli animali all'uomo e viceversa) trasmesso dai pipistrelli ai maiali alle persone.

Il 20 gennaio 2020, gli stessi vertici delle nazioni e dei maggiori centri di potere si riuniscono nuovamente a Davos e, molto probabilmente, i capi di stato e tutti i media ricevono il protocollo di azione su come comportarsi, tutti insieme per le misure che tutti noi abbiamo dovuto subire, nostro malgrado.

Fase finale: I militari vengono dispiegati sui territori, le libertà individuali vengono praticamente azzerate. L'economia viene congelata e le Banche Centrali, all'unisono, con la Federal Reserve in capofila, iniziano la creazione monetaria più insensata della storia del mondo, iniettando liquidità creata dal nulla direttamente nei conti reciproci con le banche commerciali, nelle grandi corporation, nei gestori dei fondi e anche direttamente al Tesoro, continuando a comprare titoli di Stato.

Nel pieno della crisi economica dovuta alle misure adottate per il Covid, viene scatenata anche una guerra civile interna agli Stati Uniti sfruttando e fomentando l'odio razziale. Nel caos generalizzato, con gli Stati Uniti non più uniti, ma divisi come non mai, la Cina sembra uscire trionfante e questo fa veramente presagire un disegno della fine di un'epoca, quella americana e l'inizio di un nuovo mondo dominato dalla Cina. A questo punto abbiamo possiamo dire di avere quindi un disegno molto verosimile che inizia con un problema economico globale estremamente drammatico che bisogna affrontare in modo urgente e concertato. Il mondo globalizzato si riunisce e si accorda su come gestire questa situazione.

Per capire bene l'importanza che ha il mondo finanziario sul mondo reale, bisognerebbe avere un'educazione almeno basilare di come funzionano le banche, il denaro, i commerci, i mercati valutari, le compensazioni tra banche, mercati e nazioni, gli arbitraggi e il sistema bancario ombra con la realtà intricatissima del mondo dei derivati e dei derivati OTC.”

“Ma che cosa sono i derivati?” Ho chiesto io.

“Lo strumento derivato in finanza è un titolo (security) che deriva (da cui il suo nome) il proprio valore da un altro asset  finanziario  oppure  da  un  indice  (ad esempio, azioni, indici finanziari, valute, tassi d'interesse o anche materie prime), detto sottostante.

Gli utilizzi principali degli strumenti derivati sono la copertura da un rischio finanziario (detta hedging), l'arbitraggio (ossia l'acquisto di un prodotto in un mercato e la sua vendita in un altro mercato) e la speculazione.

Le variabili alla base della quotazione dei titoli derivati sono dette attività sottostanti e possono avere diversa natura: può trattarsi di azioni, di obbligazioni, indici finanziari, di commodity come il petrolio o anche di un altro derivato, ma esistono derivati basati sulle più diverse variabili - perfino sulla quantità di neve caduta in una determinata zona, o sulle precipitazioni in genere.

I derivati sono oggetto di contrattazione in molti mercati finanziari, e soprattutto in mercati al di fuori dei centri borsistici ufficiali, ossia in mercati alternativi alle borse vere e proprie, detti over the counter (OTC).

Il derivato è un prodotto finanziario caratterizzato da uno spiccato livello di complessità, solitamente adatto ad un investitore competente, dotato di alta propensione al rischio consapevole e, soprattutto, informato dei complicati meccanismi contrattuali alla base del funzionamento dello strumento.”

Dopo questa spiegazione ci capivo anche meno di prima, gli altri giocavano e non dicevano niente. Zino imperterrito continuava:

“Comunque già aver visto e capito il film Una Poltrona per Due dà un’idea di come funzioni il sistema.

Il mondo è tutto collegato. Non c'è niente che possa avvenire in una parte del mondo senza avere ripercussioni da un'altra parte. Quando si creano degli squilibri, bisogna intervenire per aggiustarli. Quando gli squilibri sono talmente giganteschi da compromettere l'esistenza stessa del mondo economico che conosciamo, allora le misure da adottare assumeranno una dimensione proporzionale al problema.

Nel settembre 2019 stava per esplodere l'intero sistema economico. La Banca Regolamenti Internazionali, ha lanciato l'allarme e i paesi del mondo, tutti avviluppati l'un l'altro in un abbraccio economico controparte, hanno accettato, tutti insieme, di adottare le misure prescritte. La prescrizione è: BISOGNA CONGELARE L'ECONOMIA!

Perché bisogna congelare l'economia?

In un mondo super indebitato, dove i debiti sorreggono le scommesse nel mondo finanziario, dove le scommesse si basano sul fatto che i tassi siano vicini o pari a zero, non si può far sì che i tassi d'interesse possano salire. Se i tassi salgono, diminuisce il valore del nominale dato a garanzia e si innesca la reazione a catena delle margin call.”

“Aspetta, che sono queste ultime margincol’?”

“Margin Call? Nel mercato finanziario spesso quando si compra un titolo l'acquirente non fornisce il completo valore del titolo ma solo una quota (per esempio il 10% del valore) e il denaro rimanente viene fornito tramite un finanziamento bancario. Se però il titolo si deprezza sotto la soglia di denaro fornita dall'acquirente (nell'esempio il 10%) il broker vende il titolo. L'acquirente perde il capitale investito ma il finanziamento bancario viene ripagato. Il termine margin call si riferisce alla chiamata ("call") che il broker una volta effettuava per comunicare al cliente che il proprio margine ("margin") è stato azzerato e che quindi o reintegra subito il margine con nuovo capitale oppure il broker avrebbe venduto il titolo in perdita. Oramai queste chiamate non vengono più eseguite dato che è tutto informatizzato, ma il termine è rimasto.”

Anche questa spiegazione, giocando a carte e bevendo vino non mi aveva aiutato molto. Ma Zino non si è fermato.

“Questo evento sarebbe cataclismico per le banche, gli hedge fund, i fondi pensione e tutto il mercato dei titoli di stato.”

Qui, visto il mio sguardo ha spiegato:

“Hedge Fund: sono fondi di investimento molto aggressivi, per facoltosi investitori che amano il rischio. Vengono gestiti da professionisti senza vincoli di mandato.

Fondi Pensione: fondi che raccolgono il risparmio dei cittadini che vogliono farsi una pensione privata. Investono prevalentemente in Titoli di Stato.

Titoli di Stato : quelli italiani si chiamano BOT, BTP, CCT. Quelli  tedeschi  Bund.  Quelli americani Tresory. Sono quei titoli che se aumentano i tassi di interesse crollano di valore. Basta l'1% di tasso in più per farli scendere del 10% . Sono titoli posseduti da tutti . Banche, Fondi , Risparmiatori , Fondi pensione. Le banche li usano come garanzia per fare altri prestiti! Questo è il motivo che costringe le banche centrali a mantenere bassi i tassi di interesse. Se crollano di valore le banche falliscono come birilli.

Per disinnescare la reazione a catena, l'unico sistema possibile è quello di iniettarci dentro la tutta la liquidità necessaria. In un mondo in cui la gente fa fatica ad arrivare a fine mese, è difficile giustificare la semplicità con cui una banca centrale digita dei bit sul pc e crea soldi in modo illimitato. Se la gente capisse questa cosa direbbe: "se è così facile, perché non dà i soldi direttamente a noi?”

Questo modo di ragionare mette in luce la grande ingenuità delle persone. La gente crede che le decisioni dei potenti vangano prese per il bene delle persone, mentre quella è l'ultima delle loro preoccupazioni. Le decisioni vengono prese per conservare la solidità della piramide di potere. Il potere, avendo tutti bisogno di soldi per sopravvivere, è ben saldo nelle mani di chi detiene il monopolio di creare i soldi, ovvero le banche che sono un cartello.

Lo slogan "andrà tutto bene" messo sulla bocca dei fessi in tutto il mondo, voleva dire: andrà bene a noi, non a voi, poveri imbecilli!”

Ed ecco Ezri di nuovo e per niente a sproposito: Coloro che investono monete sonanti su realtà incerte e truffaldine, un giorno ci porteranno via i nostri risparmi sudati e guadagnati col lavoro onesto di una vita, vecchio detto Polacco. Intorno, all’unisono, lo hanno ignorato in maniera totale.

“L'economia è stata quindi congelata per consentire alle banche centrali di creare migliaia di miliardi di nuovo debito e non creare inflazione. (l’inflazione danneggia il creditore - la banca - e favorisce il debitore, quindi non deve accadere) Si pensa erroneamente che l'inflazione sia l'aumento dei prezzi, ma l'aumento dei prezzi è soltanto la conseguenza dell'inflazione.

Inflazione vuol dire espansione: l'espansione della massa monetaria. Se le banche creano nuovi trilioni di dollari, inflazionano l'economia di nuova moneta disponibile. Se questa moneta inizia a circolare, ad esempio, se c'è esuberanza economica, allora si crea inflazione, in modo proporzionale alla massa di nuova moneta messa in circolo. Quando questo accade, le banche hanno un solo modo per intervenire: alzare i tassi per drenare la liquidità. Ma adesso questo è impossibile, perché se si alzano i tassi si innesca l'esplosione delle margin call sui REPO con operazioni di durata brevissima allo scopo di ottenere liquidità istantanea per le ragioni legate soprattutto al rischio controparte che scaturisce da operazioni altamente speculative nel mercato dei derivati.) e scoppia tutto.

(REPO In pratica sono operazioni di pronti contro-termine con cui le banche e i maggiori operatori economici si scambiano asset (principalmente titoli di stato)

Con il termine “asset”, la cui traduzione effettiva è “attività”, si fa riferimento ad attività finanziarie su cui è possibile mettere in atto un investimento nell’ottica di conseguire un rendimento del capitale compatibilmente con i diversi livelli di rischio associati.

L'unica altra opzione per creare liquidità e impedire che circoli è quella di bloccare l'economia, guadagnando tempo prezioso per intervenire dove ci sono le falle, cercando di tapparle una ad una gettandoci sopra palate di soldi.

Ecco la verità di tutta questa triste vicenda dove ci hanno raccontato di tutto, tranne che il vero nocciolo della questione è quello economico, come sempre. Come in tutte le guerre e in tutte le cose che accadono: l'incipit è sempre economico.

Tutto risulta di più facile comprensione una volta preso atto che le persone, nel mondo, sono gestite come un gregge di pecore. Ci fanno fare quello che torna utile a loro. Le persone che ce lo impongono, i governanti visibili e le teste parlanti della TV, sono solo i cani da pastore.

I mandriani sono le banche, proprietarie dei soldi e quindi di tutto il resto.”

Ezri si è alzato e ha detto: Se la famiglia è come una pentola, la mamma è come un coperchio, antico detto Giudeo. Stavo per chiedere la differenza tra Giudeo, Ebreo ed Israeliano, ma Zino è ripartito.

“Il sistema economico globale è basato sul debito e per sua natura genera squilibri che con il tempo divengono esponenziali. Un modo di intervento diffuso era quello di organizzare guerre e dare origine a quello che Schumpeter definì "distruzione creativa." Adesso è più difficile fare le guerre perché mancano gli ideali e i giovani, col fisico da Nintendo, non sono più adatti. Allora è stata scelta una strategia più trasversale. Quella della minaccia di un virus invisibile con cui tutti gli stati sono obbligati a combattere, indebolendosi e indebitandosi. Sul campo di battaglia restano aziende, controllo delle risorse, devastazione e il potere si consolida in sempre meno mani.

Non sono mancati neanche i militari sul campo a dare credibilità a tutta la messa in scena, mentre i media all'unisono ripetevano come un disco rotto: "siamo in guerra contro il virus".

Ezri allora si è alzato e ha detto una cosa che aveva a che fare con le parole di Zino, seppur indirettamente: L’uomo che scommette i suoi soldi, senza lamentarsi dovrà sentirsi pronto anche a perderli tutti, detto Lettone. E si è seduto di nuovo circondato dall’indifferenza.

“È tutto collegato. E il collante che unisce tutto è il denaro. Siamo tutti dentro al gioco. Come un grande gioco del Monopoli. Quando giochiamo a Monopoli, sappiamo benissimo che i soldi che usiamo sono finti. Quello che ha valore sono le nostre emozioni che nascono durante lo svolgimento, mentre giochiamo. Imprevisti, probabilità, case, alberghi, ferrovie. Sono le nostre emozioni a dare valore a tutto ciò. Quella è la moneta autentica con cui paghiamo per stare al gioco.”

Alla fine credo non lo ascoltasse nessuno, ma intanto si giocava e ho perso come avrei dovuto e potuto, quasi 4 euri. Ezri quando sono uscito mi ha salutato con un inchino e indicando Zino mi ha sussurrato: che viva sano e in grazia del suo Iddio, perché il mio non credo che lo conosca.

A casa mi sono riascoltato questo panettone indigesto fuori stagione e ho capito che aveva una sua logica, se era tutto vero non lo sapevo, ma Annibale aveva sempre detto che Zino era omo ferrato coi soldi e che faceva investimenti piuttosto complicati, ma anche assai fruttuosi. In più c’erano registrati tutti i detti di Ezri, che mi sarebbero potuti tornare utili in varie occasioni. Perché la sua maniera di parlare mi ricordava quella di mia madre, donna italiana, ma anche lei ebrea di famiglia.


Pardona giovedì 4 aprile 2024

ZIO ITHAMAR E I SOGNI

 

 

Un corpo stanco sotto, non può pretendere un cervello perspicace sopra.

 

Gennaro Grun (Perché la vita insiste nel farci degli scherzi)

 

 

 

Non mi piacciono gli orologi, i calendari e tutto quello che ne deriva. I numeri sono necessari, le date meno. Questo diario non riporterà precisi riferimenti di tempo, forse non si può nemmeno chiamare diario, ma a pensarci bene non c’è neanche bisogno di chiamarlo, probabilmente non lo leggerà mai nessuno.

Piano-piano ho ricominciato a scrivere cose più lunghe, è inutile farlo quando sei troppo esausto, non viene bene, anzi non viene proprio. Ogni tanto scrivo anche racconti per bambini, forse non li leggeranno, ma intanto io li scrivo. Per divertimento. Ho notato che quando scrivo mi diverto di più che quando leggo, perché decido io cosa succederà, naturalmente scrivere necessita di maggiore energia e quando sono molto stanco più facilmente leggo.

Spesso dialogo a colpi di penna Bic con Ithamar Modigliano, uno trai maggiori filosofi contemporanei che io abbia mai conosciuto, uno zio da parte di madre sui centoventi chili, pressoché immobile a livello di corpo, ma assai frizzantino nel pensiero.

Lui trova sempre un significato a quello che scrivo. Non è che Ithamar non sia un po’ fuori di testa, lo è però in maniera piacevole, e nel suo lavoro è capace, ma non ha una vita sua scissa dalla psicanalisi e purtroppo o per fortuna vive di fantasie, occasionalmente anche piene di realtà, ma pur sempre virtuale. Da quale pulpito viene la predica, però?

“Ho fatto un sogno strano qualche tempo fa, cioè strani sono tutti, ma secondo te perché nei miei sogni di ora ci sono solo animali? Ci deve essere un significato simbolico, non ti pare?” Gli dico.

“Forse…” Mi risponde distrattamente.

“Certo, Annibale è stato qui tutto il giorno per aiutarmi a fare le vasche per allevare i pesci. Guarda coincidenza mi sono sognato pesci, assemblee di pesci che dovevano decidere, come esseri umani, su quello che era bene e quello che era male.”

“Ammettiamolo pure, ma andiamoci piano con le teorie fantastiche e romantiche, però. La scienza ci dice che sono del tutto prive di fondamento queste credenze che attribuiscono ai sogni capacità divinatorie. Sognarsi una cosa, qualsiasi cosa e poi constatare in seguito il suo verificarsi nella vita reale è una roba sconcertante che può essere facilmente scambiata per paranormale. Però, se noi ci mettiamo a esaminare attentamente e obiettivamente il fenomeno si ridimensiona e la straordinarietà del fenomeno se ne scappa. Ogni notte i 6 miliardi di persone che popolano la Terra sognano per più di un’ora, un numero spaventoso di sogni…”

“Aspetta, bloccati un attimo. Io non ti ho ancora raccontato il sogno…”

“E raccontamelo allora!”

“Nel lago d’Isola Vecchia anni fa, con il cambiamento climatico in atto, fu possibile aggiungere le carpe, alle già esistenti trote, ma chi lo fece non sapeva che così avrebbe generato un conflitto tra i due branchi più facoltosi, anche se c’erano già altri pesci meno importanti e di contorno. Le carpe vivevano in fiumi, laghi, acqua corrente e ferma, pulita o torbida, pianura e montagna, si adattavano meglio quindi ed erano anche più grosse delle trote, ma non mangiavano altri pesci, le trote invece sì. Va bene: laghi, fiumi e ruscelli, ma di montagna, o anche di pianura ma le acque dovevano essere fredde e cristalline per le trote.

Dopo un’assemblea con i dirigenti dei due gruppi, alle carpe fu dato il fondo del lago e alle trote la superficie, ma a primavera le carpe volevano stare anche in superficie e allora si divise il lago tra a monte e a valle, le carpe vicino alla diga e le trote nella parte più stretta.

Anche così non funzionò, forse perché le trote erano abituate ad avere tutto lo spazio per loro.

La carpa più sveglia fece un discorso esortando le trote ad adattarsi, come del resto fanno tutti i pesci, ma non solo, anche gli altri animali, perfino l’uomo. Loro per esempio, le carpe avevano convissuto e continuavano a convivere con i Lucci, che non sono tanto amichevoli e che ti mangiano le carpette giovani per dessert. Una carpa politica disse che sugli altri pianeti non lo sapeva, ma che sulla terra ci voleva molta pazienza. Dalle altre parti, figurarsi che l’acqua scarseggiava più che sulla terra. Le carpe risero e applaudirono con le pinne pettorali, i cavedani quasi tutti e perfino le rovelle e le alborelle, qualche anguilla, ma le trote no. La carpa saggia disse che loro si sentivano più importanti perché erano arrivate prima, erano più difficili da pescare, per gli uomini poi la loro carne era più pregiata e quindi più costosa, la trota la mangiavano anche al ristorante, tutti gli altri pesci di acqua dolce no, meno di tutti la carpa. Però la carpa si adatta meglio alle temperature, mangia di tutto e se quindi, qualcuno avesse sentito parlare di Darwin, allora capirebbe che è meglio della trota, perché il clima cambia e con esso le condizioni di vita e chi non sa adattarsi muore.
Tra gli avannotti di carpa però, a suo tempo e per sbaglio c’erano anche dei siluri che appena cresciuti iniziarono a mangiarsi tutto e tutti, senza distinzioni di classe.
Per via del solito cambiamento climatico anche i cormorani arrivarono al lago e si mangiarono tutti i pesci piccoli.

Alla fine rimasero i siluri e i cormorani, ma visto che i siluri divoravano anche i cormorani e quest’ultimi non avevano più niente da mangiare, se ne andarono. I siluri cominciarono allora a mangiarsi tra di loro.”

Alla fine le dotte carpe buonanima avevano ragione, ma se le trote avessero cambiato il loro comportamento non sarebbe successo niente di significativo. L’uomo come al solito aveva fatto dei guai con la sua indifferenza e ignoranza, alla fine non era stato utile nemmeno a stesso, anzi era stato dannoso. Nonostante questo continuava a violentare la natura a proprio vantaggio, ma il suo vantaggio prima o poi sarebbe terminato. E poi la colpa non era sua, la natura rinnova sempre sé stessa e il tempo era già scaduto.

“No. Anche la teoria delle informazioni nascoste, citata prima, può contribuire a spiegare certi sogni premonitori. Può, infatti, accadere che un soggetto percepisca delle informazioni senza rendersene conto (ad esempio, vedendo una persona percepisce il suo cattivo stato di salute).

Durante il sogno queste informazioni possono riaffiorare (per continuare l’esempio, si può sognare che quella persona si ammali) e ciò che si sogna ha una certa probabilità di accadere realmente (la persona si ammala). Infine va fatta un’ulteriore considerazione. Di solito i sogni si ricordano con difficoltà.

Di conseguenza capita spesso che ognuno di noi, in perfetta buona fede e del tutto inconsapevolmente, aggiusti a posteriori il ricordo del sogno per farlo combaciare con qualche episodio realmente accadutoci.”

In quei giorni il dualismo trote–carpe era stato l’argomento reale di conversazione, come faceva il mio sogno a non dipendere da questo particolare insistente?

Quando Ithamar si metteva a parlare di cose tecniche adottava un linguaggio tecnico, faceva un po’ schifo, ma se lo volevi era così, se non lo volevi era così lo stesso. Insisteva che i sogni non abbiano necessariamente qualcosa a che fare con quello che stai facendo in quel periodo. Lo mandai debitamente affanculo, mi pareva proprio che lì un implicito sovrastasse l’esplicito.

