Pardona,
venerdì 11 ottobre 2023
POTREBBE ANCHE SEMBRARE UN DIARIO
Da soli si è se stessi, in compagnia lo si è soltanto a metà
(Leonardo
Da Vinci)
Non ci è dato di sapere chi ha
rotto le scatole cinesi, quello che ne è venuto fuori ha cambiato la vita e la
morte di un pianeta, uno a caso, che non andava tanto bene nemmeno prima. Chi l’ha detto che nella vita mancano le sorprese? Ammettiamo di
faticare a trovarcene di positive, ma spesso molto dipende proprio da noi
stessi, anche a proposito della capacità di valorizzarle, di non dimenticarsele
subito.
Qua sulla penisola la gente, anche quando va
tutto bene, ha la tendenza a pensare a quando tutto andava male, per non
dimenticare, dice, però poi si scorda di vivere il presente, e va piuttosto a vagliare
il futuro, cioè quando - per via della rotazione - tutto di nuovo andrà per il peggio.
Io no, non voglio né dimenticare, né ricordare, piuttosto agire, muovermi senza stare a pensarmi addosso, viaggiare.
Nel tempo libero, da qualche anno a questa
parte, mi ficco quotidianamente in alcune diverse strutture di dialogo scritto
con me stesso o con altri personaggi virtuali, alcuni realmente esistiti. Ne
viene fuori un’efficace terapia ruspante di mia invenzione, non solo a livello
psicologico, ma anche pratico. Insomma io mi ci diverto assai, se serve a
qualcosa magari lo vedremo in seguito. In questi dibattiti non si tiene
minimamente conto dello spazio e del tempo, si parla con persone morte,
inesistenti, o da me cambiate artificialmente.
È come una specie di confessione, ma senza il
prete. Si discutono cose positive o negative, ma che a volte non sono ancora
avvenute, che forse non accadranno mai, e forse questo è il bello, c’è una
certa libertà dagli schemi. Si considera il carattere degli individui con cui
si parla, ma si possono anche un po’ modificare, quelli che parlano troppo per
esempio, li faccio ascoltare un po’ di più e mi vendico di tutte quelle volte
che mi hanno sommerso sotto cataste di parole non richieste.
E a chi dice che mi conosce potrei dire che
si sbaglia, i pareri espressi infatti discordano assai tra di loro, tutti però
almeno sono d’accordo su un punto: dicono che ho diverse personalità, che non
si sa nemmeno quante e meno male, aggiungo io, sennò mi annoierei. Non me ne
vergogno, no-no, ma cerco di capirle, queste persone che ogni tanto affiorano e
litigano dentro di me. Non sempre ci riesco, ma almeno ci provo, e a volte,
forse per caso, vanno perfino quasi d’accordo.
Mi hanno accusato di essere affetto da un
certo autismo, come se fosse colpa mia, secondo me hanno un po’ ragione, ma
anche un po’ torto.
“Se qualcuno avesse pensato che io fossi
diventato un emerito rompiscatole solo in vecchiaia non sa proprio di cosa sta
parlando, né di chi. Gli si dovrebbe riferire che a cinque anni, a scuola, in
una classe con bambini di prima, seconda e terza, rispondevo correttamente alle
domande fatte ai più grandi da mia madre, che era la maestra e da lei mi
prendevo le relative manate senza piangere.”
“Comunque l’età ti ha peggiorato almeno un
po’, no?”
“Forse, comunque direi di non molto. Pensa
che appena un po’ più grande mi indignavo e non riuscivo a starmene zitto
quando una bambina della mia classe terza scriveva su un tema che la sera i signori
del castello medioevale guardavano la TV. Non potevo tacere e far finta di
niente quando miei coetanei non sapevano che i soldati romani non sparavano
ancora ai barbari invasori col mitragliatore.”
“Beh…”
“E non molti anni fa, a Ciudad Ojeda, i miei allievi
di lingua italiana, tutti più anziani di me, mi hanno invitato a cena e uno di
loro aveva fatto una pastasciutta ignobile. Pasta integrale fatta in casa con
un sugo di pesce, poco sale ma esageratamente piccante, che tutti hanno lodato
a profusione, facilitati dalla loro scarsa esperienza in merito, dalla grande
facilità nel simulare e dissimulare tipica dei sudamericani. Visto che oltre a
essere il loro professore d’italiano, per eccesso di sfortuna ero anche
italiano, mi ero mentalmente preparato un sobrio apprezzamento, nel caso che mi
avessero chiesto qualcosa. Inspiegabilmente non lo hanno fatto, almeno finché
ormai tranquillizzato e scolatami quasi da solo una bottiglia di quelle buone
cilene e invecchiate, quando stavamo per andarcene tutti, mi hanno preso di
sorpresa e mi hanno chiesto se era piaciuta anche a me quella meravigliosa
spaghettata preparata da Aroldito.
Una vigliaccata.
Non
sono riuscito a mentire e ho manifestato tutto il mio disgusto, ci sono rimasto
male anch’io, ma non potevo più farci niente.”
A casa mia chi cucinava era mio padre, il
vero italiano trai miei due genitori era lui e aveva anche lavorato come cuoco
in un ristorante. Nella vita era un cazzone, inutile negarlo, ma in cucina ci
sapeva fare e si ricordava perfino, quando cucinava, da dove veniva un
particolare piatto che ti faceva mangiare, da quale città o regione italiana
provenisse e anche se alla gente perlopiù non interessava, lui glielo diceva lo
stesso.
Un tipo di dialogo è questo qui, come se il
mio anonimo interlocutore non mi conoscesse, invece sono sempre io che mi pongo
delle logiche questioni, se mi riesce occasionalmente anche illogiche, servono
allo scopo pure loro, a volte anche meglio.
“Ma che ci facevi in Venezuela?”
“La mia famiglia era emigrata là. Sono nato
in Venezuela e ci son rimasto fino a trentun’anni, da adulto ho fatto tanti
lavori differenti. Per fortuna non ho messo su famiglia, solo per seguire
quello che fanno gli altri e poi trovare una donna che mi garbasse sul serio e
io allo stesso tempo a lei non era facile, non lo è nemmeno ora, ma per altri
motivi. Vado a periodi, come tutti, ma vivendo da solo e facendo un mestiere in
un certo senso privilegiato, sono assai padrone dei miei ritmi e se qualcosa mi
va lo faccio, sennò lascio perdere e senza rimpianti.”
“Oltre a insegnare italiano cosa fai?”
“No, non ti dirò subito del mio secondo
lavoro, che poi sarebbe il primo, in ordine d’importanza, per non indurti a
pensare di me cose sbagliate. Prima voglio parlare di quello che mi circonda
adesso, della mia vita fuori dal lavoro, quello difficilmente non è schiavitù,
dopo confesserò ed entrerò anche nei particolari, ma solo se mi avrai seguito
fino a quel punto e allora potrai capire meglio chi sono.”
“E chi sarai mai?”
“Non sono affatto un essere soprannaturale,
come avrai già capito, sono anche troppo umano. Ma non sono nemmeno una persona
comune, magari perché sono profondo e superficiale allo stesso tempo, perché ho
scelto di semplificare la mia vita, dopo che si era complicata abbastanza da
sola, come di solito accade, se non la sappiamo guidare bene. Ho avuto la
determinazione, la forza e soprattutto l’occasione di tornare sui miei passi e
cambiare prima il mio passato ai miei occhi e al mio cuore, poi il presente e
il futuro hanno preso possesso della mia esistenza, tutto ha funzionato meglio.
In sostanza avevo capito che i miei sforzi per adattarmi al gioco della società
non servivano a niente, bastava cambiare gioco. E quello poi sarebbe stato il
mio.”
“Faccio finta di crederci. La gente quando
parla di sé stessa mente con una strana facilità, come se nascondesse cose
fondamentali a sé stessa, a volte perfino cose evidenti per gli altri.”
“Purtroppo o per fortuna io non riesco a dire
bugie, soprattutto a me stesso, per brutta che sia guardo sempre in faccia la
realtà, per quanto sembri più facile ingannarsi, almeno a volte, io non lo
faccio mai e pago subito il conto, prima che maturino gli interessi passivi.
Di me dicono tante cose, tipo che non lascio
niente al caso, che il caso non mi piace, che non mi affido mai al caso. C’è un
fondo di verità, lo ammetto, ma non sono un perfezionista pignolo, come sarebbe
naturale pensare. Il caso mi piace, nella vita è prima di tutto inevitabile ed
è anche bello che esista, che non sia per forza tutto sempre meccanico, logico
e razionale, ma direi che è opportuno lasciare al caso solo quella parte
laddove vogliamo che intervenga, che poi spesso è quella dove non possiamo
intervenire noi. Questo è quello che cerco di fare io, però non è che mi riesca
sempre.”
“Infatti.”
“No. Mia madre mi diceva sempre di non
sudare, che mi faceva male, è per questo che io ora sudo tanto, più di tutti
gli altri. Come si fa a non sudare in Venezuela? Là sudano anche i sassi. Per
vivere bene bisogna prima imparare a non ascoltare quello ti dice tua madre,
tuo padre, poi la maestra, dopo il professore, poi il tuo superiore al lavoro,
tua moglie, il medico, Annibale e sua moglie, e poi alla fine bisogna vedersela
con Dio in persona. Ma se poi non esiste? Sarebbe un’ulteriore fregatura.”
“Come sarebbe a dire fregatura?”
“D’accordo, tecnicamente il nome sarebbe un
altro, le fregature sono così tante, comunque troppe, a partire dal fatto che
siamo noi stessi, gli esseri umani, che per illuderci, magari per tentare di
difenderci, ci illudiamo con una certa facilità, siamo un po’ troppo sognatori,
senza controllare se i nostri sogni sono realizzabili o no, insomma cerchiamo
sistematicamente di fuggire dalla realtà, ma poi quella ci morde il sedere.”
“Ho capito. E Annibale chi è?”
“Un grande e valido amico, nonché emerito
rompiscatole, a un certo punto della mia storia poi entrerà anche lui.”
“Ah, ecco, mi stavi raccontando la tua
storia, magari un riassuntino piuttosto sintetico…”
“Sì. Allora: dopo tanti anni sono tornato
in Italia, ero venuto via a quattro anni, era come se non ci fossi mai stato,
inizialmente per lavoro, alla fine ci sono rimasto senza sapere se avrei voluto
o no, per uno come me i servizi da fare abbondavano e i compensi erano alti, la
moneta più stabile. Non avrei potuto andare in pensione regolarmente, ma di
soldi ne avevo già messi da parte un po’ e decisi che mi sarei ritirato in
campagna.”
“Ma che lavoro facevi?”
“Te lo dico dopo. Ora ricordo che ero già
vecchio, pensavo che i giovani facessero tanto rumore per affermare e
riaffermare la loro esistenza, di cui evidentemente dubitavano. Ne avevo
dubitato anch’io a suo tempo, è normale. Insomma i giovani si sentono insicuri,
non sanno ancora chi sono e cosa vogliono, possono o devono fare. Gli
anzianotti come me, attempati ed esperienti, invece erano già piuttosto stanchi
di esserci, avrebbero voluto qualche tregua in più, per potersela dimenticare
un po’. La famigerata esistenza pesava, la mia era una fase della vita che
apprezzava dei tempi più laschi. Anche per questo la campagna come la intendevo io era quella dove non ci
passava nessuno e non vedevi mai nemmeno un essere umano, se non per sbaglio.
Qualcuno che si era perso e a quel punto ero anche disposto ad aiutarlo, per
qualcosa che assomigliava alla carità umana, ma anche per farlo ritornare da
dove era venuto, che era meglio per tutti e due eccetera. Insomma l’idea base
era quella, ma rimandavo perché pensavo che dovevo trovare prima qualcuno con
cui dividere bellezze, fatiche e solitudine. Stare da solo in mezzo agli altri
mi pesava sempre di più e cercavo una compagna. Non avendola trovata, né prima
né dopo, mi rassegnai a farne senza, come del resto avevo quasi sempre fatto,
anche se a fasi alterne. Forse cercavo solo un’occasione propizia, o meglio una
minaccia concreta, tipo un’ennesima pandemia.”
“Avevi bisogno di giustificare la
tua fuga dalla società?”
“Può darsi, ma c’è da notare che
io non ne ho mai fatto parte, nel senso che me ne sono sempre sentito
estraneo.”
“Tanti la pensano in questo modo,
ma tirarsene fuori è impossibile o quasi.”
“Vero, ma questa volta l’occasione
era effettiva e propizia, per ottenere una separazione netta ed efficace.”
“Ci credo poco.”
“Aspetta. Stavo dicendo che
speravo di trovare qualcosa sulle montagne del litorale della Toscana, non
lontano da dove era partiti i miei genitori, in provincia di Massa Carrara,
cercavo una casetta abbandonata, magari un rudere da rimettere a posto. Andai
un po’ a caso, che la gente non dicesse che il caso non mi garbava. Per
cominciare un su e giù con una vecchia Panda arrugginita, che avrebbe anche
potuto lasciarmi a piedi, ma non lo fece, perché il motore lo avevo
controllato, mentre la carrozzeria poteva anche andare a pezzi, non me ne
fregava niente.
Avevo già visitato il cimitero di
Pisa, come mi ero ripromesso, dove c’erano i miei nonni ebrei da parte di madre,
Eliezer e Chulda. Invece mio padre aveva i genitori, Mauro e Maria Stuarda,
sepolti a Pardona, dove lui e mia madre si erano conosciuti. Era il relativo cimiterino
di un paesino piccolo, con case di pietra e una bella vista sul mare. Poca
gente in giro e assolutamente niente di turistico. Al bar nell’unica piazzetta
mi fermai a mangiare un panino con le acciughe marinate, con una foglia
d’insalata e a chiedere informazioni. Fuori, sotto la pergola, c’erano dei
vecchietti anche troppo disponibili e non eccessivamente infetti, insomma
secondo loro non in maniera pericolosa. Il barista e proprietario sembrava
lievemente avvinazzato, di una giovialità non comune a quei tempi, era sposato
con una russa, mi spiegò, per questo lo chiamavano Pierosky.
P:
Per essici c’è, cioè ci sarebbe un metato a quattro o cinque chilometri da qui,
ma son tutti da fassi a piedi, su e giù per i boschi, se le interessa parli col
signor Bertacca Annibale, pensionato, figura folkloristica del paese e zone
limitrofe. Se vuole un posto tranquillo è quello, c’è anche il torrente
accanto, lì ci andavino a fa’ le castagne, ora non più, troppo fuori mano. Ogni
tanto passa qualcheduno che cerca i funghi, ma anche quelli son diventati rari,
i funghi e i cercatori.
I:
Ah. E dove lo trovo?
P:
Annibale? Che ore sono? Tra poco, alle due, arriva per la solita partita a
tresette coi sopravvissuti qui presenti.
Che ci ascoltavano con la coda
dell’orecchio e finta distrazione, mi salutarono con le mani, seriamente
sorridenti. Dopo una mezz’oretta arrivò vociando e ammiccando a tutti, non
c’era da sbagliarsi, c’aveva proprio una faccia da signor Annibale Bertacca,
vigoroso pensionato e pieno di storie da raccontare che se ne uscivano da sole
in mezzo a un gesticolare campagnolo. La conversazione con lui partì
interessante assai e dopo un caffè che gli avevo offerto volentieri, poi lui
insistette per un bicchierotto di rosso, per ammazzare il caffè, al quale
dovetti retribuire quasi d’inerzia. Poi entrarono automaticamente nel giro
anche tutti gli altri involontari ascoltatori, per scappare di lì ci volle
un’ora e più e ce ne andammo, è vero, con passi piuttosto traballanti,
direttamente al rudere.
Annibale mi condusse su e giù per
quelle salite e discese, dentro e fuori dai boschi, fino a un casottino di
pietra con una finestra per ogni lato, a dire il vero in condizioni non
pessime, dovevano essere venticinque metri quadrati, insomma non più di trenta.
L’acqua del torrentello lì accanto
era limpida e fredda-marmata come si
dice qua.
C’eravamo già raccontati i
riassunti della storia più sintetica delle nostre rispettive vite. Per quanto
assai diverse, avevano in comune una tendenza, l’amore per gli animali e la
natura, la stanchezza per gli esseri umani del terzo millennio, la sua molto
più bonaria della mia. Ci facevamo reciproca simpatia, sembrava.”
Pardona,
domenica 20 ottobre 2023
IL BERTACCA
La prova
basilare della libertà umana non è tanto in ciò che siamo liberi di fare ma in
ciò che siamo liberi di non fare.
(Eric Hoffer)
Il tetto andava riparato, è vero, mi
avrebbe dato volentieri una mano lui, che era stato muratore e carpentiere, aveva
avuto a suo tempo una sua piccola impresa. Il materiale però andava portato lì
col mulo, ma anche quello non era un problema. Il prezzo? Mi chiese un’offerta,
ma io non gliela seppi fare, non ne avevo proprio idea. Allora mi posò una mano
sulla spalla e poi senza toglierla mi disse, guardandomi negli occhi, con un
movimento leggero dei baffi che accompagnavano le relative parole che se ne
uscivano sotto:
A:
Lei è da solo, mi par d’avé capito, quando muore lascia tutto ai miei nipoti,
che tanto io muoio prima, senza fretta, ma muoio prima di lei. Se le va bene,
non mi paga niente d’affitto e io non ni pago niente dei lavori che ci dovrà
fare. Per conto mio non troppi euri ci dovrà spendere, noi muratori ni facciamo
un prezzo da amici e al mulo ci penso io aggratisse. Che gliene pare?
I:
Mi pare vantaggioso, ma di qui ci passa gente, o no? Io voglio stare
tranquillo, ne ho le scatole piene del mondo e della gente, anche dei turisti,
tanto per intenderci.
A:
No, no, anch’io, anch’io. Turisti qui un ce ne viene più, qualche raro tedesco,
ma poghi anche di loro. Eppoi per caso un ci passa un’anima viva né morta, per
i funghi un è tanto bono, per via che ci sono più pini che lecci o querce. I
castagni sono più in là, ma le castagne non se le frega più nessuno, se le
vogliano ormai se le comprano tutti al supermercato. Il problema casomai è
l’opposto, per portacci il mangiare e tutto il resto, tutto a braccia è un
tantino pesantuccio. No? Però se lei si fa anche un po’ d’orto la situazione
migliora, volendo c’è un fornetto per il pane, dalla parte del boschetto, l’ha
visto? E di legna ce n’è a sfa’. Ma l’inverno è lungo e i cervelli vanno anche
in pappa, avv’orte. Lei è convinto del su’ passo, voglio dì, tra noi: ce l’ha
un po’ di esperienza almeno, della vita in campagna-guasi-montagna come qui?
I:
Poca, ma sono più che convinto, imparerò tutto quello che c’è da imparare. Ma
in paese c’è un alimentari o no?
A:
C’è, ma tra poco chiude, con quei quattro vecchietti che ci abitano, Pardona
non offre occasione per fare eccessivi miliardi, le tasse da pagare in compenso
sono tante o magari anche troppe. Quindi lei avrà sempre bisogno di una
macchina, scassata che sia, ma che monti le salite e non caschi giù per i
burroni, per andare a Camaiore, o a Viareggio, a Sarzana o a Pietrasanta… che
siamo vicini e lontani da tutto, qui la circolare un circola, un’ha mai nemmen
circolato, un so se mi spiego…
I:
Va bene. Questo l’avevo già messo in conto. Affare fatto.
Annibale mi aveva spiegato che lui
era uno che stava bene e voleva terminare in pace la sua vita, non cercava
problemi, di qualsiasi tipo fossero, le sue due figlie erano sposate con prole
e abitavano già da tempo via da Pardona, lui e sua moglie Ivalda erano in
pensione e facevano un po' di orto e di giardinaggio, qualche partita a carte e
guardavano la televisione la sera in santa pace.
È vero, la casetta non aveva luce
elettrica né acqua corrente, ma il ruscello era lì accanto e volendo uno poteva
vivere senza televisione, internet e compagnia bella, anzi era questo che mi
garbava. Solo qualche libro, la compagnia di un cane e di un gatto e via.”
“E per il mangiare?”
“Avevo pensato a tutto, cioè ci
stavo cominciando a pensare, ma in maniera razionale e pratica, io non do molta
importanza al mangiare, cioè molto meno di tanti italiani.
A guardarlo meglio il posto era
incantevole, con le opportune modifiche da fare e la prima cosa sarebbe stata
di buttare giù una mezza dozzina di giovani querce dalla parte del mare,
secondo Annibale, che mi dette automaticamente il permesso, prima che io
potessi dire qualcosa a riguardo e mi aiutò anche. Solo che io volevo uno
spiraglio in mezzo alle frasche e non buttar giù tutti gli alberi, anzi se
potevamo nemmeno uno. Fu un po’ più complicato di quello che lui aveva pensato,
ma dopo un’ora di opportuna chirurgia giardiniera, dalle due finestre lato
ovest e nord-ovest c’erano due non indifferenti e separate, ma ampie, visuali
del mare dorato fino a Porto Venere, le sue relative tre isolette e del vasto
golfo di La Spezia.
I muri della casa avrebbero preso
un po’ più di sole e magari ci sarebbe stata meno umidità, dissi, ma Annibale
replicò che lì di umidità non ce n’era punta, era troppo ben ventilato, gli
dispiaceva ma avrei dovuto fare senza.
Il tetto non fu facile da
aggiustare, nel senso che dovemmo ritornare più volte sulle tavelle e sulle
tegole per migliorare la tenuta stagna in caso di piogge che per fortuna o per
sfortuna ce ne erano parecchie essendo ottobre, che già funzionava un po’ come
il settembre di una volta. Le finestre nuove poi e la porta dettero alla casa
un aspetto quasi definitivo. I muri erano robusti, misti di pietre e mattoni,
mi garbavano così, rozzi e intonacati a chiazze dentro, fuori a vista.
L’arredamento del mio
appartamentino di Muggiano, provincia La Spezia, lo avevo lasciato quasi tutto
là. Di mobili nuovi ne comprai pochi, piccoli, usati e massicci in paese e nel
prezzo c’era incluso il trasporto col mulo. Nel giro di un mese ero già in casa
nuova. Portai i vecchi libri e ne comprai qualcuno usato, gli attrezzi per
l’orto, per tagliare gli alberi e per la manutenzione della casa me li trovò
Annibale, ogni volta che scendevo in paese una capatina da lui ce la facevo. La
moglie era un po’ scontrosa all’inizio, ma poi iniziò anche lei a prendermi in
giro con suo marito e dopo poco tempo sembrava che li avessi conosciuti tutti e
due da sempre. Il vecchio carpentiere era ancora in forma, più di testa che di
braccia e gambe, aveva avuto le sue brave malattie, come tutti, ma m’insegnava
ogni volta qualcosa, per esempio a costruirmi sedie e panche cogli incastri e
le viti, qualche chiodo grosso, senza raffinatezze inutili e cittadine.
Insomma se l’inverno stava
velocemente arrivando io ero quasi pronto, la stufa a legna me l’aveva regalata
il mio amico e me l’aveva portata personalmente, ce l’aveva in cantina e non
sapeva che farsene. Ci tenne a installare lui il tubo per il fumo, disse che
era una specie di arte e bisognava conoscerla ammodo, sennò quando c’era il
vento ci si affumicava come scamorze.”
“Che bellezza! Te scappavi dalla
gente, ma la gente ti dimostrava, mentre la stavi abbandonando, che invece non
era come pensavi tu!”
“Sì, ma non tutti sono come
Annibale, sennò il mondo sarebbe un’altra cosa. Lo sai meglio di me, basta una
mela marcia per rovinare tutto il cesto e di quelle ce ne sono sempre di più.
Intanto io facevo già del pane che
era quasi mangiabile, anche se per il momento toccava quasi tutto al cane,
giacché digeriva qualsiasi cosa. Trattavasi di cane di stazza media,
bianco-rossiccio da caccia, si chiamava Bico da Bicolore, oppure da Stephen
Biko, che probabilmente è stato, insieme a Nelson Mandela, il
simbolo della lotta all'apartheid in Sudafrica. Il cane invece veniva
dalla Calabria, gente del paese lo aveva preso a Sarzana, da una di quelle Ong
che distribuivano, a chi li volesse, cani senza padrone. Aveva due occhi malandrini,
non aveva paura di niente, abbaiava solo quando c’era bisogno di avvisarmi di
qualcosa di urgente, montava anche sugli alberi ed era sempre di un contagioso
buonumore. Dai documenti risultava avere un anno e due mesi.”
Pardona,
venerdì 25 novembre 2023
NON
DIMENTICARTI DI RICORDARE
La
memoria è assai importante, per quanto ingannevole possa essere, dato che i
ricordi di solito si stratificano, a volte depositando successive impressioni,
influenzate dai nostri occasionali stati d’animo. Anche così vale la pena di
avere delle rimembranze indicative.
Holger
Zaccaria (dal romanzo “Solo Quella Volta
E Non Altre”)
Il
suono musicale ritmico di una pianta di banano sbattuta dal vento e il
picchiettare delle grosse gocce è uno di quei tipi di rumori romantici che
evocano altre scene, che non questa di un grosso taccuino sul tavolo, vicino
alla finestra, in un giorno di pioggia e vento, piuttosto una vela e il mare infinito,
lo sciabordare di onde, i relativi schizzi…
La
possibilità di scendere su queste pagine che si stanno formando sotto le mie
dita è una occasione che la maggior parte della gente non ha, perché già
raccontare è una cosa da pochi, ma raccontarsi lo è ancora di più.
L’autoanalisi viene fuori da sola se io lascio
scorrere la penna sui fogli e quelle vanno a raccontare quello che il cuore e
il cervello dicono senza preoccuparsi che sia una cazzata o una serie di
conseguenze senza controllo alcuno, al di fuori della grammatica italiana, un
po’ di sintassi sparsa e maccheronica. Lo spagnolo insiste per entraci ma di
solito me ne accorgo a tempo.
Che cosa mi
resta del passato?
Una buona
memoria ce l’ho, ma anche la consapevolezza che pure la mia sbaglia e cambia,
con stratificazioni successive, la verità originaria. Devo fare alla svelta a
scrivere questi frammenti di storia, prima che cadano nell’oblio. Dovrei andare
a trovare chi si ricorda e prima ancora cercare di capire chi.
Nessuno?
Beh, anche
se annebbiati e confusi tanti ne ho ancora nel cervello intriso di passato
prossimo e remoto, eppure ancora umidi, tanti imperfetti e qualche trapassato
prossimo, troppo lontani e spersi i trapassati remoti. Qualche periodo
ipotetico, congiuntivi e condizionali, ma scarsi. Tanti discorsi a biscaro, fuori
dalla Toscana chiamati anche mezze verità. Il difficile è ordinarli e metterli
giù, ci vuole disciplina, tempo e concentrazione.
Non c’entra niente, ma forse
invece sì, con la fantasia esagerata, che vicino a casa mia ci fosse un
manicomio, sull’edificio più grande spesso si sentiva una civetta che cantava tutto mio! tutto mio! Anche di giorno. Più
volte lanciava il suo lugubre richiamo dal tetto del padiglione delle donne, e
siccome lassù c’era una specie di camino che aveva una forma strana, con dei
grandi occhi che erano degli oblò, io pensavo che la civetta fosse quella,
troppo gigantesca per essere vera, infatti mi chiedevo perché non si muoveva,
forse perché era fatta di mattoni e cemento, più sopra qualche tegola rossa.
In passato la stessa fantasia mi
ha portato a ricordi sovrapposti di un luogo, in maniera di vederlo come se
fosse un altro e qui è difficile spiegarlo. È successo solo con posti che ho
vissuto nell’infanzia e poi ho continuato a frequentare anche dopo. Come la
vecchia casa vicina al fatiscente manicomio di Manavas, da determinati punti di
vista la ricordo in due maniere, quella più antica e quella più recente. La
casa dei nonnetti, per esempio, lì accanto, (non erano nonni miei, ma si
comportavano come se lo fossero,) come la vidi da bambino e dopo con gli anni
il ricordo si modificava crescendo io, non solo la casa e il luogo, o comunque
cambiando un po’ tutti e tre.