 

 

 

 

 

 

 

 

Pardona sabato 6 agosto 2024

 

CHEDVA LA CIECA

 

 

Il timore di essere sopraffatti e distrutti da orde barbariche è vecchio come la storia della civiltà. Immagini di desertificazione, di giardini saccheggiati da nomadi e di palazzi in sfacelo, nei quali pascolano le greggi, sono ricorrenti nella letteratura della decadenza dall'antichità fino ai giorni nostri.

 

(W. Schivelbush)

 

 

 

 

Mia madre Chedva Modigliano, che per semplicità in Venezuela chiamavano tutti Cica, ma là lo scrivevano Chica, mi aveva raccontato che lì a Pardona all’inizio dell’estate c’erano tantissime lucciole. Invece io ne avevo vista una sola, dentro casa, una femmina, che assomiglia di più a un bruco a scaglie e fa una luce simile giallo-verdolina, ma senza intermittenza. Annibale mi ha confermato che una volta ce ne erano tante, di lucciole maschio, ma probabilmente l’inquinamento le aveva fatte sparire. Pensai che anche mia madre si illuminava in maniera più continua di mio padre, anche loro si assomigliavano poco.

Mia madre era di famiglia ebrea, mi hanno detto che veniva da Pitigliano, dove c’era una comunità abbastanza grande tempo fa. Ha vissuto qualche anno a Pardona e qui i suoi genitori sono morti, prima di conoscere mio padre, poi emigrare in Venezuela. Tra gli ebrei i matrimoni con gente non ebrea, i cosiddetti Goy o Gentili, non erano tanto comuni, oggi forse lo sono di più.

Oltre a questo, se vogliamo, Cica è stata una cieca per due motivi. Uno lo abbiamo già detto, a suo tempo quello della riproduzione delle anguille, le cieche tornano verso casa e non si sa come facciano. L’altro è perché non si è mai accorta di chi fosse mio padre, o forse si è resa conto solo quando era troppo tardi.

Quando converso con lei non posso dire tante cose, bisogna mantenersi sul neutro, alla fine però confesso ogni misfatto, o quasi. Mi fa piacere parlarci, perché quando era viva non ci parlavo mai, cioè si dicevano le cose necessarie alla routine giornaliera della convivenza, ma raccontarle qualcosa non mi è mai riuscito.

“Sei tutto sudato!” Comincia lei come da copione.

“Sì mamma, in Venezuela era impossibile non sudare, con un clima caldo e umido, equatoriale come quello, ma qui è un po’ meglio, è più asciutto e fresco, comunque ora faccio il bagno e mi vesto tutto ammodino, come se andassi in sinagoga. Sei contenta?

Ti stavo raccontando che nelle notti di vento e burrasca là dentro il metato mi sentivo veramente bene, tranquillo, al sicuro, come quando ero bambino e mi sentivo protetto da voi genitori.

Misi su le galline, un po’ alla volta, facevo un po’ di orto libero, senza curarmi troppo delle erbacce, coltivavo un po’ di tutto, seguendo i miei gusti, i manuali per quello che si poteva fare qui, che non era certo tutto quello che esisteva al mondo.”

“Tu hai sempre lavorato in città, che Iddio ti conservi sano, ma queste cose dove le hai imparate?”

“Sui manuali e poi qui in simultanea pratica, te l’ho detto ora, non ti distrarre, quando parli con qualcuno guardalo in faccia, magari.

Poi c’era il mio amico Annibale che m’insegnava un sacco di trucchetti campagnoli, e anche sua moglie Ivalda, loro avevano sempre vissuto in mezzo ai campi. Intanto stavo abituandomi a fare a meno del pane, mi piaceva e anche assai, ma sarebbe stato troppo complicato da produrre senza comprare niente. Andavo sempre meno in paese, Annibale veniva qualche volta, sempre più rara, ma le sue gambe erano, ogni giorno in più, troppo ballerine.

Ero ancora forte e mi sentivo piuttosto in forma, ma la mia età era già avanzata. Alla fine del terzo anno di ritiro ormai ero autosufficiente e le pandemie che erano scoppiate e terminate, ritornate e andate via di nuovo erano state diverse, secondo la radio, avevo perso il conto.

Intanto ero diventato pressoché un eremita felice e avevo rinunciato a scendere a valle. Figurarsi che l’ultima volta, attorno alla mia Panda arrugginita, nel piccolo posteggio del paese, avevo notato che era cresciuta l’erba alta.”

“Sempre macchine brutte e scassate hai avuto!”

“Sì, costavano meno e l’importante non era la bellezza, per me, ma che funzionassero.”

“Ma quelle si rompevano sempre!”

“Ogni tanto, le macchine usate hanno questa caratteristica, non voglio dire che sia un vantaggio.”

“Allora il tuo risparmio nel comprarle lo pagavi con gli interessi.”

“Va bene mamma. Smetti di pensare ai soldi. Considera che finalmente il denaro e la macchina non mi servivano più, ero diventato quasi autonomo e autarchico!”

“Senza soldi? Ma com’è possibile?”

“Un po’ di pazienza. Lasciami raccontare, ora ti spiego tutto: passò un bel po’ di tempo, forse troppo, senza scendere a Pardona e non che ne avessi sentito la mancanza, solo che sul mare non vedevo più navi e sull’autostrada là sotto, qualche chilometro in basso, non passavano più automobili né camion.

Anche con il cannocchiale non vedevo più niente in giro, niente aerei nel cielo, né sentivo più rumori che non fossero di animali nel bosco e di uccelli sugli alberi. La radio non è che la ascoltassi tutti i giorni, ma in precedenza non aveva dichiarato avvenimenti speciali, la solita routine di epidemie, o pandemie che fossero.

Poi, di punto in bianco, le trasmissioni erano finite.”

“No! E che era successo?”

“Se hai pazienza un attimo... pensavo che la morte potesse finalmente toglierti tutta quest’ansia, invece no. Ora te lo racconto: andando al paese incontrai muli che giravano liberi, galline e animali da cortile che circolavano senza persone intorno, nessuno. Incontrai i primi cadaveri putrefatti, mangiati dagli animali e consumati dalle intemperie, tanti corvi e uccelli in generale, topi e tarponi vivaci e quasi ammiccanti, parevano sorpresi di vedermi, forse mi consideravano già come potenziale cibo.

Impossibile non notare eserciti di formiche in movimento, blatte e insetti a profusione, di ogni tipo e grandezza, finalmente liberi dai vari ed eventuali veleni. Gatti e cani andavano su e giù, in disperata ricerca di mangiare, non c’erano più abituati a doverselo trovare da soli.

Avevo più volte pensato che ci sarebbe stata di nuovo una guerra mondiale, per come stavano andando le cose in giro, sarebbe stata solo una questione di tempo.

Invece no, peggio ancora.”

“Eri rimasto solo sulla terra?”

“No, sì… insomma non lo sapevo ancora. Mi dispiaceva per tanta gente perbene che era morta senza colpa. Io stesso mi ero salvato forse per caso, forse o forse no, ma almeno da tempo ero uscito dal loro gioco.”

“Ma esistevano altri sopravvissuti?

E come si erano salvati?

E se c’erano dov’erano?”

“Eh?”

“Finalmente sarai stato contento, potevi giocare da solo, con i soldatini, come quando eri piccolo che non volevi altri bambini, che erano ignoranti e facevano sparare i soldati romani col mitragliatore!”

“Infatti, cioè no, non è stato così semplice, mamma.

Andai in paese, da Annibale, la casa era chiusa, forse erano morti dentro, sfondai la porta, dentro non c’era nessuno, nel frigo chiuso roba putrefatta, forse erano stati ricoverati in ospedale quando le cose si erano fatte bige, o forse erano vivi, erano solo scappati.

Il bar di Pierosky era stato saccheggiato, qualcuno si era ubriacato per bene prima di morire. C’era un grosso cadavere in putrefazione, mezzo spolpato, per terra vicino alla scala per il suo appartamento sopra il bar, doveva essere lui.”

“Ma era pericoloso, potevi contagiarti e morire anche te!”

“Infatti mamma, all’inizio ho dovuto usare una mascherina, quando stavo vicino ai morti, mi sa che non è mai servita a niente, come non era servita a loro, ma me la sono messa, non si sa mai.”

“E dopo?”

“Dopo piano-piano i morti si sono squagliati e io stavo più che altro al metato, lontano da tutto e da tutti.”

“E non avevi sentito il puzzo dei cadaveri, prima?”

“No, cioè sì, ma poteva essere anche un cinghiale morto, era già successo, e poi di solito il vento veniva dalle montagne o dal mare, dalle parti non abitate.”

“E gli animali non erano infetti?”

“No, questo era stato comune anche a tutte le pandemie precedenti, gli animali se ne erano sempre fregati. Pensai però che qualche essere umano ci doveva ancora essere in giro, che camminasse con le proprie gambe, in cerca di roba da mangiare, di sicurezza e di conforto perduti.

Presto o tardi mi sarebbe toccato di difendermi da quei gruppi di feroci affamati tipo film dei sopravvissuti. Quando il mangiare attorno sarebbe finito mi avrebbero trovato anche nascosto com’ero, ne ero convinto.

Pensai che a giudicare dalle bestie a passeggio, loro non erano state contagiate nemmeno stavolta, non ne avevo vista morta in giro nessuna, allora avevo un certo lasso di tempo di vantaggio, diversi mesi ancora per prepararmi. E di vegetali in giro ce ne dovevano essere in abbondanza ancora, poi cibo confenzionato non scaduto. Prima di tutto una jeep, e c’era l’imbarazzo della scelta, già qui in paese, ci voleva un fuoristrada con i controcazzi, naturalmente con licenza parlando.

Me ne scelsi una assai infangata, tu non avresti certo approvato, ma era in buone condizioni, con le chiavi infilate nel cruscotto. Dunque me ne andai in giro per cercare la benzina, poi mi accorsi che era a gasolio, c’era scritto vicino al tappo del serbatoio. Là sotto era uno sfacelo di cadaveri e di mezzi di trasporto abbandonati, però in relativo ordine, la gente era morta ma non improvvisamente, non per strada, la maggior parte, forse negli ospedali, o a casa. Insomma si passava abbastanza bene senza bisogno di dover spostare oggetti o cose peggiori. A parte il volo di migliaia di mosche c’era un silenzio irreale, mai sentito tanto tutto insieme e così insistito, nemmeno nella giungla amazzonica.

Al secondo distributore di benzina trovai anche grosse taniche e riempii tutto, due anche di benzina che mi sarebbe servita per accendere il fuoco o per l’eventuale difesa estrema, non si sapeva mai.

Non vidi nessun essere umano vivo, solo animali e anche allo sbando, troppo abituati come erano a essere cibati dai rispettivi padroni, prematuramente e inopinatamente schiantati. Pecore e vacche sperse mi fecero venire l’idea di portarmene qualcuna su, mi ci voleva un rimorchio e non fu facile trovarne uno, ma in pochi giorni di lavoro avevo reclutato e trasportato quattro pecore e un montone, due mucche e un toro, il latte mi avrebbe fatto comodo e dovevo anche pensare alla riproduzione.

Stavo già costruendo i loro recinti, una capanna per l’inverno e le nostre prossime notti fredde. Riuscii a trovare dei cavalli, per girare attorno erano meglio della jeep, almeno potevo caricarli dei pesi più leggeri fino a casa, avevo già preso anche due muli per portare i carichi.

La mia mandria era sempre più numerosa e aumentava anche il mio lavoro quotidiano per dargli da mangiare. Per fortuna la maggior parte si accontentava di pascolare intorno e d’inverno un po’ di paglia stagionata bastava a farli felici.”

Naturalmente del mio secondo lavoro mia madre non ha mai saputo niente, anche nei miei dialoghi virtuali non gliene parlo, non si sa mai.

  



Pardona lunedì 30 ottobre 2024

 

ZIA YAEL

 

 La libertà è quel bene che ti fa godere di ogni altro bene. (Montesquieu)

  

Un ulteriore incontro virtuale è la conversazione con zia Yael, sorella più giovane di mia madre e di Ithamar, tutti da tempo defunti. Con lei ho sempre potuto parlare di tutto, perfino della ricerca dell’assoluto relativo:

“Ho notato che nella vita ci sono dei problemi, che al di fuori di questo ambiente, diciamo fuori dalla vita, non si presentano.”

“Quindi?”

“Quindi togliendo la vita si evitano tutti questi problemi, diciamo, tutta una serie di problemi se ne va. Sparisce.”

“E allora?”

“Ecco l’utilità di un killer. Una tra le altre che abbiamo già citato.”

“Ne abbiamo già parlato?”

“Sì, in un certo senso, diciamo.”

“Rinfrescami la memoria.”

“Beh, oltre all’ovvio vantaggio materiale per il killer, che se ne esce più danaroso, diciamo, c’è il fatto che uscito da quell’ambiente il prematuramente defunto non deve più pagare le bollette, scappare dai creditori, diciamo, non deve sottostare a tutte quelle assurde regole che la vita impone, se ne va da questa valle di lacrime e chi s’è visto s’è visto.”

“Bravo. Non fa una piega. Forse il prematuro non è d’accordo, ma in fondo basta non chiederglielo.”

“E poi c’è la ricerca dell’assoluto relativo, non dimentichiamocelo.”

“Me lo sono già dimenticato.”

“Non ci credo.”

“Giuro.”

“Sei una bugiardona, ma te lo riassumo subito lo stesso: sarebbe come dire l’imperfetto perfetto. La ricerca dell’assoluto relativo, è già in sé un controsenso, eppure un’esigenza tipicamente umana, quella di cercare un’improbabile quanto auspicata e stabile sicurezza. L’assoluto relativo è un interrogativo irrisolto e nascosto, al quale nessuno di noi sfugge, per molti è la chiave di volta dell’esistenza.

Quello che noi vogliamo è qualcosa il più possibile perfetto, desiderio legittimo e illegittimo allo stesso tempo, è bene intendersi, ma il fatto è che tutto intorno ci pare tanto incompleto e mal funzionante, che lavoriamo quindi incessantemente sulla base di un’idea complessa, quanto meravigliosa e sbagliata.”

“Per fortuna non tutti vanno dietro a questo assoluto improbabile. A pensarci è un po’ scomodo, magari fa parte della storia dell’uomo?”

“E la scomodità non ce l’ho certo messa io. C’era già quando sono arrivato. Insomma io a quei tempi leggevo assai e scrivevo in proporzione, a volte leggendo mi veniva voglia di scrivere, ma quando scrivevo assai - e mi divertivo a farlo - allora non leggevo quasi per niente.

Avevo iniziato a scrivere dei racconti per i miei allievi, in Venezuela, tanto per spiegare le regole di grammatica e di sintassi, insieme al loro uso corrente. Poi ci avevo preso gusto e alla fine mi ero immedesimato in quei corti viaggi nel tempo e nello spazio, che mi ero dimenticato degli allievi e delle regole. Mi si era aperta una porta nuova e un mondo inesplorato. Poi ho letto da qualche parte che scrivere è un’attività altamente dissociativa e io non faccio altro che dissociarmi, da quando sono nato.”

“A intermittenza direi, ti piace anche associarti, ma vuoi scegliere troppo forse con chi e alla fine resti solo.”

“Soli si sta bene assai.”

“Sì, ma in compagnia si sta meglio!”

“No. Non è per tutti così.”

“Invece sì, ma forse sei abituato a pensare troppo. A vivere dentro di te le tue emozioni senza poterle comunicare a nessuno.”

“Forse.”

Mia zia Yael è stata ricoverata in manicomio diverse volte, gli esaurimenti nervosi la distruggevano, poi riusciva a ritornare in testa. Ogni volta, dopo, gli occhi sembrava che vagassero sempre al di sopra della gente, ma alla fine a forza di medicine ed esaurimenti ci ha lasciato le penne.

Il suo debole forse è stata la combinazione di una grande intelligenza associata a una sensibilità illimitata, si innamorava troppo e gli uomini la sfruttavano, prendeva tutto per gioco e sul serio allo stesso tempo, era una contraddizione vivente. Beveva, si drogava, viveva in un arcobaleno di realtà parallele. Però nei suoi momenti più lucidi era acuta e osservatrice.

Per questo mi garbava parlare con lei, oltre a rappresentare una pazzia che io avevo casualmente quanto abilmente evitato, sapeva notare le cose vere e profonde, nelle sue non troppo rare parentesi positive, come nessun’altro.

“Però, da tempo hai semplificato il tuo modo di pensare, mi pare, cioè sei più abile a lasciare da parte i pensieri negativi e scherzi di più sulle fatalità, sulle assurdità del mondo, il paradosso qui sulla terra è all’ordine del giorno, perché soffrire di questi eccessi, non possiamo divertirci?”

“Ecco, meno male zia che qualcuno si è accorto dei miei cambiamenti buoni e non solo di quelli cattivi!”

“Ho detto solo che mi pareva!”

“Ma hai confermato quello che volevo io, zia, non può essere un caso! Quando le coincidenze coincidono troppo, allora non sono più coincidenze, me lo hai insegnato te!”

 

 

Pardona sabato 11 gennaio 2025

 

MEGA ALBERTO SUPER NUTI

 

 Quando a un uomo è negato il diritto di vivere la vita in cui crede, questi non ha altra scelta che diventare un fuorilegge.

 (Nelson Mandela)

  

Il mio migliore amico forse è stato Pieruccini Duilio, in arte Alberto Nuti, cantante venezuelano tra i più famosi dell’epoca, magari ci siamo frequentati poco, eppure pareva che lo avessi conosciuto da sempre.

Poi non era vero, perché ci siamo taciuti a vicenda le cose più importanti. Solo dopo molto tempo, che ci scrivevamo lettere elettroniche, già lontani migliaia di chilometri, ho saputo che era omosessuale, nel frattempo lui era morto massacrato a colpi di machete in uno di questi suoi convegni segreti, forse anche a pagamento.

Non ci sono rimasto male perché era omosessuale, ma perché non me lo aveva mai detto e poi perché era morto, ma prima o poi ognuno di noi va a vedere cosa c’è nell’altra stanza e magari il peggio è che non c’è proprio niente di interessante. È solo la fine del gioco.

Un’altra cosa che avevamo in comune era questa scarsa paura, sommata alla poca curiosità di scoprire cosa c’è dopo.

Ci siamo conosciuti a Maracaibo, anche lui era di famiglia italiana, ma senza origini ebraiche. Mi avevano mandato ad ammazzarlo a dir la verità, ma io ho capito subito che invece era una brava persona. Ne seguirono episodi di guerriglia urbana e anche un po’ extraurbana e nella giungla equatoriale per cui credetti che fosse meglio espatriare.

Partito che me ne fui per il mondo circostante, poi ci siamo incontrati una volta a Vienna, otto anni dopo, lui era lì per un concorso canoro internazionale dove rappresentava il Venezuela. Mi pare che vinsero gli Abba, per la Svezia.

Mi ha presentato anche Loretta Goggi, che difendeva il tricolore italiano, a livello canzonettistico. Siamo rimasti sempre in contatto, ci siamo scambiati anni e anni di lettere, poi di e-mail, dopo lui è morto ammazzato, ma non dai mandanti originari, perché quelli li avevo eliminati io personalmente.

Alla fine siamo pari perché io non gli ho mai detto del mio mestiere numero due e del perché ero arrivato a casa sua, quel giorno. Non sono uno che mente bene, anzi, ma lui era uno piuttosto ingenuo da questo punto di vista e non mi ha mai sgamato. Dall’altro lato che lui fosse un po’ effemminato era impossibile pensarlo, forse per contrasto voleva fare il maschione anche oltre il necessario.

Gli piacevano assai gli animali, viveva da solo con una specie di zoo in casa, aveva due cani così piccoli che sembravano topi. Forse dei Chihuahua a pelo lungo, se mai ne esistessero, lui diceva che erano bastardi, ma il vero bastardo invece era proprio lui, nel senso buono del termine. Un pazzo, sempre di buonumore, simpaticissimo ma senza il senso del pericolo.

“Insomma ti trovi bene, là da solo come un cane e con una miriade di cani a farti compagnia?” Dice lui.

“Benissimo, il cane è il miglior amico dell’uomo e anche se l’uomo non è il miglior amico del cane, loro non me lo fanno pesare.” Rispondo io.

“E come passi il tuo tempo?”

“Di lavoro qui ce n’è tanto e più aumentano gli animali attorno e più lavoro c’è per me, in più c’è anche l’orto, mangiare tanta verdura fa bene, la manutenzione della casa e degli impianti delle vasche delle carpe, insomma la sera sono stanco morto.”

“Ma non hai nessuno con cui parlare…”

“No, cioè sì, io con loro ci parlo, loro non mi rispondono a parole, ma con i gesti, i fatti, capiscono tutto e sono molto più sensibili degli esseri umani, cosiddetti, se lo vuoi sapere.”

“Ah sì? Fammi qualche esempio.” Gli piaceva sempre fare l’avvocato del diavolo, se tu avevi un’opinione lui, che aveva la stessa, fingeva sempre di essere estremamente contrario.