Poi ci sarebbe la curva dei banani
di cui ho un ricordo nitido e nebuloso allo stesso tempo, stavo aspettando in
macchina su quell’ampia curva in salita di una strada costeggiata da piante di
banana e tante altre automobili erano posteggiate sui due lati, non ricordo
dov’era, ma credo sulle colline di Carocito, non so chi stavo aspettando, penso
mio padre e che questo sia successo più volte, la macchina dovrebbe essere stata
una Chevrolet bianca e celeste, ero bambino e rimanevo lì da solo, per un tempo
ragionevolmente lungo.
Le persone più disorientate che
conosco sono quelle che hanno una memoria labile, non si ricordano di niente
non possono confrontare gli avvenimenti, i semplici dati della loro esistenza,
in pratica non possono usare la loro esperienza. Sono sempre in alto mare e si
tratta di un mare in burrasca, ogni porto è lontano, chissà dove.
Mia
madre per esempio diceva che mio padre aveva anche lui un lavoro numero due, che Iddio lo trasformasse in un essere meno
spregevole, ma che gli dava più soldi del numero uno. Io non ho mai capito
cosa facesse anche di primo lavoro, diciamo che fosse un sensale, uno che
intermediava a percentuale sugli affari della gente: macchine agricole e non,
semi, diserbanti, terreni e animali da pascolo.
Penso che sottobanco vendesse armi, spero non
droga, ma non mi sentirei di escluderlo.
Pardona,
martedì 29 dicembre 2023
UN
PIETRO RODOLFO A CASO
Il passato non è l’antitesi del
futuro, sono due cose che si possono integrare anche assai bene, se si riesce
ad agire seguendo la propria esperienza. Nei tempi moderni da tutti ormai
dimenticato, quello che ne esce si chiama presente.
Igor
Tarallo (dal romanzo: “Fonderemo la
nostra pazienza sulla vostra rabbia”)
A volte parlo con un altro me
stesso, sottintendendo che ci conosciamo già bene, noi due, ma una parte di me
è più critica:
“I ricordi d’infanzia sono rimasti sempre
forti in me, posso dire di aver una buona memoria, a differenza di tanta gente,
proprio perché mi sforzo di rivivere il passato, prendo anche annotazioni e le
rimetto in ordine, non so a cosa serviranno, ma lo faccio lo stesso. La sera a
letto per esempio, o una volta anche nella sala di aspetto del dentista, alla
fermata dell’autobus, ho sempre cercato di riempire i tempi morti di cose
passate ma vive, insomma, e magari piacevoli. Cerco di pensare a cose belle,
che quelle brutte vengono da sé.
Il passato non è l’antitesi del
futuro, sono due cose che si possono integrare anche assai bene, se si riesce
ad agire seguendo la propria esperienza. Nei tempi moderni da tutti ormai
dimenticato, quello che ne esce si chiama presente. Vivendo insieme agli altri,
io avevo sentito sempre più la solitudine e mi accorgevo che non vivevo mai il
presente, ma troppo distorto futuro e poco anche il passato.”
“Ma quando parlavi con Annibale
non ti garbava?”
“Parlare di queste cose con
Annibale era difficile, per lui era inutile teoria, aveva sempre vissuto lì e
sembrava contento di sé, della sua famiglia, dei suoi amici e del mondo, quel
poco che ne sapeva gli bastava e avanzava.
Con il barista di soprannome
Pierosky, un po’ di filosofia spicciola si poteva snocciolare, aveva vissuto
anche in Russia e conosceva abbastanza il globo per apprezzare il suo ritorno e
la sua vita a Pardona. Si trattava di un gigantesco tuttologo barbuto, parlava
a evidenti mezze verità, ma forse della vita e del mondo ne sapeva più di tutti
in paese. Mi spiegò che i russi avevano i nomi terminanti in -skij, i polacchi anche gli stessi
cognomi ma terminavano in -i
semplice. Gli italiani poi ci mettevano una ipsilon finale e sistemavano tutto,
in fondo chi se ne fregava? Per esempio lui era sposato con una russa, Olga
Banishevskaja, quindi suo padre era Banishevskij, come l’attaccante sovietico
della nazionale CCCP nel 1966, ai tempi del grande portiere Lev Yashin. Era un
lettore compulsivo, soprattutto di libri tecnici, un collezionista di manuali
di ogni genere e me ne allungò alcuni per l’orto e la manutenzione sommaria di
una casa di campagna-quasi-montagna: idraulica, elettricità, veterinaria,
allevamento animali e pesci, come fare il pane, la pizza e i dolci in casa,
sana decrescita, la fine del comunismo, politica ruspante, filosofia campagnola
e così via.”
“Una bella conversazione con un
essere umano può fare anche del bene a un altro essere… quasi umano, nel nostro
caso.”
“A volte sì. Dipende. Mi dette anche
un manuale per imparare a usare i manuali: “I pro e i contro dei manuali”, consigli di muratori veri, l’esperienza
dei contadini autentici, pastori, fungaioli eccetera.
Se avete sempre vissuto da persone
normali, persi nel movimento ripetitivo della vostra routine cittadina o di
periferia, non avete mai avuto a che fare con i manuali, il che è un bene, ma
quando uno ne avesse poi bisogno quello diventa un male. Ci sono
anche dei manuali buoni, intendiamoci, quelli per esempio che mi insegnano a
usare i semi delle verdure, in modo da poterne sempre avere di scorta, senza
dover andare a cercare altri. Il manuale però spesso insegna le cose come se
chi le impara le sapesse già. Oppure ha la tendenza a ripetere quello che
sapete già e a tralasciare quello che non sapete e che vorreste sapere. In
buona sostanza chi insegna spesso non sa mettersi nei panni degli allievi,
perché sapere le cose non è la stessa cose che insegnarle, anzi, sono due robe
che spesso cozzano e si ostacolano.
Insomma
il manuale per riuscire a leggere i manuali ed eventualmente riuscire a
impararci qualcosa, funziona un po’ come la nostra mente, usando la nostra
memoria, scartando l’inutile e ricordando l’utile, ma prima di tutto, come
riconoscerli? Siamo di nuovo al punto di partenza. Il manuale migliore, spiega
il manuale dei manuali, è il buonsenso, ma dove trovarlo? Non è una cosa che si
può comprare o affittare, ma si sviluppa spontaneamente nelle persone che
capiscono che magari può servire a qualcosa, che non si può fare tutto a caso,
almeno nella vita, fuori magari sì.”
“Bello!”
“Infatti, io ne ho fatto tesoro. A
dicembre comunque lasciai l’appartamento, che non volevo vendere e poteva
starsene lì come magazzino, anche in maniera definitiva, tutto quello che m’interessava
a breve termine era già lassù.
A più di un’ora a piedi dal paese,
eravamo quasi a ottocento metri di altezza lì al metato, dietro a farci ombra
c’era il monte Prana, alto 1221 metri e quando tirava vento di mare c’era un
freddo antartico, ma anche la tramontana ci pigliava di laterale sorpresa e a
livello di temperature erano guai, non solo d’inverno.”
“E per le spese come facevi?
All’inizio ne avrai avute assai, o no?”
“Sì, infatti. Il mio mestiere, non
quello del professore d’italiano, era in un certo senso privilegiato, mi aveva
permesso di mettere i soldi da parte, sarebbero dovuti bastare per campare fino
alla fine dei miei giorni, avevo calcolato, magari bisognava avere esigenze
modeste e io ce le avevo, non tanto per scelta, piuttosto per naturale
esclusione di tutto quello che non m’interessava. Le banche non mi garbavano,
per esempio e in parti pressoché equivalenti avevo euro, dollari e sterline
inglesi, tutti sotterrati in tre serie di scatole di plastica, l’una dentro
l’altra.
Fuori costruii un modesto capanno
di legno da usare come magazzino e laboratorio. Si sfasciò tre o quattro volte
con il vento forte e io lo ricostruii. Per il primo inverno mi feci prima di
tutto una doccia rudimentale a legna e un piccolo bagno. Poi mobiletti vari e
rustici, soprattutto panchetti, mensole e pensili. Importantissima la panca
verde fuori dalla porta con la vista sul mare.
Ero un principiante quindi i
tentativi falliti erano innumerevoli e talvolta anche le bestemmie fioccavano.
Alla fine però trionfavo moderatamente e sempre.
Il freddo era notevole e il vento
di notte fischiava, anche di giorno, per riuscire a dormire bisognava
abituarsi. Le mie contromisure iniziali di organizzazione e di comodità
spartane furono sempre aumentando finché arrivò la primavera. Molta lettura la
sera a lume di lampioncini a petrolio, puzzava un po’ ma in compenso illuminava
male.”
“Le difficoltà sono il sale
dell’esistenza o no?”
“Effettivamente. Nonostante questo
ero contento, forse anche felice, però come si fa a saperlo? Potevo leggere di
giorno e la notte spesso ero troppo stanco solo per tentare di farlo. L’orto
era già in funzione, i primi frutti della terra non arrivarono così come avrei
voluto, ma anche in questo ramo avevo molta strada da fare.”
“Non ti sentivi solo?”
“Un po’, ma anche quando vivevo
giù a valle non ero mai stato di troppa compagnia, insomma era la libertà che
apprezzavo di più e lì mi sentivo meglio.
La luce elettrica io non volevo
nemmeno mettercela, ma Annibale era un uomo prepotente, lo diceva anche sua
moglie e quando pensava di aver ragione alla fine mi convinceva sempre, aveva
sempre convinto pure lei, e quando eravamo totalmente contrari ci si divertiva
anche di più.
In quel caso mi portò un
elettricista senza preavviso, un amico suo, che poi diventò anche mio. In più
Annibale rideva e mi dava robuste pacche sulle spalle. Zino disse che il
percorso dei fili nel bosco era favorevole e se il lavoretto fosse stato ben
fatto non se ne sarebbero mai accorti. Ci volevano un duecento metri di filo
grosso, doppio e costoso assai, ma alla fine la resa sarebbe stata ottima,
soprattutto per leggere e per fare il bagno. E poi era gratis. Dopo una guerra verbale
di una settimana sono riuscito a deviare sui pannelli solari, che non avevano
bisogno di tanto filo, erano più cari ma era un investimento praticamente
eterno. Gli avvenimenti a seguire mi dettero piena ragione, ma Annibale non fu
facile da convincere. Per fortuna che Zino si dimostrò dalla mia parte.”
“Quali avvenimenti?”
“Aspetta, che ora viene il
movimento.”
“Mi pare che tu l’abbia presa un
po’ troppo larga. Non si era detto un riassunto breve?”
“Questo l’avevo detto a Pietro 2,
ma tu sei Pietro 3, cerca di stare al tuo posto. E poi se non ti spiego tutto
quello che è successo prima, dopo non ci capisci più niente.”
“Vabbè, basta non esagerare…”
“No, ascolta: il secondo cane
venne da solo, una femmina piena di zecche e di pulci, ma in poco tempo la
rimisi a funzionare come un pelosissimo orologio svizzero, si chiamava
Annabella, sul solito suggerimento insistito di Annibale. Con l’aiuto del quale
e con la lettura dei manuali pensammo anche di mettere su un piccolo
allevamento di trote, bastava deviare in parte il torrente lì vicino, ma non
sapevamo cosa dargli da mangiare. In seguito stabilimmo che se non fossero
state trote potevano essere carpe o qualsiasi tipo di pesce che fosse buono da
mangiare e che personalmente non avesse problemi a cibarsi di un po’ di tutto
quello che avanzava al metato. Le due vasche grandi ci mettemmo un po’ a prepararle,
per via della famigerata impermeabilizzazione. Tutt’e due perdevano un po’, non
so più quanti strati avevamo fatto e il catrame dentro a secchiellate, ma
Annibale disse che tanto l’acqua lì non mancava mai e allora le lasciammo
così.”
Durante
le mie perlustrazioni al torrente non potevo non venire colpito
dai Tricotteri (Trichoptera), (comunemente chiamati porta sassi o
porta legna) questi insetti olometaboli (metamorfosi completa) si mostrano in
un sacco di forme sfoggiando i loro astucci protettivi che compongono con il
materiale che trovano sul fondo del corso d’acqua o della pozza che abitano e
che mettono insieme con seta che secernono da una ghiandola posta in
prossimità della bocca.
Sono
dei minuscoli cilindri semoventi, i nostri fatti di granelli di sabbia, con
dentro insetti che sono tipici dei corsi d’acqua montani, anche se noi non
arriviamo ai mille metri sul livello del mare, qui ce ne sono e sono piuttosto
bizzarri, quando li vedi le prime volte non ci fai caso perché sono del colore
dell’ambiente che li circonda, poi ti pare che si muovano e pensi che sia per
via della corrente dell’acqua, dopo pensi a cosa diavolo siano e ci vuole un
po’ di tempo per capire. La natura riesce sempre a sorprendermi.”
“E Annibale ha avuto una grande
importanza nel tuo inizio di una nuova vita, non è vero?”
“Sì, è stato decisivo e poi era
simpatico, un po’ rompicoglioni, ma anch’io lo ero… anzi lo sono ancora, lo
sono sempre stato. Insomma ci capivamo. Figurati che poi con estrema serietà mi
spiegò che le anguille per l’allevamento andavano più che bene, mangiavano di
tutto ed erano delle bestiacce buone da fare fritte, arrosto e in umido, se non
le ammazzavi te erano praticamente immortali, se ce n’era bisogno strusciavano
anche sulla terra asciutta come serpi. Risi e replicai che se il Mare dei
Sargassi non fosse stato un po’ fuorimano sarebbero state l’ideale. Disse che
ero proprio uno scemo e promise che me le avrebbe portate lui, non c’era
problema. Chiesi a Pierosky, che mi appoggiò con piacere, ma Annibale era duro
come il nostro vicino e prezioso marmo di Carrara. Il barista poi trovò trai
suoi un volumetto che spiegava bene le cose, o almeno senza complicarsi troppo
ci provava e l’allungammo ad Annibale, che era un San Tommaso irriducibile e
non credeva mai d’acchito a quello che gli si raccontava. In alcuni casi di
trincerava sulle sue posizioni e ne faceva un punto d’onore, allora anche due o
tre acchiti non bastavano.
Il libretto diceva che la
migrazione e la riproduzione delle anguille d'acqua dolce erano rimaste un
mistero fino a metà circa del XX secolo, quando furono scoperti per la prima
volta, nel mar dei Sargassi fra le isole Bermuda e Porto Rico, i luoghi di
deposizione delle uova. Quando l'anguilla europea (Anguilla anguilla) e la
specie affine americana (Anguilla rostrata) raggiungono la maturità sessuale
nei laghi e fiumi d'acqua dolce cominciano la loro lunga migrazione che le
porta nei luoghi di riproduzione. Esse nuotano nei corsi d'acqua, ma a volte
strisciano come serpenti fra l'erba bagnata dei campi, fino a raggiungere
l'oceano, dove nuotano o si lasciano andare alla deriva portate dalle correnti;
vagano così anche per un anno, fintanto che non raggiungono le acque ricche di
vegetazione del mar dei Sargassi. Qui le anguille depongono le uova in acque
profonde e muoiono. Non appena usciti dall'uovo, i leptocefali si lasciano
portare dalla corrente del Golfo, raggiungendo le coste europee in tre anni e
quelle nordamericane in un anno. A questo punto, trasformatesi in cieche, si
accumulano numerosissime presso le foci dei fiumi; quindi assumono una
colorazione gialla sul ventre, nuotano controcorrente, risalgono i fiumi e si
nutrono d'animali che vivono sui fondali; infine, diventano individui adulti
dal corpo nero e argenteo, completando così il loro ciclo vitale.
E allora quelle della Cina come
fanno? Fu la sua prima questione, ma il libretto per fortuna, che lui non aveva
letto per intero, più avanti spiegava che per l’Asia e l’Oceano pacifico c’era
un altro punto di riferimento. Lo specifico luogo di riproduzione è stato
recentemente scoperto nelle vicinanze di una montagna marina sul lato
occidentale delle Isole Marianne. Le anguille adulte migrano per
migliaia di chilometri dai fiumi dell'Asia dell'est fino a questo luogo per
potersi infine riprodurre.
Insomma ci mise tutte le sue
forze per andare contro a quella teoria pratica, ma alla fine, quando ne fu
finalmente convinto, ne rimase entusiasmato. Poi glielo
raccontò anche alla moglie, erano a cena da me, ricordo che era maggio e fu
l’ultima volta che li vidi entrambi. Annibale aveva bevuto un po’ troppo
Pitigliano bianco e la prese in giro per un po’ chiamandola ignorantella, lui
queste cose le aveva sapute fin da bambino e mi strizzava l’occhio in segno
d’intesa. Ridendo e scherzando, bevendo e
parlando, eravamo andati piuttosto sul filosofico quella sera e non mi avevano
capito tanto bene, quando gli avevo parlato dell’assoluto relativo, una
tra le tante mie teorie. Appena me ne ero accorto mi ero subito zittito.
Avevamo cambiato argomento.”
“E meno male, ci mancava solo
l’assoluto relativo!”
“Infatti. Annibale e sua moglie
rimasero addirittura stupiti quando gli dissi che anche mia madre era partita
dall’Italia, come le anguille a settembre, si era riprodotta in America Latina
e poi era morta, io me ne ero venuto in Italia, un po’ come le cieche, parlavo bene
l’italiano ma non c’ero mai stato. Mi chiesero che lavoro facevo in Venezuela e io gli
raccontai quello di professore d’italiano.”
“Hai fatto bene, non ci avrebbero
nemmeno creduto, secondo me.”
“Dopo vari tentativi falliti
decisi che le trote erano buone assai da mangiare ma troppo complicate, le
carpe si rivelarono l’ideale, per me ci volevano pesci onnivori e meno
sofisticati. Erano meno saporite delle trote, ma la loro stretta economia era
sostenibile per me e le avrei mangiate con più sale, aglio, basilico e
prezzemolo. La mia provvista d’olio d’oliva intanto era
già imponente, un fusto da cento litri, poteva bastare forse per tutta la vita.
Quanto volevo vivere ancora non lo sapevo e poi le mie intenzioni non erano
necessariamente quello che si sarebbe realizzato.
Confesso che il mio obbiettivo finale non mi
è sempre stato chiaro, però durante il percorso ho spesso saputo bene cosa non
sopportavo e che non avevo assolutamente voglia d’impegnarmi a cercare
d’ignorare tutte queste cose che non mi garbavano, che anzi mi facevano solo
irritare e ancora di più tutti questi che adoravano situazioni che io non
vedevo proprio alcun ragione per dovere, potere o voler considerare.”
“Sei un po’ esagerato, ma che ci vuoi fare,
ormai è tardi per cambiare.”
“Ecco, infatti, tu lo sai che ho accantonato
tanta gente durante la mia carriera di snob che si fa solo i fatti suoi, di
bastiano assai contrario alla massa e ai gusti comuni, tanta altra gente
l’avrei anche messa da parte io, ma per fortuna ci ha pensato prima da sola.”
“Selezione naturale?”
“Proprio. La selezione naturale non è per
niente forzata, lo dice il nome stesso, non c’è nessuna scelta da fare. Conosco
tanta gente che accetta tutto e tutti, magari non pensa nemmeno che sia una
filosofia originale e bella, per loro è semplicemente più naturale così. Non mi
sento di dire beati loro, perché vedo
che sono trasportati dove non vorrebbero, sono manipolati tanto che non se ne
accorgono nemmeno più, non sanno neppure più chi sia il responsabile dei propri
guai, che poi alla fine sono proprio loro stessi, in maniera irregolare quanto
sistematica. Da quando l’ho capito, il mio lavoro interno, il mio sforzo
maggiore è stato eliminare un meccanismo in me, comune a tanti uomini e donne.”
Pardona giovedì 13 gennaio 2024
LA
NATURA PRIMA DI TUTTO
Non aveva rimorsi per la vita
che conduceva, non nutriva rispetto per una società basata su valori come il
benessere materiale e la normalizzazione sociale. Una società che, allo stesso
tempo, non era in grado di garantire a un giovane un lavoro decoroso e
soddisfacente. Il senso di colpa era scomparso da tempo e lui condivideva il
pensiero di migliaia di suoi coetanei: che non aveva scelto di nascere in un
sistema politico che andava contro l’essere umano e che richiedeva solidarietà
in cambio di menzogna e tradimento; riteneva che a vergognarsi dovesse essere chi
reggeva le fila di tale sistema, non lui.
(Maj Sjöwall, Per Wahlöö Un Assassino di Troppo)
Per mantenere il cervello
funzionante ci vuole magari un alternarsi di attività positive che non è
attuabile in una vita cittadina, o di intenso lavoro, come molte persone
affrontano abitualmente. La vita dell’individuo in mezzo alla natura è più sana
soprattutto se si ama stare in aperta campagna, se la compagnia degli animali
funziona come terapia d’inerzia, se non ci si annoia e non ci si spaventa per
via del silenzio, se non ci manca il contatto continuo con la gente al quale
siamo purtroppo abituati. Se io avessi vissuto come quasi tutti gli altri, ora
qui da solo non ci potrei stare bene. L’osservazione entusiastica della natura
mi fa bene, non solo degli animali, ma anche delle piante e perfino delle
rocce, insomma dei paesaggi la cui musica è la brezza che può piacevolmente
diventare vento, il conseguente stormire delle fronde, il canto degli uccelli e
così via discorrendo.
In questo contesto anche le
scorregge dei cavalli, la puzza dello sterco di animali al pascolo hanno una
loro ragione di essere e di rinfrancare, come di rilassare l’anima di un essere
umano che abbia debitamente sempre tenuto presente l’importanza di queste cose,
anche quando per necessità lavorativa viveva in città, tacitamente premettendo
a sé stesso che doveva pur essere un periodo limitato e provvisorio,
desiderando sempre e comunque togliersi dalla palle per andare a vivere in
mezzo al verde e alla natura il più possibile selvatica.
Di conseguenza ho sempre avuto un
rapporto efficace con gli animali, qui dovrei dire domestici, ma mi piace poco
l’espressione, perché spesso sono schiavizzati dall’uomo e non vorrei essere io
a fare lo stesso, ma con una pandemia non si può scherzare impunemente.
Rispetto il loro spazio, quello
degli animali, che non sono assolutamente più bestie degli esseri umani, anzi.
Sono autoritario senza essere tirannico, attento alla loro educazione ma non
voglio assolutamente umanizzarli, ci sto proprio attento. Non mi garbano
assolutamente i cappottini colorati e copricapi, le scarpine, insomma le
decorazioni sgargianti che gli mettono addosso, senza minimamente pensare se a
loro gli facciano piacere o no.
I cani più di tutti apprezzano la
mia compagnia, forse perché non sto a parlargli continuamente con quella vocina
stronza come se loro fossero dei bambini scemi e così non devono stare a
scervellarsi per capire che minchia io possa volere da loro.
Non mi dimentico mai di dare
soddisfazione agli altri, e di dare da bere e da mangiare a chi ho attorno,
cosa che fanno molti sedicenti amanti degli animali, che poi li trattano come
se fossero oggetti, senza il minimo rispetto per le loro esigenze, da
un’osservazione più particolareggiata poi viene fuori che trattano anche sé
stessi in quella maniera, non hanno la minima autocoscienza e ignorano la
possibilità di aver un piano anche approssimativo per la loro stessa vita che
non sia un tunnel senza interruzioni di lavoro, mangiare, riposo, divertimento.
L'autocoscienza è
un punto di non ritorno. Quando si diviene consapevoli di ciò che sta avvenendo
non è più possibile fare finta di niente.
Procuro la chiarezza degli
intenti, non solo con le bestioline, ma con ogni tipo di creatura, anche se so
che l’individuo medio vuole piuttosto della confusione, perché la disciplina
che deve mantenere al lavoro lo annoia, allora parla con dei doppi sensi, fa
degli scherzetti idioti a parole che lo fanno morire dal ridere, specie se
qualcuno più debole ne rimane umiliato, basta che non siano rivolti a lui. Teme
il malinteso quotidiano, ma gli piace anche e alla fine non sa mai con chi ha a
che fare e si mette nei peggiori casini, proprio perché non conosce sé stesso
né gli altri, diffidente fino all’ossessione, si fida proprio di coloro di cui
non dovrebbe mai fidarsi.
Pardona martedì 22 gennaio 2024
ZINO
ED EZRI
Bisognava
essere contenti che fosse solo una manovra finanziaria, una contromanovra per
supplire a una situazione che gli era scappata di mano. Eppure a noi tutti ci
giravano lo stesso i coglioni, forse perché, se le cose stavano così, noi
esseri umani non valevamo più niente, o magari non avevamo mai avuto valore
maggiore di zero.
Dario
Goya (dal libro “Dissociatevi Finché Siete in Tempo”)
In questo bar accogliente ma un po’
polveroso, il bar di Pierosky, tutto foderato di legno stagionato, faceva parte
della tappezzeria e della mobilia anche un uomo piccolo che aveva sempre un
colbacco in testa, non era particolarmente sporco, forse solo esageratamente
barbuto, lo chiamavano Ezri, e dicevano che era un ebreo, come se fosse un’offesa. Attaccava discorso con tutti, le
sue frasi erano piene di che dio l’abbia
in gloria, che si conservi sano, che sappia distinguere tra il bene e il male,
che riposi in pace… ogni tanto diceva anche qualche proverbio antico, non
sempre a sproposito.
Se il suo concetto era affermativo la sua
faccetta si muoveva in senso verticale confermando, se era negativo allora in
senso orizzontale ripetendo a iosa il suo no,
anche quando non diceva niente la faccia si muoveva ma un po’ meno, forse
accompagnava i suoi pensieri.
Pierosky diceva che era un ottimo cliente, passava
lì dentro ore e ore e personalmente non lo aveva mai visto pagare qualcosa, o
anche solo consumare un’altra cosa offerta da qualcun altro.
Sono stato invitato da Annibale e Zino a
giocare a carte al bar, di sera. Ho cercato di rifiutare invano, pareva una
cosa importante per loro. Hanno anche insistito per giocare di soldi, pochi spiccioli,
ma ero piuttosto stanco e poi andare e tornare al metato, ci vuole
dell’ispirazione da giocatori incalliti, oltre alla forza fisica. Per principio
non ho mai portato una bottiglia di vino al metato, non sono astemio solo che
preferisco farne senza, ma loro mi riempivano continuamente il bicchiere e mi
ubriacavano di vino oltre che di discorsi a biscaro, poi mi pelavano il
portafoglio. E ridevano come matti. Non è che non ci ho provato a farmelo
piacere, ma alla seconda volta li ho mandati affanculo senza troppi
complimenti.
Forse ho sbagliato, distrattamente
avevo chiesto non a Zino, come fosse al cielo del bar, quello che stava
succedendo al mondo. Queste cazzo di pandemie mi parevano orchestrate a dovere,
gonfiate dai media oltre il lecito bisogno. C’erano le case farmaceutiche di
mezzo? O forse era una manovra finanziaria a livello mondiale? Non l’avessi mai
fatto. Lui sull’argomento purtroppo era molto più ben preparato di quello che
avessi potuto pensare.
Figurarsi che, mentre giocavamo, Zino ha
spiegato questa sua articolata teoria, per niente facile, che ho registrato con
un piccolo tascabile, di solito lo uso per impararmi le espressioni del loro
gergo toscano del nord.
“Ecco, facciamoci uno schema
mentale: nel
2008 c’è la crisi dei mutui subprime: un eccesso di debito causa il collasso
del sistema finanziario. [La crisi dei subprime è una crisi
finanziaria scoppiata alla fine del 2006 negli Stati
Uniti che ha avuto gravi conseguenze sull'economia
mondiale, in particolar modo nei paesi
sviluppati del mondo
occidentale, innescando la grande
recessione (da molti considerata la peggior crisi
economica dai tempi della grande depressione).
Prende
il nome dai cosiddetti subprime, prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito in
favore di clienti a forte rischio debitorio (insolvenza),
considerati da molti analisti come fenomeni di eccessiva speculazione finanziaria.]
Il problema non viene risolto, anzi, si decide
di affrontarlo con nuovo debito in misura monumentale rimandando le conseguenze
e amplificandone la pericolosità.”
Ezri si è alzato e ne ha
approfittato per dire la sua frase fondamentale: “L’uomo è il primo prossimo di sé stesso, dice un proverbio ebraico, quando si è buoni con gli altri, si è
cattivi con sé stessi.” Guardando in faccia tutti e nessuno si è rimesso a
sedere. Nessuno lo ha considerato e Zino ha continuato come se niente fosse.
“Seguono
dieci anni di tassi a zero e crescita del debito incontrollata che non riescono
a dare impulso all'economia. I tassi a zero e le emissioni monetarie finiscono
nella finanza iper speculativa. Chiunque si può indebitare per comprare azioni
e scommettere nel mondo dei derivati. La bolla si gonfia in modo preoccupante.
Settembre
2019 - La cuccagna sembra finire da un momento all'altro: la Banca Regolamenti
Internazionali lancia l'allarme:
QUI
SCOPPIA TUTTO!!!!”
E
qui io mi ero fermato, ma visto che gli altri continuavano come se niente fosse,
mi sono adeguato. Zino intanto aveva ripreso a spiegare giocando tranquillamente
le sue carte, come se fossero due persone e due situazioni neanche lontanamente
comunicanti, due film paralleli.
“Il
18 ottobre 2019 a New York andava in scena l'Event 201. I big del mondo si
riuniscono per una simulazione che nel giro di poche settimane sarebbe
diventata reale. Le prove generali di un’epidemia di un nuovo coronavirus
zoonotico (Attributo che indica malattie e infezioni che possono essere
trasmesse dagli animali all'uomo e viceversa) trasmesso dai pipistrelli ai
maiali alle persone.
Il
20 gennaio 2020, gli stessi vertici delle nazioni e dei maggiori centri di potere
si riuniscono nuovamente a Davos e, molto probabilmente, i capi di stato e
tutti i media ricevono il protocollo di azione su come comportarsi, tutti
insieme per le misure che tutti noi abbiamo dovuto subire, nostro malgrado.
Fase
finale: I militari vengono dispiegati sui territori, le libertà individuali
vengono praticamente azzerate. L'economia viene congelata e le Banche Centrali,
all'unisono, con la Federal Reserve in capofila, iniziano la creazione
monetaria più insensata della storia del mondo, iniettando liquidità creata dal
nulla direttamente nei conti reciproci con le banche commerciali, nelle grandi
corporation, nei gestori dei fondi e anche direttamente al Tesoro, continuando
a comprare titoli di Stato.
Nel
pieno della crisi economica dovuta alle misure adottate per il Covid, viene
scatenata anche una guerra civile interna agli Stati Uniti sfruttando e
fomentando l'odio razziale. Nel caos generalizzato, con gli Stati Uniti non più
uniti, ma divisi come non mai, la Cina sembra uscire trionfante e questo fa
veramente presagire un disegno della fine di un'epoca, quella americana e
l'inizio di un nuovo mondo dominato dalla Cina. A questo punto abbiamo possiamo
dire di avere quindi un disegno molto verosimile che inizia con un problema
economico globale estremamente drammatico che bisogna affrontare in modo
urgente e concertato. Il mondo globalizzato si riunisce e si accorda su come
gestire questa situazione.
Per
capire bene l'importanza che ha il mondo finanziario sul mondo reale,
bisognerebbe avere un'educazione almeno basilare di come funzionano le banche,
il denaro, i commerci, i mercati valutari, le compensazioni tra banche, mercati
e nazioni, gli arbitraggi e il sistema bancario ombra con la realtà
intricatissima del mondo dei derivati e dei derivati OTC.”
“Ma
che cosa sono i derivati?” Ho chiesto io.
“Lo strumento
derivato in finanza è
un titolo (security) che deriva (da cui il suo nome) il proprio valore da un
altro asset finanziario oppure da un indice (ad esempio, azioni, indici
finanziari, valute, tassi d'interesse o anche materie
prime), detto sottostante.
Gli
utilizzi principali degli strumenti derivati sono la copertura da
un rischio finanziario (detta hedging), l'arbitraggio (ossia
l'acquisto di un prodotto in un mercato e
la sua vendita in un altro mercato) e la speculazione.
Le
variabili alla base della quotazione dei titoli derivati sono dette attività sottostanti e possono avere diversa
natura: può trattarsi di azioni,
di obbligazioni, indici
finanziari, di commodity come il petrolio o
anche di un altro derivato, ma esistono derivati basati sulle più diverse
variabili - perfino sulla quantità di neve caduta in una determinata zona, o
sulle precipitazioni in genere.
I
derivati sono oggetto di contrattazione in molti mercati finanziari, e soprattutto in mercati al
di fuori dei centri borsistici ufficiali, ossia in mercati alternativi
alle borse vere e proprie, detti over
the counter (OTC).
Il
derivato è un prodotto finanziario caratterizzato da uno spiccato livello di
complessità, solitamente adatto ad un investitore competente, dotato di alta
propensione al rischio consapevole e, soprattutto, informato dei complicati
meccanismi contrattuali alla base del funzionamento dello strumento.”
Dopo
questa spiegazione ci capivo anche meno di prima, gli altri giocavano e non
dicevano niente. Zino imperterrito continuava:
“Comunque già aver visto e capito il film Una Poltrona per Due dà un’idea di come
funzioni il sistema.
Il
mondo è tutto collegato. Non c'è niente che possa avvenire in una parte del
mondo senza avere ripercussioni da un'altra parte. Quando si creano degli
squilibri, bisogna intervenire per aggiustarli. Quando gli squilibri sono
talmente giganteschi da compromettere l'esistenza stessa del mondo economico
che conosciamo, allora le misure da adottare assumeranno una dimensione
proporzionale al problema.
Nel
settembre 2019 stava per esplodere l'intero sistema economico. La Banca
Regolamenti Internazionali, ha lanciato l'allarme e i paesi del mondo, tutti
avviluppati l'un l'altro in un abbraccio economico controparte, hanno
accettato, tutti insieme, di adottare le misure prescritte. La prescrizione è:
BISOGNA CONGELARE L'ECONOMIA!
Perché
bisogna congelare l'economia?
In
un mondo super indebitato, dove i debiti sorreggono le scommesse nel mondo
finanziario, dove le scommesse si basano sul fatto che i tassi siano vicini o
pari a zero, non si può far sì che i tassi d'interesse possano salire. Se i
tassi salgono, diminuisce il valore del nominale dato a garanzia e si innesca
la reazione a catena delle margin call.”
“Aspetta,
che sono queste ultime margincol’?”
“Margin
Call? Nel mercato finanziario spesso quando si compra un titolo l'acquirente
non fornisce il completo valore del titolo ma solo una quota (per esempio il
10% del valore) e il denaro rimanente viene fornito tramite un finanziamento
bancario. Se però il titolo si deprezza sotto la soglia di denaro fornita
dall'acquirente (nell'esempio il 10%) il broker vende il titolo. L'acquirente
perde il capitale investito ma il finanziamento bancario viene ripagato.
Il termine margin call si riferisce alla chiamata ("call") che il
broker una volta effettuava per comunicare al cliente che il proprio margine
("margin") è stato azzerato e che quindi o reintegra subito il
margine con nuovo capitale oppure il broker avrebbe venduto il titolo in
perdita. Oramai queste chiamate non vengono più eseguite dato che è tutto
informatizzato, ma il termine è rimasto.”
Anche
questa spiegazione, giocando a carte e bevendo vino non mi aveva aiutato molto.
Ma Zino non si è fermato.
“Questo
evento sarebbe cataclismico per le banche, gli hedge fund, i fondi pensione e
tutto il mercato dei titoli di stato.”
Qui,
visto il mio sguardo ha spiegato:
“Hedge
Found :
Sono
fondi di investimento molto aggressivi , per facoltosi investitori che
amano il rischio. Vengono gestiti da professionisti senza vincoli di
mandato.
Fondi
Pensione :
Sono
fondi che raccolgono il risparmio dei cittadini che vogliono farsi una pensione
privata. Investono prevalentemente in Titoli di Stato.
Titoli
di Stato : quelli italiani si chiamano BOT, BTP , CCT ......Quelli
tedeschi Bund . Quelli americani Tresory
Sono
quei titoli che se aumentano i tassi di interesse crollano di
valore. Basta l'1% di tasso in più per farli scendere del 10% .
Sono titoli posseduti da tutti . Banche, Fondi , Risparmiatori , Fondi
pensione. Le banche li usano come garanzia per fare altri prestiti!
Questo è il motivo che costringe le banche centrali a mantenere bassi i tassi
di interesse. Se crollano di valore le banche falliscono come
birilli.
Per
disinnescare la reazione a catena, l'unico sistema possibile è quello di
iniettarci dentro la tutta la liquidità necessaria. In un mondo in cui la
gente fa fatica ad arrivare a fine mese, è difficile giustificare la semplicità
con cui una banca centrale digita dei bit sul pc e crea soldi in modo
illimitato. Se la gente capisse questa cosa direbbe: " se è così facile,
perché non dà i soldi direttamente a noi"?
Questo
modo di ragionare mette in luce la grande ingenuità delle persone. La gente
crede che le decisioni dei potenti vangano prese per il bene delle persone,
mentre quella è l'ultima delle loro preoccupazioni. Le decisioni vengono prese
per conservare la solidità della piramide di potere. Il potere, avendo tutti
bisogno di soldi per sopravvivere, è ben saldo nelle mani di chi detiene il
monopolio di creare i soldi, ovvero le banche che sono un cartello.
Lo
slogan "andrà tutto bene" messo sulla bocca dei fessi in tutto il
mondo, voleva dire: andrà bene a noi, non a voi, poveri imbecilli!”
Ed
ecco Ezri di nuovo e per niente a sproposito: Coloro che investono monete sonanti su realtà incerte e truffaldine, un
giorno ci porteranno via i nostri risparmi sudati e guadagnati col lavoro onesto
di una vita, vecchio detto Polacco.
Intorno, all’unisono, lo hanno ignorato in maniera totale.
“L'economia
è stata quindi congelata per consentire alle banche centrali di creare migliaia
di miliardi di nuovo debito e non creare inflazione. (l’inflazione danneggia il
creditore - la banca - e favorisce il debitore, quindi non deve accadere) Si
pensa erroneamente che l'inflazione sia l'aumento dei prezzi, ma l'aumento dei
prezzi è soltanto la conseguenza dell'inflazione. Inflazione vuol dire
espansione: l'espansione della massa monetaria. Se le banche creano nuovi
trilioni di dollari, inflazionano l'economia di nuova moneta disponibile. Se
questa moneta inizia a circolare, ad esempio, se c'è esuberanza economica,
allora si crea inflazione, in modo proporzionale alla massa di nuova moneta
messa in circolo. Quando questo accade, le banche hanno un solo modo per
intervenire: alzare i tassi per drenare la liquidità. Ma adesso questo è
impossibile, perché se si alzano i tassi si innesca l'esplosione delle margin
call sui REPO con operazioni di durata brevissima allo scopo di ottenere
liquidità istantanea per le ragioni legate soprattutto al rischio controparte
che scaturisce da operazioni altamente speculative nel mercato dei
derivati.) e scoppia tutto.
(REPO
In pratica sono operazioni di pronti contro termine con cui le banche e i
maggiori operatori economici si scambiano asset (principalmente titoli di
stato)
Con
il termine “asset”, la cui traduzione effettiva è “attività”, si fa
riferimento ad attività
finanziarie su cui è possibile mettere in atto un investimento
nell’ottica di conseguire un rendimento del capitale compatibilmente con i
diversi livelli di rischio associati.
L'unica
altra opzione per creare liquidità e impedire che circoli è quella di bloccare
l'economia, guadagnando tempo prezioso per intervenire là dove ci sono le
falle, cercando di tapparle una ad una gettandoci sopra palate di soldi.
Ecco
la verità di tutta questa triste vicenda dove ci hanno raccontato di tutto
tranne che il vero nocciolo della questione è il nocciolo economico; come
sempre. Come in tutte le guerre e in tutte le cose che accadono: l'incipit è
sempre economico.
Tutto
risulta di più facile comprensione una volta preso atto che le persone, nel
mondo, sono gestite come un gregge di pecore. Ci fanno fare quello che torna
utile a loro. Le persone che ce lo impongono, i governanti visibili e le teste
parlanti della TV, sono solo i cani da pastore. I mandriani sono le banche, proprietarie
dei soldi e quindi di tutto il resto.”
Ezri
si è alzato e ha detto: Se la famiglia è
come una pentola, la mamma è come un coperchio, antico detto Giudeo. Stavo per chiedere la differenza tra Giudeo,
Ebreo ed Israeliano, ma Zino è ripartito.
“Il
sistema economico globale è basato sul debito e per sua natura genera squilibri
che con il tempo divengono esponenziali. Un modo di intervento diffuso era
quello di organizzare guerre e dare origine a quello che Schumpeter definì
"distruzione creativa." Adesso è più difficile fare le guerre perché
mancano gli ideali e i giovani, col fisico da Nintendo, non sono più adatti.
Allora è stata scelta una strategia più trasversale. Quella della minaccia di
un virus invisibile con cui tutti gli stati sono obbligati a combattere,
indebolendosi e indebitandosi. Sul campo di battaglia restano aziende,
controllo delle risorse, devastazione e il potere si consolida in sempre meno
mani.
Non
sono mancati neanche i militari sul campo a dare credibilità a tutta la messa
in scena, mentre i media all'unisono ripetevano come un disco rotto:
"siamo in guerra contro il virus".
Ezri
allora si è alzato e ha detto una cosa che aveva a che fare con le parole di
Zino, seppur indirettamente: L’uomo che
scommette i suoi soldi, dovrà sentirsi pronto anche a perderli tutti, detto Lettone. E si è seduto di nuovo
circondato dall’indifferenza.
“È
tutto collegato. E il collante che unisce tutto è il denaro. Siamo tutti dentro
al gioco. Come un grande gioco del Monopoli. Quando giochiamo a Monopoli,
sappiamo benissimo che i soldi che usiamo sono finti. Quello che ha valore sono
le nostre emozioni che nascono durante lo svolgimento, mentre giochiamo.
Imprevisti, probabilità, case, alberghi, ferrovie. Sono le nostre emozioni a
dare valore a tutto ciò. Quella è la moneta autentica con cui paghiamo per
stare al gioco.”
Alla
fine credo non lo ascoltasse nessuno, ma intanto si giocava e ho perso come
avrei dovuto e potuto, quasi 4 euri. Ezri
quando sono uscito mi ha salutato con un inchino e indicando Zino mi ha sussurrato:
che viva sano e in grazia del suo Iddio,
perché il mio non lo conosce.
A
casa mi sono sentito questo panettone indigesto fuori stagione e ho capito che
aveva una sua logica, se era tutto vero non lo sapevo, ma Annibale aveva sempre
detto che Zino era omo ferrato coi soldi
e che faceva investimenti piuttosto complicati ma anche assai fruttuosi. In più
c’erano registrati tutti i detti di Ezri, che mi sarebbero potuti tornare utili
in varie occasioni. Perché la sua maniera di parlare mi ricordava quella di mia
madre, donna italiana, ma anche lei ebrea di famiglia.
Pardona giovedì 4 aprile 2024
ZIO ITHAMAR
E I SOGNI
Un corpo stanco sotto, non può pretendere un cervello
perspicace sopra.
Gennaro
Grun (La vita insiste nel farci degli scherzi)
Non
mi piacciono gli orologi, i calendari e tutto quello che ne deriva. I numeri
sono necessari le date meno. Questo diario non riporterà precisi riferimenti di
tempo, forse non si può nemmeno chiamare diario, ma a pensarci bene non c’è
neanche bisogno di chiamarlo, probabilmente non lo leggerà mai nessuno.
Piano-piano
ho ricominciato a scrivere, è inutile farlo quando sei troppo esausto, non
viene bene, anzi non viene proprio. Ogni tanto scrivo anche racconti per
bambini, forse non li leggeranno, ma intanto io li scrivo. Per divertimento. Ho
notato che quando scrivo mi diverto di più che quando leggo, perché decido io
cosa succederà, naturalmente scrivere necessita di maggiore energia e quando
sono molto stanco più facilmente leggo.
Spesso
dialogo a colpi di penna Bic con Ithamar Modigliano, uno trai maggiori filosofi contemporanei che io abbia mai
conosciuto, uno zio da parte di madre sui centoventi chili, pressoché immobile
a livello di corpo, ma assai frizzantino nel pensiero.
Lui
trova sempre un significato a quello che scrivo. Non è che Ithamar non sia un
po’ fuori di testa, lo è però in maniera piacevole, e nel suo lavoro è capace,
ma non ha una vita sua scissa dalla psicanalisi e purtroppo o per fortuna vive
di fantasie, occasionalmente anche piene di realtà, ma pur sempre virtuale. Da
quale pulpito viene la predica, però?
“Ho fatto un sogno strano qualche tempo fa,
cioè strani sono tutti, ma secondo te perché nei miei sogni di ora ci sono solo
animali? Ci deve essere un significato simbolico, non ti pare?” Gli dico.
“Forse…” Mi risponde.
“Certo, Annibale è stato qui tutto il giorno
per aiutarmi a fare le vasche per allevare i pesci. Guarda coincidenza mi sono
sognato pesci, assemblee di pesci che dovevano decidere, come esseri umani, su
quello che era bene e quello che era male.”
“Ammettiamolo
pure, ma andiamoci piano con le teorie fantastiche e romantiche, però. La
scienza ci dice che sono del tutto prive di fondamento queste credenze che
attribuiscono ai sogni capacità divinatorie. Sognarsi una cosa, qualsiasi cosa
e poi constatare in seguito il suo verificarsi nella vita reale è una roba
sconcertante che può essere facilmente scambiata per paranormale. Però, se noi
ci mettiamo a esaminare
attentamente e obiettivamente il fenomeno si ridimensiona e la
straordinarietà del fenomeno se ne scappa. Ogni notte i 6
miliardi di persone che popolano la Terra sognano per più di un’ora, un numero
spaventoso di sogni…”
“Aspetta,
bloccati un attimo. Io non ti ho ancora raccontato il sogno…”
“E
raccontamelo allora!”
“Nel lago d’Isola Vecchia anni fa, con il cambiamento
climatico in atto, fu possibile aggiungere le carpe, alle già esistenti trote,
ma chi lo fece non sapeva che così avrebbe generato un conflitto tra i due
branchi più facoltosi, anche se c’erano già altri pesci meno importanti e di
contorno. Le carpe vivevano in fiumi, laghi, acqua corrente e ferma, pulita o
torbida, pianura e montagna, si adattavano meglio quindi ed erano anche più
grosse delle trote, ma non mangiavano altri pesci, le trote invece sì. Va bene:
laghi, fiumi e ruscelli, ma di montagna, o anche di pianura ma le acque
dovevano essere fredde e cristalline per le trote.
Dopo un’assemblea con i dirigenti dei due gruppi, alle
carpe fu dato il fondo del lago e alle trote la superficie, ma a primavera le
carpe volevano stare anche in superficie e allora si divise il lago tra a monte
e a valle, le carpe vicino alla diga e le trote nella parte più stretta.
Anche così non funzionò, forse perché le trote erano
abituate ad avere tutto lo spazio per loro.
La carpa più anziana fece un discorso esortando le
trote ad adattarsi, come del resto fanno tutti i pesci, ma non solo, anche gli
altri animali, perfino l’uomo. Loro per esempio, le carpe avevano convissuto e
continuavano a convivere con i Lucci, che non sono tanto amichevoli e che ti
mangiano le carpette giovani per dessert. La carpa anziana disse che sugli
altri pianeti non lo sapeva, ma che sulla terra ci voleva molta pazienza. Dalle
altre parti, figurarsi che l’acqua scarseggiava più che sulla terra. Le carpe
risero e applaudirono con le pinne pettorali, i cavedani quasi tutti e perfino
le rovelle e le alborelle, qualche anguilla, ma le trote no. La carpa anziana
disse che loro si sentivano più importanti perché erano arrivate prima, erano
più difficili da pescare, per gli uomini poi la loro carne era più pregiata e
quindi più costosa, la trota la mangiavano anche al ristorante, tutti gli altri
pesci di acqua dolce no, meno di tutti la carpa. Però la carpa si adatta meglio
alle temperature, mangia di tutto e se quindi, qualcuno avesse sentito parlare
di Darwin, allora capirebbe che è meglio della trota, perché il clima cambia e
con esso le condizioni di vita e chi non sa adattarsi muore.
Tra gli avannotti di carpa però, per sbaglio c’erano
anche dei siluri che appena cresciuti iniziarono a mangiarsi tutto e tutti,
senza distinzioni di classe. Per via del solito cambiamento climatico anche i
cormorani arrivarono al lago e si mangiarono tutti i pesci piccoli. Alla fine rimasero
i siluri e i cormorani, ma visto che i siluri mangiavano i cormorani e
quest’ultimi non avevano più niente da mangiare, se ne andarono.”
Alla fine la
carpa anziana buonanima aveva ragione, ma se le trote avessero cambiato il loro
comportamento non sarebbe successo niente di importante. L’uomo come al solito
aveva fatto dei guai con la sua indifferenza e ignoranza, alla fine non era
stato utile nemmeno a sé stesso, anzi era stato dannoso. Nonostante questo
continuava a violentare la natura a proprio vantaggio, ma il suo vantaggio
prima o poi sarebbe terminato. E poi la colpa non era sua, la natura rinnova
sempre sé stessa e il tempo era già scaduto.
“No. Anche la teoria delle
informazioni nascoste, citata prima, può contribuire a spiegare certi sogni premonitori.
Può, infatti, accadere che un soggetto percepisca delle informazioni senza
rendersene conto (ad esempio, vedendo una persona percepisce il suo cattivo
stato di salute). Durante
il sogno
queste informazioni possono riaffiorare (per continuare l’esempio, si può
sognare che quella persona si ammali) e ciò che si sogna ha una certa
probabilità di accadere realmente (la persona si ammala). Infine va fatta
un’ulteriore
considerazione. Di solito i sogni si
ricordano con difficoltà. Di conseguenza
capita spesso che ognuno di noi, in perfetta buona fede e del tutto
inconsapevolmente, aggiusti a posteriori il ricordo del sogno per farlo
combaciare con qualche episodio realmente accadutoci.”
In quei
giorni il dualismo trote–carpe era stato l’argomento reale di conversazione,
come faceva il mio sogno a non dipendere da questo particolare insistente?
Quando Ithamar
si metteva a parlare di cose tecniche adottava un linguaggio tecnico, faceva un
po’ schifo, ma se lo volevi era così, se non lo volevi era così lo stesso, insisteva
che i sogni non abbiano necessariamente qualcosa a che fare con quello che stai
facendo in quel periodo. Lo mandai debitamente affanculo, mi pareva proprio che
qui l’implicito sovrastasse l’esplicito.
Pardona sabato 6 agosto 2024
CHEDVA
LA CIECA
Il timore di essere
sopraffatti e distrutti da orde barbariche è vecchio come la storia della
civiltà. Immagini di desertificazione, di giardini saccheggiati da nomadi e di
palazzi in sfacelo, nei quali pascolano le greggi, sono ricorrenti nella
letteratura della decadenza dall'antichità fino ai giorni nostri.
(W. Schivelbush)
Mia
madre Chedva Modigliano, che per semplicità in Venezuela chiamavano tutti Cica,
ma là lo scrivevano Chica, mi aveva raccontato che lì a Pardona all’inizio
dell’estate c’erano tantissime lucciole. Invece io ne avevo vista una sola,
dentro casa, una femmina, che assomiglia di più a un bruco a scaglie e fa una
luce simile giallo-verdolina, ma senza intermittenza. Annibale mi ha confermato
che una volta ce ne erano tante, di lucciole maschio, ma probabilmente
l’inquinamento le aveva fatte sparire. Pensai che
anche mia madre si illuminava in maniera più continua di mio padre, anche loro
si assomigliavano poco.
Mia madre era di famiglia ebrea, mi hanno
detto che veniva da Pitigliano, dove c’era una comunità abbastanza grande tempo
fa. Ha vissuto qualche anno a Pardona e qui i suoi genitori sono morti, prima
di conoscere mio padre, poi emigrare in Venezuela. Tra gli ebrei i matrimoni
con gente non ebrea, i cosiddetti Goy
o Gentili, non erano tanto comuni,
oggi forse lo sono di più.
Oltre a questo, se vogliamo, Cica è stata una
cieca per due motivi. Uno lo abbiamo già detto, a suo tempo quello della
riproduzione delle anguille, le cieche tornano verso casa e non si sa come
facciano. L’altro è perché non si è mai accorta di chi fosse mio padre, o forse
si è resa conto solo quando era troppo tardi.
Quando converso con lei non posso dire tante
cose, bisogna mantenersi sul neutro, alla fine però confesso ogni misfatto, o
quasi. Mi fa piacere parlarci, perché quando era viva non ci parlavo mai, cioè
si dicevano le cose necessarie alla routine giornaliera della convivenza, ma
raccontarle qualcosa non mi è mai riuscito.
“Sei tutto sudato!” Comincia lei come da
copione.
“Sì mamma, in Venezuela era impossibile non
sudare, con un clima caldo e umido, equatoriale come quello, ma qui è un po’
meglio, è più asciutto e fresco, comunque ora faccio il bagno e mi vesto tutto
ammodino, come se andassi alla messa. Sei contenta?
Ti stavo raccontando che nelle notti di vento
e burrasca là dentro il metato mi sentivo veramente bene, tranquillo, al
sicuro, come quando ero bambino e mi sentivo protetto da voi genitori. Misi su
le galline, facevo un po’ di orto libero, senza curarmi troppo delle erbacce,
coltivavo un po’ di tutto, seguendo i miei gusti, i manuali per quello che si
poteva fare qui, che non era certo tutto quello che esisteva al mondo.”
“Tu hai sempre lavorato in città, che Iddio
ti conservi sano, ma queste cose dove le hai imparate?”
“Sui manuali, te l’ho detto ora, non ti
distrarre, quando parli con qualcuno guardalo in faccia, magari. Poi c’era il
mio amico Annibale che m’insegnava un sacco di trucchetti campagnoli, e anche
sua moglie Ivalda, loro avevano sempre vissuto in mezzo ai campi. Intanto stavo
abituandomi a fare a meno del pane, mi piaceva e anche assai, ma sarebbe stato
troppo complicato da produrre senza comprare niente. Andavo sempre meno in
paese, Annibale veniva qualche volta, sempre più rara, ma le sue gambe erano,
ogni giorno in più, troppo ballerine.
Ero ancora forte e mi sentivo piuttosto in
forma, ma la mia età era già avanzata. Alla fine del terzo anno di ritiro ormai
ero autosufficiente e le pandemie che erano scoppiate e terminate, ritornate e
andate via di nuovo erano state diverse, secondo la radio, avevo perso il
conto. Intanto ero diventato pressoché un eremita felice e avevo rinunciato a
scendere a valle. Figurarsi che l’ultima volta, attorno alla mia Panda
arrugginita, nel piccolo posteggio del paese, avevo notato che era cresciuta
l’erba alta.”
“Sempre macchine brutte e scassate hai
avuto!”
“Sì, costavano meno e l’importante non era la
bellezza, per me, ma che funzionassero.”
“Ma quelle si rompevano sempre!”
“Ogni tanto, le macchine usate hanno questa
caratteristica, non voglio dire che sia un vantaggio.”
“Allora il tuo risparmio nel comprarle lo
pagavi con gli interessi.”
“Va bene mamma. Smetti di pensare ai soldi. Considera
che finalmente la macchina non mi serviva più, ero diventato quasi autonomo e
autarchico! Lasciami raccontare ora.
Passò un bel po’ di tempo, forse troppo,
senza scendere a Pardona e non che ne avessi sentito la mancanza, solo che sul
mare non vedevo più navi e sull’autostrada là sotto, qualche chilometro in
basso, non passavano più automobili né camion. Anche con il cannocchiale non
vedevo più niente in giro, niente aerei nel cielo, né sentivo più rumori che
non fossero di animali nel bosco e di uccelli sugli alberi. La radio non è che
la ascoltassi tutti i giorni, ma in precedenza non aveva accusato avvenimenti
speciali, la solita routine di epidemie, o pandemie che fossero. Poi, di punto
in bianco, le trasmissioni erano finite.”
“No! E che era successo?”
“Se hai pazienza un attimo, ora te lo dico.
Andando al paese incontrai muli che giravano
liberi, galline e animali da cortile che circolavano senza persone intorno,
nessuno. Incontrai i primi cadaveri putrefatti, mangiati dagli animali e
consumati dalle intemperie, tanti corvi e uccelli in generale, topi e tarponi
vivaci e quasi ammiccanti, parevano sorpresi di vedermi, forse mi consideravano
già come potenziale cibo. Impossibile non notare eserciti di formiche in
movimento, blatte e insetti a profusione, di ogni tipo e grandezza, finalmente
liberi dai vari ed eventuali veleni. Gatti e cani andavano su e giù, in
disperata ricerca di mangiare, non c’erano più abituati a doverselo trovare da
soli.