“Beh, quando sono triste, loro lo sentono subito, si avvicinano e mi grattano con la zampa, le orecchie basse e guaiscono piano-piano. Si sdraiano vicino a me, in modo da sentire il contatto corporeo.”

“Tutti loro?”

“No, solo alcuni, dipende, ognuno ha le sue caratteristiche.”

“Non sono come gli esseri umani, per fortuna.”

“In che senso?”

“Noi esseri umani siamo sempre distratti da qualcosa che non conta, come il futuro sempre diverso da quello che volevamo nel passato, e ci dimentichiamo che il presente è molto più importante.”

“In effetti…”

“E poi i soldi! Lo sai che gli animali non hanno i dannati soldi a rompere le scatole, ma non sanno che fortuna che hanno!”

“Eh no!”

“Allora qualche volta sei anche triste? Non te ne credevo capace.”

“Certo, figurati, ma se ne accorgono solo i cani, penso che cambiamo di odore, quando siamo tristi, ma per gli esseri umani la mia faccia e il mio comportamento non cambiano, quindi non se ne accorgono, meglio così.”

“Pietro Rodolfo, scusa ma io sono venuto qui oggi a dirti che so tutto, e so anche che tu sai di me.”

“Tutto?”

“Tuttino.”

“Allora dimmi chi ti ha ammazzato!”

“Nessuno, cioè nessuno che avesse a che fare con i boss con i quali ti sei messo a fare la guerra.”

“Beh, questo mi conforta, in un certo senso… e perché non mi hai detto che eri omosessuale?”

“Debolezza femminile, tutto qui, il mondo è assurdo, cioè il mondo no, la gente è assurda, a cominciare da noi stessi. Tu hai massacrato un numero enorme di persone, anche se erano banditi erano sempre persone, sei dovuto scappare prima che ti scuoiassero e lo hai fatto generosamente solo per salvarmi, non mi conoscevi neanche… e io ho buttato tutto dalla finestra.”

“Va bene, ma tu non sapevi quello che era successo…”

“No, ma pensi che avrebbe cambiato qualcosa? Credi che il mio istinto selvaggio si sarebbe lasciato ingabbiare da una tragedia gigante, sì, ma che io non avevo né visto né sentito?”



Pardona lunedì 20 marzo 2025

 

CRITICA CINEMATOGRAFICA

 

La vita è come un film, ma i film non dovrebbero raccontare proprio la vita?

 

Wolfgang Paciocco

 

(Facciamoci una Sana Mente Locale)

 

 I film ora non li posso più vedere, ma ogni tanto ci penso e me li rivedo sul telone dietro i miei occhi, a volte li discuto con Dundee, una delle mie due quasi donne ideali, sottolineando il quasi, che dopo alcuni mesi mi ha debitamente mandato affanculo, oppure io ci ho mandato lei, non l’ho mai capito, forse neanche lei. Una francese insomma con il nome di una città scozzese, secondo lei erroneamente i genitori avevano pensato che Dundee in inglese si pronunciava come Dandy, magari gli faceva tenerezza, che ne so?

Mi chiedo se sia ancora viva, da qualche parte, probabilmente no, dal punto di vista dei virus era troppo socievole e se ne stava costantemente circondata di gente, anche di dubbio gusto e forse questo fu il motivo principale per cui ci lasciammo. Comunque sia era simpatica e intelligente, completamente irrazionale su certe cose e troppo razionale su altre. Nessuno è perfetto, per carità, di queste cose me ne intendo.

Aveva una passione particolare per i film impegnati, si costruiva idoli come James Dean, Humphrey Bogart e il solito Elvis Presley, era una sognatrice, l’importante era l’entusiasmo e lei quello ce lo aveva.

Andavamo spesso al cinema a Kiel, nel nord della Germania. Forse è stata l’epoca più romantica della mia vita, ma non è durata molto.

Di solito cedevo alle sue preferenze, per cui andammo a vedere L’Atalante, una bellissima serie di film polacchi, di cui non ricordo i titoli l’autore, e i film di Jos Stelling, un olandese geniale, ma che non tutti potevano apprezzare.

Al cinema Moviemento facevano nottate a tema, tre o più film di uno stesso autore di tematiche d’essai. Una delle più temibili, che ci addormentammo tutti e due all’unisono, fu quella dell’ungherese Béla Tarr.

Mi svegliarono perché russavo un po’ troppo, secondo me se fosse stato un Harry Potter qualsiasi non se ne sarebbero nemmeno accorti, ma quello era un film troppo silenzioso.

Spesso il dialogo tra di noi va involontariamente a finire su Ingmar Bergman e sul film Il Settimo Sigillo, che lei ha visto e mi rimprovera di non aver mai sopportato fino in fondo. Va bene, la partita a scacchi con la morte è una bella idea, non lo nego, ma Bergman è troppo datato per me, i dialoghi dei suoi film mi sembrano falsi. Il Posto Delle Fragole per esempio, non nego che sia bello e interessante, ma come si fa a non addormentarsi?




Pardona mercoledì 4 settembre 2025 

MARTO E PALLINO

 

Più che scrivere è meglio vivere, se proprio si deve scegliere, ma se si riuscisse a fare le due cose insieme, o alternandole, è chiaro che una influenzerà l’altra, non sempre e solo positivamente.

 

Lee Gustav Paltrinieri (L’Incomunicabilità del Dialogo)

 

 La parola autismo deriva dal greco, il suo significato letterale è stare soli con sé stessi. L’autismo non è un disturbo definito con certezza, ma un insieme di alterazioni dello sviluppo cerebrale: per cui è preferibile usare la definizione di disturbi dello spettro autistico.

I disturbi dello spettro autistico sono variabili da un soggetto all’altro, tanto che si può dire che ogni bambino autistico è un caso a sé.

I miei racconti sono anche loro popolati di animali, gente non ce n’è. E dovrebbero essere per i bambini, ma alla fine, dice Ithamar, sono tutto il contrario, a causa del simbolismo.

“Mi chiamo Pallino per via di una macchia quasi perfettamente rotonda e marrone scura sul pelo bianco, sul dorso, quasi all’altezza delle gambe posteriori. Ho anche tante altre macchie, più piccole, alcune solo sotto il pelo, ma quella è la principale. Questo è un caso trai più famosi, a cui il sottoscritto ha preso parte, col fido assistente Marto detto Martino, o anche Biforcazione, poi si capirà perché.

È ambientato, come tutti gli altri, nei dintorni della cittadina di Fagundes Varela, nell’interno dello stato Brasiliano del Rio Grande do Sul. Tanto per entrare nel vivo della storia, il pastore tedesco Schöneberger mi aveva fatto chiamare alla Fazenda Tonhão, quella mattina di cui ricordo bene il freddo intenso e il vento. Non tutti sanno che il Brasile è grande 28 volte l’Italia e che nella sua parte sud, vicino ad Argentina e Uruguay c’è un inverno relativamente rigido, più che altro umido e ventoso.

Il vento dalla Patagonia spirava dritto dentro le nostre orecchie, noi sapevamo che veniva da più sotto ancora, dall’Antartide, per questo non c’era da scherzarci.”

“Parli sempre del Brasile, eppure, correggimi se sbaglio, tu non ci sei mai stato.”

“No, no, infatti.”

“Forse perché vorresti andarci.”

“Credo di sì. Non lo so. Aveva piovuto e il fango della strada ci fece sporcare le zampe, è vero, ma ci permise altresì di trovare le prime tracce del malfattore, ed erano appendici poderose assai, ma non parevano di un cane, almeno non di nessun cane che noi conoscessimo, anche se gli somigliavano, Marto era d’accordo con me su questo. Lupi e volpi in Brasile non ce ne sono mai stati, tantomeno Dingos o altri tipi di bestie selvatiche della famiglia dei Canidi, i pochi e rari animali del genere erano dei comuni bastardi fuggiti ai loro padroni, di solito roba piccola.

Qualunque cosa fosse, quel bastardone aveva rubato con evidenti scopi alimentari una gallina di cui Schöneberger era responsabile, come per il resto del pollaio.

 “Se prendete questo figlio di un cane.” Disse il pastore tedesco col corpaccione vibrante di rabbia. “Vorrò essere io personalmente ad incaricarmi della relativa punizione!”

“Beh, come lei m’insegna, i figli di cani si dividono in due categorie…” Intervenne a sproposito quanto prontamente Marto: “Quelli di nome e di fatto e poi quelli nel puro senso dispregiativo, io personalmente, preferisco senza ombra di possibile dubbio…”

“Lascia perdere, Martinho. Andiamo piuttosto avanti con le indagini.” Dissi io e così facemmo, sebbene il brontolio del mio assistente non scemasse, continuò solo più a basso volume.

Dai nostri nasi allenati ed umidi, anche per il tempo inclemente, l’odore che sentimmo era forte assai, ma spariva, troppo disgraziatamente, insieme alle tracce delle zampe e alle piume color cannella del volatile, bagnate per terra, proprio dove iniziava la strada lastricata a parallelepipedi di pietra.

L’olfatto di noi cani è superiore agli altri nostri sensi, l’udito anche è buono assai, d’accordo, ma la vista ce l’abbiamo scarsa e se l’oggetto in questione non ha la benevolenza di muoversi, non lo distinguiamo nemmeno dal grigiore generale, anche perché i colori, per noi, sono semplici opinioni, di cui però non amiamo discutere con nessuno.

Il segugio è famoso per il suo naso umido e sensibile, ma anche tutti gli altri cani, tra cui noi, anche se a torto chiamati bastardi, abbiamo addirittura un certo comportamento standard, perlopiù in funzione del nostro odorato.

Le razze pure non esistono, mettiamo subito in chiaro che ogni cane di alto lignaggio è frutto di incroci e anche se sono più snob sono più delicati, facili ad ammalarsi, vivono anche meno.

Pur essendo di purissima razza bastarda, per esempio, io di fatto sono un segugio, non di nome, nossignori, ma piuttosto di fatto.

Approfitto della mia attitudine innata al fiuto per scoprire i colpevoli di eventuali misfatti e così mi guadagno ossi e pezzi di carne di vario tipo, croste di formaggio e succulente pastasciutte avanzate agli umani, e gratitudine con il mio lavoro e quello di Marto, ovviamente anche lui non si fa pregare e si abbuffa volentieri .

Quello che si capì subito dopo era che il cagnolone non era affatto selvatico, era un esemplare domestico, sorprendentemente, giacché sentimmo puzze varie di antipulci e altri prodotti vomitevoli da veterinari e da cagnolini di città.

Il fatto che le tracce finissero sulla strada lastricata era una disdetta, d’accordo, ma ci fece capire un'altra cosa: che il cane era il colpevole materiale, sì, ma il mandante poteva e doveva essere un uomo che lo trasportava con un carretto trainato da cavallo o qualcos’altro con le ruote.

A questo punto, corremmo narici a terra su e giù, giù e su. Come volevasi dimostrare, trovammo pallottole verdastre di provenienza equina, a giudicare dalla grandezza e dal relativo olezzo.

Eravamo già avanti con le supposizioni e le ipotesi, eppure non avevamo ancora niente sotto le zampe, perché quella coppia doveva essere venuta da una distanza che per poca che fosse non era facile da scoprire a naso, il miglior rivelatore che avevamo.

“Qui le possibilità sono due.” Disse Marto. “O i nostri amici-nemici sono due delinquenti che mirano a qualcosa di più alto e complicato. Oppure...”

“Oppure?” Chiese interessato Schöneberger che ancora non conosceva Martinho.

“Oppure sono una coppia di cretini e allora non si capisce perché armare una tresca del genere per rubare una gallina.”

“Lascia perdere Martinho.” Dissi io. “Naso a terra e pedalare, Schöne, ci vediamo dopo, spero presto.” 

“Wooofs!” Rispose il pastore.

Io e il mio fido assistente abbiamo solo due cose in comune, ma importanti: zampe corte e naso lungo, tutta roba che ci permette di correre senza staccare le narici dal suolo.

Meno male che quel cavallo era un generoso concimatore di terreni e ogni poche centinaia di metri lasciava le sue inequivocabili tracce odorose.

Dopo qualche chilometro ci fermammo a bere le acque limacciose del ruscello Rio Pardo sul lato di un ponticello e fu una fortuna. Da sotto fu possibile vedere tracce fresche di ruote, su una stradina sterrata che da sopra non avevamo visto. Poche decine di metri più avanti il cavallo ci aveva di nuovo gentilmente quanto involontariamente e profumatamente aiutato. Seguimmo quelle tracce prima che la pioggia o qualche animale troppo affamato le facessero sparire. Le gocce non erano troppo forti, ma ci si bagnava lo stesso, senza fretta. Entrammo in un bosco, la strada cominciò anche a salire. Gli alberi a diventare sempre più fitti, la fame ad aumentare.

Il castello apparve dalla nebbia e tra la pioggia ora battente, tutto buio alle finestre, c’infilammo cautamente in una specie di cantina. Nessun rumore riusciva a oltrepassare quello del temporale, nessuna luce attorno, ci addormentammo sulla paglia, con un languore dentro lo stomaco. Piovve tutta la notte, oppure ci svegliammo solo alla mattina e c’era un pallido sole che filtrava dalla finestra dai vetri rotti. Il silenzio regnava nel castello e quando uscimmo i nostri piccoli passi sulla ghiaia bagnata sembravano l’unico rumore.

Arrivò una simpatica signora in un camice bianco insanguinato che ci accarezzò e ci dette delle ciotolate di spezzatino sulle quali ci buttammo a pesce, si fa per dire.

Dentro c’era del sonnifero, io e il mio socio poi ci risvegliammo in gabbia, una per uno, di ferro e troppo piccole e strette. Non si sa quanto tempo era passato e ci faceva male la testa, attorno a noi tante piccole, medie e grandi gabbie e ognuna con un cane di diverso tipo rinchiuso dentro.

“Ci sarebbero due ipotesi da fare…” Cominciò a dire Marto, ma quando si girò ammutolì perché vide il mostro, forse l’autore dei misfatti in questione, cioè un grosso cane, ma pareva fatto con i pezzi di altri cani, che si guardava attorno minaccioso, l’unico libero, seduto su un materasso in terra.

Dopo aver ringhiato per bene e zittito la confusione degli altri cani curiosi del nostro arrivo e angosciati per la triste fine che anche noi come loro avremmo fatto, il cagnolone minaccioso è uscito.


Zio Ithamar a questo punto è venuto fuori con il suo solito sacco di stereotipi a partire dal mio essere esageratamente individualista, per arrivare allo scegliermi sempre un collaboratore sempliciotto da poter dominare. Io secondo lui insisterei sempre nel voler dipingere l’essere umano come un manipolatore e schiavizzatore della natura e degli altri animali. Chissà da dove avevo estrapolato tutte quelle assurdità, ha detto e poi ha riso sgangheratamente.

Secondo lui ambientavo sempre i miei racconti in un posto dove non vivevo e non avevo mai vissuto, forse perché cercavo sempre l’altrove e quando lo trovavo non mi bastava, ne volevo un altro e poi un altro ancora. Forse aveva anche ragione.

Il castello era un grande parallelepipedo evidentemente costruito da un italiano del nord, aveva la stessa struttura del Maso Alto Atesino. Fatto di pietra e mattoni, ma solo la base era in muratura, la parte alta era tutta di legno, con i merli e tutto, era minaccioso e ridicolo allo stesso tempo.

Dalle rispettive gabbie abbiamo cominciato a comunicare con gli altri cani, abbiamo appreso novità per niente edificanti tra cui quella che questi cagnoni artificiali erano fatti con i pezzi nostri, cioè di cani veri e piuttosto disgraziati. Uno degli ingabbiati era un Volpino piuttosto sveglio e osservatore che ci ha detto:

“La professoressa Pietra Franchi, detta anche Franchipietra è una pazza, chissà perché si è fissata che vuol fare dei Frankenstein canini e fino a un certo punto ci riesce pure, solo che quelli poi non obbediscono e se vanno a rubare le galline, poi invece di portargliele a lei se le mangiano, invece di fare terrore e ordine qui, come lei vorrebbe, fanno disordine e scenette involontariamente comiche, sono perfino scorreggioni, oltretutto.

Sono più imbranati e stupidi dei cani normali, anche se hanno grandi denti aguzzi e maggior forza fisica, non sanno approfittarsene.

La professoressa cerca di riprendere il controllo da tempo perduto con l’ipnotismo, ma finora è riuscita solo a peggiorare la situazione.”

“I casi sono due.” Lo ha interrotto Marto. “Dobbiamo ipnotizzare noi i cagnoni, perché proprio loro ci potrebbero aiutare a uscire, caso contrario, sennò qui, diventiamo anche noi spezzatino e già l’idea non mi garba per niente.”

“In un certo senso... d’accordo, passiamo alla pratica.” Ho detto io, mi sono informato tra gli altri ingabbiati su quale fosse il più stupido o più sensibile all’ipnotismo e mi hanno indicato H, detto la Bomba, per via delle sue rumorose esplosive o talvolta mitragliate capacità gassose.

I cagnoni erano denominati con le lettere dell’alfabeto, H era l’ottavo tentativo miseramente fallito di fare un mostro almeno un poco efficiente, ma ce ne erano tanti altri precedenti o seguenti, figurarsi che erano arrivati fino alla P, di Pollo, che era stupido, camminava a due zampe e attraversava la strada proprio quando arrivavano le automobili.

H era così sensibile all’ipnotismo che a volte andava in trance da solo, con il movimento di una foglia al vento, o il pendolare di un ragno da un filo, il volo di un passerotto attorno a un alberello. Alla prima occasione Marto lo chiamò quando lo vide passare, quando fu abbastanza vicino iniziai a muovere la coda a strisce bianconere in maniera più che sinuosa e speravo anche velatamente freudiana, mentre Marto con la sua voce più profonda e impersonale gli diceva che andava tutto meravigliosamente bene, quindi di chiudere gli occhi, di addormentarsi e di ubbidire ai suoi ordini.

Poco dopo la mia gabbia era aperta e H su nostro ordine si era nascosto dietro una botte enorme. Quando tutti gli altri cagnoni si furono allontanati per l’ora della pappa giornaliera, aprimmo tutte le gabbie e facemmo uscire i relativi e numerosi cani dal castello e poi rapidamente dalla proprietà.

Nel frattempo io con un becco Bunsen pieno di combustibile appiccavo il fuoco alla paglia del fienile, che essendo alto e attaccato alla parte in legno in poco tempo si tramutò in un incendio totale. Essendo il cortile all’interno di quattro muri e di soprastanti ridicoli supporti di legno inchiodati, credo che la nostra opera di distruzione fu completa, forse poco etica dal punto di vista professionale, ma chi se ne fregava?

Un investigatore canino non può ricorrere alla polizia purtroppo, e anche se portasse prove inconfutabili lo prenderebbero lo stesso a calci nel culo.

Un puzzo di bruciato invase il bosco, accompagnato da urla disumane, ma noi eravamo opportunamente già lontani.


Ithamar pensa che le regole valgano ugualmente per tutti, per carità, ma non per lui. Alla fine del mio racconto ha riso, mi ha detto che chissà perché l’uomo che io ritraggo è sempre peggio degli animali. Fin lì avrei ragione, secondo lui, ma mi dimentico sempre a quale categoria io appartengo, per quanto mi dissoci sarò sempre un essere umano.

O qualcosa del genere.

E poi è inutile che io mi sforzi di sognare animali e solo animali, che quelli anche se camuffati rappresentano gli uomini, le persone insomma.




Pardona venerdì 28 febbraio 2026

 

ANNIBALE NOSTRO SE SEI NEI CIELI

 

L’uomo veramente libero è colui che rifiuta un invito a pranzo senza sentire il bisogno di inventare una scusa.

(Jules Renard)

  

Da un po’ di tempo parlo spesso con Annibale, a volte interviene anche sua moglie, ma è già difficile spiegare a lui tante cose, senza che arrivi lei a chiedere ulteriori chiarimenti. Comunque sia mi pare divertente, tutti e due hanno un certo senso dell’humour.

“Eh sì, amico caro. Ogni giorno si lavorava di binocolo e osservazione delle strade, eventuali imbarcazioni dal mare, forse sarebbero arrivati da quella parte, ma potevano anche arrivare dalle altre.”

“O da sopra con gli elicotteri.”

“Ti sarebbe garbato di più, ma la vita non è come i film che ti piacciono a te.

No.

Figurati.

La sera io pianificavo, il giorno mettevo in pratica. Dare mangiare agli animali era già un’occupazione impegnativa, lo facevo il pomeriggio, dopo pranzo, tutto il resto del giorno era un piano di guerra di difesa, un nuovo tipo di guerriglia moderna.

Intanto i miei cani erano arrivati a otto, vivevano liberi e giravano intorno alla casa. Il bosco intorno era impenetrabile per i rovi alti e intrecciati e un sottobosco fitto intorno, te lo sai bene, nei passaggi obbligati c’erano roccioni e strettoie, nei punti strategici i miei mortali tranelli imparati dagli indios della foresta amazzonica, intorno alla casa uno steccato di pali appuntiti di castagno, dai lati e dietro, davanti il burrone.