Avevo più volte pensato che ci sarebbe stata
di nuovo una guerra mondiale, per come stavano andando le cose in giro, sarebbe
stata solo una questione di tempo.
Invece no, peggio ancora.”
“Eri rimasto solo sulla terra?”
“No, sì… insomma non lo sapevo ancora. Mi
dispiaceva per tanta gente perbene che era morta senza colpa, anche se una
colpa piccola ma indicativa ce l’avevano pure loro, non si erano dissociati. Io
stesso mi ero salvato forse per caso, forse sì o forse no, ma almeno da tempo
ero uscito da quel gioco stupido. Esistevano altri sopravvissuti? E loro come
si erano salvati?”
“Finalmente sarai stato contento, potevi
giocare da solo, con i soldatini, come quando eri piccolo che non volevi altri
bambini, che erano ignoranti e facevano sparare i soldati romani col
mitragliatore!”
“Infatti, cioè no, non è stato così semplice,
mamma.
Andai in paese, da Annibale, la casa era
chiusa, forse erano morti dentro, sfondai la porta, dentro non c’era nessuno,
nel frigo chiuso roba putrefatta, forse erano stati ricoverati in ospedale
quando le cose si erano fatte bige, o forse erano vivi, erano solo scappati.
Il bar di Pierosky era stato saccheggiato,
qualcuno si era ubriacato per bene prima di morire. C’era un grosso cadavere in
putrefazione, mezzo spolpato, per terra vicino alla scala per il suo
appartamento sopra il bar, doveva essere lui.”
“Ma era pericoloso, potevi contagiarti e
morire anche te!”
“Infatti mamma, all’inizio ho dovuto usare una
mascherina, quando stavo vicino ai morti, mi sa che non è mai servita a niente,
ma me la sono messa, non si sa mai.”
“E dopo?”
“Dopo piano-piano i morti si sono squagliati
e io stavo più che altro al metato, lontano da loro.”
“Non avevi sentito il puzzo dei cadaveri,
prima?”
“No, cioè sì, ma poteva essere anche un
cinghiale morto, era già successo, e poi di solito il vento veniva dalle
montagne o dal mare, dalle parti non abitate.”
“E gli animali non erano infetti?”
“No, questo era stato comune anche a tutte le
pandemie precedenti, gli animali se ne erano sempre fregati. Pensai però che
qualcuno ci doveva ancora essere in giro, che camminasse con le proprie gambe,
in cerca di roba da mangiare, di sicurezza e di conforto perduti. Presto o
tardi mi sarebbe toccato di difendermi da quei gruppi di feroci affamati tipo
film dei sopravvissuti. Quando il mangiare attorno sarebbe finito mi avrebbero
trovato anche nascosto com’ero, ne ero convinto.
Pensai che a giudicare dalle bestie a
passeggio, loro non erano stati contagiati nemmeno stavolta, non ne avevo vista
morta in giro nessuna, allora avevo un certo lasso di tempo di vantaggio,
diversi mesi ancora per prepararmi. Prima di tutto una jeep, e c’era
l’imbarazzo della scelta, già qui in paese, ci voleva un fuoristrada coi
controcazzi, me ne scelsi una assai infangata ma in buone condizioni, con le
chiavi infilate nel cruscotto. Dunque me ne andai in giro per cercare la
benzina, poi mi accorsi che era a gasolio, c’era scritto vicino al tappo del
serbatoio. Là sotto era uno sfacelo di cadaveri e di mezzi di trasporto
abbandonati, però in relativo ordine, la gente era morta ma non
improvvisamente, non per strada, la maggior parte, forse negli ospedali, o a
casa. Insomma si passava abbastanza bene senza bisogno di dover spostare
oggetti o cose peggiori. A parte il volo di migliaia di mosche c’era un
silenzio irreale, mai sentito tanto tutto insieme e così insistito, nemmeno
nella giungla amazzonica. Al secondo distributore di benzina trovai anche
grosse taniche e riempii tutto, due anche di benzina che mi sarebbe servita per
accendere il fuoco o per l’eventuale difesa estrema, non si sapeva mai. Non
vidi nessun essere umano vivo, solo animali e anche allo sbando, troppo abituati
come erano a essere cibati dai rispettivi padroni, prematuramente e
inopinatamente schiantati. Pecore e vacche sperse mi fecero venire l’idea di
portarmene qualcuna su, mi ci voleva un rimorchio e non fu facile trovarne uno,
ma in pochi giorni di lavoro avevo reclutato e trasportato quattro pecore e un
montone, due mucche e un toro, il latte mi avrebbe fatto comodo e dovevo anche
pensare alla riproduzione. Stavo già costruendo i loro recinti, una capanna per
l’inverno e le nostre prossime notti fredde. Riuscii a trovare dei cavalli, per
girare attorno erano meglio della jeep, almeno
potevo caricarli dei pesi più leggeri fino a casa, avevo già preso anche due
muli per portare i carichi. La mia mandria era sempre più numerosa e aumentava
anche il mio lavoro quotidiano per dargli da mangiare. Per fortuna la maggior
parte si accontentava di pascolare intorno e d’inverno un po’ di paglia
stagionata bastava a farli felici.”
Naturalmente del mio secondo lavoro mia madre
non ha mai saputo niente, anche nei miei dialoghi virtuali non gliene parlo,
non si sa mai.
Pardona
lunedì 30 ottobre 2024
ZIA
YAEL
La libertà è
quel bene che ti fa godere di ogni altro bene.
(Montesquieu)
Un ulteriore incontro virtuale è la conversazione con zia Yael, sorella
più giovane di mia madre e di Ithamar, tutti da tempo defunti. Con lei ho
sempre potuto parlare di tutto, perfino della ricerca dell’assoluto relativo:
“Ho notato che nella vita ci sono dei
problemi, che al di fuori di questo ambiente, diciamo fuori dalla vita, non si
presentano.”
“Quindi?”
“Quindi togliendo la vita si evitano tutti
questi problemi, diciamo, tutta una serie di problemi se ne va. Sparisce.”
“E allora?”
“Ecco l’utilità di un killer. Una tra le
altre che abbiamo già citato.”
“Ne abbiamo già parlato?”
“Sì, in un certo senso, diciamo.”
“Rinfrescami la memoria.”
“Beh, oltre all’ovvio vantaggio materiale per
il killer, che se ne esce più danaroso, diciamo, c’è il fatto che uscito da
quell’ambiente il prematuramente defunto non deve più pagare le bollette,
scappare dai creditori, diciamo, non deve sottostare a tutte quelle assurde
regole che la vita impone, se ne va da questa valle di lacrime e chi s’è visto
s’è visto.”
“Bravo. Non fa una piega. Forse il prematuro
non è d’accordo, ma in fondo basta non chiederglielo.”
“E poi c’è la ricerca dell’assoluto relativo,
non dimentichiamocelo.”
“Me lo sono già dimenticato.”
“Non ci credo.”
“Giuro.”
“Sei una bugiardona, ma te lo riassumo subito
lo stesso: sarebbe come dire
l’imperfetto perfetto. La ricerca dell’assoluto relativo, è già in sé un
controsenso, eppure un’esigenza tipicamente umana, quella di cercare
un’improbabile quanto auspicata e stabile sicurezza. L’assoluto relativo è un
interrogativo irrisolto e nascosto, al quale nessuno di noi sfugge, per molti è
la chiave di volta dell’esistenza. Quello che noi vogliamo è qualcosa il più
possibile perfetto, desiderio legittimo e illegittimo allo stesso tempo, è bene
intendersi, ma il fatto è che tutto intorno ci pare tanto incompleto e mal
funzionante, che lavoriamo quindi incessantemente sulla base di un’idea
complessa, quanto meravigliosa e sbagliata.”
“Per fortuna non tutti vanno dietro a questo assoluto
improbabile. A pensarci è un po’ scomodo, magari fa parte della storia
dell’uomo?”
“E la scomodità non ce l’ho certo messa io.
C’era già quando sono arrivato. Insomma io a quei tempi leggevo assai e
scrivevo in proporzione, a volte leggendo mi veniva voglia di scrivere, ma
quando scrivevo assai - e mi divertivo a farlo - allora non leggevo quasi per
niente. Avevo iniziato a scrivere dei racconti per i miei allievi, in
Venezuela, tanto per spiegare le regole di grammatica e di sintassi, insieme al
loro uso corrente. Poi ci avevo preso gusto e alla fine mi ero immedesimato in
quei corti viaggi nel tempo e nello spazio, che mi ero dimenticato degli
allievi e delle regole. Mi si era aperta una porta nuova e un mondo
inesplorato. Poi ho letto da qualche parte che scrivere è un’attività altamente
dissociativa e io non faccio altro che dissociarmi, da quando sono nato.”
“A intermittenza direi, ti piace anche
associarti, ma vuoi scegliere troppo forse con chi e alla fine resti solo.”
“Soli si sta bene assai.”
“Sì, ma in compagnia si sta meglio!”
“No. Non è per tutti così.”
“Sì, forse sei abituato a pensare troppo.”
“Forse.”
Mia zia Yael è stata ricoverata in manicomio
diverse volte, gli esaurimenti nervosi la distruggevano, poi riusciva a
ritornare in testa, dopo gli occhi sembrava che vagassero sempre al di sopra della
gente, ma alla fine a forza di medicine ed esaurimenti ci ha lasciato le penne.
Il suo debole forse è stata la combinazione di una grande intelligenza
associata a una sensibilità illimitata, si innamorava troppo e gli uomini la
sfruttavano, prendeva tutto per gioco e sul serio allo stesso tempo, era una
contraddizione vivente. Beveva, si drogava, viveva in un arcobaleno di realtà
parallele. Però era acuta e osservatrice. Per questo mi garbava parlare con
lei, oltre a rappresentare una pazzia che io avevo casualmente quanto abilmente
evitato, sapeva notare le cose vere e profonde, nei suoi momenti positivi, come
nessun’altro.
“Però, da tempo hai semplificato il tuo modo
di pensare, mi pare, cioè sei più abile a lasciare da parte i pensieri negativi
e scherzi di più sulle fatalità, sulle assurdità del mondo, il paradosso qui
sulla terra è all’ordine del giorno, perché soffrire di questi eccessi, non
possiamo divertirci?”
“Ecco, meno male zia che qualcuno si è
accorto dei miei cambiamenti buoni e non solo di quelli cattivi!”
“Ho detto solo che mi pareva!”
“Ma hai confermato quello che volevo io, zia,
non può essere un caso! Quando le coincidenze coincidono troppo, allora non
sono più coincidenze, me lo hai insegnato te!”
Pardona sabato 11 gennaio 2027
MEGA ALBERTO
SUPER NUTI
Quando a un uomo è negato il diritto di vivere la vita in cui
crede, questi non ha altra scelta che diventare un fuorilegge.
(Nelson Mandela)
Il mio migliore amico forse è stato
Pieruccini Duilio, in arte Alberto Nuti, cantante venezuelano trai più famosi
dell’epoca, magari ci siamo frequentati poco, eppure pareva che lo avessi
conosciuto da sempre. Poi non era vero, perché ci siamo taciuti a vicenda le
cose più importanti. Solo dopo molto tempo che ci scrivevamo lettere
elettroniche, già lontani migliaia di chilometri, ho saputo che era
omosessuale, nel frattempo lui era morto massacrato a colpi di machete in uno di questi suoi convegni
segreti, forse anche a pagamento. Non ci sono rimasto male perché era
omosessuale, ma perché non me lo aveva mai detto e poi perché era morto, ma
prima o poi ognuno di noi va a vedere cosa c’è nell’altra stanza e magari il
peggio è non c’è proprio niente di interessante. È solo la fine del gioco.
Un’altra cosa che avevamo in comune era
questa scarsa paura, sommata alla poca curiosità di scoprire cosa c’è dopo.
Ci siamo conosciuti a Maracaibo, anche lui
era di famiglia italiana, ma senza origini ebraiche. Mi avevano mandato ad ammazzarlo
a dir la verità, ma io ho capito subito che invece era una brava persona. Ne
seguirono episodi di guerriglia urbana e anche un po’ extraurbana e nella
giungla equatoriale per cui credetti che fosse meglio espatriare. Partito che
me ne fui per il mondo circostante, poi ci siamo incontrati una volta a Vienna,
otto anni dopo, lui era lì per un concorso canoro internazionale dove
rappresentava il Venezuela. Mi pare che vinsero gli Abba, per la Svezia. Mi ha
presentato anche Loretta Goggi, che difendeva il tricolore italiano, a livello
canzonettistico. Siamo rimasti sempre in contatto, ci siamo scambiati anni e
anni di lettere, poi di e-mail, dopo lui è morto ammazzato, ma non dai mandanti
originari, perché quelli li avevo eliminati io personalmente.
Alla fine siamo pari perché io non gli ho mai
detto del mio mestiere numero due e del perché ero arrivato a casa sua, quel
giorno. Non sono uno che mente bene, anzi, ma lui era uno piuttosto ingenuo da
questo punto di vista e non mi ha mai sgamato. Dall’altro lato che lui fosse un
po’ effemminato era impossibile notarlo, forse per contrasto voleva fare il
maschione anche oltre il necessario.
Gli piacevano assai gli animali, viveva da
solo con una specie di zoo in casa, aveva due cani così piccoli che sembravano
topi. Forse dei Chihuahua a pelo lungo, se mai ne esistessero, lui diceva che
erano bastardi, ma il vero bastardo invece era proprio lui, nel senso buono del
termine. Un pazzo, sempre di buonumore, simpaticissimo ma senza il senso del
pericolo.
“Insomma ti trovi bene, là da solo come un
cane e con una miriade di cani a farti compagnia?” Dice lui.
“Benissimo, il cane è il miglior amico
dell’uomo e anche se l’uomo non è il miglior amico del cane, loro non me lo
fanno pesare.” Rispondo io.
“E come passi il tuo tempo?”
“Di lavoro qui ce n’è tanto e più aumentano
gli animali attorno e più lavoro c’è per me, in più c’è anche l’orto, mangiare
tanta verdura fa bene, la manutenzione della casa e degli impianti delle vasche
delle carpe, insomma la sera sono stanco morto.”
“Ma non hai nessuno con cui parlare…”
“No, cioè sì, io con loro ci parlo, loro non
mi rispondono a parole, ma con i gesti, i fatti, capiscono tutto e sono molto
più sensibili degli esseri umani, cosiddetti, se lo vuoi sapere.”
“Ah sì? Fammi qualche esempio.” Gli piaceva
sempre fare l’avvocato del diavolo, se tu avevi un’opinione lui, che aveva la
stessa, fingeva sempre di essere troppo contrario.
“Beh, quando sono triste, loro lo sentono
subito, si avvicinano e mi grattano con la zampa, le orecchie basse e guaiscono
piano-piano. Si sdraiano vicino a me, in modo da sentire il contatto corporeo.”
“Tutti loro?”
“No, solo alcuni, dipende, ognuno ha le sue
caratteristiche.”
“Non sono come gli esseri umani, per
fortuna.”
“In che senso?”
“Noi esseri umani siamo sempre distratti da
qualcosa che non conta, come il futuro sempre diverso da quello che volevamo
nel passato e ci dimentichiamo che il presente è molto più importante.”
“In effetti…”
“E poi i soldi! Lo sai che gli animali non
hanno i dannati soldi a rompere le scatole cinesi, ma non sanno che fortuna che
hanno!”
“Eh no!”
“Allora qualche volta sei anche triste? Non
te ne credevo capace.”
“Certo, figurati, ma se ne accorgono solo i
cani, penso che cambiamo di odore, quando siamo tristi, ma per gli esseri umani
la mia faccia e il mio comportamento non cambiano, quindi non se ne accorgono,
meglio così.”
“Pietro Rodolfo, scusa ma io sono venuto qui
oggi a dirti che so tutto, e so anche che tu sai di me.”
“Tutto?”
“Tuttino.”
“Allora dimmi chi ti ha ammazzato!”
“Nessuno, cioè nessuno che avesse a che fare
con i boss con i quali ti sei messo a fare la guerra.”
“Beh, questo mi conforta, in un certo senso…
e perché non mi hai detto che eri finocchio?”
“Debolezza femminile, tutto qui, il mondo è
assurdo, cioè il mondo no, la gente è assurda, a cominciare da noi stessi. Tu
hai massacrato un numero enorme di persone, anche se erano banditi erano sempre
persone, sei dovuto scappare prima che ti scuoiassero e lo hai fatto
generosamente solo per salvarmi, non mi conoscevi neanche… e io ho buttato
tutto dalla finestra.”
“Va bene, ma tu non sapevi quello che era
successo…”
“No, ma pensi che avrebbe cambiato qualcosa?
Credi che il mio istinto selvaggio si sarebbe lasciato ingabbiare da una
tragedia gigante, sì, ma che io non avevo né visto né sentito?”
Pardona lunedì 20 marzo 2025
CRITICA
CINEMATOGRAFICA
La vita è come un film, ma i film
non dovrebbero raccontare proprio la vita?
Wolfgang Paciocco (Facciamoci
una Sana Mente Locale)
I film ora non li posso più vedere, ma ogni
tanto ci penso e me li rivedo sul telone là dietro i miei occhi, a volte li
discuto con Dundee, una delle mie due quasi donne ideali, sottolineando il
quasi, che dopo alcuni mesi mi ha debitamente mandato affanculo, oppure io ci
ho mandato lei, non l’ho mai capito, forse neanche lei. Una francese insomma con
il nome di una città scozzese, secondo lei erroneamente i genitori avevano
pensato che Dundee in inglese si pronunciava come Dandy, magari gli faceva
tenerezza, che ne so?
Mi chiedo se sia ancora viva, da qualche
parte, probabilmente no, dal punto di vista dei virus era troppo socievole e se
ne stava costantemente circondata di gente, anche di dubbio gusto e forse
questo fu il motivo principale per cui ci lasciammo. Comunque sia era simpatica
e intelligente, completamente irrazionale su certe cose e troppo razionale su
altre. Nessuno è perfetto, per carità, di queste cose me ne intendo.
Aveva una passione particolare per i film
impegnati, si costruiva idoli come James Dean, Humphrey Bogart e il solito
Elvis Presley, era una sognatrice, l’importante era l’entusiasmo e lei quello
ce lo aveva.
Andavamo spesso al cinema a Kiel, nel nord
della Germania. Forse è stata l’epoca più romantica della mia vita, ma non è
durata molto.
Di solito cedevo alle sue preferenze, per cui
andammo a vedere L’Atalante, una bellissima serie di film polacchi di cui non
ricordo né i titoli né l’autore, e i film di Jos Stelling, un olandese geniale.
ma che non tutti potevano apprezzare.
Al cinema Moviemento facevano nottate a tema,
tre o più film di uno stesso autore di tematiche d’essai. Una delle più
temibili, che ci addormentammo tutti e due all’unisono, fu quella
dell’ungherese Béla Tarr. Mi svegliarono perché russavo un po’ troppo, secondo
me se fosse stato un Harry Potter qualsiasi non se ne sarebbero nemmeno
accorti, ma quello era un film troppo silenzioso.
Spesso il dialogo tra di noi va
involontariamente a finire su Ingmar Bergman e sul film Il Settimo Sigillo, che lei ha visto e mi rimprovera di non aver
mai sopportato fino in fondo. Va bene, la partita a scacchi con la morte è una
bella idea, non lo nego, ma Bergman è troppo datato per me, i dialoghi dei suoi
film mi sembrano falsi. Il Posto Delle Fragole
per esempio, non nego che sia bello e interessante, ma come si fa a non
addormentarsi?
Pardona mercoledì 4 settembre 2025
MARTO
E PALLINO
Più che scrivere è meglio vivere, se
proprio si deve scegliere, ma se si riuscisse a fare le due cose insieme, o
alternandole, è chiaro che una influenzerà l’altra, non sempre e solo
positivamente.
Lee Gustav
Paltrinieri (L’Incomunicabilità del Dialogo)
La parola autismo
deriva dal greco, il suo significato letterale è stare soli con sé stessi. L’autismo non è un disturbo definito con
certezza, ma un insieme di alterazioni dello sviluppo cerebrale: per cui è
preferibile usare la definizione di disturbi
dello spettro autistico.
I disturbi dello spettro autistico sono
variabili da un soggetto all’altro, tanto che si può dire che ogni bambino
autistico è un caso a sé.
I
miei racconti sono anche loro popolati di animali, gente non ce n’è. E
dovrebbero essere per i bambini, ma alla fine, dice Ithamar, sono tutto il
contrario, a causa del simbolismo.
“Mi chiamo Pallino per via di una
macchia quasi perfettamente rotonda e marrone scura sul pelo bianco, sul dorso,
quasi all’altezza delle gambe posteriori. Ho anche tante altre macchie, più
piccole, alcune solo sotto il pelo, ma quella è la principale. Questo è un caso
trai più famosi, a cui il sottoscritto ha preso parte, col fido assistente
Marto detto Martino, o anche Biforcazione, poi si capirà perché.
È ambientato, come tutti gli altri,
nei dintorni della cittadina di Fagundes Varela, nell’interno dello stato
Brasiliano del Rio Grande do Sul. Tanto per entrare nel vivo della storia, il
pastore tedesco Schöneberger mi aveva fatto chiamare alla Fazenda Tonhão,
quella mattina di cui ricordo bene il freddo intenso e il vento. Non tutti
sanno che il Brasile è grande 28 volte l’Italia e che nella sua parte sud,
vicino ad Argentina e Uruguay c’è un inverno relativamente rigido, più che
altro umido e ventoso.
Il vento dalla Patagonia spirava
dritto dentro le nostre orecchie, noi sapevamo che veniva da più sotto ancora,
dall’Antartide, per questo non c’era da scherzarci.”
“Parli sempre del Brasile, eppure,
correggimi se sbaglio, tu non ci sei mai stato.”
“No, no, infatti.”
“Forse perché vorresti andarci.”
“Credo di sì. Non lo so. Aveva
piovuto e il fango della strada ci fece sporcare le zampe, è vero, ma ci
permise altresì di trovare le prime tracce del malfattore, ed erano appendici
poderose assai, ma non parevano di un cane, almeno non di nessun cane che noi
conoscessimo, anche se gli somigliavano, Marto era d’accordo con me su questo.
Lupi e volpi in Brasile non ce ne
sono mai stati, tantomeno Dingos o altri tipi di bestie selvatiche della
famiglia dei Canidi, i pochi e rari animali del genere erano dei comuni
bastardi fuggiti ai loro padroni, di solito roba piccola.
Qualunque cosa fosse, quel bastardone
aveva rubato con evidenti scopi alimentari una gallina di cui Schöneberger era
responsabile, come per il resto del pollaio.
“Se prendete questo figlio di un
cane.” Disse il pastore tedesco col corpaccione vibrante di rabbia. “Vorrò
essere io personalmente ad incaricarmi della relativa punizione!”
“Beh, come lei m’insegna, i figli di
cani si dividono in due categorie…” Intervenne a sproposito quanto prontamente
Marto: “Quelli di nome e di fatto e poi quelli nel puro senso dispregiativo, io
personalmente, preferisco senza ombra di possibile dubbio…”
“Lascia perdere, Martinho. Andiamo
piuttosto avanti con le indagini.” Dissi io e così facemmo, sebbene il
brontolio del mio assistente non scemasse, continuò solo più a basso volume.
Dai nostri nasi allenati ed umidi,
anche per il tempo inclemente, l’odore che sentimmo era forte assai, ma
spariva, troppo disgraziatamente, insieme alle tracce delle zampe e alle piume
color cannella del volatile, bagnate per terra, proprio dove iniziava la strada
lastricata a parallelepipedi di pietra.
L’olfatto di noi cani è superiore
agli altri nostri sensi, l’udito anche è buono assai, d’accordo, ma la vista ce
l’abbiamo scarsa e se l’oggetto in questione non ha la benevolenza di muoversi,
non lo distinguiamo nemmeno dal grigiore generale, anche perché i colori, per
noi, sono semplici opinioni, di cui però non amiamo discutere con nessuno.
Il segugio è famoso per il suo naso
umido e sensibile, ma anche tutti gli altri cani, tra cui noi, anche se a torto
chiamati bastardi, abbiamo addirittura un certo comportamento standard,
perlopiù in funzione del nostro odorato.
Le razze pure non esistono, mettiamo
subito in chiaro che ogni cane di alto lignaggio è frutto di incroci e anche se
sono più snob sono più delicati, facili ad ammalarsi, vivono anche meno.
Pur essendo di purissima razza
bastarda, per esempio, io di fatto sono un segugio, non di nome, nossignori, ma
piuttosto di fatto.
Approfitto della mia attitudine
innata al fiuto per scoprire i colpevoli di eventuali misfatti e così mi
guadagno ossi e pezzi di carne di vario tipo, croste di formaggio e succulente
pastasciutte avanzate agli umani, col mio lavoro.
Quello che si capì subito dopo era
che il cagnolone non era affatto selvatico, era un domestico,
sorprendentemente, giacché sentimmo olezzi vari di antipulci e altri prodotti
vomitevoli da veterinari e da cagnolini di città.
Il fatto che le tracce finissero
sulla strada lastricata era una disdetta, d’accordo, ma ci fece capire un'altra
cosa: che il cane era il colpevole materiale, sì, ma il mandante poteva e
doveva essere un uomo che lo trasportava con un carretto trainato da cavallo o
qualcos’altro con le ruote.
A questo punto, corremmo narici a terra
su e giù, giù e su. Come volevasi dimostrare, trovammo pallottole verdastre di
provenienza equina, a giudicare dalla grandezza e dal relativo olezzo.
Eravamo già avanti con le
supposizioni e le ipotesi, eppure non avevamo ancora niente sotto le zampe, perché
quella coppia doveva essere venuta da una distanza che per poca che fosse non
era facile da scoprire a naso, il miglior rivelatore che avevamo.
“Qui le possibilità sono due.” Disse
Marto. “O i nostri amici-nemici sono due delinquenti che mirano a qualcosa di
più alto e complicato. Oppure...”
“Oppure?” Chiese interessato
Schöneberger che ancora non conosceva Martinho.
“Oppure sono una coppia di cretini e
allora non si capisce perché armare una tresca del genere per rubare una
gallina.”
“Lascia perdere Martinho.” Dissi io.
“Naso a terra e pedalare, Schöne, ci vediamo dopo, spero presto.”
“Wooofs!” Rispose il pastore.
Io e il mio fido assistente abbiamo
solo due cose in comune, ma importanti: zampe corte e naso lungo, tutta roba
che ci permette di correre senza staccare le narici dal suolo.
Meno male che quel cavallo era un
generoso concimatore di terreni e ogni poche centinaia di metri lasciava le sue
inequivocabili tracce odorose.
Dopo qualche chilometro ci fermammo a
bere le acque limacciose del ruscello Rio Pardo sul lato di un ponticello e fu
una fortuna. Da lì sotto fu possibile vedere tracce fresche di ruote, su una
stradina sterrata che da sopra non avevamo visto. Poche decine di metri più
avanti il cavallo ci aveva di nuovo gentilmente quanto involontariamente e
profumatamente aiutato. Seguimmo quelle tracce prima che la pioggia o qualche
animale troppo affamato le facessero sparire. Le gocce non erano troppo forti
ma ci si bagnava lo stesso, senza fretta. Entrammo in un bosco la strada
cominciò anche a salire. Gli alberi a diventare sempre più fitti, la fame ad
aumentare.
Il castello apparve dalla nebbia e
tra la pioggia ora battente, tutto buio alle finestre, c’infilammo cautamente
in una specie di cantina. Nessun rumore riusciva a oltrepassare quello del
temporale, nessuna luce attorno, ci addormentammo sulla paglia, con un languore
dentro lo stomaco. Piovve tutta la notte, oppure ci svegliammo solo alla
mattina e c’era un pallido solo che filtrava dalla finestra dai vetri rotti. Il
silenzio regnava nel castello e quando uscimmo i nostri piccoli passi sulla
ghiaia bagnata sembravano l’unico rumore.
Arrivò una simpatica signora in un
camice bianco insanguinato che ci accarezzò e ci dette delle ciotolate di
spezzatino sulle quali ci buttammo a pesce, si fa per dire.