Erano passati forse sei mesi, dalla cosiddetta catastrofe, quando vidi arrivare uno yacht bianchissimo da lontano, con il binocolo spiai per un po', attraccarono con evidente scarsa perizia marinaresca, presero la strada dopo aver scelto delle automobili abbandonate. Non mi sembrò che fossero dei samaritani che volessero reclutare gente pacifica per la loro buona causa. Li seguii con il cannocchiale e stavano venendo nella mia direzione, possibile che aldilà del mare avessero saputo che avevo della carne fresca e del pesce vivo da mangiare? 

Il capo era un piccoletto pelato che teneva sempre le mani sulle sue due automatiche Glock, forse temeva una rivolta interna al gruppo.”

“Ma te le armi le conosci bene, o come mai?”

“Non hai ancora capito che facevo di mestiere?”

“No, se un me lo dici…”

“Già, è vero, ora che sei morto te lo potrei anche dire... ma forse è meglio se te lo dico dopo. Insomma erano una ventina, in mezzo c’erano tutte le razze e gli abbigliamenti erano misti, strappati, erano sporchi e sudati, contai più uomini che donne, più orientali che occidentali. Evidentemente la vita dell’epoca non permetteva più l’esistenza di malfattori in giacca e cravatta, c’era già un miglioramento, almeno era sparita la falsità, quello che si faceva, bello o brutto, era alla luce del sole. Notai anche che le armi erano di ogni tipo, cioè quelle che avevano trovato in giro.

La rivoluzione era stata magari non improvvisa, però rettilinea e inarrestabile, quando la luce elettrica e le altre fin troppo scontate comodità erano venute a mancare, si tornava automaticamente all’età della pietra e la gente non avrebbe avuto il tempo d’imparare a fare quello che da secoli non aveva più fatto. Tornare a essere cacciatori e guerriglieri dopo una vita da impiegati non era facile, ci voleva del tempo, contemporaneamente il tempo non giocava a loro vantaggio, perché intanto non avevano da mangiare. La maggior parte della gente che si era salvata, non sarebbe riuscita a mantenersi in vita, per questo si associavano e diventavano dei saccheggiatori capaci di badare a sé stessi appena al momento, al domani non ci pensavano proprio. Forse avevo sottovalutato qualche aspetto, come per esempio che gli animali chiusi e lasciati imprigionati nelle stalle, come vacche e pecore, sarebbero morte di fame o di sete, se non c’era nessuno durante i primi giorni a liberarle.

Un vantaggio che io avevo da sempre era quello di non farmi illusioni, la gente era attaccata alla vita in una maniera spropositata, avevo notato che chi viveva peggio c'era più aggrappato degli altri, forse per via dell'ansia, perché non sapeva cosa gli sarebbe successo dopo. Non che io lo sapessi, invece, ma da anni avevo imparato che sopravvive più facilmente chi non ha paura di morire e per me i cambiamenti erano più il bello che il brutto dell'esistenza. Il timore di perdere porta inevitabilmente alla sconfitta, non sto parlando di qualche stronza competizione, ma della normale lotta per la sopravvivenza, che improvvisamente, dopo secoli di tecnologia che aveva impigrito la gente, aveva cambiato a sorpresa tutte le regole.

Lo diceva anche il vecchio Darwin, la specie che sopravvive alle ostilità dell’ambiente non è quella più forte, o quella più intelligente, ma quella che sa adattarsi meglio ai cambiamenti.”

“E chi è Darvi?”

“Un amico mio, poi ti spiego.

Forse le mie paure si identificavano con l’inattività, l’abulia, la depressione, la prigione o cose di questo genere. Se potevo muovermi ed essere il percussionista del mio ritmo, invece, niente mi spaventava.

In caso di guerra nucleare i topi e le blatte sono i più resistenti e quindi favoriti alla sopravvivenza, gli esseri umani i più soggetti all’estinzione e se lo meritano anche visto che il nucleare lo hanno inventato loro. Nel caso di una guerra batteriologica anche, perché i microbi dei virus senza di loro non sarebbero esistiti, ma anche perché hanno complicato talmente la propria vita che non saprebbero più tornare a campare in maniera diversa.

Nell’oscurità i cani abbaiarono più volte, sentii un baccano ritmico e insistito quando era quasi l’alba e mi preparai. Ma era solo il vento che si era alzato al sorgere del sole e sbatteva qualcosa nel silenzio circostante. Ovviamente non dormii, ma il giorno dopo approntai nuove trappole nel bosco e sui sentieri attorno a me. Tutte le mie armi erano ben oliate e cariche, pronte in punti strategici.

Avevo dei fucili di precisione col cannocchiale, potevo colpire e uccidere da grandi distanze calcolando anche il vento. Pensai che i più sofisticati e fanatici tra i miei colleghi disdegnavano la praticità della pallottola a distanza, gli piaceva di più il pugnale, il corpo a corpo. Invece così il poveraccio in questione moriva senza nemmeno sapere cosa era successo, in più non ci si sporcava le mani, si aveva tutto il tempo per allontanarsi.”

“Allora te eri un killer?”

“Sì, ma non ero come credi te, sono sempre stato una persona di principi saldi. Ho una certa mia personale ma ferrea etica.”

“E come si fa ad ammazzare la gente e a credere nel mondo e nella vita?”

“Non è facile. Hai ragione, ma la mia vita è stata una lotta di sopravvivenza, come per tutti, sicuramente più estrema, anche di quella dei miei cosiddetti colleghi. Ero l’unico del mio campo che rifiutava degli incarichi, se mi documentavo e la vittima non mi soddisfaceva, io dicevo di no. È successo di rado, solo quando avevo visto che i mandanti erano peggiori delle vittime.

Lo sapevo che perlopiù erano equivalenti, almeno approssimativamente, non c’era da farsi illusioni, facevano schifo da entrambe le parti. Ma quando mi mandavano ad ammazzare una persona giusta, per pochissime che ne esistessero, ai livelli di guerre di potere, non volevo certo farle diminuire. 

Ecco che dopo mi mandavano altri killer, in alcuni casi dei poveri debuttanti allo sbaraglio. Forse con timore che li potessi denunciare, cosa che non mi passava nemmeno per la testa, o magari per una pura dimostrazione di potere o di infantile orgoglio ferito. Non c’è niente di più assurdo della logica umana. In questi rari ma indicativi casi dovevo farli fuori, anche i matadores, se volevo sopravvivere e a volte la loro testardaggine sostituiva il semplice buonsenso, dovevo arrivare anche ad ammazzare i mandanti originali. Una faticata che durava anche dei mesi. Solo per una questione di principio.”

“Ma non è successo tante volte, credo.”

“Infatti, solo tre volte in venticinque anni di onorata carriera. Si fa per dire. In genere il caso era fatto di comportamenti di routine, i cattivi erano gli altri e il buono, che ero io, ne ammazzava uno e prendeva soldi dall’altro. Per me i principi erano ancora validi e ci tenevo. Ho ingannato venticinque anni la società che mi ha creduto un professore per tutto quel tempo e io non ero mai nemmeno passato una volta per la polizia. Avevo abbandonato le lezioni alle classi e avevo continuato le lezioni private, che mi permettevano orari elastici e una facciata di attività legale.”

“Se glielo dico a Ivalda un ci potrà credere…”

“E te non glielo dire, tanto siete morti tutti e due credendomi un innocuo professore…”

“Innocuo?”

“Sì, uno che non può far male a nessuno. Ma lasciami raccontare le cose ammodo ora. Mi trovavo avvantaggiato, a quel punto, il gioco era cambiato, in maniera totale, solo che io lo avevo già praticato in precedenza. Per scalzarmi da lassù ci volevano degli eserciti, oppure dei professionisti esperienti e scaltri. Comunque per riuscirci non mi dovevano far accorgere che arrivavano, sennò il mio vantaggio era incolmabile.

Certo non mi potevo concedere errori, la notte dormivo troppo poco. I miei cani abbaiavano anche per delle stronzate, avrei avuto bisogno di qualcuno che mi desse il cambio, un compagno, meglio una compagna, ma dove l’avrei trovata? Saltavo su per ogni più piccolo rumore: l’abbaiare dei cani, il muggire delle vacche, il belare delle pecore, il cinguettare degli uccelli in maniera differente. I gatti stavano zitti per la maggior parte del tempo e per fortuna le carpe aspettavano in silenzio, abitualmente non sono di molte parole, e poi essere mangiate da me o dagli invasori non faceva differenza per loro.”

Pardona mercoledì 5 dicembre 2026

 

IL SOGNO DEGLI ACQUARI

 

Anche la poesia, a volte, se ne esce fuori a bestemmie, con il mondo d’oggi mi sembra più appropriato.

Marino Sumatra (Il Cinema Contemporaneo Nel Passato)

 

La storia del mondo non finisce quando termina quella dell’uomo. Che presunzione, chissà quante cose devono ancora accadere! Il mondo senza l’uomo potrebbe anche essere meraviglioso.

Se si facesse un parallelo tra me e l’uomo primitivo, si vedrebbe una comune tendenza ad assestarsi, ma l’uomo delle caverne pare che dal momento in cui si è messo la cravatta si sia dissestato di più e meglio, abbia perso la rotta e da tempo. La cravatta io me la sono messa di rado, mai su mia iniziativa, ho avuto più coscienza di me stesso, dei miei pregi e dei miei difetti e alla fine ho fatto un po’ quello che volevo, fregandomene il più possibile degli altri. Ebbene sì, sono  stato  più  egoista,  individualista  e  solitario, ammettendo che siano difetti. In compenso sono andato più avanti di loro e non mi sono perso in desideri e pratiche di integrazione che trattandosi di esseri umani non funzionano proprio. Non ho sfruttato nessuno e non sono mai stato sfruttato.

Magari è vero che l’universo sia realmente attraversato e governato da forze occulte che noi non conosciamo e ci sforziamo appena di sopravvivere, tacitamente accettando di ignorare perché siamo qui e come diavolo fa a esistere qualcosa d’infinito, quando tutto quello che vediamo attorno a noi ha un inizio e una fine. Va bene, mi sono dimenticato cosa volevo dire, con tutto questo, ma credo avesse a che fare con il sogno che ho fatto stanotte.

Ero in un appartamento, porzione di un palazzo abbastanza alto. Dicono che sognare l’acqua è un bene, ma non deve essere sporca, non so perché ma porta sfortuna, ammesso che qualcuno ci creda. Personalmente non lo escludo perché se il mondo è strano, già nelle cose che conosciamo, figuriamoci in quelle che ancora ignoriamo. Comunque sia fuori c’era una sfilata di dinosauri che passavano enormi a lato del palazzo dove ero io e li guardavo dalle finestre e quelle erano ad arco e senza vetri, su pareti di pietra a vista. I dinosauri erano grandi come case ma io non avevo paura e loro passavano seguendo il ritmo di tamburi tribali. Altra gente non ce n’era, a dire il vero anche io ero un animale, forse un orso o un procione, avevo le braccia pelose e le mani ungulate, ero uno psicoterapeuta e i miei clienti erano tutti bestie, non nel senso che erano stupidi, ma si trattava di animali veri e propri, non di ogni tipo, solo quelli domestici, quindi cani e gatti perlopiù, ma anche tartarughine, canarini, pappagalli eccetera.

Lo studio era particolare, le sue pareti interne e i muri esterni erano acquari trasparenti, con pochi pesci  tranquilli  e  contemplativi,  non  molto  colorati, piuttosto a tinte pastello, tante alghe lunghe che si muovevano sinuosamente seguendo il ritmo lento della spinta dei vari motorini ronzanti quasi silenziosamente per il riciclaggio dell’acqua.

I pazienti mi raccontavano le loro storie, ma se le situazioni erano diverse, una cosa avevano tutte in comune, il problema era sempre un essere umano, o più di uno, i loro padroni o i loro vicini di casa.

Ithamar si limita a dire che “I sogni sono il prodotto dell’attività cerebrale durante il sonno. In particolare essi si manifestano prevalentemente durante quella fase del sonno chiamata REM (Rapid Eye Movements, ovvero “movimenti oculari rapidi”). Durante il sogno i neuroni sono interessati da un’intensa attività elettrica che produce nella nostra mente immagini, suoni, pensieri ed emozioni.

I sogni hanno suscitato l’interesse degli uomini fin dai tempi più remoti. La letteratura classica, ad esempio, è ricca di racconti che hanno a che fare con l’attività onirica. Già nell’antichità furono numerose le teorie che cercavano di spiegare i sogni.

Addirittura nel II secolo d. C. un autore greco di nome Artemidoro Daldiano, precorrendo Freud, scrisse un’opera intitolata L’interpretazione dei sogni.

Diciassette secoli dopo, Sigmund Freud fu uno dei primi studiosi moderni a occuparsi in modo sistematico dei sogni. Secondo le sue teorie il sogno rappresenta “la strada maestra verso l’inconscio”. Tutto ciò che cerchiamo di nascondere a noi stessi durante lo stato di veglia (a causa dell’effetto negativo che produrrebbe su di noi) riemergerebbe durante il sogno poiché i freni inibitori della nostra coscienza sarebbero allentati. Tuttavia in qualche misura i freni inibitori continuerebbero almeno in parte ad agire e questo spiegherebbe il carattere fantastico, surreale e spesso criptico tipico dei sogni. Per questo motivo, secondo Freud, i sogni necessitano di una interpretazione per poter scoprire gli aspetti più reconditi del nostro inconscio. Le teorie di Freud, nonostante la loro indubbia attrattiva, non hanno mai ottenuto una vera e propria dimostrazione scientifica. La principale obiezione che viene loro rivolta è la seguente: se si cerca un significato nelle immagini fantasiose dei sogni, sicuramente lo si trova, ma non c’è nessun   modo   di   scoprire   se   sia quello giusto o no (per dirla con Popper, la teoria di Freud è infalsificabile). 

Altri studiosi hanno formulato teorie molto diverse. Per alcuni (come ad esempio il neurofisiologo Robert W. MacCarley) il sogno, anziché essere un processo di mascheramento, sarebbe un processo di attivazione. Questo spiegherebbe come mai in molti sogni si manifesta un’attività eccessiva come correre, nuotare, ecc. Per altri autori il sogno sarebbe semplicemente una rielaborazione delle esperienze nascoste percepite durante lo stato di veglia. In altre parole, durante la veglia noi raccoglieremmo molte informazioni senza rendercene conto. Esse verrebbero comunque memorizzate e riemergerebbero durante il sonno. In tal modo, durante, il sogno il nostro cervello metterebbe, per così dire, in ordine le esperienze accumulate. 

Il premio Nobel per la medicina Francis Crick (uno dei due scopritori della struttura del DNA) ha elaborato una teoria secondo la quale il sogno sarebbe un modo in cui il cervello smaltisce l’eccesso di informazioni raccolte. Secondo la teoria delle “reti neurali” (ovvero gruppi di cellule neuroniche che cooperano per la registrazione delle associazione tra eventi percepiti) il sogno servirebbe non solo a mettere ordine, ma anche a fare pulizia, eliminando i ricordi più deboli e inutili, mantenendo in efficienza la rete neuronica per il giorno seguente. Secondo tale teoria i sogni sarebbero quindi una sorta di spazzatura che il cervello sta eliminando.

Dal fatto che esistano diverse teorie, spesso contrapposte, si può facilmente capire che dal punto di vista scientifico i sogni rappresentano ancora in buona parte un mistero. Questo deriva ovviamente dal fatto che essi sono il prodotto del cervello che, come qualcuno ha affermato, è l’oggetto più complesso che esista in natura.

Nel momento in cui comprendessimo meglio il funzionamento del nostro cervello, probabilmente riusciremmo anche a spiegare a fondo il meccanismo dei sogni.


Ithamar è palloso, ma dice delle cose che hanno il loro necessario fondamento scientifico, almeno credo, quando parlava accendevo il mio registratorino, staccavo l’audio metaforico delle mie orecchie e pensavo ai fatti miei e poi me lo riascoltavo con calma, se e quando ne avevo voglia. Ora è meglio ancora, perché i miei dialoghi sono scritti.

Poi, non so da quando, i dialoghi sono diventati orali, in un primo momento, li scrivevo dopo, ma mi ricordavo tutto perfettamente e finché non li scrivevo soffrivo anche un po’, per paura di dimenticarmeli, forse.

Ho fatto confusione anche con i tempi verbali, lo so, ho usato il passato remoto per cose più recenti e il passato prossimo per fatti più lontani nel tempo.

Se qualcuno leggerà mai questo non-diario, un giorno, capirà che le mie condizioni sono state se non disagiate, piuttosto particolari.

 



Pardona domenica 4 luglio 2027



PRIGIONIERI DEL MONDO


Non disperare la tua anima gemella è lì fuori! Tra 7 miliardi di persone. In 5 continenti diversi. Supponendo che sia viva e che sia single.
                    (Iddio, Twitter)

 

“Sulle cause e sui motivi per cui tutto finì si potrebbero scrivere consistenti volumi, ma dopo nessun libro fu più scritto.

Nonostante la situazione pesante avevo una specie di entusiasmo addosso che in un certo senso mi spaventava, uno normale si sarebbe sentito male, malissimo.”

“Io per esempio. Ma come fa uno a vivere da solo? Senza Ivalda io sarei già perso!”

“Sì, lo so Annibale, anche io avrei trovato, più di una volta una donna con la quale mi sarebbe piaciuto invecchiare, ma a loro non sono piaciuto io, i tempi non coincidevano, certo non è una cosa facile, non tutti ci riescono, ma meglio stare da soli che con qualcuno che non ti piace.

E poi voi mi avete abbandonato, chi ve lo ha fatto fare di morire? Comunque io da solo sono sempre stato e la gente, almeno la maggior parte, non mi è mai garbata troppo.

Da una parte tutta quella solitudine mi faceva paura, dall’altra devo confessare che mi piaceva. I cosiddetti esseri umani se lo erano voluto, senza saperlo si erano stancati loro stessi di esistere, non avevano ideali, né metodo.”

“Ma quale metodo? La gente si è trovata in una situazione impossibile! Te hai avuto culo! E basta.”

“No, no, ascolta: quelli, non tu, ma chi doveva fare qualcosa a livello sociale e organizzativo, loro passavano il tempo a litigare, a rubare i soldi pubblici, a favorire amici e parenti, il loro stesso vivere li indeboliva e li allontanava dagli obbiettivi veri e fondamentali. E poi c’era troppa gente, il mondo diventava sempre più piccolo e il cibo scarseggiava, anche l’acqua - avvelenata dalla stessa umana produzione esagerata di beni inutili - cominciava a mancare.

Ma dove volevano andare?

I batteri delle peggiori pandemie non avrebbero potuto procedere se ci fosse stata una resistenza ben organizzata. Ripetutamente era accaduto che una volta che i virus erano giunti dalla Cina, gli occidentali avevano fatto confusione, usato la situazione per arricchirsi a danno di chi moriva, per trarre vantaggio politicamente a danno degli altri partiti, in poche parole erano riusciti invece di solidarizzare a fare del loro peggio per tentare di estinguersi. Ci avevano provato e riprovato, alla fine c’erano riusciti. Nessuno aveva un piano a lungo termine, per il bene della maggioranza, non gli passava nemmeno per il cervello. Detesto ogni tipo di elite, perché dicono di andare lì a comandare per fare del bene e fanno solo del male, non solo per incompetenza, ma per ipocrisia, individualismo, disonestà e prepotenza. Un’elite idiota può far comodo alle varie mafie locali e nazionali, più di tutte a quelle internazionali. Tanti erano incompetenti, altri cercavano di guadagnarci, tutti o quasi facevano propaganda politica contro i nemici tradizionali e quelli nuovi, già che c’erano. Inizialmente in Cina invece riuscivano con la loro rude disciplina a debellare i contagi, ma altrove, specie nei paesi ricchi a sanità privata, tendevano a fare tutto quello che non si poteva e nell’ordine peggiore. La globalizzazione aveva fatto il resto, quasi nessuno era più materialmente separato dagli altri, quei pochi forse erano quelli che si erano salvati.”

“Qui a Pardona noi siamo stati, naturalmente senza saperlo, solo vittime di quel sistema che dici te.”

“È vero, ma sto parlando in generale, guarda: storicamente migliorare il nostro livello di vita era stato il nostro obbiettivo da sempre. In maniera sistematica abbiamo cominciato dopo l’anno mille, visto che non ci eravamo ancora estinti, noi esseri umani, a cercare di risolvere gli interrogativi pungenti.

Poi, visto che non ce la facevamo, abbiamo pensato che mentre aspettavamo le soluzioni, potevamo costruire una struttura stabile e duratura, per poterlo fare in maniera regolare. Che poi significa mettere il carro davanti ai buoi.