Dentro c’era del sonnifero, io e il
mio socio poi ci risvegliammo in gabbia, una per uno, di ferro e troppo piccole
e strette. Non si sa quanto tempo era passato e ci faceva male la testa,
attorno a noi tante piccole, medie e grandi gabbie e ognuna con un cane di
diverso tipo rinchiuso dentro.
“Ci sarebbero due ipotesi da fare…”
Cominciò a dire Marto, ma quando si girò ammutolì perché vide il mostro, forse l’autore
dei misfatti in questione, cioè un grosso cane, ma pareva fatto con i pezzi di
altri cani, che si girava attorno minaccioso, l’unico libero disteso su un
materasso in terra.
Dopo aver ringhiato per bene e
zittito la confusione degli altri cani curiosi del nostro arrivo e angosciati
per la triste fine che anche noi come loro avremmo fatto, il cagnolone
minaccioso è uscito.
Zio
Ithamar a questo punto se ne è uscito con il suo solito sacco di stereotipi a
partire dal mio essere esageratamente individualista, per arrivare allo
scegliermi sempre un collaboratore sempliciotto da poter dominare. Io secondo
lui insisterei sempre nel voler dipingere l’essere umano come un manipolatore e
schiavizzatore della natura e degli altri animali. Chissà da dove avrò
estrapolato tutte queste assurdità, diceva e poi rideva.
Diceva
anche che io ambientavo sempre i miei racconti in un posto dove non vivevo e
non avevo mai vissuto, forse perché cercavo sempre l’altrove e quando lo
trovavo non mi bastava, ne volevo un altro e poi un altro ancora. Forse aveva anche
ragione.
Il castello era un grande parallelepipedo
evidentemente costruito da un italiano del nord, aveva la stessa struttura del
Maso Alto Atesino. Fatto di pietra e mattoni, ma solo la base era in muratura,
la parte alta era tutta di legno, con i merli e tutto, era minaccioso,
anacronistico e ridicolo allo stesso tempo.
Dalle rispettive gabbie abbiamo
cominciato a comunicare con gli altri cani, abbiamo appreso novità per niente
edificanti tra cui quella che questi cagnoni artificiali erano fatti con i
pezzi nostri, cioè di cani veri e piuttosto disgraziati. Uno degli ingabbiati
era un Volpino piuttosto sveglio e osservatore che ci ha detto:
“La professoressa Pietra Franchi è una
pazza, chissà perché si è fissata che vuol fare dei Frankenstein canini e fino
a un certo punto ci riesce pure, solo che quelli poi non obbediscono e se vanno
a rubare le galline poi invece di portargliele a lui se le mangiano, invece di
fare terrore e ordine qui, come lui vorrebbe, fanno disordine e scenette
comiche, sono perfino troppo scorreggioni, oltretutto. Sono più imbranati e
stupidi dei cani normali, anche se hanno grandi denti aguzzi e maggior forza
fisica non sanno approfittarsene. La professoressa cerca di riprendere il
controllo da tempo perduto con l’ipnotismo, ma finora è riuscita solo a
peggiorare la situazione.”
“I casi sono due.” Lo ha interrotto
Marto. “Dobbiamo ipnotizzare noi i cagnoni, perché proprio loro ci potrebbero
aiutare ad uscire, caso contrario, sennò qui, diventiamo anche noi spezzatino e
già l’idea non mi garba per niente.”
“Passiamo quindi alla pratica.” Ho
detto io, mi sono informato tra gli altri ingabbiati su quale fosse il più
stupido o più sensibile all’ipnotismo e mi hanno indicato H, detto la Bomba,
per via delle sue rumorose esplosive o mitragliate capacità gassose.
I cagnoni erano denominati con le
lettere dell’alfabeto, H era l’ottavo tentativo miseramente fallito di fare un
mostro almeno un poco efficiente, ma ce ne erano tanti altri precedenti o
seguenti, figurarsi che erano arrivati fino alla P, di Pollo, che era stupido,
camminava a due zampe e attraversava la strada proprio quando arrivavano le
automobili.
H era così sensibile all’ipnotismo
che a volte andava in trance da solo, con il movimento di una foglia al vento,
o il pendolare di un ragno da un filo, il volo di un passerotto attorno a un
alberello. Alla prima occasione Marto lo chiamò quando lo vide passare, quando
fu abbastanza vicino iniziai a muovere la coda a strisce bianconere in maniera
più che sinuosa e freudiana mentre Marto con la sua voce più profonda e
impersonale gli diceva di chiudere gli occhi, di addormentarsi e di ubbidire ai
suoi ordini. Poco dopo la mia gabbia era aperta e H su nostro ordine si era
nascosto dietro una botte enorme. Quando tutti gli altri cagnoni si furono
allontanati per l’ora della pappa giornaliera aprii tutte le gabbie e facemmo
uscire i relativi e numerosi cani dal castello e poi rapidamente dalla
proprietà. Nel frattempo io con un becco Bunsen appiccavo il fuoco alla paglia
del fienile, che essendo alto e attaccato alla parte in legno in poco tempo si
tramutò in un incendio totale. Essendo il cortile all’interno di quattro muri e
di soprastanti ridicoli supporti di legno, credo che la nostra opera di
distruzione fu completa, forse poco etica dal punto di vista professionale, ma
chi se ne fregava? Un investigatore canino non può ricorrere alla polizia e
anche se portasse prove inconfutabili lo prenderebbero lo stesso a calci nel
culo. Un puzzo di bruciato invase il bosco, accompagnato da urla disumane, ma
noi eravamo opportunamente pieni di ragione e già lontani.
Ithamar
pensa che le regole valgano ugualmente per tutti, per carità, ma non per lui, ovviamente.
Alla fine del mio racconto ha riso, mi ha detto che chissà perché l’uomo che io
ritraggo è sempre peggio degli animali. Fin lì avrei ragione, secondo lui, ma
mi dimentico sempre a quale categoria io appartengo, per quanto mi dissoci sarò
sempre un essere umano. O qualcosa del genere. E poi è inutile che io mi sforzi
di sognare animali e solo animali, quelli rappresentano gli uomini, le persone
insomma.
Pardona venerdì 28 febbraio 2026
ANNIBALE
NOSTRO SE SEI NEI CIELI
L’uomo
veramente libero è colui che rifiuta un invito a pranzo senza sentire il
bisogno di inventare una scusa.
(Jules
Renard)
Da un po’ di tempo parlo spesso con Annibale,
a volte interviene anche sua moglie, ma è già difficile spiegare a lui tante
cose, senza che arrivi lei a chiedere chiarimenti. Però è divertente, tutti e
due hanno un certo senso dell’humour.
“Eh sì, amico caro. Ogni giorno si lavorava
di binocolo e osservazione delle strade, eventuali imbarcazioni dal mare, forse
sarebbero arrivati da quella parte, ma potevano anche arrivare dalle altre.”
“O da sopra con gli elicotteri.”
“Ti sarebbe garbato di più, ma la vita non è
come i film che ti piacciono a te. No. Figurati.
La sera pianificavo, il giorno mettevo in
pratica. Dare mangiare agli animali era già un’occupazione impegnativa, lo
facevo il pomeriggio, dopo pranzo, tutto il resto del giorno era un piano di
guerra di difesa, un nuovo tipo di guerriglia moderna.
Intanto i miei cani erano arrivati a otto, vivevano
liberi e giravano intorno alla casa. Il bosco intorno era impenetrabile per i
rovi alti e intrecciati e un sottobosco fitto intorno, te lo sai bene, nei
passaggi obbligati c’erano roccioni e strettoie, nei punti strategici i miei
mortali tranelli imparati dagli indios della foresta amazzonica, intorno alla
casa uno steccato di pali appuntiti di castagno, dai lati e dietro, davanti il
burrone.
Erano passati forse sei mesi quando vidi
arrivare uno yacht bianchissimo da lontano, con il binocolo spiai per un po',
attraccarono con evidente scarsa perizia marinaresca, presero la strada dopo
aver scelto delle automobili abbandonate. Non mi sembrò che fossero dei
samaritani che volessero reclutare gente pacifica per la loro buona causa. Li
seguii con il cannocchiale e stavano venendo nella mia direzione, possibile che
aldilà del mare avessero saputo che avevo della carne fresca e del pesce vivo
da mangiare? Il capo era un piccoletto pelato che teneva sempre le mani sulle
sue due automatiche Glock, forse temeva una rivolta interna al gruppo.”
“Ma te le armi le conosci bene, o come mai?”
“Non hai ancora capito che facevo di
mestiere?”
“No, se un me lo dici…”
“Già, è vero, meglio se te lo dico dopo.
Insomma erano una ventina, in mezzo c’erano tutte le razze e gli abbigliamenti
erano misti, strappati, erano sporchi e sudati, contai più uomini che donne,
più orientali che occidentali. Evidentemente la vita dell’epoca non permetteva
più l’esistenza di malfattori in giacca e cravatta, c’era già un miglioramento,
almeno era sparita la falsità, quello che si faceva, bello o brutto, era alla
luce del sole. Notai anche che le armi erano di ogni tipo, cioè quelle che
avevano trovato in giro.
La rivoluzione era stata magari non
improvvisa, però rettilinea e inarrestabile, quando la luce elettrica e le
altre fin troppo scontate comodità erano venute a mancare, si tornava
automaticamente all’età della pietra e la gente non avrebbe avuto il tempo
d’imparare a fare quello che da secoli non aveva più fatto. Tornare a essere
cacciatori e guerriglieri dopo una vita da impiegati non era facile, ci voleva
del tempo, contemporaneamente il tempo non giocava a loro vantaggio, perché intanto
non avevano da mangiare. La maggior parte della gente che si era salvata, non
sarebbe riuscita a mantenersi in vita, per questo si associavano e diventavano
dei saccheggiatori capaci di badare a sé stessi appena al momento, al domani
non ci pensavano proprio. Forse avevo sottovalutato qualche aspetto, come per
esempio che gli animali chiusi e lasciati imprigionati nelle stalle, come
vacche e pecore, sarebbero morte di fame o di sete, se non c’era nessuno
durante i primi giorni a liberarle.
Un vantaggio che io avevo da sempre era
quello di non farmi illusioni, la gente era attaccata alla vita in una maniera
spropositata, avevo notato che chi viveva peggio c'era più aggrappato degli
altri, forse per via dell'ansia, perché non sapeva cosa gli sarebbe successo
dopo. Non che io lo sapessi, invece, ma da anni avevo imparato che sopravvive
più facilmente chi non ha paura di morire e per me i cambiamenti erano più il
bello che il brutto dell'esistenza. Il timore di perdere porta inevitabilmente
alla sconfitta, non sto parlando di qualche stronza competizione, ma della
normale lotta per la sopravvivenza, che improvvisamente, dopo secoli di
tecnologia che aveva impigrito la gente, aveva cambiato a sorpresa tutte le
regole. Lo diceva anche il vecchio Darwin, la specie che sopravvive alle
ostilità dell’ambiente non è quella più forte, o quella più intelligente, ma
quella che sa adattarsi meglio ai cambiamenti.”
“E chi è Darvi?”
“Un amico mio, poi ti spiego.
Forse le mie paure si identificavano con
l’inattività, l’abulia, la depressione, la prigione o cose di questo genere. Se
potevo muovermi ed essere il percussionista del mio ritmo, invece, niente mi
spaventava.
In caso di guerra nucleare i topi e le blatte
sono i più resistenti e quindi favoriti alla sopravvivenza, gli esseri umani i
più soggetti all’estinzione e se lo meritano anche visto che il nucleare lo
hanno inventato loro. Nel caso di una guerra batteriologica anche, perché i
microbi dei virus senza di loro non sarebbero esistiti, ma anche perché hanno
complicato talmente la propria vita che non saprebbero più tornare a campare in
maniera diversa.
Nell’oscurità i cani abbaiarono più volte,
sentii un baccano ritmico e insistito quando era quasi l’alba e mi preparai. Ma
era solo il vento che si era alzato al sorgere del sole e sbatteva qualcosa nel
silenzio circostante. Ovviamente non dormii, ma il giorno dopo approntai nuove
trappole nel bosco e sui sentieri attorno a me. Tutte le mie armi erano ben
oliate e cariche, pronte in punti strategici.
Avevo dei fucili di precisione col
cannocchiale, potevo colpire e uccidere da grandi distanze calcolando anche il
vento. Pensai che i più sofisticati e fanatici tra i miei colleghi disdegnavano
la praticità della pallottola a distanza, gli piaceva di più il pugnale, il
corpo a corpo. Invece così il poveraccio in questione moriva senza nemmeno
sapere cosa era successo, in più non ci si sporcava le mani, si aveva tutto il
tempo per allontanarsi.”
“Allora te eri un killer?”
“Sì, ma non ero come credi te, sono sempre
stato una persona di principi saldi. Ho una certa mia personale ma ferrea
etica.”
“E come si fa ad ammazzare la gente e a
credere nel mondo e nella vita?”
“Non è facile. Hai ragione, ma la mia vita è
stata una lotta di sopravvivenza, come per tutti, sicuramente più estrema,
anche di quella dei miei cosiddetti colleghi. Ero l’unico del mio campo che
rifiutava degli incarichi, se mi documentavo e la vittima non mi soddisfaceva,
io dicevo di no. È successo di rado, solo quando avevo visto che i mandanti
erano peggiori delle vittime. Lo sapevo che perlopiù erano equivalenti, almeno
approssimativamente, non c’era da farsi illusioni, facevano schifo da entrambe
le parti. Ma quando mi mandavano ad ammazzare una persona giusta, per
pochissime che ne esistevano, ai livelli di guerre di potere, non volevo certo
farle diminuire. Ecco che dopo mi mandavano altri killer, in alcuni casi dei
poveri debuttanti allo sbaraglio. Forse con timore che li potessi denunciare,
cosa che non mi passava nemmeno per la testa, o magari per una pura
dimostrazione di potere o di infantile orgoglio ferito. Non c’è niente di più
assurdo della logica umana. In questi rari ma indicativi casi dovevo farli
fuori, anche i matadores, se volevo
sopravvivere e a volte la loro testardaggine sostituiva il semplice buonsenso,
dovevo arrivare anche ad ammazzare i mandanti originali. Una faticata che
durava anche dei mesi. Solo per una questione di principio.”
“Ma non è successo tante volte, credo.”
“Infatti, solo tre volte in venticinque anni
di onorata carriera. In genere il caso era fatto di comportamenti di routine, i
cattivi erano gli altri e il buono, che ero io, ne ammazzava uno e prendeva
soldi dall’altro. Per me i principi erano ancora validi e ci tenevo. Ho
ingannato venticinque anni la società che mi ha creduto un professore per tutto
quel tempo e io non ero mai nemmeno passato una volta per la polizia. Avevo
abbandonato le lezioni alle classi e avevo continuato le lezioni private, che
mi permettevano orari elastici e una facciata di attività legale.”
“Se glielo dico a Ivalda un ci potrà
credere…”
“E te non glielo dire, tanto siete morti
tutti e due credendomi un innocuo professore…”
“Innocuo?”
“Sì, uno che non può far male a nessuno. Ma
lasciami raccontare le cose ammodo ora. Mi trovavo avvantaggiato, a quel punto,
il gioco era cambiato, in maniera totale, solo che io lo avevo già praticato in
precedenza. Per scalzarmi da lassù ci volevano degli eserciti, oppure dei
professionisti esperienti e scaltri. Comunque per riuscirci non mi dovevano far
accorgere che arrivavano, sennò il mio vantaggio era incolmabile.
Certo non mi potevo concedere errori, la
notte dormivo troppo poco. I miei cani abbaiavano anche per delle stronzate,
avrei avuto bisogno di qualcuno che mi desse il cambio, un compagno, meglio una
compagna, ma dove l’avrei trovata? Saltavo su per ogni più piccolo rumore:
l’abbaiare dei cani, il muggire delle vacche, il belare delle pecore, il
cinguettare degli uccelli in maniera differente. I gatti stavano zitti per la
maggior parte del tempo e per fortuna le carpe aspettavano in silenzio,
abitualmente non sono di molte parole, e poi essere mangiate da me o dagli
invasori non faceva differenza per loro.”
Pardona mercoledì 5 dicembre 2026
IL SOGNO DEGLI ACQUARI
Anche
la poesia, a volte, se ne esce fuori a bestemmie, anzi, con il mondo d’oggi, mi
sembra più appropriata così, assai poco filtrata.
Marino
Sumatra (Il Cinema Contemporaneo Nel Passato)
La storia del mondo non finisce quando
termina quella dell’uomo. Che presunzione, chissà quante cose devono ancora
accadere! Il mondo senza l’uomo potrebbe anche essere meraviglioso.
Se si facesse un parallelo tra me e l’uomo
primitivo, si vedrebbe una comune tendenza ad assestarsi, ma l’uomo delle
caverne pare che dal momento in cui si è messo la cravatta si sia dissestato di
più e meglio, abbia perso la rotta e da tempo. La cravatta io me la sono messa
di rado, mai su mia iniziativa, ho avuto più coscienza di me stesso, dei miei
pregi e dei miei difetti e alla fine ho fatto un po’ quello che volevo,
fregandomene il più possibile degli altri. Ebbene sì, sono stato più egoista,
individualista e solitario, ammettendo che siano difetti, ma in compenso sono
andato più avanti di loro e non mi sono perso in desideri e pratiche di
integrazione che trattandosi di esseri umani non funzionano proprio. Non ho
sfruttato nessuno e non sono mai stato sfruttato.
Magari
è vero che l’universo sia realmente attraversato e governato da forze occulte
che noi non conosciamo e ci sforziamo appena di sopravvivere, tacitamente
accettando di ignorare perché siamo qui e come diavolo fa a esistere qualcosa
d’infinito, quando tutto quello che vediamo attorno a noi ha un inizio e una
fine. Va bene, mi sono dimenticato cosa volevo dire, con tutto questo, ma credo
avesse a che fare con il sogno che ho fatto stanotte.
Ero
in un appartamento, porzione di un palazzo abbastanza alto. Dicono che sognare
l’acqua è un bene, ma non deve essere sporca, non so perché ma porta sfortuna,
ammesso che qualcuno ci creda. Personalmente non lo escludo perché se il mondo
è strano, già nelle cose che conosciamo, figuriamoci in quelle che ancora
ignoriamo. Comunque sia fuori c’era una sfilata di dinosauri che passavano
enormi a lato del palazzo dove ero io e li guardavo dalle finestre e quelle
erano ad arco e senza vetri, su pareti di pietra a vista. I dinosauri erano
grandi come case ma io non avevo paura e loro passavano seguendo il ritmo di
tamburi tribali. Altra gente non ce n’era, a dire il vero anche io ero un
animale, forse un orso o un procione, avevo le braccia pelose e le mani
ungulate, ero uno psicoterapeuta e i miei clienti erano tutti bestie, non nel
senso che erano stupidi, ma si trattava di animali veri e propri, ma non di
ogni tipo, solo quelli domestici, quindi cani e gatti perlopiù, ma anche
tartarughine, canarini, pappagalli eccetera. Lo studio era particolare, le sue
pareti interne e i muri esterni erano acquari trasparenti, con pochi pesci
tranquilli e contemplativi, non molto colorati, piuttosto a tinte pastello,
tante alghe lunghe che si muovevano sinuosamente seguendo il ritmo lento della
spinta dei vari motorini ronzanti quasi silenziosamente per il riciclaggio
dell’acqua.
I
pazienti mi raccontavano le loro storie, ma se le situazioni erano diverse, una
cosa avevano tutte in comune, il problema era sempre un essere umano, o più di
uno, i loro padroni o i loro vicini di casa.
Ithamar si limita a dire che “I sogni sono il prodotto
dell’attività cerebrale durante il sonno. In particolare essi si manifestano
prevalentemente durante quella fase del sonno chiamata REM (Rapid Eye
Movements, ovvero “movimenti oculari rapidi”). Durante il sogno i neuroni sono
interessati da un’intensa attività elettrica che produce nella nostra mente
immagini, suoni, pensieri ed emozioni. I sogni hanno suscitato
l’interesse degli uomini fin dai tempi più remoti. La letteratura classica, ad
esempio, è ricca di racconti che hanno a che fare con l’attività
onirica. Già nell’antichità furono numerose le teorie che cercavano
di spiegare i sogni.
Addirittura
nel II secolo d. C. un autore greco di nome Artemidoro Daldiano, precorrendo
Freud, scrisse un’opera intitolata L’interpretazione dei sogni.
Diciassette
secoli dopo, Sigmund Freud fu uno dei primi studiosi moderni a occuparsi in
modo sistematico dei sogni. Secondo le sue teorie il sogno rappresenta “la
strada maestra verso l’inconscio”. Tutto ciò che cerchiamo di nascondere a
noi stessi durante lo stato di veglia (a causa dell’effetto negativo che
produrrebbe su di noi) riemergerebbe durante il sogno poiché i freni inibitori
della nostra coscienza sarebbero allentati. Tuttavia in qualche misura i freni
inibitori continuerebbero almeno in parte ad agire e questo spiegherebbe il
carattere fantastico, surreale e spesso criptico tipico dei sogni. Per questo
motivo, secondo Freud, i sogni necessitano di una interpretazione per poter
scoprire gli aspetti più reconditi del nostro inconscio. Le teorie di Freud,
nonostante la loro indubbia attrattiva, non hanno mai ottenuto una vera e
propria dimostrazione scientifica. La principale obiezione che viene loro
rivolta è la seguente: se si cerca un significato nelle immagini fantasiose dei
sogni, sicuramente lo si trova, ma non c’è nessun modo di scoprire se sia
quello giusto o no (per dirla con Popper, la teoria di Freud è
infalsificabile). Altri studiosi hanno formulato teorie molto diverse. Per
alcuni (come ad esempio il neurofisiologo
Robert W. MacCarley) il sogno, anziché essere un processo di mascheramento,
sarebbe un processo di attivazione. Questo spiegherebbe come mai in molti sogni
si manifesta un’attività eccessiva come correre, nuotare, ecc. Per altri autori
il sogno sarebbe semplicemente una rielaborazione delle esperienze nascoste
percepite durante lo stato di veglia. In altre parole, durante la veglia noi
raccoglieremmo molte informazioni senza rendercene conto. Esse verrebbero
comunque memorizzate e riemergerebbero durante il sonno. In tal modo, durante,
il sogno il nostro cervello metterebbe, per così dire, in ordine le esperienze
accumulate. Il premio Nobel per la medicina Francis Crick (uno dei due
scopritori della struttura del DNA) ha elaborato una teoria secondo la quale il
sogno sarebbe un modo in cui il cervello smaltisce l’eccesso di informazioni
raccolte. Secondo la teoria delle “reti neurali” (ovvero gruppi di cellule
neuroniche che cooperano per la registrazione delle associazione tra
eventi percepiti) il sogno servirebbe non solo a mettere ordine, ma anche a
fare pulizia, eliminando i ricordi più deboli e inutili, mantenendo in
efficienza la rete neuronica per il giorno seguente. Secondo tale teoria i
sogni sarebbero quindi una sorta di spazzatura che il cervello sta eliminando.
Dal fatto che esistano diverse teorie, spesso contrapposte, il lettore può
facilmente capire che dal punto di vista scientifico i sogni rappresentano
ancora in buona parte un mistero. Questo deriva ovviamente dal fatto che essi
sono il prodotto del
cervello che, come qualcuno ha affermato, è l’oggetto più complesso che esista
in natura. Nel momento in cui comprendessimo meglio il funzionamento del nostro
cervello, probabilmente riusciremmo anche a spiegare a fondo il meccanismo dei
sogni.
Ithamar è palloso, ma dice delle cose che hanno il
loro necessario fondamento scientifico, almeno credo, quando parlava accendevo
il mio registratorino, staccavo l’audio metaforico delle mie orecchie e pensavo
ai fatti miei e poi me lo riascoltavo con calma, se e quando ne avevo voglia. Ora
è meglio ancora, perché i miei dialoghi sono scritti.
In un secondo momento, non so da quando, i dialoghi
sono diventati orali, li scrivevo dopo, ma mi ricordavo tutto perfettamente e
finché non li scrivevo soffrivo anche un po’, per paura di dimenticarmeli,
forse.
Ho fatto confusione anche con i tempi verbali, lo so,
ho usato il passato remoto per cose più recenti e il passato prossimo per fatti
più lontani nel tempo.
Se qualcuno leggerà mai questo non-diario, un giorno,
capirà che le mie condizioni sono state se non disagiate, piuttosto
particolari.
Pardona
domenica 4 luglio 2027
PRIGIONIERI
DEL MONDO
Non disperare la tua anima gemella è lì fuori!
Tra 7 miliardi di persone. In 5 continenti diversi. Supponendo che sia viva e
che sia single.
(Iddio, Twitter)
“Sulle cause e sui motivi per cui tutto finì
si potrebbero scrivere consistenti volumi, ma dopo nessun libro fu più scritto.
Nonostante la situazione pesante avevo una
specie di entusiasmo addosso che in un certo senso mi spaventava, uno normale
si sarebbe sentito male, malissimo.”
“Io per esempio. Ma come fa uno a vivere da
solo? Senza Ivalda io sarei già perso!”
“Sì, lo so Annibale, anche io avrei trovato,
più di una volta una donna con la quale mi sarebbe piaciuto invecchiare, ma a
loro non sono piaciuto io, i tempi non coincidevano, certo non è una cosa
facile, non tutti ci riescono, ma meglio stare da soli che con qualcuno che non
ti piace. In un certo senso voi mi avete abbandonato, chi ve lo ha fatto fare
di morire? E poi io da solo sono sempre stato e la gente, almeno la maggior
parte, non mi è mai garbata troppo. Da una parte tutta quella solitudine mi
faceva paura, dall’altra devo confessare che mi piaceva. I cosiddetti esseri
umani se lo erano voluto, senza saperlo si erano stancati loro stessi di
esistere, non avevano ideali né metodo.”
“Ma quale metodo? La gente si è trovata in
una situazione impossibile! Te hai avuto culo! E basta.”
“No, no, ascolta. Quelli, non tu, ma chi
doveva fare qualcosa a livello sociale e organizzativo, loro passavano il tempo
a litigare, a rubare i soldi pubblici, a favorire amici e parenti, il loro
stesso vivere li indeboliva e li allontanava dagli obbiettivi veri e
fondamentali. E poi c’era troppa gente, il mondo diventava sempre più piccolo e
il cibo scarseggiava, anche l’acqua - avvelenata dalla stessa umana produzione
esagerata di beni inutili - cominciava a mancare. Ma dove volevano andare? I
batteri delle peggiori pandemie non avrebbero potuto procedere se ci fosse
stata una resistenza ben organizzata. Ripetutamente era accaduto che una volta
che i virus erano giunti dalla Cina, gli occidentali avevano fatto confusione,
usato la situazione per arricchirsi a danno di chi moriva, per salire
politicamente a danno degli altri partiti, in poche parole erano riusciti
invece di solidarizzare a fare del loro peggio per tentare di estinguersi. Ci
avevano provato e riprovato, alla fine c’erano riusciti. Nessuno aveva un piano
a lungo termine, per il bene della maggioranza, non gli passava nemmeno per il
cervello. Detesto ogni tipo di elite, perché dicono di andare lì a comandare
per fare del bene e fanno solo del male, non solo per incompetenza, ma per
ipocrisia, individualismo, protagonismo, disonestà e prepotenza. Un’elite
idiota può far comodo alle varie mafie locali e nazionali, più di tutte a
quelle internazionali. Tanti erano incompetenti, altri cercavano di
guadagnarci, tutti o quasi facevano propaganda politica contro i nemici
tradizionali e quelli nuovi, già che c’erano. Inizialmente in Cina invece
riuscivano con la loro rude disciplina a debellare i contagi, ma altrove,
specie nei paesi ricchi a sanità privata, tendevano a fare tutto quello che non
si poteva e nell’ordine peggiore. La globalizzazione aveva fatto il resto,
quasi nessuno era più separato dagli altri, quei pochi forse erano quelli che
si erano salvati.”
“Qui a Pardona noi siamo stati, naturalmente
senza saperlo, solo vittime di quel sistema che dici te.”
“È vero, ma sto parlando in generale, guarda: storicamente migliorare il
nostro livello di vita era stato il nostro obbiettivo da sempre. In maniera
sistematica abbiamo cominciato dopo l’anno mille, visto che non ci eravamo
ancora estinti, a cercare di risolvere gli interrogativi pungenti. Poi, visto
che non ce la facevamo, abbiamo pensato che mentre aspettavamo le soluzioni,
potevamo costruire una struttura stabile e duratura, per poterlo fare in
maniera regolare. Che poi significa mettere il carro davanti ai buoi. Per
migliorare il nostro livello di vita abbiamo lasciato perdere tutto il resto,
ogni utopia via per una prospettiva razionale, che poi a guardare bene era
irrazionale, ma ormai c’eravamo dentro con i piedi e tutto. Ci siamo fatti un
bel culo per arrivare al duemila, ma ora invece di starcene sdraiati a
riposare, come speravamo, lavoravamo sempre di più, per guadagnare sempre di
meno in termini di benestare, non solo di denaro. Gli interrogativi si sono
addirittura complicati, almeno quelli di prima, poi ne abbiamo scoperti altri,
ai quali non avevamo pensato. Quella che doveva essere una maniera per vivere
meglio ci ha preso la mano e ci ha portato dove voleva lei. Insomma l’uomo
impara solo quando è troppo tardi, per questo mi sono dissociato, per questo mi
sono salvato. Quando si nasce non si può certo scegliere dove e come, questo
non significava che io dovessi seguire sempre e per forza questo gregge di
pecore impazzito.”
“A queste cose non ci si era mai pensato, chi poteva prevedere una
epidemia che avrebbe spazzato via il genere umano dalla terra?”
“Nessuno forse e io ho magari ho avuto solo culo, ma intanto io mi ero
dissociato. Quando me ne sono reso conto ho cambiato vita, ero già adulto e
maggiorenne, diciamo più prossimo alla trentina, ma sono andato per gradi, o
meglio mi sono costruito degli scalini ideali che poi ho salito, uno alla
volta. Non me ne pento affatto. Lo so che la soluzione ideale non era nemmeno
quella, la soluzione ideale non esiste, bisogna creare il proprio terreno
fertile giorno per giorno, senza paura di dover cambiare sempre e di nuovo.”
“Ma se tu fossi nato e cresciuto qui non ci avresti neanche pensato a
queste cose qui.”
“È vero. Forse avrò anche avuto solo fortuna,
ma il piccolo dettaglio che io, per qualche ragione sconosciuta, avessi
cambiato terra e cultura è stato decisivo, perché mi ha aiutato a capire. Per
quanto apprezzassi la vita e le cose buone del mondo, non avevo un dio al quale
mi riuscisse di credere, né una religione che mi potesse sembrare autentica,
forse più per istinto ma anche per scelta razionale, nessun idolo da glorificare,
né da santificare. Apprezzavo la bellezza in senso generale, purtroppo ne
trovavo molto più spesso di fisica che di morale. Tra i cantanti, attori,
personaggi famosi o semplici esseri umani non ho mai intravisto nemmeno
lontanamente una perfezione, cosa che non cercavo più nelle persone. Ne trovavo
nella natura e anche spesso, e quella non interessava più a molti.
A me sì. È lì che trovavo il carburante per
il mio motore a scoppio, la voglia di vivere, il desiderio di un domani.
Se nessuno me lo chiedeva potevo stare
tranquillamente zitto, ma se volevano sapere la mia opinione io non dicevo
bugie, né mezze verità.
Non potevo fingere che mi piacessero tutte le
canzoni di un disco, a volte è anche successo, ma raramente. Di registi di film
preferiti ne avevo tanti, italiani e stranieri, ma nessuno ha mai raggiunto la
vetta della classifica, da me mentalmente ideata e stilata, di uno, uno solo
che avesse fatto tutti i suoi film di mio gradimento.”
“La natura mi garbava anche a me, anche se
non la chiamavo così. Insomma vivere in campagna, non in città.”
“Infatti questa è stata la tua fortuna,
finché hai vissuto sei stato bene, senza pensare ai problemi della
globalizzazione e del consumismo. Ma poi… arrivata la pandemia sei caduto
insieme agli altri. Insomma fammi raccontare, che ora viene il forte della
storia: mi misi al lavoro, quindi, con le vecchie ma efficaci tattiche di
azione-reazione e le varie trappole, fili tesi nei boschi e attraverso i
passaggi obbligati. Avevo imparato a rendere specifiche per animali ad andatura
eretta i miei tranelli, per non fare male ai cani e a tutti quegli animali che
andando a quattro zampe non raggiungevano l'altezza che gli sarebbe stata
letale.”
“Un ne hai mai ammazzato nessuno per
sbaglio?”
“Uno sì, Rocco, un cane bello e forte, c’è
rimasto secco sul colpo, ma la colpa è stata sua che ha fatto un salto troppo
alto…”
“E come faceva a saperlo, poverino?”
“Non poteva, lo so, ma forse agli altri è
servito come esempio, dopo non è più successo.”
“Meno male.”
Pardona domenica 6 ottobre 2027
IL SOGNO DEL PINGUINO
- Ridere è importante - le dissi - ridere sviluppa una specie di
complicità.
- Ma per me
queste risate che fai tu sono fuori tempo - replicò lei quasi sorpresa - io le
avrei fatte in un altro momento.
(Laszlo Vaccariello, La
storia della Geografia e Viceversa)
Il
problema per me non è sognare, ma ricordarmelo il giorno dopo. Forse è solo
questo che è cambiato, non lo so. Era da tanto tempo che non sognavo ricordandomi
poi di cosa e come, una trama, un senso, un messaggio anche criptato. Qui sulle
montagne del litorale ho ricominciato, anzi si può dire che così non mi ricordo
di aver mai rammentato, a volte anche i minimi particolari dei sogni. Comunque
sia i miei di ora sono invariabilmente con animali, alcuni parlano, altri no,
ma sono sempre animali e gli esseri umani non ci sono. Non so che cosa
significhi o se può solo voler dire un qualcosa. Di un sogno mi ricordo alcune
parti e altre no, a volte mi manca il finale, altre volte dei dettagli che magari
sapendoli capirei meglio quello che è successo dopo, o anche prima, o forse no.
Ithamar entra in gioco senza
essere stato chiamato, non si risparmia nella sua interpretazione virtuale, da
vivo anche all’altra, di persona, era disponibile.
“Beh, ora gli uomini non ci sono più, cioè
l’umanità è praticamente estinta, quindi…”
“Ma io questo sogno l’ho fatto prima del
grande virus!”
“Sei sicuro?”
“No, mi pare di sì, cioè sì, ma mi pare di
no…”
“Poche idee ma confuse?”
“Sì. Cioè no. Come ti ho già detto nel sogno
non c’erano esseri umani, ma solo animali di ogni tipo, dall’elefante alla
formica, che guidavano ognuno la sua automobile, camion o autobus per le strade
del mondo come impazziti, probabilmente senza sapere dove andare, ma volendoci
arrivare prima degli altri, quindi senza rispettare le regole del transito, non
solo posteggiando in seconda, terza, quarta fila ma provocando incidenti a
ripetizione con morti e feriti, sangue sull’asfalto, ingorghi paradossali,
sembrava un moderno quadro in movimento di Brugel, una catastrofe in movimento,
insomma.”
“Ferma
un attimo: ma te chi eri nel sogno?”
“Io
ero un pinguino.”
“Un
pinguino come fa a guidare che non ha le mani?”
“Il
sogno non me lo ha spiegato, che ci posso fare? Ma guidavano anche gli
ippopotami e i rinoceronti, delle macchine più grandi che volendo o anche non
volendo ti potevano spiaccicare…”
“Quelli
forse erano gli uomini più potenti, e le formiche?”
“C’erano
dei marciapiedi che servivano anche ai pedoni, dei marciapiedini più piccoli
per le formiche e altri insetti, a piedi o con le loro automobiline,
camioncini, piccoli autobus che però abbastanza spesso venivano massacrati dai
pedoni o dalle macchine nostre degli animali più grossi che sbandavano…”
“E
i camion e gli autobus grandi?”
“I
camion trasportavano materiale di ogni tipo, non sono stato lì a guardare,
avevo una certa fretta, come tutti. Gli autobus erano pieni di animali che si
guardavano attorno irrigiditi dalla fretta e dalla paura, erano tutti con la
stessa espressione, come se a ogni costo dovessero arrivare a tempo, ma fossero
in ritardo…”
“Le
multinazionali… forse. I grandi gruppi industriali?”
“Non
lo so…”
“E
i pedoni non attraversavano la strada?”
“Eccome!
Non so quanti ne ho messi sotto. Ma anche non avevano paura di lasciarci le
penne, solo una fretta sproporzionata!”
“E
morivano? Cioè tu li soccorrevi?”
“No,
quando mai, io correvo come un disperato, come tutti, chi lo sa se morivano o
no? Gridavano. Secondo me continuavano la loro corsa forsennata subito dopo…”
“E
tu avevi una meta, cioè sapevi dove stavi andando?”
“Certo,
al polo sud.”
“Dovevi
attraversare il mare?”
“No,
il mare non c’era.”
“Come
fai a saperlo?”
“Era
tutto così, c’erano delle zone meno dense, ma era quasi sempre un paesaggio
urbano in rivolta costante, come la ripartenza dopo il virus.”
“Allora
alla fine ci sei arrivato?”
“Al
polo sud? E certo.”
“Un
sogno completo quindi.”
“Sì.
Ma senza nessuna spiegazione.”
“In
che senso?”
“Sapevo
che dovevo andare al polo sud e alla svelta, ma non sapevo perché. Quando ci
sono arrivato ho capito che cercavo gli altri pinguini, ma non c’erano.”
“Hai
guardato bene?”
“Sicuro!
Ho corso per un bel po’ sulle distese ghiacciate!”
“Ma
non sei mai sceso dalla tua automobilina?”
“Mai
e non ho capito nemmeno come facesse a camminare così bene sul ghiaccio e sulla
neve.”
“E
il sogno è finito lì, non hai incontrato orsi bianchi in automobile-slitta, o
foche su piccole imbarcazioncine con le ruote?”
“No,
niente e nessuno, ma ero angosciato forte.”
Ithamar,
giammai invitato, ma sempre desideroso di collaborare, soprattutto quando
nessuno ha bisogno della sua collaborazione parte con l’interpretazione:
“Sembrerebbe
una premonizione, ma come sempre accade relativamente alle previsioni, la
nostra mente effettua una selezione a posteriori. Tendiamo a dimenticare
rapidamente i sogni che contengono episodi che non si verificano nella realtà,
mentre ricordiamo con grande enfasi quelli
in cui gli eventi si realizzano.
Se
si facesse un’analisi statistica tra le previsioni avveratesi e quelle non
avveratesi, si scoprirebbe di essere perfettamente all’interno delle leggi
probabilistiche.”
Purtroppo
i miei dialoghi virtuali a volte danno segno di squilibrio, forse per la
stanchezza, o per le forze occulte trasversali dell’universo, chi lo sa? Come
tutti i grandi rompicoglioni Ithamar deve assolutamente mostrare alla gente che
sa tutto e che lo sa pure spiegare bene, anche dopo morto e a migliaia di
chilometri di distanza, la sua volontà è determinata e insistente.
Pardona domenica 1 aprile 2028
CICERO,
MIO PADRE
Gli
uomini combattono per la libertà, poi cominciano ad accumulare leggi per
portarla via a sé stessi.
(Anonimo)
A proposito di immortali rompicoglioni ci sarebbe da dire qualcosa su
mio padre e sul dialogo virtuale con lui. Ritornava ogni tanto, ciclicamente
come se fosse stato per effetto di una maledizione, senza essere chiamato, solo
per criticarmi e per trovare in me i suoi peggiori difetti, con l’intento di
scaricarmeli e liberarsene. Purtroppo per lui non funzionava, ormai lo
conoscevo talmente bene che sapevo già in anticipo cosa stava per dire, e meno
male per me. Morto da una ventina d’anni, Cicero ancora continuava a fare le
stesse cose che faceva da vivo.
Avrebbe potuto fare l’attore, se gli avessero pagato le prestazioni al
momento, sarebbe stato capace di interpretazioni madornali e incredibili, ma a
quei tempi nessuno ci ha pensato e in Venezuela di registi di film, se ce ne
sono mai stati, nessuno li ha mai visti.
La comunicazione tra noi è sempre stata problematica, siamo sempre stati
due opposti che invece di compensarsi cozzavano e sbattevano a oltranza, dopo
averlo metaforicamente seppellito mi ero illuso che sarebbe migliorato, invece
niente.
“Sai perché mi piace leggere un buon libro?” Chiedo io.
“No.” Risponde lui.
“Beh, perché ogni tanto mi fa piacere avere a che fare con qualcuno che
ragiona in maniera logica, nella vita di tutti i giorni mi capita raramente.”
“Ma se sono tutti morti!”
“No. Anche prima, voglio dire, mi capitava raramente anche prima. La
gente comune non usava il cervello che per farsi del male, per indirettamente
che fosse, per ossessionarsi con cose inutili se non dannose. Per fingere che
andasse tutto bene e così non doveva affaticarsi per provvedere a risolvere i
problemi…”
“Ah sì? Non ci avevo fatto caso.”
“Forse perché anche tu sei come loro, per quanta teoria tu abbia, in
pratica sei uno che si fa del male sistematicamente, col tuo stesso e proprio
pensiero.”
“Meno male che ci sei tu, prendi tutti a fucilate e poi te ne stai in
pace a goderti la vita.”
“Lo sai che ho ammazzato solo dei delinquenti, dei rifiuti umani. Gente
che ti assomigliava anche abbastanza. E poi il primo contratto me lo ha
commissionato il tuo miglior amico.”
“Amico tra virgolette e ti scordi che eri pagato da altri rifiuti
umani.”
“Va bene, intanto ce ne era sempre uno in meno al mondo, dopo. Comunque
quello che volevo dire prima era che un buon scrittore ha il potere di
riportarmi in un mondo in cui le cose funzionano, dove la gente usa il proprio
raziocinio a suo vantaggio, ma non necessariamente a svantaggio di qualcun
altro.”
“Forse è un mondo che non esiste?”
“Forse, ma è bello sognare ogni tanto. Chissà se è mai esistito?”
“La realtà è sempre stata fatta di molteplici sfaccettature…” Riprende
lui.
“Sì, ma che vuoi dire con questo?” Chiedo io.
“Niente, per esempio che gli esseri umani sono… o meglio erano, tanti e
tutti molto diversi tra di loro…”
“Bene, e allora?”
“Allora tu non sai o non sapevi cosa stava succedendo in quel momento in
ogni parte del mondo.”
“No, non lo so e non avrei potuto saperlo…”
“C’erano tante persone buone, simpatiche e intelligenti. Anche gentili.
Tu non puoi fare a meno di tutti, lo sai.”
“Ritorni fuori con le tue accuse rivolte a me, perché sei ancora irritato
con te stesso?”
“Nooo, e quando mai? Piuttosto ti chiedo: se gli altri sono il nostro
specchio, se ti ci guardi e non vedi niente riflesso non ti spaventi?”
“Forse, ma anche sentirmi uno di
loro mi spaventa. Gli animali sono migliori.”
“Siamo d’accordo, almeno in parte, ma i tuoi simili sono gli esseri
umani, la solitudine si sente per mancanza di altri esseri umani, o no?”
“Magari per te è così, per me no.”
“Ma come fai a passare il tempo? Da solo il tempo non passa mai.”
“A te. A me passa benissimo. Guarda un po’! I cani mi stanno sempre
intorno e la sera d’inverno si sdraiano sul tappeto vicino a me accanto al
caminetto, io leggo e bevo un bicchiere di vino rosso, a volte.”
“Sì, vabbè… dove li metti dieci cani? Qui non c’è spazio! E poi c’è una
puzza…”
“No, non c’è nessuna puzza, è pulitissimo. Diciamo che non tutti
vogliono entrare, alcuni preferiscono stare fuori, gli ho fatto uno
sportelletto nella porta…”
“E loro entrano ed escono continuamente portando freddo dentro e il
caldo fuori…”
“Dopo chiudo e…”
“Quelli dentro abbaiano perché vogliono uscire, che hanno sentito un
rumore, quelli fuori perché hanno freddo e vogliono entrare grattano la porta…”
“Alla fine tutti fuori e mi godo un po’ di pace.”
“Ma sei troppo stanco e vai a dormire.”
“Sì, è bello sentire il vento che fischia e stare dentro al calduccio,
mi addormento pensando a quando si andava a pescare insieme, o quando si
leggevano le lettere arrivate dai nonni italiani…”
“Ci rinuncio a farti ragionare.” Si rassegna alla fine.
“Bravo. Se vuoi farmi arrabbiare come facevi una volta, ora non ci
riesci più, puoi trovare sempre dei difetti alla mia vita, ma se guardi nella
tua ce ne sono altrettanti, se non di più. Ma lì tu non ci vuoi guardare, ti fa
paura.”
“Va bene.” Cicero alza gli occhi al cielo.
“E vaffanculo.” Lo saluto ora che posso, quando era in vita non potevo.
Pardona domenica 2 luglio 2028
BRITT
Gli uomini, per essere liberi, è necessario prima di tutto che siano
liberati dall’incubo del bisogno.
(Sandro Pertini)
Tra le mie poche donne ideali
forse c’è stata Britt, una norvegese, conosciuta e anche assai amata a Oslo, quando
mi sono reso conto che era lei, era già troppo tardi, oppure non era lei e mi
sono sforzato di pensarlo, non lo so. Ancor oggi chiacchierare con Britt mi
piace, perché era una peste come me, ma non fingeva mai di essere un’altra,
come fanno tutte e tutti, era autentica nel bene e nel male e anche se mi dava
addosso gli piacevo così com’ero, cosa rara. Le piaceva fare l’avvocato del
diavolo, forse perché era di origine italiana, non lo so. Parlavamo molto e di
solito lei mi faceva capire cose che da solo non ci riuscivo, era un po’
faticoso viverci insieme, infatti ci lasciammo, non so se fu lei o io, forse
tutti e due. (10 pagine)
“Mi pare che se uno deve
dimostrare qualcosa agli altri è solo perché lui stesso non ci crede. Questa è
la critica che ti faccio, caruccio!”
“Dimostrare qualcosa a qualcuno
io? Ma è proprio per evitare di dover dimostrare qualcosa a qualcuno che non
voglio più avere a che fare con questi matti.”
“Ognuno è matto alla sua maniera.”
Venuta da realtà completamente
differente, Britt amava le storie della mia famiglia, era addirittura
incredula, che potessero essere vere, ma mi chiedeva spesso di parlarmi di
loro, a non piaceva, ma in un certo senso mi sfogavo.
“Mia madre
era di una famiglia più ricca, ma non troppo, di quasi nobili… se mai fossero
esistiti i nobili in Venezuela, non lo erano mai stati ma tacitamente si
consideravano tali perché erano stati più benestanti, alcuni di loro persone
anche colte, rispetto alla famiglia di mio padre, per esempio, di poveri
arrampicatori sociali assai ignoranti, se non presuntuosi e apparentemente
astuti, ma neanche troppo, e solo in direzione di potere e denaro. Figurarsi
che su suggerimento di mia madre, suo fratello maggiore Ithamar dava lezioni di
psicologia e filosofia a mio padre, con il risultato di farlo diventare sempre
peggiore, sempre più bugiardo e ipocrita, attaccato ai soldi e pessimo padre,
ancora peggior conoscitore della vita e di sé stesso, delle conseguenze infine
di quello che faceva e soprattutto di quello che non faceva. Non che Ithamar
non fosse un buon professore di filosofia, ma si era creato un antagonismo così
forte, che mio padre anche senza accorgersene, sabotava sé stesso pur di
dimostrare a mia madre che si buttavano via quei soldi delle lezioni di Ithamar,
che non sapeva insegnargli niente.
Mio padre è
stato uno dei pochi, forse l'unico che si è scomunicato da solo, prima che lo
facessi io, e forse io non l'avrei mai fatto, perché in fondo era mio padre,
una persona assai intelligente, simpatica e autoironica, nonostante tutto. Mio
padre è stato la dimostrazione vivente, per me indelebile, che una persona
molto intelligente poteva risultare anche più stupida, nella sua maniera
affrontare il mondo, di tante persone tecnicamente poco intelligenti.
La
sua principale evoluzione è stata attraverso il denaro e il
potere, perché tutto passa attraverso il suo processo di guadagnare (e
spendere) sempre di più, credo che alla sua maniera lui sia stato assai
generoso, pagava da bere e da mangiare, non si limitava mai nel suo pubblico
dimostrare che poteva permetterselo, ma poi diventava meschino e miserabile, al
limite del ridicolo, quando avrebbe dovuto darle dei soldi per le spese di
casa, o anche solo ammettere di aver dimenticato qualcosa, pur insignificante
che fosse, di cui mia madre lo accusava, e di cui tutti sapevano che era responsabile.”
“Ma come fai
a dire che era intelligente se nella sua vita faceva solo cose sbagliate?”
“Intanto io
l’ho conosciuto, purtroppo e te invece no. Per esempio perché era un abile
bugiardo, mia madre che non era tanto facile, ci cascava sempre e non era
l’unica. A dire la verità sanno fare tutti, è facile, ma per mentire bene ci
vuole dell’intelligenza. No?”
“Anche se
mentire ti provoca più guai che vantaggi?”
“Quello è un
altro discorso, è la sistematica sbagliata che una persona ha, suo malgrado,
per via del suo ambiente meschino, dell’educazione che non gli hanno saputo
dare. Guarda: se tutti gli intelligenti fossero dei benefattori altruisti il
mondo funzionerebbe meglio, ma non è così, purtroppo, lo vedi da sola.”
Pardona domenica 14 maggio 2029
SALSICCIA
SUL CAMPANILE
Per
chi guarda in faccia la realtà, spesso il futuro è facilmente prevedibile.
Ramsete
Ghilardi (Spesso i Perché non Hanno Eccessiva
Fretta)
Il mio dialogo preferito era con Annibale,
perché se nella vita ascoltava poco e parlava tanto, nel mio metodo terapeutico
lo facevo finalmente tacere e ascoltare.
“Avevo letto che un navigatore solitario
brasiliano diceva che, se c’è bisogno, si può dormire a rate e allora cominciai
anch’io, in maniera sistematica. Un’ora alla volta, in certi casi due,
raramente tre. Però ero troppo teso e la mia salute di vecchietto peggiorava,
mentre passavano le settimane e non succedeva niente. Il gioco era anche psicologico,
bisognava anzitutto stare tranquilli, per riuscire a dormire, per poter far
riposare la mente, l’esagerata necessità spesso sfocia nell’effetto contrario a
quello desiderato. Pensai che avrei avuto più pace in paese, magari nascosto in
qualche casa alta, magari a tre piani. Loro non sarebbero venuti a cercare
prodotti a lunga conservazione, quelli ce li avevano già laggiù a valle. No,
volevano piuttosto gli animali, la roba da mangiare viva, avrebbero sentito
l’odore delle galline e del bestiame.
Quindi sul campanile della chiesa misi un
letto e organizzai la difesa con Salsiccia, il cane più tranquillo trai dieci
che erano diventati, gli altri li lasciai alla base, dove passavo anche tutto
il giorno a lavorare, ma la notte lassù dormivo meglio. C’era una vista a 360
gradi ed ero ragionevolmente sicuro che qualsiasi banda di disperati prima di
arrivare alla mia piccola fattoria modello, doveva per forza passare lì sotto.
Per chi guarda in faccia la realtà, spesso il
futuro è facilmente prevedibile, ma non bisogna mai escludere le potenziali
sorprese. In sostanza non si deve mai dare niente per scontato e questo era un
po’ il mio motto da sempre.
Saccheggiai le librerie che trovai nelle
città vicine, le mie incursioni erano sempre mirate a trovare dei beni
abbandonati, ma non potevo caricarmi di cose superflue, a portare tutto lassù
poi era dura e per mantenere il mio patrimonio animale non potevo stare via
molto tempo.
Misi su un magazzino in paese per lasciarci
tutte quelle cose che non mi servivano, per il momento. Anche la jeep la
lasciavo in un garage spazioso e chiuso a chiave.
La sera mi godevo quel silenzio e la relativa
lettura, il vento a volte era anche troppo forte e freddo, ma ero ormai
abituato a riconoscere i rumori degli animali attorno, non solo i miei ma anche
degli uccelli, per capire se c’era qualcuno o qualcosa in avvicinamento.
Un elefante sopravvissuto a qualche circo una
volta fece suonare tutti gli allarmi e distrusse con la sua mole qualche
trappola non destinata a lui, in sostanza mi fece prendere uno spavento e si
tirò dietro i miei cani inferociti, corse impaurito e ferito fino a cadere in
un burrone.”
“Madonna mia! Si sfracellò?”
“Per un po’ ho cucinato sulla brace la sua
carne, per i cani, ma poi è ammarcita.”
“Ma non avevi il frigorifero?”
“Sì, uno piccolo, ma i pannelli solari non
potevano alimentare frigoriferi così grossi e l’elettricità ottenuta mi serviva
per tante altre cose.”
“Che storia… e dopo?”
“E dopo ero quasi contento che la nostra
insensata umanità fosse arrivata alla meritata fine, che gli eventuali
sopravvissuti avessero occasione di ricominciare da capo, magari anche in
maniera più degna. Se fossi stato uno normale avrei dovuto sentire la mancanza
degli esseri umani, in senso generale, invece no, solo di alcune persone, come
te, Ivalda e Pierosky, ma anche prima vi frequentavo assai di rado e non ero
quasi mai io a cercarvi. Passati i primi anni ero diventato esperto della mia
nuova routine e avevo imparato a dormire in due o tre rate notturne, una o due
più brevi pomeridiane, insomma mi sentivo di nuovo bene fisicamente e
mentalmente. Là a valle, anche in lontananza, sentivo dei boati, ogni tanto,
qualcuno si stava facendo la guerra, come la storia insegna, per togliere agli
altri quello che avevano.”
Pardona domenica 10 luglio 2029
AL
CIMITERO DAI NONNI
Si
nasce e si muore senza sosta. Se il mondo è un enorme cimitero di ossa di
uomini e donne, animali e piante - sotterrati a miliardi - che si riciclano,
come dicono, nell’atmosfera, la morte non dovrebbe farci così tanta
impressione.
Gualteiro Gualandris (Chiome di Alberi all’Infinito Passato)
I nonni da parte di mia madre, essendo ebrei,
sono nel cimitero di Pisa, abbastanza verde ma piuttosto anonimo. Un notevole
cimitero con vista invece quello di Pardona, dove giace la tomba accoppiata dei
miei nonni da parte di mio padre. La loro posizione è privilegiata, con i
cipressi alle spalle e davanti al nostro sguardo si apre la pianura della
Versilia e il mare sconfinato. I cimiterini come questo sono assai meno
impegnativi e minacciosi. Quelli anglosassoni però mi garbano di più, c’è più
verde e le lapidi di pietra grezza sono solo verticali, piuttosto rustiche
combinano meglio coi pratini verdissimi dai quali spuntano come funghi, senza
rispettare file o qualsiasi altro ordine di simmetria. Ho anche provato a
conversare con i nonni, ma non mi dicono niente di importante o appena
indicativo, sarà perché in vita non mi hanno mai conosciuto e per loro sono un
estraneo, anche se gli spiego chi sono e cosa faccio qui.
Ho notato che non solo i concetti cambiano
assai tra le generazioni, ma soprattutto la maniera di parlare. Loro per
esempio sembrano timorosi di dire qualcosa di sconveniente, il che tra noi, con
la morte di mezzo e cinquantine di anni di differenza, a fare da metaforico
cuscino ammortizzatore, non mi pare proprio il caso. Pazienza.
I cipressi sono il tipico albero italiano e
toscano, non solo da cimitero, ma sempre austeri ed eleganti, sempre schierati
su colline a fare da combinazione con i cieli azzurre a nuvolette bianche,
perché si riconoscono da lontano. Ho saputo che nella Pianura Padana, visto che
i cipressi non si mantenevano in vita nemmeno a forza, hanno adottato dei
pioppi particolari che hanno la stessa forma affusolata e che efficacemente ingannano
l’occhio dell’osservatore eventuale.
Anche gli ulivi sono tipici delle nostre
colline, si riconoscono per il colore argentato delle loro foglie e ricordano
subito le olive che piacciono molto o non piacciono per niente, a me per
esempio no, ma soprattutto l’olio extravergine e appetitoso a crudo su ogni
tipo di mangiare.