Per migliorare il nostro livello di vita abbiamo lasciato perdere tutto il resto, ogni utopia via per una prospettiva razionale, che poi a guardare bene era irrazionale, ma ormai c’eravamo dentro con i piedi e tutto.

Ci siamo fatti un bel culo per arrivare al duemila, ma allora invece di starcene sdraiati a riposare, come speravamo, lavoravamo sempre di più, per guadagnare sempre di meno, in termini di benestare, non solo di denaro.

Gli interrogativi si sono addirittura complicati, almeno quelli di prima, poi ne abbiamo scoperti altri, ai quali non avevamo pensato.

Quella che doveva essere una maniera per vivere meglio ci ha preso la mano e ci ha portato dove voleva lei.

Insomma l’uomo impara solo quando è troppo tardi, per questo mi sono dissociato, e forse proprio per questo mi sono salvato.

Quando si nasce non si può certo scegliere dove e come, questo non significava che io dovessi seguire sempre e per forza questo gregge di pecore impazzito, insomma in qualche maniera io ho sempre pensato di non farne veramente parte.”

“Va bene, ma chi poteva prevedere una epidemia che avrebbe spazzato via il genere umano dalla terra?”

“Nessuno forse e io ho magari ho avuto solo culo, ma intanto mi ero dissociato. Quando me ne sono reso conto, raggiunta una certa convinzione, ho cambiato vita, ero già adulto e maggiorenne, diciamo più prossimo alla trentina, ma sono andato per gradi, o meglio mi sono costruito degli scalini ideali, che poi ho salito, uno alla volta.

Non me ne pento affatto.

Lo so che la soluzione ideale non era nemmeno quella, la soluzione ideale non esiste, bisogna creare il proprio terreno fertile giorno per giorno, senza paura di dover cambiare sempre e di nuovo.”

“Ma se tu fossi nato e cresciuto qui, dico io, non ci avresti neanche pensato a queste cose qui.”

“È vero. Forse avrò anche avuto solo fortuna, nella sfortuna che ho avuto, di crescere in un ambiente particolarmente inospitale, ma il piccolo dettaglio che io, per qualche ragione sconosciuta, avessi cambiato terra e cultura è stato decisivo, perché mi ha aiutato a capire.

Per quanto apprezzassi la vita e le cose buone del mondo, non avevo un dio al quale mi riuscisse di credere, né una religione che mi potesse sembrare autentica, forse più per istinto, ma anche per scelta razionale, nessun idolo da glorificare, né da santificare.

Apprezzavo la bellezza in senso generale, purtroppo ne trovavo molto più spesso di fisica che di morale. Tra i cantanti, attori, personaggi famosi o semplici esseri umani non ho mai intravisto nemmeno lontanamente una perfezione, cosa che non cercavo più nelle persone. Ne trovavo nella natura e anche spesso, e quella non interessava più a molti.

A me sì. È che trovavo il carburante per il mio motore a scoppio, la voglia di vivere, il desiderio di un domani.

Se nessuno me lo chiedeva potevo stare tranquillamente zitto, ma se volevano sapere la mia opinione io non dicevo bugie, né mezze verità.

Per esempio: mi piacevano poche persone e mai completamente, anche gli animali mi garbavano ma nessuno per me era perfetto, i lavori poi mi piacevano poco tutti, perché erano sempre forzati in qualche maniera, non potevo fingere che mi piacessero tutte le canzoni di un disco, a volte è anche successo, ma raramente. Di registi di film preferiti ne avevo tanti, italiani e stranieri, ma nessuno ha mai raggiunto la vetta della classifica, da me mentalmente ideata e stilata, di uno, uno solo che avesse fatto tutti i suoi film di mio gradimento. E i partiti politici? Mi facevano schifo tutti. ”

“La natura mi garbava anche a me, anche se non la chiamavo così. Insomma vivere in campagna, non in città.”

“Infatti questa è stata la tua fortuna, finché hai vissuto sei stato bene, senza pensare ai problemi della globalizzazione e del consumismo. Ma poi… arrivata la pandemia sei caduto insieme agli altri. Insomma fammi raccontare, che ora viene il forte della storia: mi misi al lavoro, quindi, con le vecchie ma efficaci tattiche di azione-reazione e le varie trappole, fili tesi nei boschi e attraverso i passaggi obbligati. Avevo imparato a rendere specifiche per animali ad andatura eretta i miei tranelli, per non fare male ai cani e a tutti quegli animali che andando a quattro zampe non raggiungevano l'altezza che gli sarebbe stata letale.”

“Un ne hai mai ammazzato nessuno per sbaglio?”

“Uno sì, Rocco, un cane bello e forte, c’è rimasto secco sul colpo, non ti racconto i particolari, ma la colpa è stata sua che ha fatto un salto troppo alto…”

“E come faceva a saperlo, poverino?”

“Non poteva, lo so, ma forse agli altri è servito come esempio, dopo non è più successo.”

“Meno male.”




 

Pardona domenica 6 ottobre 2027

 

IL SOGNO DEL PINGUINO

 

 Ridere è importante - le dissi - ridere sviluppa una specie di complicità.

Ma per me queste risate che fai tu sono fuori tempo - replicò lei quasi sorpresa - io le avrei fatte in un altro momento.

                       (Laszlo Vaccariello, La storia della Geografia e Viceversa)

 

Il problema per me non era sognare, ma ricordarmelo il giorno dopo. Forse è solo questo che è cambiato, non lo so. Era da tanto tempo che non sognavo ricordandomi poi di cosa e come, una trama, un senso, un messaggio anche criptato.

Qui sulle montagne del litorale ho ricominciato, anzi si può dire che così non mi ricordo di aver mai rammentato, a volte anche i minimi particolari dei sogni.

Comunque sia i miei di ora sono invariabilmente con animali, alcuni parlano, altri no, ma sono sempre animali e gli esseri umani non ci sono.

Non so che cosa significhi o se può solo voler dire un qualcosa.

Di un sogno mi ricordo alcune parti e altre no, a volte mi manca il finale, altre volte dei dettagli che magari sapendoli capirei meglio quello che è successo dopo, o anche prima, o forse no.

Ithamar entra in gioco senza essere stato chiamato, non si risparmia nella sua interpretazione virtuale, da vivo anche all’altra, di persona, era disponibile.

“Beh, ora gli uomini non ci sono più, cioè l’umanità è praticamente estinta, quindi…”

“Ma io questo sogno l’ho fatto prima del grande virus!”

“Sei sicuro?”

“No, mi pare di sì, cioè sì, ma mi pare di no…”  

“Sei un po’ confuso.”

“Sì. Cioè no. Come ti ho già detto nel sogno non c’erano esseri umani, ma solo animali di ogni tipo, dall’elefante alla formica, che guidavano ognuno la sua automobile, camion o autobus per le strade del mondo come impazziti, probabilmente senza sapere dove andare, ma volendoci arrivare prima degli altri, quindi senza rispettare le regole del transito, non solo posteggiando in seconda, terza, quarta fila ma provocando incidenti a ripetizione con morti e feriti, sangue sull’asfalto, ingorghi paradossali, sembrava un moderno quadro in movimento di Brugel, una catastrofe in movimento, insomma.”

“Ferma un attimo: ma te chi eri nel sogno?”

“Io ero un pinguino.”

“Un pinguino come fa a guidare che non ha le mani?”

“Il sogno non me lo ha spiegato, che ci posso fare? Ma guidavano anche gli ippopotami e i rinoceronti, delle macchine più grandi che volendo o anche non volendo ti potevano spiaccicare…”

“Quelli forse erano gli uomini più potenti, e le formiche?”

 “C’erano dei marciapiedi che servivano anche ai pedoni, dei marciapiedini più piccoli per le formiche e altri insetti, a piedi o con le loro automobiline, camioncini, piccoli autobus che però abbastanza spesso venivano massacrati dai pedoni o dalle macchine nostre degli animali più grossi che passavano o sbandavano…”

“E i camion e gli autobus grandi?”

“I camion trasportavano materiale di ogni tipo, non sono stato lì a guardare, avevo una certa fretta, come tutti. Gli autobus erano pieni di animali che si guardavano attorno irrigiditi dalla fretta e dalla paura, erano tutti con la stessa espressione, come se a ogni costo dovessero arrivare a tempo, ma fossero in ritardo…”

“Le multinazionali… forse. I grandi gruppi industriali?”

“Non lo so…”

“E i pedoni non attraversavano la strada?”

“Eccome! Non so quanti ne ho messi sotto. Ma anche non avevano paura di lasciarci le penne, solo una fretta sproporzionata!”

“E morivano? Cioè tu li soccorrevi?”

“No, quando mai, io correvo come un disperato, come tutti, chi lo sa se morivano o no? Gridavano. Secondo me continuavano la loro corsa forsennata subito dopo…”

“E tu avevi una meta, cioè sapevi dove stavi andando?”

“Certo, al polo sud.”

“Dovevi attraversare il mare?”

“No, il mare non c’era.”

“Come fai a saperlo?”

“Era tutto così, c’erano delle zone meno dense, ma era quasi sempre un paesaggio urbano in rivolta costante, come la ripartenza dopo il virus.”

“Allora alla fine ci sei arrivato?”

“Al polo sud? E certo.”

“Un sogno completo quindi.”

“Sì. Ma senza nessuna spiegazione.”

“In che senso?”

“Sapevo che dovevo andare al polo sud e alla svelta, ma non sapevo perché. Quando ci sono arrivato ho capito che cercavo gli altri pinguini, ma non c’erano.”

“Hai guardato bene?”

“Sicuro! Ho corso per un bel po’ sulle distese ghiacciate!”

“Ma non sei mai sceso dalla tua automobilina?”

“Mai e non ho capito nemmeno come facesse a camminare così bene sul ghiaccio e sulla neve.”

“E il sogno è finito lì, non hai incontrato orsi bianchi in automobile-slitta, o foche su piccole imbarcazioncine con le ruote?”

“No, niente e nessuno, ma ero angosciato forte.”

Ithamar, giammai invitato, ma sempre desideroso di collaborare, soprattutto quando nessuno ha bisogno della sua collaborazione parte con l’interpretazione:

“Sembrerebbe una premonizione, ma come sempre accade relativamente alle previsioni, la nostra mente effettua una selezione a posteriori. Tendiamo a dimenticare rapidamente i sogni che contengono episodi che non si verificano nella realtà, mentre ricordiamo con grande enfasi quelli in cui gli eventi si realizzano.

Se si facesse un’analisi statistica tra le previsioni avveratesi e quelle non avveratesi, si scoprirebbe di essere perfettamente all’interno delle leggi probabilistiche.”

Purtroppo i miei dialoghi virtuali a volte danno segno di squilibrio, forse per la stanchezza, o per le forze occulte trasversali dell’universo, chi lo sa? Come tutti i grandi rompiscatole Ithamar deve assolutamente mostrare alla gente che sa tutto e che lo sa pure spiegare bene, anche dopo morto e a migliaia di chilometri di distanza, la sua volontà è determinata e insistente.

 

Pardona domenica 1 aprile 2028

 CICERO, MIO PADRE

  

Gli uomini combattono per la libertà, poi cominciano ad accumulare leggi per portarla via a sé stessi.

(Anonimo)

 

 A proposito di immortali cagacazzi ci sarebbe da dire qualcosa su mio padre e sul dialogo virtuale con lui. Ritornava ogni tanto, ciclicamente come se fosse stato per effetto di una maledizione, senza essere chiamato, solo per criticarmi e per trovare in me i suoi peggiori difetti, con l’intento di scaricarmeli e liberarsene. Purtroppo per lui non funzionava, ormai lo conoscevo talmente bene che sapevo già in anticipo cosa stava per dire, e meno male per me. Morto da una ventina d’anni, Cicero ancora continuava a fare le stesse cose che faceva da vivo.

Avrebbe potuto fare l’attore, se gli avessero pagato le prestazioni al momento, sarebbe stato capace di interpretazioni madornali e incredibili, ma a quei tempi nessuno ci ha pensato e in Venezuela di registi di film, se ce ne sono mai stati, nessuno li ha mai visti.

La comunicazione tra noi è sempre stata problematica, siamo sempre stati due opposti che invece di compensarsi cozzavano e sbattevano a oltranza, dopo averlo metaforicamente seppellito mi ero illuso che sarebbe migliorato, invece niente.

“Sai perché mi piace leggere un buon libro?” Chiedo io.

“No.” Risponde lui.

“Beh, perché ogni tanto mi fa piacere avere a che fare con qualcuno che ragiona in maniera logica, nella vita di tutti i giorni mi capita raramente.”

“Ma se sono tutti morti!”

“No. Anche prima, voglio dire, mi capitava raramente anche prima. La gente comune non usava il cervello che per farsi del male, per indirettamente che fosse, per ossessionarsi con cose inutili se non dannose. Per fingere che andasse tutto bene e così non doveva affaticarsi per provvedere a risolvere i problemi…”

“Ah sì? Non ci avevo fatto caso.”

“Forse perché anche tu sei come loro, per quanta teoria tu abbia, in pratica sei uno che si fa del male sistematicamente, con il tuo stesso pensiero.”

“Meno male che ci sei tu, sei un esempio da seguire, prendi tutti a fucilate e poi te ne stai in pace a goderti la vita.”

“Lo sai che ho ammazzato solo dei delinquenti, dei rifiuti umani. E poi il primo contratto me lo ha commissionato il tuo miglior amico.”

“Amico tra virgolette e ti scordi che eri pagato da altri rifiuti umani.”

“Va bene, intanto ce ne era sempre uno in meno al mondo, dopo. Comunque quello che volevo dire prima era che un buon scrittore ha il potere di riportarmi in un mondo in cui le cose funzionano, dove la gente usa il proprio raziocinio a suo vantaggio, ma non necessariamente a svantaggio di qualcun altro.”

“Forse è un mondo che non esiste?”

“Forse, ma è bello sognare ogni tanto. Chissà se è mai esistito?”

“La realtà  è sempre  stata       fatta di molteplici  sfaccettature … ”  Riprende lui.

“Sì, ma che vuoi dire con questo?” Chiedo io.

“Niente, per esempio che gli esseri umani sono… o meglio erano, tanti e tutti molto diversi tra di loro…”

“Bene, e allora?”

“Allora tu non sai o non sapevi cosa stava succedendo in quel momento in ogni parte del mondo.”

“No, non lo so e non avrei potuto saperlo…”

“C’erano tante persone buone, simpatiche e intelligenti.

Anche gentili. Tu non puoi fare a meno di tutti, lo sai.” “Ritorni fuori con le tue accuse rivolte a me, perché sei ancora irritato con te stesso?”

“Nooo, e quando mai? Piuttosto ti chiedo: se gli altri sono il nostro specchio, se ti ci guardi e non vedi niente riflesso non ti spaventi?”

“Forse, ma anche sentirmi uno di loro mi spaventa. Gli animali sono migliori.”

“Siamo d’accordo, almeno in parte, ma i tuoi simili sono gli esseri umani, la solitudine si sente per mancanza di altri esseri umani, o no?”

“Magari per te è così, per me no.”

“Ma come fai a passare il tempo? Da solo il tempo non passa mai.”

“A te. A me passa benissimo. Guarda un po’! I cani mi stanno sempre intorno e la sera d’inverno si sdraiano sul tappeto vicino a me accanto al caminetto, io leggo e bevo un bicchiere di vino rosso, a volte.”

“Sì, vabbè… dove li metti dieci cani? Qui non c’è spazio! E poi c’è una puzza…”

“No, non c’è nessuna puzza, è pulitissimo. Diciamo che non tutti vogliono entrare, alcuni preferiscono stare fuori, gli ho fatto uno sportelletto nella porta…”

“E loro entrano ed escono continuamente portando freddo dentro e il caldo fuori…”

“Dopo chiudo e…”

“Quelli dentro abbaiano perché vogliono uscire, che hanno sentito un rumore, quelli fuori perché hanno freddo e vogliono entrare grattano la porta…”

“Alla fine tutti fuori e mi godo un po’ di pace.”

“Ma sei troppo stanco e vai a dormire.”

“Sì, è bello sentire il vento che fischia e stare dentro al calduccio, mi addormento pensando a quando si andava a pescare insieme, o quando si leggevano le lettere arrivate dai nonni italiani…”

“Ci rinuncio a farti ragionare.” Si rassegna alla fine. 

“Bravo. Se vuoi farmi arrabbiare come facevi una volta, ora non ci riesci più, puoi trovare sempre dei difetti alla mia vita, ma se guardi nella tua ce ne sono altrettanti, se non di più. Ma lì tu non ci vuoi guardare, ti fa paura.”

Cicero alza gli occhi al cielo.

“Va bene, me ne vado.” 

“E comunque vaffanculo.” Il mio cortese commiato, ora che posso, ma quando era in vita non potevo.



Pardona domenica 2 luglio 2028

 BRITT

 Gli uomini, per essere liberi, è necessario prima di tutto che siano liberati dall’incubo del bisogno.

            (Sandro Pertini)

  Tra le mie poche donne ideali forse c’è stata Britt, una norvegese, conosciuta e anche assai amata a Oslo, quando mi sono reso conto che era lei, era già troppo tardi, oppure non era lei e mi sono sforzato di pensarlo, non lo so. Ancor oggi chiacchierare con Britt mi piace, perché era una peste come me, ma non fingeva mai di essere un’altra, come fanno tutte e tutti, almeno all’inizio di un rapporto d’amore.

Era autentica nel bene e nel male e anche se mi dava addosso gli piacevo così com’ero, cosa rara. Le piaceva fare l’avvocato del diavolo, forse perché era di origine italiana, non lo so. Parlavamo molto e di solito lei mi faceva capire cose che da solo non ci sarei riuscito, ma era un po’ faticoso viverci insieme, infatti ci lasciammo, non so se fu lei o io, forse tutti e due.

“Mi pare che se uno deve dimostrare qualcosa agli altri è solo perché lui stesso non ci crede. Questa è la critica che ti faccio, caruccio!”

“Dimostrare qualcosa a qualcuno io? Ma è proprio per evitare di dover dimostrare qualcosa a qualcuno che non voglio più avere a che fare con questi matti.”

“Ognuno è matto alla sua maniera.”

Venuta da realtà completamente differente, Britt amava le storie della mia famiglia, era addirittura incredula, che potessero essere vere, ma mi chiedeva spesso di parlarmi di loro, a me non piaceva, ma in un certo senso mi ci sfogavo anche.

“Mia madre era di una famiglia più ricca, ma non troppo, di quasi nobili… se mai fossero esistiti i nobili in Venezuela, non lo erano mai stati, ma tacitamente si consideravano tali, perché anni prima erano stati più benestanti, alcuni di loro persone anche colte, rispetto alla famiglia di mio padre, per esempio, di poveri arrampicatori sociali assai ignoranti, se non presuntuosi e apparentemente astuti, ma neanche troppo, e solo in direzione di potere e denaro.

 Figurarsi che su suggerimento di mia madre, suo fratello maggiore Ithamar dava lezioni di psicologia e filosofia a mio padre, con il risultato di farlo diventare sempre peggiore, sempre più bugiardo e ipocrita, attaccato ai soldi e pessimo padre, ancora peggior conoscitore della vita e di sé stesso, delle conseguenze infine di quello che faceva e soprattutto di quello che non faceva. Non che lo zio non fosse un buon professore di filosofia, ma si era creato un antagonismo così forte, che mio padre anche senza accorgersene, sabotava sé stesso pur di dimostrare a mia madre che si buttavano via quei soldi delle lezioni di Ithamar, che non sapeva insegnargli niente.

Mio padre è stato uno dei pochi, forse l'unico che si è scomunicato da solo, prima che lo facessi io, e forse io non l'avrei mai fatto, perché in fondo era mio padre, una persona assai intelligente, simpatica e autoironica, nonostante tutto. Forse è stato la dimostrazione vivente, per me indelebile, che una persona molto intelligente poteva risultare anche più stupida, nella sua maniera di affrontare il mondo, di tante persone tecnicamente poco intelligenti.

La sua principale evoluzione è stata attraverso il denaro e il potere, perché tutto passa attraverso il suo processo di guadagnare (e spendere) sempre di più, credo che alla sua maniera lui sia stato assai generoso, pagava da bere e da mangiare a tutti, non si limitava mai nel suo pubblico dimostrare che poteva permetterselo, ma poi diventava meschino e miserabile, al limite del ridicolo, quando avrebbe dovuto darle dei soldi per le spese di casa, o anche solo ammettere di aver dimenticato qualcosa, pur insignificante che fosse, di cui mia madre lo accusava, e di cui si sapeva che era responsabile.”

“Ma come fai a dire che era intelligente se nella sua vita faceva solo cose sbagliate?”

“Intanto io l’ho conosciuto, purtroppo e te invece no. Per esempio perché era un abile bugiardo, mia madre che non era tanto facile, ci cascava sempre e non era l’unica. Anche se poi non lo fanno, a dire la verità sanno fare tutti, sarebbe più semplice, ma per mentire bene ci vuole dell’intelligenza. No?”

“Anche se mentire ti provoca più guai che vantaggi?”

“Quello è un altro discorso, è la sistematica sbagliata che una persona ha, suo malgrado, per via del suo ambiente meschino, dell’educazione che non gli hanno saputo dare. Guarda: se bastasse essere intelligenti per trasformarsi in benefattori altruisti il mondo funzionerebbe meglio, ma non è così, purtroppo, lo vedi da sola.”


Pardona domenica 14 maggio 2029

 SALSICCIA SUL CAMPANILE

 Per chi guarda in faccia la realtà, spesso il futuro è facilmente prevedibile.

Ramsete Ghilardi (dal romanzo “Come mai i Perché non Hanno la Stessa Nostra Fretta?”)

  Il mio dialogo preferito era con Annibale, perché se nella vita ascoltava poco e parlava tanto, nella mia autogestione spazio-temporale, che era anche un metodo terapeutico, lo facevo finalmente tacere e ascoltare.

“Avevo letto che un navigatore solitario brasiliano diceva che, se c’è bisogno, si può dormire a rate e allora cominciai anch’io, in maniera sistematica.

Un’ora alla volta, in certi casi due, raramente tre.

Però ero troppo teso e la mia salute di vecchietto peggiorava, mentre passavano le settimane e non succedeva niente.

Il gioco era anche psicologico, bisognava anzitutto stare tranquilli, per riuscire a dormire, per poter far riposare la mente, l’esagerata necessità spesso sfocia nell’effetto contrario a quello desiderato. Pensai che avrei avuto più pace in paese, magari nascosto in qualche casa alta, magari a tre piani. Loro non sarebbero venuti a cercare prodotti a lunga conservazione, quelli ce li avevano già laggiù a valle. No, volevano piuttosto gli animali, la roba da mangiare viva, avrebbero sentito l’odore delle galline e del bestiame.

Quindi sul campanile della chiesa misi un letto e organizzai la difesa con Salsiccia, il cane più tranquillo trai dieci che erano diventati, gli altri li lasciai alla base, dove passavo anche tutto il giorno a lavorare, ma la notte lassù dormivo meglio. C’era una vista a 360 gradi ed ero ragionevolmente sicuro che qualsiasi banda di disperati prima di arrivare alla mia piccola fattoria modello, doveva per forza passare lì sotto.

Per chi guarda in faccia la realtà, spesso il futuro è facilmente prevedibile, ma non bisogna mai escludere le potenziali sorprese. In sostanza non si deve mai dare niente per scontato e questo era un po’ il mio motto da sempre.

Saccheggiai le librerie che trovai nelle città vicine. Le mie incursioni erano sempre mirate a trovare dei beni abbandonati, ma non potevo caricarmi di cose superflue, a portare tutto lassù poi era dura e per mantenere il mio patrimonio animale non potevo stare via molto tempo.

Misi su un magazzino in paese per lasciarci tutte quelle cose che non mi servivano, per il momento. Anche la jeep la lasciavo in un garage spazioso e chiuso a chiave.

La sera mi godevo quel silenzio e la relativa lettura, il vento a volte era anche troppo forte e freddo, ma mi vestivo bene ed ero ormai abituato a riconoscere i rumori degli animali attorno, non solo i miei ma anche degli uccelli, per capire se c’era qualcuno o qualcosa in avvicinamento. 

Un elefante sopravvissuto a qualche circo una volta fece suonare tutti gli allarmi e distrusse con la sua mole qualche trappola non destinata a lui, in sostanza mi fece prendere uno spavento e si tirò dietro i miei cani inferociti, corse impaurito e ferito fino a cadere in un burrone.”

“Madonna mia! Si sfracellò?”

“Per un po’ ho cucinato sulla brace la sua carne, per i cani, ma poi è ammarcita.”

“Ma non avevi il frigorifero?”

“Sì, uno piccolo, ma i pannelli solari non potevano alimentare frigoriferi così grossi e l’elettricità ottenuta mi serviva per tante altre cose.”

“Che storia… e dopo?”

“E dopo ero quasi contento che la nostra insensata umanità fosse arrivata alla meritata fine, che gli eventuali sopravvissuti avessero occasione di ricominciare da capo, magari anche in maniera più degna. Se fossi stato uno normale avrei dovuto sentire la mancanza degli esseri umani, in senso generale, invece no, solo di alcune persone, come te, Ivalda e Pierosky, ma anche prima vi frequentavo assai di rado e non ero quasi mai io a cercarvi. Passati i primi anni ero diventato esperto della mia nuova routine e avevo imparato a dormire in due o tre rate notturne, una o due più brevi pomeridiane, insomma mi sentivo di nuovo bene fisicamente e mentalmente. Là a valle, anche in lontananza, sentivo dei boati, ogni tanto, qualcuno si stava facendo la guerra, come la storia insegna, per togliere agli altri quello che avevano.”

 

 

Pardona domenica 10 luglio 2029

 AL CIMITERO DAI NONNI

 Si nasce e si muore senza sosta. Se il mondo è un enorme cimitero di ossa di uomini e donne, animali e piante - sotterrati a miliardi - che si riciclano, come si dice in giro, nell’atmosfera, la morte non dovrebbe farci così tanta impressione.

Gualteiro Gualandris (Chiome di Alberi all’Infinito Passato)

 Anche gli ulivi sono tipici delle nostre colline, si riconoscono per il colore argentato delle loro foglie e ricordano subito le olive che piacciono molto o non piacciono per niente, a me per esempio no, ma soprattutto l’olio extravergine e appetitoso a crudo su ogni tipo di mangiare.

Visto che non avevo niente da fare, per riuscire a spaccarmi meglio la schiena, mi sono messo a pulire un uliveto abbandonato e poi a raccogliere le olive, a farci il mio olio, che bestemmiando per le difficoltà, finalmente, sono riuscito dopo mesi di tentativi ad assaporare.

I cipressi sono il tipico albero italiano e toscano, non solo da cimitero, ma sempre austeri ed eleganti, sempre schierati su colline a fare da combinazione con i cieli azzurre a nuvolette bianche, perché si riconoscono da lontano. Ho saputo che nella Pianura Padana, visto che i cipressi non si mantenevano in vita nemmeno a forza, hanno adottato dei pioppi particolari che hanno la stessa forma affusolata e che efficacemente ingannano l’occhio dell’osservatore eventuale.

I nonni da parte di mia madre, essendo ebrei, sono nel cimitero di Pisa, abbastanza verde ma piuttosto anonimo.

Un notevole cimitero con vista sul mare invece quello di Pardona, dove giace la tomba accoppiata dei miei nonni da parte di mio padre. La loro posizione è privilegiata, con i cipressi alle spalle e davanti al nostro sguardo si apre la pianura della Versilia e il mare sconfinato.

Quelli anglosassoni però mi garbano di più, c’è più verde e le lapidi di pietra grezza sono solo verticali, piuttosto rustiche combinano meglio con i pratini verdissimi dai quali spuntano come funghi, senza rispettare file o qualsiasi altro ordine di simmetria.

Ho anche provato a conversare con i nonni, ma non mi dicono niente di importante o appena indicativo, sarà perché in vita non mi hanno mai conosciuto e per loro sono un estraneo, anche se gli spiego chi sono e cosa faccio qui.

Ho notato che non solo i concetti cambiano assai tra le generazioni, ma soprattutto la maniera di parlare. Loro per esempio sembrano timorosi di dire qualcosa di sconveniente, il che tra noi, con la morte di mezzo e cinquantine di anni di differenza, a fare da metaforico cuscino ammortizzatore, non mi pare proprio il caso. Pazienza.



Pardona domenica 19 luglio 2029

 UN PACATO PASSATO DA DIMENTICARE

 Ascoltati gli alibi, stabiliti i moventi, ci si rende conto di quanto la vita sia poco matematica e lontana dal meccanismo logico di un qualsiasi romanzo poliziesco.

 Fanny Menga Chang

(dall’opuscolo didattico: “Più che un Giallo... direi, un Quasi Verdolino”)

 Virtualmente converso con mio zio Ithamar abbastanza di frequente, di solito la sera, seduto sulla panchina fuori. Specie quando c’è la luna piena, sennò cerco di ricordarmi le luci che c’erano e non ci sono più, quelle ferme e quelle in movimento. Il mare che altrimenti non si vede, ma si intuisce perché di solito è sempre là sotto, con tanti piccolissimi lumini lontani di paesetti intorno, tipo Porto Venere, in ordine sparso Marola, Fezzano, Le Grazie, da un’eternità lì nel golfo di La Spezia, le navi che passano, barche di pescatori, ognuna aveva i suoi bravi lampioncini.

Bei tempi, oppure no?

Ora è Ithamar che mi illumina, cioè qui al buio mi porta problemi, situazioni e persone a me completamente estranei e lontani, poi ne fa l’interpretazione assolutamente non richiesta.

Non mi pare che abbiano qualcosa a che fare con me o con il mio mondo limitato dalla mia filosofia invero piuttosto zoppicante, invece a pensarci bene ce l’hanno, eccome.

Una buona filosofia di vita, e mi raccomando non di morte, può aiutare parecchio un essere, suo malgrado pensante nella pratica dei suoi giorni.” Dice Ithamar.

“Il mondo presenta vari problemi a chi insiste nel volerci proprio vivere, principalmente a noi esseri umani, il primo guaio è indubbiamente la presenza di tanti, forse troppi altri esseri umani.

Hanno scoperto altri pianeti con sopra dell’acqua, questo non significa poi che ci sia della vita, come la intendiamo noi, e poi per ora non saprebbero lo stesso come spedirci delle vagonate di esseri umani, non in treno, ma come? Non si sa, perché sono lontani anni luce.

La sopravvivenza di per sé è desiderabile, ma provoca comportamenti insensati, superiori all’entità del problema. La gente lotta oltre l’effettivo bisogno di farlo, si crea nemici immaginari che non hanno altra colpa di volere lo stesso che vogliono loro, forse di volerlo troppo intensamente, come loro stessi, del resto. Più vivono male e più sono attaccati alla vita. Il consumismo nasce dal voler immagazzinare dei beni di conforto che non solo non ci confortano, ma che ci schiavizzano per dover guadagnare dei soldi per poterli comprare, mantenere, cambiare, portare al livello degli altri, o addirittura superiore.”

“Non mi dirai che io sono consumista…”

“No, ma ne sei assai influenzato, al contrario, fai di tutto per non accumulare, cioè vuoi scegliere troppo.”

“Fammi qualche esempio.”

“Le scomuniche.”

“Come le scomuniche?”

“Non te le ricordi più? Non è roba del passato, anzi, là in Italia è continuata a tutto vapore...

Sì, la gente va selezionata, ti giustifichi con te stesso, comunque è un meccanismo inconscio e forte, come per tuo padre. O una persona ti piace molto o troppo poco, non riesci a sentirti indifferente, e per farlo devi allontanarti da questa persona, che eventualmente ti stia recando danno sproporzionato al piacere di starle insieme.”

“C’è un robusto fondo di verità. Tra tutti quelli che ho conosciuto però, che non sono pochi, un mio amico di  Boulogne - conosciuto a Oslo, uno giammai scomunicato, tale Henry Brest - diceva che mi sbagliavo a voler selezionare, lui usava un altro sistema: si ubriacava tutti i giorni e la gente gli pareva migliore.

Non so nemmeno se è ancora vivo, ma non credo.

Invece io no, all'alcool ci ho rinunciato e anche quando bevevo scomunicavo a tutto andare, anche così il mio senso critico non risparmiava l'osservazione degli altri e anche la feroce critica a me stesso, devo ammettere.

C'è anche da dire che così facendo riesco a non sentire rancore per queste persone, dopo un poco di tempo, le considero solo disgraziate, perché debbano rinunciare alla mia compagnia.”

“Ah-ah-ah!”

“Era un’affermazione ironica.

Ecco un altro punto strano; quando li vedo, o me li immagino, ho difficoltà a credere, per qualche attimo, che loro possano continuare a esistere, anche dopo averli esclusi dal mio mondo.

Sto ironizzando ancora su me stesso, l’avrai capito ora. Lateralmente però, critico molto anche il mio stesso modo di vivere, questo mi permette di migliorare, perché non mi accontento mai, cioè ogni giorno sto studiando il modo di fare qualcosa di più o di migliorare quello che sto facendo attraverso altri sistemi nuovi o già usati, ma forse usati male, o nel momento sbagliato, o in altre situazioni.”

“Il bello che ti dici tutto da solo, lo sai che sbagli eppure continui.” Dice sorridendo Ithamar, io non lo vedo ma lo sento, ricordo molto bene quel suo sguardo che commisera l’interlocutore, lo usa a priori, anche senza ragione, fa parte del suo modo di fare.

“Non sono del tutto d’accordo. Dal punto di vista di gente che vive assai meccanicamente la sua vita, io vivo analizzando di continuo, lo posso fare perché vivo assai ritirato, io penso troppo, io questiono anche l'inquestionabile. In un certo senso invece penso di testare abbastanza la mia vita, nel senso che sono assai più disciplinato della maggior parte della gente e questo mi ha sempre permesso di lavorare meno e di prevedere il futuro in maniera approssimativa, ma con i piedi per terra soprattutto per quanto riguarda la mia situazione finanziaria.”

 “Hai parlato abbastanza ma non hai detto molto. Tagliando corto forse è colpa di Cicero, tuo padre. Il vostro antagonismo è cominciato da lui, ma tu non te ne sai liberare ancora, dopo che è morto da parecchio tempo. Quasi come se tu dovessi fare per forza il contrario di quello che faceva lui. Tuo padre diceva che la vita non si può controllare e con questa scusa, certo lui non lo ammetteva, ma non si sentiva minimamente responsabile per quello che faceva e scaricava tutto il suo pesantissimo Ego sugli altri, che lo sopportassero o no a lui non gliene fregava niente.

Tuo padre nel lavoro era un ruffiano tremendo, sempre sorridente e disposto a leccare le altrui palle fino all'orgasmo. Anche fuori nel tempo libero si comportava in maniera untuosa, ma senza modificare di un millimetro il proprio comportamento di fronte alla diversità e sebbene volesse mostrare proprio il contrario, era permaloso e vedeva i rapporti tra le persone in maniera assai poco sentimentale e sempre interessata.

Non è mai cambiato, almeno in questo senso di evoluzione dialettica, è sempre stato abile a negare l'evidenza e a provarla con evidenze che erano evidenti solo per lui, robe inesistenti in assoluto. Attraverso la bugia e il suo atteggiamento, quello di chi aspetta sempre la mossa dell'altro per poter agire di rimessa, valutava erroneamente che fosse più facile e al riparo da ogni rischio. Ma la fatica che uno dura solo per evitare la verità e ricordarsi tutte le bugie che dice?”

A volte mio zio ha ragione, non è uno stupido, e poi se uno parla tanto alla fine qualcosa di giusto lo dice per forza. Sono tornato un po’ indietro nel tempo, pensare a quelle situazioni mi è sempre piaciuto poco, ma forse era necessario.

Poi c’era il miglior amico di mio padre, Conrado Sixto, che lo manipolava facilmente, il suo amicone era un boss ed è stato lui che per primo mi ha pagato per uccidere un uomo. Usava molto quello che dicevano gli altri come se fosse suo, aveva il raziocinio rapidissimo e se te lo mettevi contro ti tagliuzzava sadicamente a rasoiate di lingua sottilissime e velenose... ma in fondo la sua volontà era poca, se non messa alle strette in maniera diretta, viveva anche lui in un tunnel come Cicero, mio padre, la struttura della sua giornata lavorativa era pesante, nonostante l'età e la sedentaria maniera di vivere, ce la faceva ancora perché viveva così da tempi immemorabili.

Parlavano male l'uno dell'altro, ma almeno frontalmente si difendevano a spada tratta. Per bene che andasse, se non si trovavano nella reciproca presenza, si appoggiavano assai meno, o niente del tutto. 

Tutti e due vivevano in un tunnel di quello che chiamano lavoro, ma era piuttosto delinquenza, tutti e due smettevano di aver rispetto del disgraziato che stava loro di fronte, dal momento in cui si manifestava una divergenza di opinioni, tutti e due avevano un Ego enorme e sotto, se si andava a vedere, non c'era quasi niente, uno scudo gigantesco per proteggere delle nullità, anche dagli sguardi, anche dalle indiscrezioni. Lo scudo insomma serviva anche a proteggere loro da stessi, ecco perché comunicavano tanto poco con le loro stesse anime, sarebbe stato piuttosto scomodo.

Mio padre era già in ospedale, non ci sarebbe più uscito se non con i piedi davanti, non seppe mai che avevo fatto fuori io Don Conrado, e quella fu una catena di coincidenze, partite dal mio voler risparmiare Alberto Nuti.

Non era stato l’amico di mio padre a commissionarmi il contratto, ma quando mi misi contro l’altro boss, attaccato ci venne, in offerta speciale, anche Don Conrado, e la sua numerosa gang.

Vedi che ti succede? Ebbi a dire a me stesso. Se avessi fatto il fornaio, tanto per dirne una, questo non mi sarebbe capitato.

<Fare attenzione bimbo, quando si sceglie un mestiere.>

Probabilmente Don Conrado aveva garantito per me, ora era con lui che dovevo usare la mia arte, ma se esattamente di arte si trattasse non lo sapevo.

Fu proprio lui a dire la famosa frase, che magari non gli costò direttamente la vita, ma di sicuro accelerò il processo già in atto:

“Io ti ho fatto e io ti disfaccio!”



Pardona domenica 9 settembre 2029

 S.PIETRO A PORTOVENERE

 Alcuni studiosi dicono che i sogni notturni hanno a che fare con la realtà che stiamo attraversando durante il giorno, di quel periodo. Altri studiosi dicono che gli studiosi del suddetto gruppo sono piuttosto dei sognatori a occhi aperti e che non hanno la minima idea della realtà.

Rupert Bocchio Zapf 

(Se Tale Documento Mai Fosse Divulgato)

Non so perché vado spesso a fare perlustrazioni a Portovenere, forse perché è abbastanza vicina e poi mi piace, in più sono anche sempre curioso di vedere a che punto la rovina si sia abbattuta sul borgo ligure.

L’ultima volta io e Pugacioff, abbiamo camminato lentamente scavalcando le ossa umane sparse in giro e incontrando animali singoli o in gruppi, piccoli, medi e grandi che sembravano come al solito sorpresi di vedermi.

Ho sostato a rimembrare il passato davanti alla finestra di Byron e avrei anche fatto delle foto, ma ormai eravamo tornati all’età della pietra.

Salendo verso la chiesa sulla rupe a picco sul mare sono passato accanto a quella enorme scacchiera dove giocavano con pezzi scolpiti nella roccia, o forse di cemento armato, sono sceso nella spiaggetta sottostante e mi è venuto in mente il film Il Settimo Sigillo di Bergman e la partita a scacchi con la morte, una pellicola che non avevo visto che a pezzi, ma quella scena mi aveva impressionato.

Lo scenario simbolico di morte e di spiaggia sassosa mi sembrava affine, anche se quella del film era molto più ampia.

   A un certo punto Pugacioff, appena uscito dal mare con un grosso bastone in bocca che gli avevo buttato io, ha guardato verso l’alto e ha abbaiato, girandomi velocemente ho visto come un’ombra sparire dentro il portale di pietra e il lembo di un vestito nero svanire aldilà dell’ingresso di quel muro antico. Con il rumore del mare mosso contro gli scogli non avevamo potuto avvertire qualsiasi altro indizio sonoro.

Abbiamo rapidamente scalato i gradini e arrivati su non c’era nessuno, poteva essere stato un corvo, un cane nero, che ne so, anche un cinghiale che sembrava più scuro di quello che era, forse la mia immaginazione aveva fatto il resto. Mentre ci guardavamo intorno, a maggior distanza è avvenuta la stessa illusione ottica, alla porta della chiesetta di S.Pietro aperta, lassù in alto. Siamo corsi con la fiataccina anche lì, ma non c’era niente e nessuno, sono sceso anche nella cripta, accendendo al volo una candela senza pagare, mentre Pugacioff abbaiava furiosamente perché non poteva scendere le ripidissime scale e la chiesa rimbombava in maniera assordante. Nulla nemmeno lì, a parte teschi e scheletri, i soliti mucchi di ossa umane.

Mi sono seduto su una panca polverosa a riprendere fiato, in quel momento ho sentito forte una voce echeggiare:

“Che tu potessi di tua spontanea volontà entrare in una chiesa non l’avrei mai creduto!”

“Eh?”

“Sono io che ti parlo. Mi rivolgo soprattutto al tuo cuore nascosto. Confessati figliuolo, ne hai un estremo bisogno, noi due lo sappiamo…”

“Ma che sapete? E poi chi siete voi?” Ho pensato io ad alta voce.

“Noi due nel senso d’io e te. Dove io sono Padre Ramiro Lameira della diocesi di Ciudad Ojeda!”