Visto che non avevo niente da fare, per
riuscire a spaccarmi meglio la schiena, mi sono messo a pulire uliveti
abbandonati e a raccogliere le olive, a farci il mio olio, che bestemmiando per
le difficoltà finalmente sono riuscito dopo mesi di tentativi ad assaporare.
Pardona domenica 19 luglio 2029
UN PACATO
PASSATO DA DIMENTICARE
Ascoltati gli alibi, stabiliti i moventi, ci si rende conto di
quanto la vita sia poco matematica e lontana dal meccanismo logico di un
qualsiasi romanzo poliziesco.
Fanny
Menga (Un Giallo Quasi Verdolino)
Virtualmente converso con mio zio Ithamar
abbastanza di frequente, di solito la sera, seduto sulla panchina fuori. Specie
quando c’è la luna piena, sennò cerco di ricordarmi le luci che c’erano e non
ci sono più, quelle ferme e quelle in movimento, il mare che altrimenti non si
vede ma si intuisce perché di solito è sempre là sotto, con tanti piccolissimi lumini
lontani di paesetti intorno, tipo Porto Venere, in ordine sparso Marola,
Fezzano, Le Grazie sempre lì nel golfo di La Spezia, le navi che passano,
barche di pescatori, ognuna aveva i suoi bravi lampioncini. Ora è Ithamar che
mi illumina, cioè qui al buio mi porta problemi, situazioni e persone a me
completamente estranei e lontani, poi ne fa l’interpretazione. Non mi pare che
abbiano qualcosa a che fare con me o con il mio mondo limitato dalla mia
filosofia piuttosto zoppicante, invece a pensarci bene ce l’hanno, eccome.
“Una
buona filosofia di vita, e mi raccomando non di morte, può aiutare parecchio un
essere suo malgrado pensante nella pratica dei suoi giorni.” Dice Ithamar. “Il
mondo presenta vari problemi a chi insiste nel volerci proprio vivere,
principalmente a noi esseri umani, il primo guaio è indubbiamente la presenza
di tanti, forse troppi altri esseri umani.
Hanno scoperto altri pianeti con sopra
dell’acqua, questo non significa poi che ci sia della vita, come la intendiamo
noi, e poi per ora non saprebbero lo stesso come spedirci delle vagonate di
esseri umani, perché sono lontani anni luce.
La sopravvivenza di per sé è desiderabile, ma
provoca comportamenti insensati, superiori all’entità del problema. La gente
lotta oltre l’effettivo bisogno di farlo, si crea nemici immaginari che non
hanno altra colpa di volere lo stesso che vogliono loro, forse di volerlo
troppo intensamente, come loro stessi, del resto. Più vivono male e più sono
attaccati alla vita. Il consumismo nasce dal voler immagazzinare dei beni di
conforto che non solo non ci confortano, ma che ci schiavizzano per dover
guadagnare dei soldi per poterli comprare, mantenere, cambiare, portare al
livello degli altri, o addirittura superiore.”
“Non mi dirai
che io sono consumista…”
“No, ma ne
sei assai influenzato, al contrario, fai di tutto per non accumulare, cioè vuoi
scegliere troppo.”
“Fammi
qualche esempio.”
“Le
scomuniche.”
“Come le
scomuniche?”
“Non è roba
del passato, anzi, là in Italia è continuata a tutto vapore... Sì, la gente va
selezionata, ti giustifichi con te stesso, comunque è un meccanismo inconscio e
forte, come per tuo padre, o una persona ti piace molto o troppo poco, non
riesci a sentirti indifferente e per farlo devi allontanarti da questa persona,
che eventualmente ti stia recando danno sproporzionato al piacere di starle
insieme.”
“C’è un fondo
di verità. Tra tutti quelli che ho conosciuto, che non sono pochi, un mio amico
di Boulogne, quello mai scomunicato, tale Henry Brest, diceva che mi sbagliavo
a voler selezionare, lui non lo diceva, ma usava un altro sistema: si ubriacava
tutti i giorni e la gente gli pareva tutta meravigliosa. Non so nemmeno se è
ancora vivo, ma non credo.
Invece io no,
all'alcool ci ho rinunciato e anche quando bevevo scomunicavo a tutto andare,
anche così il mio senso critico non risparmiava l'osservazione degli altri e
anche la feroce critica a me stesso, devo ammettere.
C'è anche da
dire che così facendo riesco a non sentire rancore per queste persone, dopo un
poco di tempo, le considero solo disgraziate, perché debbano rinunciare alla
mia compagnia. Ecco un altro punto strano; quando li vedo, o me li immagino, ho
difficoltà a credere, per qualche attimo, che loro possano continuare ad
esistere, anche dopo averli esclusi dal mio mondo. Lateralmente però, critico
molto anche il mio stesso modo di vivere, questo mi permette di migliorare,
perché non mi accontento mai, cioè ogni giorno sto studiando il modo di fare
qualcosa di più o di migliorare quello che sto facendo attraverso altri sistemi
nuovi o già usati, ma forse usati male, o nel momento sbagliato, o in altre
situazioni.”
“Il bello che
ti dici tutto da solo, lo sai che sbagli eppure continui.” Dice sorridendo Ithamar,
io non lo vedo ma lo sento, ricordo molto bene quel suo sguardo che commisera
l’interlocutore, lo usa a priori, anche senza ragione, fa parte del suo modo di
fare.
“Non sono del
tutto d’accordo. Dal punto di vista di gente che vive assai meccanicamente la
sua vita, io vivo analizzando di continuo, lo posso fare perché vivo assai
ritirato, io penso troppo, io questiono anche l'inquestionabile. In un certo
senso invece penso di testare abbastanza la mia vita, nel senso che sono assai
più disciplinato della maggior parte della gente e questo mi ha sempre permesso
di lavorare meno e di prevedere il futuro in maniera approssimativa, ma con i
piedi per terra soprattutto per quanto riguarda la mia situazione
finanziaria.”
“Hai parlato
abbastanza ma non hai detto molto. Tagliando corto forse è colpa di Cicero, tuo
padre. Il vostro antagonismo è cominciato da lui, ma tu non te ne sai liberare
ancora, dopo che è morto da parecchio tempo. Quasi come se tu dovessi fare per
forza il contrario di quello che faceva lui. Tuo padre diceva che la vita
non si può controllare e con questa scusa, certo lui non lo ammetteva, ma non
si sentiva minimamente responsabile per quello che faceva e scaricava tutto il
suo pesantissimo Ego sugli altri, che lo sopportassero o no a lui non gliene
fregava niente.
Tuo
padre nel lavoro era un ruffiano tremendo, sempre sorridente e disposto a
leccare le altrui palle fino all'orgasmo, anche fuori nel tempo libero si
comportava in maniera untuosa, ma senza modificare di un millimetro il proprio
comportamento di fronte alla diversità e sebbene volesse mostrare proprio il
contrario, era permaloso e vedeva i rapporti tra le persone in maniera assai
poco sentimentale e sempre interessata.
Non è mai
cambiato, almeno in questo senso di evoluzione dialettica, è sempre stato abile
a negare l'evidenza e a provarla con evidenze che erano evidenti solo per lui,
robe inesistenti in assoluto, attraverso la bugia e il suo atteggiamento,
quello di chi aspetta sempre la mossa dell'altro per poter agire di rimessa,
valutando erroneamente che sia più facile e al riparo dai rischi. Ma la fatica
che uno dura solo per evitare la verità e ricordarsi tutte le bugie che dice?”
A volte mio
zio ha ragione, non è uno stupido, e poi se uno parla tanto alla fine qualcosa
di giusto lo dice per forza. Sono tornato un po’ indietro nel tempo, pensare a
quelle situazioni mi è sempre piaciuto poco, ma forse era necessario.
Poi c’era il
miglior amico di mio padre, Conrado Sixto lo manipolava facilmente, il suo
amicone era un boss ed è stato lui che per primo mi ha pagato per uccidere un
uomo.
Usava molto
quello che dicevano gli altri come se fosse suo, aveva il raziocinio
rapidissimo e se te lo mettevi contro ti tagliuzzava sadicamente
a rasoiate di lingua sottilissime e velenose... ma in fondo la sua volontà
era poca, se non messa alle strette in maniera diretta, viveva anche lui in un
tunnel come Cicero, mio padre, la struttura della sua giornata lavorativa era
pesante, nonostante l'età e la sedentaria maniera di vivere, ce la faceva
ancora perché viveva così da tempi immemorabili
Tutti e due parlavano male l'uno dell'altro, ma almeno frontalmente si
difendevano a spada tratta, nel senso che se non si trovavamo nella reciproca
presenza si appoggiavano assai meno, o niente del tutto.
Tutti e due vivevano in un tunnel di quello che chiamano lavoro, ma era
delinquenza, tutti e due smettevano di aver rispetto del disgraziato che stava
loro di fronte, dal momento in cui si manifestava una divergenza di opinioni,
tutti e due avevano un Ego enorme e sotto, se si andava a vedere, non c'era
quasi niente, uno scudo gigantesco per proteggere delle nullità, anche dagli
sguardi, anche dalle indiscrezioni, lo scudo serviva anche a proteggere loro da
sé stessi, ecco perché comunicavano tanto poco con le loro stesse anime,
sarebbe stato scomodo.
Mio padre era già in ospedale, non ci sarebbe più uscito se non con i
piedi davanti, non seppe mai che avevo fatto fuori io Don Conrado, e quella fu
una catena di coincidenze, partite dal mio voler risparmiare Alberto Nuti. Non
era stato l’amico di mio padre a commissionarmi il contratto, ma quando mi misi
contro l’altro boss, attaccato ci venne, in offerta speciale, anche Don
Conrado, e la sua numerosa gang. Vedi che ti succede? Ebbi a dire a me stesso.
Se avessi fatto il lattaio, tanto per dirne una, questo non mi sarebbe
capitato. Probabilmente Don Conrado
aveva garantito per me, ora era con lui che dovevo usare la mia arte, ma se
esattamente di arte si trattasse non lo sapevo.
Fu proprio lui a dire la famosa frase, che magari non gli costò la vita,
ma di sicuro accelerò il processo già in atto:
“Io ti ho fatto e io ti disfaccio!”
Pardona domenica 9 settembre 2029
S.PIETRO A PORTOVENERE
Alcuni studiosi dicono che i sogni
notturni hanno a che fare con la realtà che stiamo attraversando durante il
giorno, di quel periodo. Altri studiosi dicono che gli studiosi del suddetto
gruppo sono piuttosto dei sognatori a occhi aperti e che non hanno la minima
idea della realtà.
Rupert Bobbio (Se il Tale Documento
Fosse Divulgato)
Non so perché vado spesso a fare
perlustrazioni a Portovenere, forse perché è abbastanza vicina e poi mi piace, in
più sono anche sempre curioso di vedere a che punto la rovina si sia abbattuta
sul borgo ligure.
L’ultima volta io e Pugacioff, abbiamo
camminato lentamente scavalcando le ossa umane sparse in giro e incontrando
animali singoli o gruppi che sembravano come al solito sorpresi di vedermi.
Ho sostato a rimembrare il passato
davanti alla finestra di Byron e avrei anche fatto delle foto, ma ormai eravamo
tornati all’età della pietra. Anche se ero arrivato in jeep, avevo una Glock in
tasca e un Kalashnikov a tracolla. Volendo un computer avrebbe anche
funzionato, con la mia energia elettrica autogestita dei pannelli solari, ma
non c’era più l’internet e quindi avevo perso l’abitudine da anni.
Salendo verso la chiesa sulla rupe a picco sul
mare sono passato accanto a quella enorme scacchiera dove giocavano con pezzi
scolpiti nella roccia, o forse di cemento armato, sono sceso nella spiaggetta
sottostante e mi è venuto in mente il film Il Settimo Sigillo di Bergman e la famosa
partita a scacchi con morte, una pellicola che non avevo mai visto interamente,
ma quella scena mi aveva impressionato. Lo scenario di morte e di spiaggia
sassosa mi sembrava affine, anche se quella del film era molto più ampia.
A un certo punto Pugacioff, appena
uscito dal mare con un grosso bastone in bocca che gli avevo buttato io, ha
guardato verso l’alto e ha abbaiato, girandomi velocemente ho visto come
un’ombra sparire dentro il portale di pietra e il lembo di un vestito nero
svanire aldilà dell’ingresso di quel muro antico. Con il rumore del mare mosso
contro gli scogli non avevamo potuto sentire qualsiasi altro indizio sonoro. Abbiamo
rapidamente scalato i gradini e arrivati su non c’era nessuno, poteva essere
stato un corvo, un cane nero, che ne so, anche un cinghiale che sembrava più
scuro di quello che era, forse la mia immaginazione aveva fatto il resto.
Mentre ci guardavamo intorno, a maggior distanza è avvenuta la stessa illusione
ottica, alla porta della chiesetta di S.Pietro aperta, lassù in alto. Siamo
corsi con la fiataccina anche lì, ma non c’era niente e nessuno, sono sceso
anche nella cripta, accendendo al volo una candela senza pagare, mentre Pugacioff
abbaiava furiosamente perché non poteva scendere le ripidissime scale e la
chiesa rimbombava in maniera assordante. Nulla nemmeno lì, a parte teschi e
scheletri, i soliti mucchi di ossa umane.
Mi sono seduto su una panca
polverosa a riprendere fiato, la posizione scomposta mi ha fatto leggermente
scivolare e senza volerlo mi sono messo in ginocchio, in quel momento ho
sentito forte una voce, deve essere stata la suggestione:
“Che tu potessi di tua spontanea
volontà entrare in una chiesa non l’avrei mai creduto!”
“Eh?”
“Sono io che ti parlo. Mi rivolgo
soprattutto al tuo cuore nascosto. Confessati figliuolo, ne hai un estremo
bisogno, noi due lo sappiamo…”
“Ma che sapete? E poi chi siete voi?” Ho pensato io ad
alta voce.
“Noi due nel senso d’io e te. Dove
io sono Padre Ramiro Lameira della diocesi di Ciudad Ojeda!”
La voce era la sua, con un
realistico eco della chiesa. Don Ramiro era mio coetaneo, eravamo stati in
classe insieme alle elementari, era molto intelligente, simpatico e buono, se
tutti i preti fossero stati come lui magari io mi sarei convertito. Il suo
difetto maggiore però era che la diocesi di Ciudad Ojeda per lui era
sconfinata, non bastava l’universo per scappare e mi aveva sempre inseguito con
le sue lettere e i suoi e-mail, per convertirmi a qualcosa al quale non credeva
più nemmeno lui, insomma voleva salvarmi, ma non sapeva bene nemmeno da cosa e
perché.
Ogni tanto però era venuto a parlarmi
delle cose che non avevano niente a che fare con i peccati miei o con la chiesa
cattolica. Altre volte anch’io ero ricorso al suo aiuto, più tecnico che
spirituale, ma in lui erano cose ben collegate.
Sulle pandemie per esempio aveva
la stessa idea di Zino, erano tutte solo congiure a spese nostre, pecorelle
smarrite.
Io non lo sapevo, non avevo una
posizione definita, quello che diceva lui non lo escludevo, ma non ci credevo
fino in fondo.
Con lui avevo sempre scherzato
sulla confessione, lui mi diceva di confessarmi subito, che ne avevo estremo
bisogno ed io allora glielo intimavo a lui, pur sapendo che lui di peccati non
ne aveva, se non quello di voler salvare tutti e me per primo.
In quel momento alcune domande mi ronzavano
nel cervello. Il lembo della sua veste nera da prete era quello che avevamo
visto io e Pugacioff? Stavo cominciando a impazzire e perché allora anche Pugacioff
nello stesso momento?
Mentre Ramiro introduceva a parole
il suo misto indissolubile di religione, cibernetica ed economia, l’ho battuto
sul tempo e gli ho chiesto subito della congiura mondiale che lui dichiarava in
atto.
“Non mi confesso da anni ormai e
ho perso il conto dei peccati, tanti o troppi non fa alcuna differenza, ma a
proposito della pandemia e degli intrighi internazionali cosa avresti da
confessarmi tu?”
“In che senso?” Ha chiesto lui.
“Che se la pandemia era una manovra come dicevate voi,
ora sono morti anche loro, i manovratori, ma che minchia di manovra era?” Le risposte non ce le aveva ma ha subito tagliato e
confuso le acque. Su alcune cose era molto preciso, su altre svicolava, era
molto approssimativo, se e quando gli faceva comodo.
“Ah, sì è vero. Penso che gli sia semplicemente
sfuggita dalle mani.”
“Spiegati meglio, padre nostro che sei nei cieli...”
“Intanto i cieli sono diversi da come me li ero
immaginati. Ma questo è normale e poi è anche un altro discorso. Le crisi,
queste cose malamente manovrate, sono sempre tentativi di fregare la gente, le
povere pecorelle sperdute, tentativi finiti male anche per loro, a cui poi cercano
di rimediare. Le congiure, da quella di Lucifero in avanti, sono sempre andate
a parare dove non volevano e allora, prima di rimetterci troppo, cercano di ristabilire
le cose, ma l’entropia dice che più processi chimici o fisici si mettono a
funzionare, più difficoltà abbiamo a tornare indietro, le variabili della
teoria del caos diventano troppe e si perde facilmente il dannato controllo...”
“Beh, effettivamente...”
“Nel caso specifico hanno voluto o dovuto studiare un
virus più forte e gli è stato letale...”
“A loro e a tanta gente che non c’entrava niente...”
“Così è la vita, tutto inizia e poi si trasforma,
niente finisce ma tutto cambia. Vedi che non sono un povero parroco sprovveduto
e ancorato al passato. A proposito poi ci sarebbe quella storia dei FDP, che tu
mi devi ancora raccontare...”
“FDP? Figli Di Puttana? Ne conosco tanti, ma forse li
conosci meglio te, o sbaglio?”
“Non fare il furbo con me, FDP come Fine Della
Pazienza, non ti dice niente questo nome?”
“No, a me no, dovrebbe ricordarmi qualcosa?”
“Confessati ragazzo mio, anche se hai settant’anni e
passa ti sentirai più giovane e leggero. Tanto ormai...”
“Ma sì, tanto ormai... confesso che volevamo salvare
il mondo, non è un peccato grave...”
“Di buone intenzioni le strade dell’inferno sono
lastricate, hanno detto un amico tuo.”
“Marx? Ma se lo conosco appena di vista... No, non lo abbiamo
fatto per noi stessi, seguivamo l’insegnamento di Edmilson Larnaca che non era
un ciarlatano e predicava cose nelle quali credeva per esperienza diretta, non
per averle lette da qualche parte. Diceva che un dialogo interiore è
necessario, per chiedersi se quello che facciamo è giusto, se è quello che
vogliamo, se non nuoce a nessuno, se ci può portare dei risultati utili e
magari anche equi.”
“Concetto di Hannah Arendt però, se non erro.”
“Sì, più o meno.”
“Ma come e dove
cominciò tutto quel vostro movimento pazzo?”
“All’inizio chiesero il mio aiuto a pagamento, come
capace professionista del ramo. Non mi chiedere quale che lo sai già. In un
secondo momento avevo capito che per fare veramente bene alla gente dovevo
almeno cercare di eliminare i prepotenti più grossi che purtroppo non avevano
nessuna voglia d’imparare a sviluppare un dialogo interno, come avrebbe voluto
Hannah Arendt, ma preferivano piuttosto fare a pezzi gli avversari, togliere il
loro potere individuale per poco che fosse, ma in quel modo accumulare il
proprio, mattoncino su mattoncino costruivano dei grattacieli d’ingiustizia e
di sangue rappreso, ma anche di soldi e quindi di potere, che se non sono esattamente
la stessa cosa, spesso coincidono.”
Ho confessato tutti i
miei peccati, o almeno quelli che ricordavo, perché erano tanti. Ormai era
notte e sono tornato a casa in jeep con Pugacioff. Ho avuto difficoltà a non
addormentarmi, forse avrei risolto il problema nel migliore dei modi, invece
no.
Pardona domenica 15 settembre 2029
LA FINE DELLA PAZIENZA
Gli ideali sono come la stella polare, sono
irraggiungibili, ma indicano la retta via
(Anonimo)
L’incontro con i colleghi, o compagni della FDP,
comunque era stato scatenato e non si poteva più fermare. Il mondo degli esseri
umani ora per me era come una videoconferenza senza video, quando volevo
parlare con qualche morto quello si manifestava da solo. Al ritorno da
Portovenere si continuò in macchina anche se Pugacioff mi guardava con la testa
leggermente curvata e nei giorni a venire, ogni tanto qualcuno mi si
presentava.
Il socio fondatore Binho fu il primo, anche perché i
maggiori contatti li avevo avuti con lui:
“Il luogo dove tutto è partito è stata la
favela, perché i bisogni degli esseri umani, fisiologicamente risultano acuiti
dove si vive male, dove si rischia la vita ogni giorno, dove l’esistenza
proprio per questo diventa un bene più concreto e tangibile.
Nella favela si
pensa meno agli altri problemi dell’uomo moderno, come per esempio al senso
della nostra permanenza in questa valle di lacrime, qui la sopravvivenza
diventa l’unico scopo, l’unico pensiero. In un certo senso, quindi, si è più
umani e ci si allontana dalla mancanza di ideali della gente che va dietro al
consumismo selvaggio, alla globalizzazione, ma non per scelta propria,
piuttosto seguendo la maggioranza, come le pecore.
Dall’altro lato
queste cose che si vedono continuamente in giro, specie alla televisione, ma
alle quali non si accede facilmente, sono un generatore continuo di ansia di
ricchezza, per cui le persone che riescono a uscire da quello stato di miseria,
non saranno mai capaci di pensare a nient’altro, nella loro vita.
Quest’immagine di
miseria sempre davanti agli occhi fa sorgere un tipo di società che idolatra il
denaro e porta la gente di classe media e ricca a odiare questo, per loro
vergognoso, aspetto del Brasile, che per esempio non volevano mostrare nei film
e meno ancora nelle novelas, almeno
fino a poco tempo fa, ma che ultimamente invece ne hanno scoperto il fascino
feroce e sensazionalista, da vendere specialmente fuori dal Brasile e anche
questo può essere un buon business.”
“Ma il primo fondatore, sei stato tu, insieme a chi
altri?”
“Indirettamente è stato Edmilson, almeno credo, a quei
tempi gli venne intimato di lasciare la favela, stavo dicendo, ma non avendo
ubbidito alla fine venne giustiziato dai trafficanti che controllavano la
favela Collina dell’Avvoltoio (Morro do Urubu) perché era diventato un pericolo
per loro, già che lui insegnava alle persone a vivere meglio, la gente lo
seguiva come un’autorità. Visto che Edmilson era diventato un personaggio
famoso, la fazione Amici degli Amici (Amigos dos Amigos) ha dovuto mettersi
d’accordo con le altre due fazioni di Rio de Janeiro, cioè Comando Rosso
(Comando Vermelho) e Terzo Comando (Terceiro Comando).”
“Ma chi era esattamente questo Edmilson?”
“Un guaritore, uno che si era messo a curare la gente,
la povera gente delle favelas, non solo nel corpo ma anche nella mente.”
“E tu lo conoscevi personalmente?”
“Ero suo cugino, ma ci frequentavamo poco o niente. Rio
De Janeiro è grande e piuttosto complicata per spostarsi.
Prima dei fatti citati ci eravamo scambiati varie
lettere elettroniche, poi tutto quello che mi aveva insegnato Edmilson mi
serviva da metro di paragone, soprattutto a capire chi avevo di fronte e a
scegliermi un lato in maniera definitiva e determinata. La mia seconda carriera
iniziava segretamente, loro mi accolsero con piacere, il mio lavoro era
necessario alla loro causa.
Questo era il momento in cui dovevo imparare a usare altre
armi, comprare informazioni direzionate e il denaro ora ce l’avevo. Un
addestramento da killer anche era un tipo di prodotto non proprio facile a
trovarsi in giro e soprattutto da parte di chi - magari - non lo sarebbe andato
subito a spifferare in giro. Intanto avevo conosciuto tanta gente nuova che
aveva bisogno del mio aiuto, ma che poteva anche darmene, magari fare uno
scambio, bastava trovare la persona giusta, per fortuna che nel frattempo avevo
anche iniziato a riconoscere di chi mi potevo fidare e di chi no.
Iniziai a guardarmi intorno in quella ben determinata
prospettiva e dopo non molto capii che Luiz, con il quale aveva più volte
conversato sull’argomento, era la persona che cercavo.
La guardia specializzata finse di credere che era
tutto per sicurezza personale, ma poi mi chiese se poteva collaborare più
attivamente al progetto. Io caddi dalle nuvole ma pur negando iniziai a
pensarci, intanto Luiz mi addestrava e parlavamo spesso di vari argomenti,
passando tempo insieme e condividendo alcune idee diventammo quasi amici. Uno
strano tipo di amicizia.
In seguito mi sono stupito che Luiz Amaral Valdeno
facesse parte di quell’organizzazione che aveva le mie stesse idee e quelle di
Edmilson, dentro c’era anche IV, Indio Velho, amico e consigliere di Edmilson.
IV che aveva cambiato stile di vita, per
noia forse, o per mancanza di donne, magari perché era sorta una nuova favela
sulla sua collina, ma anche perché voleva farsi una specie di giustizia che
anche secondo lui al mondo non esisteva ancora.
Le menti dell’associazione segreta erano sei quindi,
oltre a Luiz, c’era Iraq, c’era Nadine, ex moglie di Edmilson e poi Zago, un trentino
fuori di testa ma intelligente assai, forse è stato lui il fondatore. Questi
ultimi due erano quelli che portavano i soldi, o almeno la maggior parte, che
poi non erano direttamente loro, piuttosto dei loro ricchi genitori, ma ne avevano
in quantità e qualità. Gli altri finanziamenti li fornivamo tutti, nel limite
delle nostre possibilità. Una cinquantina sparsi per il mondo i collaboratori.
In sintesi noi eravamo persone che volevano aiutare
gli altri, insieme a noi stessi, abbiamo provato a fare del nostro meglio,
almeno per sentirci meno stupidi e manipolati, ma abbiamo perso la capacità di
credere che potesse bastare, che non si potesse e non si dovesse fare qualcosa
di più.
La mia prima pistola fu una Glock, perché non aveva
quasi per niente rinculo ed era facile da usare.”
Poi Binho ha taciuto. Sono rimasto da solo a pensare,
seduto sulla panca davanti casa con Pugacioff che mi riportava delle pigne
bavose e io gliele tiravo nel bosco.
Ero lì che davo da mangiare ai cani, pezzi di carne di
cinghiale arrostito, qualche ora dopo ed ecco che è intervienuto Iraq, altro
membro importante. Personalmente non lo avevo mai conosciuto, solo udito il suo
nome, qualche volta. Si è presentato ed è partito con una sua specie di
confessione.
“Da solo non avrei potuto
far niente, se non altro perché non ho soldi e per fare quello che volevo fare
ci vogliono i soldi, oltre che coraggio e determinazione.
Il sistema t’incatena al
denaro e anche quando ti ribelli al sistema stesso, non per caso, quello ancora
ti controlla, in qualche maniera, attraverso quei meccanismi di cui l’uomo è
schiavo se non da sempre o quasi, è incredibile come è difficile fare qualcosa
di differente.
Quando è morta mia madre,
per un’infezione all’ospedale S.Marta, mi sono trovato pronto all’azione e
Binho mi ha portato qua da loro.
Tra di noi c’è anche IV,
Indio Velho, un vecchio indio di quasi ottant’anni, una specie di filosofo
tranquillo e incazzato allo stesso tempo, aveva due occhi di fuoco, ha vissuto
come un eremita fino a non molto tempo prima. Direi che nella vita si cambia e
parecchio, anche se dentro di noi siamo sempre gli stessi.
Una volta non capivo che
cosa pretendevano fare i terroristi, per me erano solo dei matti da manicomio,
anche se dal fuori forse è quello che tanti pensano di noi, ma per fortuna non
tutti. Insomma poi ho capito che il mondo ti porta a certe scelte drastiche,
non sono tutte inevitabili, ma solo possibili e logiche, credo che sia
questione di temperamento.
Avete fatto caso che i cosiddetti terroristi spesso
ammazzano degli innocenti che non hanno niente a che fare col problema che si
vuole combattere? Luiz mi ha fatto notare che tante volte applicano il terrore
per arrivare esattamente al contrario di quello che dicono. Talvolta vogliono
ottenere sdegno e reazioni del consenso pubblico, spostare il suffragio
universale nella direzione desiderata. I terroristi veri dovrebbero agire
diversamente: perché non colpire i potenti, invece, chi veramente ha le mani in
pasta?”