 La voce era la sua, con un assai realistico eco della pietrosa chiesa. Don Ramiro era mio coetaneo, eravamo stati in classe insieme alle elementari. Era molto intelligente, e ciò nonostante simpatico e buono, dotato addirittura di ironia e autocritica.

Se tutti i preti fossero stati come lui magari anch’io stesso, da sempre contrario alla chiesa e alle religioni in genere e numero, mi sarei forse quasi-quasi convertito.

Il suo difetto maggiore però era che la diocesi di Ciudad Ojeda per lui era sconfinata, non bastava l’universo per scappare e mi aveva sempre inseguito con le sue lettere e i suoi e-mail, per convertirmi a qualcosa al quale, a mio giudizio, non credeva più nemmeno lui, insomma voleva salvarmi, ma non sapeva bene nemmeno da cosa, né perché. Solo per partito preso, o per simpatia, chi lo sa?

Ogni tanto però era venuto a parlarmi delle cose che non avevano niente a che fare con i peccati miei o con la chiesa cattolica.

Altre volte anch’io ero ricorso al suo aiuto, più tecnico che spirituale, ma in lui erano cose ben collegate.

Sulle pandemie per esempio aveva la stessa idea di Zino, erano tutte solo congiure a spese nostre, povere pecorelle smarrite e stupide, non necessariamente in quest’ordine. Io non lo sapevo, all’inizio, non avevo una posizione definita, quello che diceva lui non lo escludevo, ma non ci credevo fino in fondo.

Con lui avevo sempre scherzato sulla confessione, lui mi diceva di confessarmi sempre e subito, che ne avevo estremo bisogno e io allora di rimando glielo intimavo a lui, pur sapendo che lui di peccati non ne aveva, se non quell’insistenza nella missione di voler salvare tutti e me per primo, che non ne sentivo alcuna voglia o necessità.

In quel momento alcune domande mi ronzavano nel cervello. Il lembo della sua veste nera da prete era quello che avevamo visto io e Pugacioff? Stavo cominciando a impazzire... e perché allora anche Pugacioff, nello stesso fottuto momento?

Mentre Ramiro introduceva a parole il suo misto indissolubile di religione, cibernetica ed economia, l’ho battuto sul tempo e gli ho chiesto subito della congiura mondiale che lui dichiarava in atto.

 “Non mi confesso da anni ormai e ho perso il conto dei peccati, tanti o troppi non fa alcuna differenza, ma a proposito della pandemia e degli intrighi internazionali cosa avresti da confessarmi tu?”

“In che senso?” Ha chiesto lui.

“Che se la pandemia era una manovra come dicevate voi, ora sono morti anche loro, i manovratori, ma che minchia di manovra era?”

Le risposte non ce le aveva, ma ha subito tagliato e confuso le acque. Su alcune cose era molto preciso, su altre svicolava, diventava molto approssimativo, se e quando gli faceva comodo.

“Ah, è vero. Penso che gli sia semplicemente sfuggita dalle mani.”

“Spiegati meglio, padre nostro che sei nei cieli...”  

“Intanto i cieli sono diversi da come me li ero immaginati. Ma questo è normale e poi c’è anche un altro discorso. Le crisi, queste cose malamente manovrate, sono sempre tentativi di fregare la gente, le povere pecoracce sperdute, tentativi finiti male anche per loro, a cui poi cercano di rimediare.

Le congiure, da quella di Lucifero in avanti, sono sempre andate a parare dove non volevano e allora, prima di rimetterci troppo, cercano di ristabilire le cose, ma l’entropia dice che più processi chimici o fisici si mettono a funzionare, più difficoltà abbiamo a tornare indietro, le variabili della teoria del caos diventano troppe e si perde facilmente il dannato controllo...”

“Beh, effettivamente...”

“Nel caso specifico hanno voluto o dovuto studiare un virus più forte e gli è stato letale...”

“A loro e a tanta gente che non c’entrava niente...”

“Così è la vita, tutto inizia e poi si trasforma, niente finisce ma tutto cambia. Vedi che non sono un povero parroco sprovveduto e ancorato al passato. A proposito poi ci sarebbe quella storia del tuo secondo lavoro, che non mi hai mai confessato.”

“Perché avrei dovuto confessartelo se lo sai benissimo e non credo nella confessione, né nella chiesa, né in un qualsivoglia Dio, nel suo eventuale perdono o condanna?”

 “Non fare il furbo con me, quando avevi bisogno del mio aiuto però ci credevi... o no?”

“Credevo nel potenziale tuo appoggio, che si è rivelato poi efficace, in alcune occasioni, ma non sempre, niente di più e non ti ho mai fatto credere che fosse così.”

 “Confessati ragazzo mio, anche se hai settant’anni e passa ti sentirai più giovane e leggero. Tanto ormai...”

“No.”

“Ti devo dare una notizia, ti può essere preziosa. In cambio della tua confessione.”

Non era tipo da bleffare e confessarmi in fondo non mi costava niente, in due minuti eravamo pronti.

“Ma sì, tanto ormai...”

“Bravo. Non sono venuto solo a parlarti di cose per te senza senso. Lo avranno in seguito, vedrai, ma confessati prima: poi ti dirò. Parola di Giovane Marmotta.”

Ho confessato dunque tutti i miei peccati, o almeno quelli che ricordavo, perché erano tanti e poi non sapevo quali veramente lo fossero e quali no.

“Tra i sopravvissuti ce n’è uno che ti ha giurato morte, tale Zé Larnaca. Questo nome non ti dice niente?”

Se mai avessi avuto paura di un uomo sarebbe stato Zé Larnaca, il cui fratello amatissimo a suo tempo io avevo ucciso, mi aveva giurato morte e torture abominevoli, non necessariamente in questo ordine.

Ormai era notte e sono tornato a casa in fangosa jeep con Pugacioff. Ho avuto difficoltà a non addormentarmi, mi girava anche la testa, non siamo usciti di strada per miracolo. Forse così avrei risolto il problema nel migliore dei modi. Invece no: sarebbe magari morto anche Pugacioff e non se lo meritava proprio, insomma molto meno di me.



Pardona sabato 12 febbraio 2030

 LA MIA DI FILOSOFIE 

La filosofia non serve per approfittare delle verità dei vari pensatori, che si divertono l’uno a dire il contrario degli altri, ma per stabilire un nostro comportamento efficace, attraverso i normali ostacoli del nostro cammino.

 Patroclo Piersanti

(La Trincea di un Calzolaio a Caso) 

Al di fuori del mio dialogo con mio zio Ithamar che mi fa spesso e volentieri perdere le staffe, ma lo fa a fin di bene, lontano dalle ideologie religiose di padre Ramiro, che ha senza dubbio a cuore non solo la mia salute ma quella di tutti, la mia filosofia di vita si divide in due parti.

La prima è precedente alla cosiddetta catastrofe, la seconda ovviamente è quella dopo.

Come qualcuno anticipandomi di pochi anni ha dichiarato, la nostra disponibilità nei confronti del nostro prossimo cambia in proporzione alla legge della domanda e dell’offerta. Cioè se sei uno che vive in mezzo alla gente diventi meno disponibile, perché ti rompono un po’ le scatole.

Se invece rimani solo al mondo allora le persone sembrano migliori, ti ricordi più facilmente le cose belle dell’umana compagnia e ne senti quasi la mancanza. E comunque è facile essere ben disposti con un prossimo teorico e assai più difficile con uno che ha una faccia e un corpo, soprattutto una personalità ben delineata e diversa dalla nostra, in buona sostanza: un seccatore.

Detto tra noi pensavo che il mondo senza la gente diventasse molto migliore, alla fine però mi manca qualcosa, forse ho perfino paura di dire qualcuno.

Prima della catastrofe ricordavo con piacere alcuni momenti della mia vita a contatto con determinate persone, forse perché la mente in genere, in maniera del tutto automatica, esclude i brutti ricordi. Però a me succede il contrario, mi rammento più facilmente delle cose brutte e mi dimenticherei al volo le cose belle. Qui entra il mio ragionamento e mi sforzo di cercare il positivo, di solito lo trovo e me lo godo.

Nel nostro caso mi sono impantanato in un ragionamento più che altro laterale, ora cercherò invece di rimanere sull’essenziale.

La mia filosofia di vita fino a un certo punto della mia storia è stata rappresentata dallo stare bene con la gente che mi stava attorno e cercare di far stare bene anche loro, fregandomene in seguito e alla grande se usavo un po’ troppo il verbo stare, dato che non avrei saputo trovare sinonimi equivalenti ed efficaci.

Accorgendomi che più passava il tempo invece insieme agli altri ci rimanevo poco e male, ho cercato di concentrarmi di più su me stesso, capendo meglio, se ne fossi stato capace, ogni mio desiderio o bisogno.

Questa parte mi è riuscita, almeno quando sono approdato a un certo tipo di standard più funzionale, del mio comportamento nei miei stessi confronti, allora in maniera del tutto automatica sono stato meglio anche con gli altri, ma intanto quelli se ne erano andati.

I cani per me sono un esempio positivo, una fonte di ispirazione.

 

Cerca di vivere come il cane

 

Non lasciare  passare l’opportunità di uscire a passeggiare.

Prova la sensazione dell’aria fresca e del vento sul tuo muso (o faccia) per puro piacere.

Quando qualcuno che ami si avvicina, corri a salutarlo. Quando ce n’è necessità, pratica l’obbedienza.

Fai sapere agli altri quando invadono il tuo territorio.

Quando puoi, schiaccia un pisolino e stirati per bene prima di alzarti.

Corri, salta e gioca ogni giorno.

Mangia con gusto ed entusiasmo, ma smetti quando ti senti soddisfatto.

Sii sempre leale.

Non fingere mai di essere quello che non sei.

Se quello che vuoi è coperto di terra, scava fino a trovarlo.

Quando qualcuno sta attraversando un giorno difficile, stai in silenzio, siediti vicino e tenta gentilmente di compiacerlo.

Evita di mordere quando un semplice ringhio può risolvere.

Nei giorni tiepidi, stenditi di spalle sull’erba.

Nei giorni caldi, bevi molta acqua e riposa sotto un’albero frondoso.

Quando sei felice, danza e fai ondulare tutto il corpo.

Non importa quante volte ti hanno censurato, non assumere la colpa che non hai e non ti sentire intimidito... corri immediatamente di nuovo dai tuoi amici.

Rallegrati del semplice piacere di una camminata.

Se il tuo problema ha soluzione, allora non ti devi preoccupare. E se il tuo problema non ha soluzione, tutta la preoccupazione sarà invano.

(Raccolta di regole tradizionali tibetane, probabilmente non scritte da un cane.)


Pardona domenica 2 novembre 2030

 ARRIVEDERCI E GRAZIE 

È dubbio se gli oppressi abbiano mai lottato per la libertà. Essi lottano per l’orgoglio e il potere potere di opprimere gli altri. Gli oppressi vogliono soprattutto imitare i loro oppressori; vogliono vendicarsi.

(Eric Hoffer)

 “Seguendo passo per passo il libretto delle istruzioni del Pescatore senza sforzi, che mi ha dato Pierosky, ho costruito una proficua nassa di cemento dall’ingresso del ruscello verso le vasche delle carpe, i pesci piccoli, che grandi lì non ce ne sono, entrano con la corrente, poi non riescono più a uscire. Ho messo delle reti metalliche a V con una bocca grande di entrata a imbuto, per infilarcisi basta seguire la corrente, ma per uscire non ci arrivano proprio a infilare il varco. Quando ce ne sono abbastanza io li tiro su con una retina apposita e mi faccio un fritto croccante e profumato.

Gli anni passano e ogni tanto provo a vedere se c’è la luce, se funziona la radio, senza alcun risultato. Ogni tanto qualche fuoco, a volte anche qualche incendio. Più nessuna automobile però, o imbarcazione, autobus o anche piccoli aerei. Nulla.

Ogni tanto mi appare in sogno il prete che mi ricorda che devo morire, che Zé Larnaca è vicino, che è solo una questione di tempo.

Nella vita è quasi tutto una questione di tempo, però ci sono vari livelli e interpretazioni.

Mi chiedo ancora e spesso se veramente sia ancora vivo e dove sia. Dovrebbe avere anche quasi un centinaio di anni, ma la sua faccia mi appare lo stesso come una minaccia. Lo vedo anche nella ghiaia e nelle corteccie degli alberi, sui muri scalcinati e in ogni buio.

Se magari non stia organizzando qualcosa da qualche parte, con un manipolo di sopravvissuti armati ai suoi ordini.

Alla fine dell’estate mi è capitato di passare per zone dove c’è acqua e branchi di animali, forse cinghiali. I tafani si sono moltiplicati, in certe zone attaccano a nuvole e si deve scappare, mordono come ossessi, ma non demordono facilmente.

All’andata della mia perlustrazione non ce ne erano quasi, ma al ritorno ho dovuto mettermi a correre, mentre li prendevo invano a cappellate e dopo mi hanno inseguito fino in casa.

Credo che sentano quando sei sudato e allora arrivano miriadi di antipatiche bestioline, che cercano di pungerti, come se fosse l’unica cosa al mondo che possa interessargli. Ai primi freddi per fortuna spariscono, penso che muoiano.

È incredibile pensare alla complessità della natura. Mi sono ricordato che le lucciole maschio vanno in giro e fanno luce intermittente, ma quasi nessuno conosce le femmine, che fanno luce continua, e stanno molto più appartate.

Per i tafani invece sono le femmine che succhiano il sangue e infernizzano la vita di chi vive in certe zone di campagna. Invece i maschi succhiano i fiori, non danno noia ad animali e persone.

Ci sono anche tanti uccelli in giro e con il fucile da caccia ogni tanto sparo a qualche fagiano, o colombaccio, ma non sono mai stato un amante della cacciagione.

I cinghiali sono tanti, si sono riprodotti in maniera esponenziale e qui non ci sono molti predatori, a parte me, che ogni tanto ne arrostisco qualcuno, per dare da mangiare ai cani.

Ci sarebbero anche i cani selvatici, spelacchiati, magrissimi e rabbiosi che attaccano a gruppi, pare siano incrociati con i lupi e sembrano malati, mi dispiace ma gli devo sparare, per proteggere i miei cani fedeli, le mie risorse alimentari, e poi magari anche me, se non ci sto attento.

C'è da difendersi anche dai topi e dai corvi, gli avvoltoi si avvicinano sempre di più, come se aspettassero impazientemente la nostra morte.

Una volta dalle nostre parti non ce ne erano, con tanti cadaveri devono aver proliferato abbastanza, però dopo anche i corpi allo sfacelo hanno cominciato a mancare.

Stare attenti a non essere mangiati e procurarsi da mangiare erano le occupazioni degli uomini primitivi, però a pensarci bene ora io sono già ritornato a quel periodo in cui la caccia veniva in parte sostituita dall’allevamento.

Per l’agricoltura forse ci voleva la donna, ma qui non ce ne ho e poi un piccolo orto mi basta.

Le donne badavano ai figli e al territorio adiacente l’abitazione, l’uomo stava fuori tutto il tempo a caccia. Confesso che una donna mi manca e anche qualche amico come te, Annibale, ma non si può avere tutto.  

Per conto mio, in nome dell’umanità, forse avrei dovuto andare a cercare una femmina di uomo in mezzo a questi gruppi di predatori che vagano per il mondo, magari prenderli a fucilate, rapirla e portarla qui. Però ero troppo vecchio per quello. Avevo concluso che alla riproduzione, se ne avevano voglia, ci avrebbero pensato loro. Sarebbe stato bello che l'uomo avesse imparato dai propri errori e avesse sviluppato un'umanità più lungimirante, insomma meno idiota, per intenderci, ma non ci credevo.”

“Io anche un lo so nemmeno se ci credo o no!”

“Te certe cose non te le sei mai chieste, perché non ne hai mai avuto bisogno. La tua vita è stata tranquilla e senza pensieri!”

“Insomma, un ti dimenticare che c’è stata la guerra…”

“Ah sì, è vero. Il conflitto bellico. Ma anche il virus nostro è stato come una guerra, anzi peggio. Io ogni tanto insisto e provo ancora se la radio trasmette qualcosa, invano. Nelle mie trasferte cerco il passaggio di esseri umani e ne trovo anche, ma difficile sapere quando è stato, se ancora vivono, chissà dove. Ma sembrano tracce vecchie e polverose.

Intanto ho costruito un capannello, mimetizzato con teli militari su una quercia alta, da un punto di vista sopraelevato e strategico.”

“Su alla Loggiona?”

“Sì, di lì si domina tutto il paesaggio. Con il fucile a cannocchiale faccio la guardia qualche ora al giorno, di solito dopo pranzo, sonnecchiando anche un po’, il resto del tempo lo passo al metato, che di lavoro ce n’è sempre assai, per nutrire la mia mandria mista e affamata. Qualche escursione giù a valle ogni settimana per trovare cose nuove o vecchie: vestiti, medicine sempre più scadute, ma alcune ancora utili, tante cartucce, gasolio, benzina e farina, sto facendo di nuovo il pane, ma di notte per non far vedere il fumo del forno da lontano.

Lassù alla Loggiona c’è una radura grande, una volta ho visto quattro cinghiali adulti scappare sul terreno erboso con una lieve pendenza, erano andati a bere, li avevo spaventati io arrivando e loro correvano senza eccessiva fretta, eppure erano assai veloci e spettacolari, appoggiavano insieme le gambe dietro e poi quelle davanti, parevano quattro tozzi trapezi scuri caracollanti in piena luce, per quei pochi secondi necessari per infilarsi nella macchia, hanno trottato fino a scomparire alla mia vista.

Il tempo si è piacevolmente fermato da quando sono spariti gli esseri umani, non so da quanto tempo non guardo un orologio, devo ammettere che anche prima della catastrofe non ne avevo uno, ma ora è totalmente inutile, a cosa può servire?”

“A niente, io al tempo un ci penso mai.”

“Perché sei morto!”

“No, anche quando ero vivo, solo quando lavoravo, tanti anni fa. Domandaglielo a Ivalda! Seguivo il sole e mi bastava.”

“Beh, il tempo per noi esseri umani passa in una maniera, per gli animali è un concetto astratto.

Il tempo per noi passa anche se non sembra, e come su un’ideale Arca di Noè, ci sono inevitabilmente anche i parti, che purtroppo non sempre si trasformano in nascite. Le galline e le carpe fanno da sole, basta cambiarle di gabbia o di vasca al momento opportuno.”

“Per le anguille invece no.”

“No, infatti. E per gli altri ho letto sui libri come si fa. Ho imparato a mie spese, ma soprattutto a spese delle mie cavie involontarie, a non fare più cazzate.

Con gli anni e la multilaterale esperienza sono diventato un discreto ostetrico, modestamente penso di essere trai migliori in circolazione. Finché siamo vivi bisogna seguire i segnali di vita, i sistemi sono tanti e la cosa migliore è osservare quotidianamente i cambiamenti.

Ecco che attualmente secondo i miei calcoli e i doloretti alle articolazioni dovrei avere approssimativamente settant’anni, quassù non è arrivato ancora nessuno, non so se sono rimasto solo o no.  Non credo. Comunque non fa molta differenza, ormai.

Spero di non avere bisogno di un medico, quando morirò che possa accadere d’improvviso. 

A volte penso che avrei dovuto provvedere alla continuazione della specie umana, altre volte penso che in fondo è meglio così, comunque sia è troppa responsabilità per uno che non è mai stato un dio e non ci ha nemmeno mai assomigliato. 

Chissà cosa faranno poi le mie bestioline senza di me. Con il tempo, avendo io bisogno di mangiare meno, alcuni li ho liberati, ma non se ne vanno, continuano a girare attorno al recinto. 

Ho pensato che almeno gli avrebbe fatto bene vedere di nuovo la strada aperta, se potevano. 

Si erano affezionati oppure si rendevano conto che io ero una fonte di cibo sicura? Ho continuato quindi a dargli da mangiare lì attorno al recinto.”

“Hai fatto bene, povere bestie.”

Oltre che per Annibale, la libertà per gli animali è un concetto vuoto, non possono teorizzare nemmeno la sua mancanza, della libertà, non avendo mai conosciuto la purtroppo umana paura della paura, seguono solo le regole essenziali della sopravvivenza e il resto lo ignorano, quindi se ne fregano.

Invece, per noi umani cresciuti nelle grandi città, è una cosa sempre parziale e anche così da conquistare faticosamente, perché tutto il sistema, che proprio noi ci siamo costruiti attorno, ha la tendenza a obbligarci a fare delle cose che noi non vorremmo fare.

La prepotenza, spesso anche inconscia, a volte anche ipocritamente mascherata, è stata una delle manifestazioni più comuni sulla terra. I prepotenti la chiamano la legge del più forte e ne sono perfino orgogliosi. Almeno finché non trovano uno più forte di loro, che magari in nome di Dio, li massacra.

Quello che per il ragno è il paradiso è inferno per la mosca, e nessuno dei due pensa al punto di vista dell’altro.

Annibale mi ha fatto notare che quando lui era vivo, io non parlavo mai così tanto. Anche se era già morto, gli ho risposto che questa è una cosa scritta, dal vivo era lui che mi faceva parlare molto meno, difficilmente riuscivo a finire una singola frase.

Quando il mondo era più popolato, di cose ne succedevano di più, non tutte belle, però c’era più movimento. Ho notato che stranamente mi manca quel senso di pericolo che una volta sentivo in maniera continua e che mi faceva muovere in un senso o nell’altro. Era il mio punto di riferimento, la mia bussola, che senza esseri umani intorno lentamente ho perso. Gli animali li sento molto meno minacciosi. Avevano un comportamento certo più lineare e meno distorto degli esseri umani, sicuramente più prevedibile.

Visto che non arrivava nessuno a vendicarsi e che la mia florida azienda a conduzione, distribuzione e consumo personale non aveva problemi per andare avanti, ho iniziato a uscirmene più spesso per delle perlustrazioni con la jeep, alle quali partecipava anche il mio cane più simpatico, il prode Pugacioff, misto di Pastore Tedesco con Cocker, figlio di Salsiccia e Mea.

Con Pugacioff ho un notevole rapporto di dialogo, nel quale parlo io e lui mi risponde, non solo a livello di immaginazione, ma dai movimenti del corpo e dalle sue espressioni io mi immagino cosa mi direbbe. Peccato che i cani non parlano, ha detto qualcuno, gli manca solo la parola, ha detto qualcun altro. Io personalmente penso invece che è proprio il loro maggior pregio, quello di non parlare e basta guardarli nei loro occhi languidi, per capire cosa vogliono o cosa pensano di te.

La parola è un virus, figurarsi che dopo tanti anni da solo continuavo a parlare, a immaginare di conversare con qualcuno, a rivolgermi ai miei animaletti con frasi ben articolate e non mi aspettavo certo che fossero le carpe a iniziare a rispondermi, ma quando i cani hanno cominciato a dialogare tra di loro e poi con me, con accento toscano di coche cole e cannucce lunghe e corte, non mi sono sorpreso più di tanto. Dopo anni di dialoghi-monologhi senza voci, padre Ramiro aveva  sbloccato qualcosa, o forse avevo solo sbroccato, sono rimasto comunque senza parole ad ascoltare.

Mentre li ascoltavo tra il divertito e il preoccupato, seduto sulla mia adorata panca verde, riverniciata da pochi giorni, Carola, la femmina di maremmano è venuta davanti a me, mi ha parlato con la voce di Barry White, per me inconfondibile, e mi ha detto:

“Zè Larnaca è ancora vivo e ti cerca.”

Dopo  qualche  necessario  secondo  di  sorpresa  ho chiesto:

“E cosa vuole da me?”

“Vuole ricostruire la nuova umanità. Ma prima deve fare una pulizia etnica, come la chiama lui...”

“Ma c’è ancora gente in giro?”

“Un duecento in tutto, forse qualcuno meno, divisi in alcuni gruppi e pochissimi eremiti solitari come te.”

“Ma io ormai sono vecchio e forse sono anche ammattito.”

“Buona questa! Cosa credi? Siamo tutti pazzi, anche lui, Zè, solo che ognuno ha i suoi tempi, la sua misura e la sua maniera, ma non c’è scelta tempo, ha bisogno di te. Prima fare giustizia, insomma, per poi ricominciare ammodino.”

“Sì, ma quale giustizia? Una volta esisteva il consenso, anche se valeva poco... almeno esisteva.”

“Ora c’è solo la legge del più forte. Che non significa il più intelligente o lungimirante.”

“Va bene, anche prima la prepotenza era mascherata ma funzionava ammodino, però mi viene in mente una cosa: Zé non è un vecchietto quasi centenario?”

“Novantasei anni, per la precisione, ma ha un piccolo esercito di disperati ai suoi ordini.”

“Il lembo svolazzante della veste nera a Portovenere era la sua?”

“No, quella era la tonaca di padre Ramiro.”

“Insomma, io che dovrei fare?’”

“Lui verrà da te, non dovrai aspettare molto.”

 


Pardona martedì 2 marzo 2031

 

IL BOTTONE

 

Mezza verità è una menzogna intera

(detto tradizionale ebraico)

 

Manco a dirlo, passarono approssimativi i semestri e non arrivava nessuno. Ero arrivato alla conclusione che oltre alla mia normale pazzia progressiva, i cani parlanti erano stati un effetto dei funghi tossici che avevo mangiato, sembravano dei prataioli ma erano viola vivo sotto, invece di essere appena rosati. Comunque non si è affatto presentato, né nessun altro, come io speravo. Ma quell’attesa mi aveva fatto più male che bene.

Un giorno ho visto un filo di fumo oltre il paese e sono andato a vedere, circospetto e nascosto, senza fare rumore. Quella, se voleva attirarmi fuori dai miei fortini, poteva essere una mossa astuta di Zè Larnaca. Ma il mucchio di sterpi secchi bruciati non ha saputo darmi risposte, se non che quello non era successo senza la mano umana.

Sono passati giorni bui di appostamenti e di notti dormite male, senza risultato. I miei animali erano tesi anche loro e i cani soprattutto, loro queste cose le sentono, ad ogni rumorino saltavano su ad abbaiare.

Sono rimasto un po’ più triste, anche i cani se ne sono accorti, stavo spesso seduto sulla panca davanti casa con Pugacioff che voleva che mi scuotessi dal mio torpore, il che avrebbe prima di tutto significato che mi avrebbe volentieri riportato quelle sue pigne bavose e io gliele avrei ritirate nel bosco. Invece no.

Un giorno a Pardona ho trovato non una, ma due automobili, messe in maniera che evidentemente erano state spostate. Una jeep Land Rover addirittura aveva i vetri puliti, dopo che per mesi erano stati fangosi e assai poco trasparenti.

Ho scoperto scatolette vuote sulla riva del torrente e resti di pasti in una casetta che visitavo spesso, come punto di riferimento a est del paese.

L’ipotesi della mia demenza insomma, alzheimer o pazzia, anche non erano da scartare.

Non era lui, ma qualcuno che qui attorno ci viveva, nascosto e vigile, se non lo avevo mai incontrato. Oppure da poco era arrivato. Larnaca se mi voleva stanare non ci avrebbe messo delle settimane, la sua tattica mancava di senso o di metodo.

Al suo posto mi sono trovato Ezri, dietro un angolo in paese, mi sono anche spaventato, ho imbracciato il fucile e lui ha gridato:

“Non sparare!!! Non sparare!!!”

“No, scusi... si figuri anzi sono contento, sono proprio contento che anche lei si sia salvato, ma come ha fatto?” Respiravo affannosamente per l’emozione, quanti anni erano passati non lo so, che non avevo più parlato con un vero essere umano.

“Facile, ho smesso di andare al bar.”

“Ecco io lo dicevo anche ai miei cani: basterebbe dissociarsi!”

 “Lei ha tanti cani feroci, lo so, e anche tanta roba da mangiare.” Era molto dimagrito, mi è sembrato, forse anche perché non aveva più barba né colbacco.

“Lei Ezri ha fame, non dica di no, perché non viene da me a fare uno spuntino?”

“Beh, se promettesse di non fucilarmi…”

“Nooo, glielo giuro! E poi i miei cani non sono abituati alla carne umana!”

Qui ha avuto un brivido, la mia ultima frase non era certo incoraggiante, né ben augurante. Per un attimo ha scrutato la mia faccia interrogativamente e poi ha riso, una risatina secca e corta. Chissà come aveva capito che non avevo cattive intenzioni.

“Ma mi dica: come ha fatto a sopravvivere? Lei ha la patente di guida? Perché non mi ha chiamato?” Gli ho chiesto.

“Troppe domande, tutte insieme, per un povero vecchietto che ha perso la memoria e non si ricorda né dove, quando.

Bene, comincerò dall’ultima, avevo paura che mi sparasse, mi scusi ma lei sembrava un soldato in guerra, che Iddio la porti piuttosto sul sentiero della pace, sempre-sempre armato e si guarda intorno con fare minaccioso.

Ebbene no, la patente non ce l’ho, ma per fortuna la polizia non mi ha fermato...”

Ho riso soltanto io, lui è rimasto serio, proprio come facevano i grandi comici.

“La prima domanda era sulla sopravvivenza, mi sono fatto un piccolo orto segreto, sono andato in macchina a saccheggiare di qua e di là, ho sbattuto qualche volta, pazienza, le macchine abbandonate in giro non mancano, per ora nemmeno la benzina.”

Abbiamo riso insieme, stavolta e intanto ci eravamo in segreto accordo avviati verso il metato.

“Ma la sua abitazione ora dov’è?”

“Dopo la cosiddetta catastrofe mi sono stabilito in quella grande villa sopra la strada prima di arrivare a Pardona.”

“Ah, bella assai, ci si sta bene?’”

“Piuttosto decadente ora, ma c’è l’acqua del pozzo, che è importante. Una volta era bellissima, proprietà di autentici ebrei, famiglia Zelman. Che Iddio li abbia in gloria.”

Forse non era il momento giusto, ma gli ho domandato la differenza tra giudei, ebrei e israeliti.

Non l’avessi mai fatto, Ezri era un audiolibro ambulante!

“Il termine “ebreo”, di origine biblica, è fatto derivare dal nome di Eber, discendente di Sem, antenato del popolo ebraico (Genesi 10, 21-25). La parola ebreo significava “regione posta al di là”: gli ebrei provennero da un territorio posto oltre l’Eufrate. La prima persona, nella Scrittura, a cui venga riferito il termine ebreo inteso come appartenente al popolo, è Abramo, in Genesi 14, 13: «Ma uno degli scampati venne a dirlo ad Abramo l’Ebreo, che abitava alle querce di Mamre». Il termine “ebreo” può dunque riferirsi a tutti gli appartenenti al popolo d’Israele dall’epoca patriarcale fino ai nostri giorni.

Il termine “giudeo” richiede un discorso più articolato. Innanzitutto è giudeo chi anticamente abitava la regione della Giudea, con capitale Gerusalemme. Vi è inoltre un significato più ampio, legato al suo corrispettivo astratto, “giudaismo”, con cui s’intende la forma assunta dalla religione ebraica successivamente alla conquista babilonese del territorio del Regno di Giuda e la conseguente distruzione del primo Tempio (586 a.C.). I giudei delle tribù di Giuda e Beniamino furono in gran parte deportati in Babilonia. Qui svilupparono una forma di culto forzatamente nuova. I sacrifici, attuabili solo nel Tempio di Gerusalemme, furono infatti sostituiti con una forma di culto più legata alla parola e grande peso assunse l’osservanza del sabato. Queste scelte furono mantenute anche con il ritorno degli esuli in terra d’Israele e con la riedificazione del Tempio (536 a.C.). Con la distruzione del secondo Tempio si rafforzò il giudaismo rabbinico. In questo senso, tutti gli ebrei vissuti dopo l’epoca biblica sono, religiosamente parlando, giudei. Il termine ebraico yehudì (giudeo) deriva dalla radice yadà (hodà) che significa ringraziare.

Il termine “israelita” innanzitutto significa, figlio d’Israele (Giacobbe), cioè tutti i discendenti dei dodici figli del patriarca Giacobbe, chiamato anche Israele (Genesi 32, 29). In secondo luogo “israelita” è un abitante del regno d’Israele, costituitosi con la frattura del regno unitario avvenuta dopo la morte di Salomone (ca. 922 a.C.) dove risiedevano dieci delle dodici tribù, escluse Giuda e Beniamino. Con la conquista del Regno d’Israele ad opera degli assiri nel 722 a.C., i suoi abitanti furono deportati o assimilati. Dal periodo dell’emancipazione (XIX sec.), il termine “israelita” fu impiegato come sostituto di “ebreo”. Oggi, per esempio, le comunità ebraiche locali sono chiamate anche “Comunità Israelitiche”.

Il  termine  “israeliano”  indica  esclusivamente  un cittadino dello Stato d’Israele, la cui fondazione risale al 1948.

Non tutti gli ebrei sono perciò israeliani, né tutti gli israeliani sono ebrei. Esiste infatti oltre un milione di israeliani (cittadini dello Stato d’Israele, appunto) di religione musulmana e, in misura molto minore, israeliani appartenenti a varie denominazioni cristiane e ad altre religioni.”

Dopo qualche minuto in silenzio, con l’unico rumore dei nostri passi sul terreno sassoso, ha detto che aveva conosciuto i miei nonni, Chulda ed Eliezer, che Iddio li conservasse puri, nell’alto dei cieli o dove volesse lui. Poi che Ezri, il suo nome, in ebraico arcaico significava “il mio aiuto”. Da questo, e da come lo ha detto, ho capito le sue intenzioni, che all’inizio mi hanno fatto riflettere, ma non molto a lungo.

Due mesi dopo infatti abbiamo costruito una stanza per lui al metato, Annibale dall’interno delle mie pagine ha provato anche a protestare, ma in maniera blanda e poco convinta, si sentiva che era contento per me e per Ezri.

“Non sono omosessuale, se è questo che sta pensando.” Gli ho detto un giorno che mi guardava in maniera strana. Lui ha riso, aveva pochi denti ma abbastanza scuri e storti.

“Aha! Lo dicono anche le scritture: l’intelligente ha gli occhi sulla testa! Vuol dire che quello che si può far capire a un intelligente con un cenno, a uno stupido bisogna farglielo sapere col bastone. Purtroppo o per fortuna neanche io lo sono.”

“Bello! Sono parole sue?”

“Nooo, lei conosce Shalom Alechem?”

“Non personalmente, ma ne ho sentito parlare.”

Non ce n’era bisogno, in quel contesto, ma Ezri è partito con una presentazione formale, piuttosto lunga ma interessante.

“Shalom Alechem, pseudonimo di Shalom Rabinovic (1859-1916), fu per qualche tempo rabbino, poi commerciante senza fortuna, prima di dedicarsi alla letteratura. Cominciò a scrivere in ebraico ma passò ben presto allo yiddish, lingua allora disprezzata, sotto lo pseudonimo di Shalom Alechem (che in ebraico significa “la pace sia con voi”). Shalom Aleichem è una canzone tradizionale cantata dagli ebrei ogni venerdì sera al ritorno a casa dalla preghiera della sinagoga. Segnala l'arrivo del Sabbath ebraico, accogliendo gli angeli che accompagnano una persona a casa alla vigilia del Sabbath.

Scrisse racconti, articoli, recensioni, opere teatrali e poesie in yiddish, ebraico e russo. In seguito a un pogrom nel 1905, Alechem si trasferì negli Stati Uniti. Iniziò poi a girovagare per America e Europa e a riscuotere popolarità nel mondo. La storia di Tewje il lattivendolo ha avuto una versione teatrale ed è diventato prima un musical, poi un film col titolo Il violinista sul tetto (1971).”

“Il film mi è piaciuto assai. E anche la commedia con Zero Mostel.” Ho commentato e lui se ne è visibilmente rallegrato.

Nonostante l’età avanzata Ezri ha imparato presto a fare i lavori necessari per la nostra sopravvivenza da vecchietti. Gli è stato facile, fisicamente sta bene, anche se la terra è sempre bassa, purtroppo, ma per lui stare curvato non è un problema, come per me. Inoltre a livello di nozioni di agricoltura, devo ammettere, ha molta più esperienza.

Non ama affatto le armi, ma ha dovuto imparare a sparare decentemente, non si sa mai. Sta tentando d’insegnarmi l’ebraico con risultati deludenti, almeno per ora, ma mi sto impegnando, anche perché ha portato dei libri antichi che mi sembrano intriganti.

Confesso che qualche volta ho pensato di aver fatto un errore a invitare Ezri a vivere da me. Non avevo nessun dovere di aiutare un membro della società, visto che finalmente questo era uno dei lati positivi della catastrofe – la società non esisteva più.

Dal canto suo Ezri ha dimostrato prima di tutto che se ne fotteva della società, come me del resto, nonostante tutto il suo amore per la tradizione, mi pareva che vedesse il passato del suo popolo come una favola, bella e brutta, comunque piena di roba, ma senza troppo senso pratico nell’attualità.

E poi ha saputo farsi benvolere, prima di tutto rendendosi utile, nel suo servizio agricolo ha preso in poco tempo tutto il lavoro in mano sua, in linea di massima lasciando a me le altre cose, salvo aiutarci a vicenda in caso di bisogno. Naturalmente anche tutta l’alimentazione vegetale delle bestiacce, includendo noi due, era ben presto passata a suo carico.

Dopo un po’ mi sono stupito a constatare che io avevo automaticamente preso il rimanente ruolo del macellaio-poliziotto, diciamo di capo-rappresentante dell’ordine, insomma addetto alla sicurezza della comunità, piccola, ma cazzuta, che in genere si cibava di carne, dove la verdura cominciava a diventare preponderante. 

Ezri ha confessato di essere un esemplare vivente, (a suo tempo raro al mondo, attualmente a maggior ragione,) di autismo logorroico. Tende ad allontanare gli altri proprio mostrando di volersi insistentemente avvicinare, parlando di cose di cui agli altri non gliene frega niente.

Mi ha pregato perciò di avvisarlo se e quando eccedesse nelle sue chiacchiere, che Iddio mi salvasse e mi conservasse sano e intelligente come pochi (o nessuni). Lateralmente mi ha spiegato anche che nessuni è un toscanismo, perché nessuno, parola diventata ultimamente più calzante e usata, rispetto al passato, non ha affatto bisogno di un plurale.

La sua fortuna è stata proprio che Pierosky, (che Iddio gli facesse pagare salati tutti i suoi altri peccati, ma non questo) lo avesse mandato via, perché parlava troppo e non consumava niente. Non aveva comunque tutti i torti. Vivendo da solo fuori dal paese, con il suo orticello nascosto, senza amici o semplici conoscenti, si era salvato dalla pandemia, come me.

Ha cantato poi le lodi di un certo suo cugino affetto anche lui da un lieve autismo, ma tanto una bravissima persona e anche assai simpatico, a saperlo prendere dal lato giusto.

Per risparmiare Ezri era un ebreo perfetto, in più aveva dei fottutissimi pannelli solari che abbiamo installato al metato, seguendo un confuso libro di istruzioni, per sommarli ai miei già in azione. Per diversi giorni siamo rimasti senza energia alcuna e anche se almeno originariamente non eravamo dei bestemmiatori, lo stavamo diventando.

Per fortuna mi è apparso Zino in sogno, e mi ha spiegato un piccolo ma importante particolare, un’inezia idiota ma che si burlava sistematicamente della nostra ingenua faccia di scarsi elettricisti. E il giorno dopo ce l’abbiamo fatta.

Per avere lo spazio sufficiente per i pannelli e per ampliare la vista sul mare dalla sua finestra, abbiamo dovuto abbattere due alberi, però il panorama è risultato ampio e piacevole e i pannelli alla fine funzionavano a dovere.

Per giustificarci Ezri ha detto che la sacra e fitta foresta del mondo emerso non avrebbe sentito troppo la loro mancanza, gli uomini, che Iddio salvasse la loro anima di peccatori e li mantenesse lontani da noi, avevano dovuto da anni abbandonare la loro - tutt’altro che lungimirante - opera di disboscamento e cementificazione.

Se potessi schiacciare un bottone e tutto tornasse come prima, onestamente non lo so se lo farei, Ezri dice che lui non ci penserebbe nemmeno un secondo, che Iddio ci mantenesse sani e lontani da quel bottone!

La nostra vita continua così, senza orologio né calendario, il sole e gli elementi tutti attorno, ci danno il tempo, se mai ne avessimo bisogno, ma spesso ce ne dimentichiamo proprio.

Ezri è quasi guarito dal suo autismo sui generis, la cura involontaria è stata sfogare la sua logorrea con gli animali, quelli non se ne offendono, si direbbe addirittura che gli piace.

La sera, dopo una giornata di lavoro spesso anche duro, ci beviamo un bicchierotto di vino, che ha iniziato a produrre lui da alcune vigne abbandonate ma opportunamente da noi rigenerate. Devo dire che stavolta il manuale da lui usato è stato efficace: il rosso è buono, il bianco deve ancora migliorare, il rosé è un misto dei due, perciò ancora ha ancora dei chilometri da fare prima di tirare fuori il suo indubbio potenziale.

Seduti fuori quando è caldo, dentro al caminetto acceso  quando è freddo, se abbiamo voglia di parlare parliamo, se abbiamo voglia di tacere stiamo zitti. 

Non ho mai trovato nessuno capace di ascoltare come lui. Forse una compensazione.  

L’aria è pulita e si vede a chilometri di distanza, le fabbriche chiuse e abbandonate da anni non avvelenano più il mondo e ci accorgiamo che è primavera quando le lucciole maschio di notte invadono il buio della campagna a milioni.

Perché il titolo non di ultimo ma di penultimo manoscritto? Ezri sta scrivendo il suo ed è un po’ più lungo del mio, e lui è anche più lento di me, insomma qua intorno poi non c’è più nessuna fretta.

 

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