Dopo si è zittito.
“C’è qualcun altro qua in giro?”Ho chiesto. Ho pensato
che chiamandomi Pietro Rodolfo la chiesa di S.Pietro di Portovenere era stata
scelta per richiamare i morti affiliati alla Fine Della Pazienza.
“Ma quelle specie di allucinazioni che aveva avuto
anche Pugacioff?” Mi aspettavo una risposta anche per quello, ma non è
arrivata.
Qualche giorno dopo, a piedi sulla strada per Padrona,
entrato in un boschetto particolarmente buio, invece è arrivato Luiz. Anche lui
sentito nominare ma mai visto in faccia, naturalmente nemmeno in foto o video,
eravamo una congrega segreta.
“Sono Luiz. Non so
nemmeno io chi ha fondato il gruppo, ma avrei da dire alcune cose. Passiamo la
vita intera a cercare di capire quello che ci circonda, leggendo,
documentandoci sulle cose del mondo, fino al punto in cui ci rendiamo conto che
abbiamo finalmente un’idea approssimativa e generale sufficiente. La gioventù
ci ha già abbandonati da tempo e quel temperamento esplosivo di una volta è
diventato assai più riflessivo, raggiunta e passata la cosiddetta mezza età e
quella necessaria distanza che ci permette di vedere le cose con una
invidiabile visione d’assieme, è vero che ora il tempo passa troppo
rapidamente, è una caratteristica della vecchiaia. Ma ora non abbiamo più dubbi
a rispetto di come funziona il mondo.
Chi difende gli altri
impara - anche senza volerlo - il miglior sistema per farli fuori. Credo che la
mia esperienza professionale sia stata utilissima al gruppo, ma ho dovuto
studiare cose alle quali non avevo nemmeno mai pensato. Se ci si addentra in un
campo qualsiasi si vede che la complicazione aumenta, ma i risultati sono
direttamente proporzionali alla competenza, oltre che alla freddezza e alla
determinazione, nel nostro caso.
Da qualche anno mi sono
reso conto che si parla di terrorismo a sproposito, nel mondo, spesso sono gli
stati stessi, spinti da grossi privilegiati alla ricerca di ulteriori vantaggi,
che intraprendono il vero terrorismo, quello che non si vede ma che si sente
sulla pelle di milioni di persone, quelli che hanno votato per certi politici
che fanno esattamente il contrario di quello che dicono. In sostanza tutti
vogliono i privilegi giacché ai diritti non ci crede più nessuno. Però questo
significa prendersi quello che è degli altri.”
Quando ha taciuto ho chiesto
dell’ombra che ci era apparsa a Portovenere ma Luiz era già andato, o non ha
saputo rispondere.
La settimana seguente ero
andato a prendere della ghiaia in una cava con la jeep. Là c’era un’eco incredibile.
allora ho gridato:
“C’è anche Zago qui tra
di noi?”
Nel silenzio della cava abbiamo
aspettato un po’ e poi io e Pugacioff abbiamo udito la voce di Nadine, no,
forse solo io:
“No. Non so più niente di
Zago. Ci sono io, l’unica donna del gruppo. Ricordo che ho pensato a quei
tempi: se queste mie parole diventeranno
pubbliche, un giorno, significherà che qualcosa è andato storto, che ci siamo
sfasciati contro il muro dell’indifferenza, il che non è troppo difficile a
immaginarsi. Oppure che siamo diventati eroi internazionali, piuttosto, questa
è una guerriglia a tutto campo e ogni cosa può accadere, noi non siamo certo
qui per la gloria.
Il Brasile è il luogo
ideale per nascondersi, da sempre, lo abbiamo scelto come sede. Il termine
terrorista è sempre stato usato a sproposito, ma noi siamo dei veri terroristi,
alla fine o finalmente. La favela è il luogo dove l’ingiustizia sociale è più
evidente, non ci ho mai abitato, ma il nostro movimento si può dire che sia
nato in una favela brasiliana, perché è proprio lì che la gente può comprendere
al volo l’ipocrisia dell’epoca moderna, della civiltà occidentale, di un mondo
dove le cose brutte si nascondono e quelle apparentemente belle si sbandierano.
Spesso è proprio la
rabbia che ci viene fuori prepotente, ma ci hanno insegnato che bisogna
contenersi, perdere il controllo non serve a niente e su questo siamo
d’accordo.
Bisogna sfogarsi però,
sennò s’impazzisce, quindi ho capito un’altra cosa, che la rabbia si può
controllare e anche sfogare, basta non perdere la visione d’assieme, un disegno
generale con una prospettiva razionale, un obbiettivo anche pazzo da
raggiungere. Non so perché ma sento il bisogno di giustificarmi, eppure so che
chi ci stima non ne ha bisogno, che a chi ci odia le mie spiegazioni non
serviranno certo a cambiare idea. Forse ho solo bisogno di convincere me
stessa, chi lo sa?
Ho conosciuto Zago
all’aeroporto di Londra, non sapevo ancora che lo chiamavano Il Veneziano. Da
tassista incontro quasi solo e sempre gente che non rivedrò mai più, ma con lui
ci siamo trovati subito bene, proprio sulle idee spicce e fondamentali, quelle
che sono alla base per una ribellione ben calcolata, studiata nei particolari.
La nostra rabbia contro
il mondo, la società, la politica, le banche, le multinazionali, il WTO e via
discorrendo, quella rabbia fredda e controllata ha deciso per noi, in fondo e i
soldi di Zago ce lo hanno permesso, o meglio, quelli di suo padre, oltre a
quelli dei miei, che non sono pochi, tutti collaboriamo nel limite dei mezzi
che abbiamo a disposizione.
Purtroppo nella storia
del mondo di grandi uomini ce ne sono sempre stati pochi, non sto parlando di ciccioni, che quelli sono
abbastanza numerosi. Un grande uomo era il mio ex marito Edmilson, piuttosto
magro, un altro è stato Ghandi, secco come un chiodo.
Un’ironia che il primo
pratico, ma anche simbolico, atto del nostro sodalizio è stata l’esecuzione dei
capi dei tre comandi dei trafficanti di Rio de Janeiro, che avevano ammazzato
Edmilson, mentre ci preparavamo ancora a entrare in azione.
Il bandito è un traditore
naturale, ogni sottocapo vuole diventare capo e così via, è stato relativamente
facile e a buon mercato. Edmilson ci mancherà e non solo a noi, il mondo ha
bisogno di gente come lui.
Dopo ecco il deputato
brasiliano Sergio Naia, suggerito e poi documentato da Iraq e Binho, scappato
negli USA dopo che uno dei suoi grattacieli, costruiti con sabbia di mare e
materiale scadente era caduto e la gente superstite, oltre alla vita dei
familiari, aveva perso anche la sua casa senza speranza di potersela vedere
risarcita.
Non era stato difficile
assoldare un professionista e metterlo sulle tracce dello schifoso in questione.
Naturalmente poi iniziammo anche a fare la propaganda sui giornali e su
internet, chiamammo il nostro gruppo la Fine della Pazienza. Noi naturalmente
miravamo molto più in alto, perché Naia era un pesce piccolo, era stato cassato
dal parlamento e se ne era dovuto andare dal Brasile, era solo un simbolo del
passato, anche se piuttosto recente.
Il prossimo passo era
qualcuno di molto più importante, molto più attuale, ma già passato oltre il
suo periodo d’oro di danni insistiti al suo paese e di ricchezza disonesta,
l’ex presidente del consiglio italiano Gino Bottaini. Figurarsi che dopo essere
stato condannato per corruzione, concussione, abusi di potere, vari scandali
sessuali e non, dopo aver tenuto sotto scacco l’Italia per quasi venti anni,
dopo essere stato mandato via dal parlamento, continuava sottobanco a dirigere
l’Italia, aveva ancora diritto al vitalizio e alla scorta pagata dai
contribuenti, che invece lo avrebbero volentieri fatto a pezzettini. Tutto
grazie all’appoggio di quell’altra parte del paese, che lucrava con la disfatta
di quella che chiamavano ancora orogliosamente patria.
Intendiamoci: la nostra
idea era piuttosto internazionale, ci tenevamo a chiarirlo nei nostri
comunicati, volevamo e vogliamo colpire duro ovunque ci fosse del marcio a
grandi livelli e c’era l’imbarazzo della scelta, bastava guardarsi intorno.
Naturalmente uno dei
nostri punti forti è avere un basista o addirittura gruppi che abbiano
interesse contrari alla nostra futura vittima, non necessariamente per amore
della libertà, ma a volte solo per prendere il suo posto. Per questo non dovevamo
mai rivelarci o aprire il nostro gioco, con nessuno.
La corruzione era il
modus operandi di Gino e noi riuscimmo a farlo spiaccicare al suolo dopo una
caduta da venti piani, con i suoi stessi metodi, cioè grazie a uno dei suoi
uomini della sicurezza, che avremmo pagato bene, ma riscosse solo la metà, cioè
l’acconto, perché fu massacrato dai suoi colleghi.
Industriale di armi, il
padre di Zago sarebbe stato un uomo da colpire come tanti altri, ma lui lo
voleva fare in maniera intelligente, senza ammazzarlo o rovinarlo, come certo
meritava, piuttosto eliminando, grazie ai suoi soldi, quelli come lui.
Il prossimo nome era
Joachin Whitebread, una macchina per fare soldi di origine ebraica.
"Per più di un
secolo, gli estremisti ideologici ai due lati opposti dello spettro politico
hanno colto al volo incidenti ben pubblicizzati per attaccare la mia famiglia,
per l'influenza eccessiva che sostengono noi maneggiamo sulle istituzioni
politiche ed economiche americane. Alcuni credono che facciamo parte di una
cabala segreta che lavora contro l'interesse anche degli Stati Uniti, oltre a
quelli di tutti gli altri paesi, definendo me e la mia famiglia come internazionalisti e di cospirare con
altri nel mondo per costruire una struttura politica ed economica globale più
integrata. Se questa è l'accusa, mi dichiaro colpevole, e sono orgoglioso di
esserlo ".
Ecco cosa ha avuto la
faccia tosta di dire in un’intervista recente. La moneta unica, magari i
microchip in un secondo momento, sono gli obbiettivi, in verità e tutto questo
orchestrato a forza di crisi globali, al costo di tante vite distrutte di
persone economicamente insignificanti.
Una volta dei falsi
terroristi italiani dicevano colpirne uno
per educarne cento, qui la dimensione è molto maggiore, la ripercussione
sarebbe stata una Tsunami, se ci fossimo riusciti. Certo, ma non era facile,
riuscire a raggiungere uno che da sempre è stato oggetto di odio, aveva una
notevole esperienza nel difendersi, mentre attaccava il mondo con delle altre
armi più ipocrite e nascoste, gestendo il consenso insieme ad altri figli di
puttana del genere.
Dopo Bottaini e alcune
altre teste parziali e fottute dall’avidità, la stampa di tutto il mondo si era
accanita contro di noi, lo stesso Milo Mörbach, già nella nostra lista,
acerrimo nemico di Gino, ma molto più ricco e potente, proprietario di testate
giornalistiche e di reti televisive in lingua inglese tra le più importanti e
numerose del mondo.
Zago dice spesso:
“Ora tutte le merde più
importanti stanno pensando che potrebbe toccare a loro, chi lo sa, magari la
prossima volta, i nostri comunicati sono vaghi ma precisi, e noi andiamo in
crescendo.”
Whitebread bisognava
colpirlo nel suo relax quando non ci pensava neanche, infiltrare un uomo trai
suoi era possibile, ma ci voleva tempo, pensammo allora al vecchio e caro
fucile col cannocchiale, ma la mongolfiera non andava bene, la sua villa era
circondata da un parco, c’erano troppi alberi, la vegetazione era fitta. Il
banchiere aveva una specie di castello finto antico, nel Vermont, faceva spesso
passeggiate nel parco, magari parlando col cellulare tutto il tempo.
A Zago allora venne
l’idea dell’esplosivo dentro il cellulare, ce ne entrava poco, se usava il
vivavoce non andava bene, doveva scoppiare mentre lo teneva accostato
all’orecchio, per farlo senza uccidere altre persone vicine era necessario
vederlo e il parco era l’ideale, anche se tra un ramo e l’altro. Riuscimmo ad
arrivarci attraverso la cameriera, ce lo fece avere di notte, lui lo lasciava
sempre nel suo studio, in un cassetto chiuso a chiave. Col cannocchiale lo
seguimmo a stento finché iniziando una conversazione tra le tante, la testa gli
esplose in modo assai spettacolare, anche se purtroppo non si poté filmare. I
suoi uomini cercarono il punto da dove fosse partita la fucilata ma non lo
trovarono, perché non esisteva, c’era solo un potente telecomando.
Ci fermammo per qualche
mese, anche perché il nostro uomo che aveva ucciso Vaia aveva venduto la sua
intervista ai giornali e ci venne paura che potessero risalire a noi.
Meno male che l’avevamo
contattato per internet e tra noi c’erano due hacker formidabili, gente che
aveva le nostre stesse idee e che ora faceva parte del nostro staff in pianta
stabile.
Ora ci stiamo preparando
per colpire a livello ambientalistico quelli che non accettano di dare limiti
all’inquinamento, l’inesorabile distruzione delle condizioni di vita sulla
terra è un aspetto determinante, ormai allacciato e mischiato con altre magagne
politiche a livello internazionale.
Insomma le rivoluzioni ci
sono anche state al mondo, e pure spesso, anche se meno di quante avrebbero
dovuto essercene, e comunque sono servite come simboli magari anche notevoli,
ma di poca durata, perché chi prendeva il potere poi si comportava ugualmente
se non peggio, un esempio recente è stata la Primavera Araba. Comunque le
rivolte riuscivano a provocare del disturbo, dei costi e allora i potenti sono
corsi ai ripari. Ora c’è una rete di
menzogne impenetrabile che manipola tutto e tutti, in maniera sistematica, il
consenso viene venduto e comprato come una merce qualsiasi, ma sempre più
preziosa.
Almeno ora esisteva il
consenso, anche se valeva poco almeno esisteva.
E non dimentichiamoci,
anche se i professionisti lo disdegnano, che è difficile sfuggire a un buon
cecchino armato di un moderno fucile col cannocchiale e computer integrato; gli
americani ne hanno inventati e realizzati di quelli che calcolano anche
l’incidenza del vento. Come cazzo fanno le guardie del corpo a proteggere
questi potentissimi coglioni, se si possono ammazzare anche da distanze oltre
il chilometro?
Una delle nostre vittime
è stata giustiziata da un pallone aerostatico, tutti l’avevano visto e salutato
con la mano, ma nessuno ha pensato che i colpi erano partiti proprio da lì, ci
sono diventati matti e non c’hanno capito una beneamata.
Non è anche un’ironia che
i soldi di Zago presi dai genitori, siano proprio quelli a castigare gente come
loro, che fabbricano armi e le vendono in tutto il mondo?
Alla fine tra quello
forte e quello intelligente chi vince? Per molto tempo ho pensato che purtroppo
vinceva quello più forte, ora penso invece che la spunti quello più
intelligente, perché la sua mente gli ha permesso di capire che non è astuto
come sembra vivere sulle disgrazie degli altri e che doveva trasformarsi e
diventare anche forte. Insomma lo diceva pure Darwin, chi sopravvive sarà colui
che saprà adattarsi meglio alle situazioni.
Magari uccidere le teste
di cazzo non serve a niente, perché poi ne arrivano altre, a volte sono
famiglie con tradizioni secolari, come nel caso di Whitebread. Forse è una cosa
solo simbolica, ma almeno ci si sfoga un po’, non ci si sente impotenti, non si
sta colle mani in mano.
Chissà che poi invece
facciamo nascere una moda, che una volta tanto possa servire a qualcosa di
concreto e gli schifosi associati capiscano finalmente che non vale più la pena
di rischiare.
Magari a forza di calci
in culo lo capiscono che la prepotenza è anche un metodo efficace, sì, ma solo
finché non trovano qualcuno più prepotente di loro.
Se
la natura ha fatto sviluppare l’umanità in questo senso, la Fine della Pazienza
è ancora solo un virus, spero pericoloso però come quel casuale asteroide che a
un certo punto, per caso o per destino scritto da chissà chi, mise fine al
dominio di 160 milioni di anni dei dinosauri sulla terra.”
Anche lei non l’avevo mai
incontrata. I miei contratti erano stati sedici, ci avevo guadagnato un bel po’
di soldi, Naia lo avevo buttato giù io, poi ero passato con loro, attraverso
Binho.
Volevamo salvare il mondo, ci
hanno provato in pochi, lo so, ma non c’è mai riuscito nessuno. Il problema è
che il mondo non vuole affatto essere salvato, la natura fa il suo corso, in
ogni maniera, come l’acqua trova sempre il cammino verso il mare.
Le
speranze del gruppo si erano vanificate con gli anni, i prepotenti erano
diventati più sottili, avevano cambiato sistemi, ma non si erano affatto
estinti, erano diventati solo più falsi, più ipocriti, quella era stata anche
la tendenza prima della nascita del nostro movimento.
Da
quando esisteva l’uomo i cattivi erano diventati sempre meno dichiaratamente
malvagi e avevano sempre più cercato di nascondere le proprie intenzioni, senza
però cambiarle molto nel contenuto. Seguivano le regole del consenso che una
volta non esisteva nemmeno, ma con il tempo era diventato importante.
Uno
alla volta tutti i membri più importanti hanno detto la loro opinione, raccontato
la loro esperienza. Tutti meno Zago. Allora mi è venuto in mente che fosse
ancora vivo, ma chissà dove.
Pardona sabato 12 febbraio 2030
LA MIA DI FILOSOFIE
La filosofia non serve per confutare le
verità dei vari pensatori, che si divertono l’uno a dire il contrario degli
altri, ma per stabilire un nostro comportamento efficace, attraverso i normali
ostacoli del nostro cammino.
Patroclo Piersanti (La
Trincea di un Calzolaio)
Al di fuori del mio dialogo con mio zio Ithamar
che mi fa spesso e volentieri perdere le staffe, ma lo fa a fin di bene, lontano
dalle ideologie religiose di padre Ramiro, che ha senza dubbio a cuore non solo
la mia salute ma quella di tutti, la mia filosofia di vita si divide in due
parti.
La prima è precedente alla catastrofe, la
seconda ovviamente è quella dopo.
Come qualcuno anticipandomi di pochi anni ha
dichiarato, la nostra disponibilità nei confronti del nostro prossimo cambia in
proporzione alla legge della domanda e dell’offerta. Cioè se sei uno che vive
in mezzo alla gente diventi meno disponibile, perché ti rompono troppo le
scatole. Se invece rimani solo al mondo allora le persone sembrano migliori, ti
ricordi più facilmente le cose belle della compagnia e ne senti quasi la
mancanza. E comunque è facile essere ben disposti con un prossimo teorico e
assai più difficile con uno che ha una faccia e un corpo, soprattutto una
personalità ben delineata e diversa dalla nostra, in buona sostanza un seccatore.
Detto tra noi pensavo che il mondo senza la gente diventasse molto migliore,
alla fine però mi manca qualcosa,
forse ho perfino paura di dire qualcuno.
Prima della catastrofe ricordavo con piacere
alcuni momenti della mia vita a contatto con determinate persone, forse perché
la mente in genere, in maniera del tutto automatica, esclude i brutti ricordi.
Però a me succede il contrario, mi rammento più facilmente delle cose brutte e
mi dimentico al volo le cose belle.
Insomma, mi sono impantanato in un ragionamento
più che altro laterale, ora cercherò invece di rimanere sull’essenziale.
La mia filosofia di vita fino a un certo
punto della mia storia è stata rappresentata dallo stare bene con la gente che
mi stava attorno e cercare di far stare bene anche loro, fregandomene in
seguito e alla grande se usavo un po’ troppo il verbo stare, dato che non avrei
saputo trovare sinonimi equivalenti ed efficaci.
Accorgendomi che più passava il tempo invece
insieme agli altri ci rimanevo poco e male, ho cercato di concentrarmi di più
su me stesso, capendo meglio, se ne fossi stato capace, ogni mio desiderio o
bisogno.
Questa parte mi è riuscita, almeno quando
sono approdato a un certo tipo di standard più funzionale, del mio
comportamento nei miei stessi confronti, allora in maniera del tutto automatica
sono stato meglio anche con gli altri, ma intanto quelli se ne erano andati.
I cani per me sono un esempio positivo, una
fonte di ispirazione.
Cerca di vivere come il cane
Non lasciare passare l’opportunità di
uscire a passeggiare.
Prova la sensazione dell’aria fresca
e del vento sul tuo muso (o faccia) per puro piacere.
Quando qualcuno che ami si avvicina,
corri a salutarlo.
Quando ce n’è necessità, pratica
l’obbedienza.
Fai sapere agli altri quando invadono
il tuo territorio.
Quando puoi, schiaccia un pisolino e
stirati per bene prima di alzarti.
Corri, salta e gioca ogni giorno.
Mangia con gusto ed entusiasmo, ma
smetti quando ti senti soddisfatto.
Sii sempre leale.
Non fingere mai di essere quello che
non sei.
Se quello che vuoi è coperto di
terra, scava fino a trovarlo.
Quando qualcuno sta attraversando un
giorno difficile, stai in silenzio, siediti vicino e tenta gentilmente di
compiacerlo.
Evita di mordere quando un semplice
ringhio può risolvere.
Nei giorni tiepidi, stenditi di
spalle sull’erba.
Nei giorni caldi, bevi molta acqua e
riposa sotto un’albero frondoso.
Quando sei felice, danza e fai
ondulare tutto il corpo.
Non importa quante volte ti hanno
censurato, non assumere la colpa che non hai e non ti sentire intimidito...
corri immediatamente di nuovo dai tuoi amici.
Rallegrati del semplice piacere di
una camminata.
Se il tuo problema ha soluzione,
allora non ti devi preoccupare. E se il tuo problema non ha soluzione, tutta la
preoccupazione sarà invano.
(Raccolta di regole tradizionali
tibetane, probabilmente non scritte da un cane.)
Pardona domenica 2 novembre 2030
ARRIVEDERCI
E GRAZIE
È dubbio se gli oppressi abbiano
mai lottato per la libertà. Essi lottano per l’orgoglio e il potere – potere di
opprimere gli altri. Gli oppressi vogliono soprattutto imitare i loro
oppressori; vogliono vendicarsi.
(Eric Hoffer)
“Seguendo passo per passo il
libretto delle istruzioni del Pescatore
senza sforzi, che mi ha dato Pierosky, ho costruito una proficua nassa di
cemento dall’ingresso del ruscello verso le vasche delle carpe, i pesci
piccoli, che grandi lì non ce ne sono, entrano con la corrente, poi non
riescono più a uscire. Ho messo delle reti metalliche a V con una bocca grande
di entrata a imbuto, per infilarcisi basta seguire la corrente, ma per uscire
non ci arrivano proprio a infilare il buco. Quando ce ne sono abbastanza io li
tiro su con una retina apposita e mi faccio un fritto croccante e profumato.
Gli anni passano e ogni tanto provo a vedere
se c’è la luce, se funziona la radio, senza alcun risultato. Ogni tanto qualche
fuoco, a volte anche qualche incendio. Più nessuna automobile però, o
imbarcazione, autobus o anche piccoli aerei. Nulla.
Ogni tanto parlo con i membri della Fine
Della Pazienza, specialmente con Nadine, ma anche gli altri non si fanno
pregare, l’unico che manca sempre è Zago, mi chiedo ancora e spesso se sia
ancora vivo e dove sia. Se magari non stia organizzando qualcosa da qualche
parte.
Alla fine dell’estate mi è capitato di
passare per zone dove c’è acqua e branchi di animali, forse cinghiali. I tafani
si sono moltiplicati, in certe zone attaccano a nuvole e si deve scappare, ma
non demordono facilmente. All’andata della mia perlustrazione non ce ne erano
quasi, ma al ritorno ho dovuto mettermi a correre, mentre li prendevo invano a
cappellate e dopo mi hanno inseguito fino in casa. Credo che sentano quando sei
sudato e allora arrivano miriadi di antipatiche bestioline, che cercano di
pungerti, come se fosse l’unica cosa al mondo che possa interessargli. Ai primi
freddi per fortuna spariscono, penso che muoiano.
È incredibile pensare alla complessità della
natura. Mi sono ricordato che le lucciole maschio vanno in giro e fanno luce
intermittente, ma quasi nessuno conosce le femmine, che fanno luce continua, e
stanno molto più appartate. Per i tafani invece sono le femmine che succhiano
il sangue e infernizzano la vita di chi vive in certe zone di campagna. Invece
i maschi succhiano i fiori, non danno noia ad animali e persone.
Ci sono anche tanti uccelli in giro e col
fucile da caccia ogni tanto sparo a qualche fagiano, o colombaccio, ma non sono
mai stato un amante della cacciagione. I cinghiali sono tanti, si sono
riprodotti in maniera esponenziale e qui non ci sono molti predatori, a parte
me, che ogni tanto ne arrostisco qualcuno, anche per dare da mangiare ai cani.
Ci sarebbero anche i cani selvatici, spelacchiati, magrissimi e rabbiosi che
attaccano a gruppi, pare siano incrociati con i lupi e sembrano malati, mi
dispiace ma gli devo sparare, sennò mi sbranano i miei cani fedeli, le mie
risorse alimentari, e poi magari anche me, se non ci sto attento.
C'è da difendersi anche dai topi e dai corvi,
gli avvoltoi si avvicinano sempre di più, come se aspettassero impazientemente
la nostra morte. Una volta dalle nostre parti non ce ne erano, con tanti
cadaveri devono aver proliferato abbastanza, però dopo anche i corpi allo
sfacelo hanno cominciato a mancare.
Stare attenti a non essere mangiati e
procurarsi da mangiare erano le occupazioni degli uomini primitivi, però a
pensarci bene ora io sono già ritornato a quel periodo in cui la caccia veniva
in parte sostituita dall’allevamento. Per l’agricoltura forse ci voleva la
donna, ma qui non ce ne ho e poi un piccolo orto mi basta. Le donne badavano ai
figli e al territorio adiacente l’abitazione, l’uomo stava fuori tutto il tempo
a caccia. Confesso che una donna mi manca e anche qualche amico come te,
Annibale, ma non si può avere tutto.
Per conto mio, a nome dell’umanità forse
avrei dovuto andare a cercare una femmina di uomo in mezzo a questi gruppi di
predatori che vagano per il mondo, magari prenderli a fucilate, rapirla e
portarla qui. Però ero troppo vecchio per quello. Avevo concluso che alla
riproduzione, se ne avevano voglia, ci avrebbero pensato loro. Sarebbe stato
bello che l'uomo avesse imparato dai propri errori e avesse sviluppato
un'umanità più lungimirante, insomma meno idiota, per intenderci, ma non ci
credevo.”
“Io anche un lo so nemmeno se ci credo o no!”
“Te certe cose non te le sei mai chieste,
perché non ne hai mai avuto bisogno. La tua vita è stata tranquilla e senza
pensieri!”
“Insomma, un ti dimenticare che c’è stata la
guerra…”
“Ah sì, è vero. Il conflitto bellico. Ma
anche il virus nostro è stato come una guerra, anzi peggio. Io ogni tanto
insisto e provo ancora se la radio trasmette qualcosa, invano. Nelle mie
trasferte cerco il passaggio di esseri umani e ne trovo anche, ma difficile
sapere quando è stato, se ancora vivono, chissà dove. Ma sembrano tracce
vecchie e polverose.
Intanto ho costruito un capannello,
mimetizzato con teli militari su una quercia alta, da un punto di vista
sopraelevato e strategico.”
“Su alla Lecciona?”
“Sì,
di lì si domina tutto il paesaggio. Con il fucile a cannocchiale faccio la
guardia qualche ora al giorno, di solito dopo pranzo, sonnecchiando anche un
po’, il resto del tempo lo passo al metato, che di lavoro ce n’è sempre assai,
per nutrire la mia mandria mista e affamata. Qualche escursione giù a valle
ogni settimana per trovare cose nuove o vecchie: vestiti, medicine sempre più
scadute, ma alcune ancora utili, tante cartucce, gasolio, benzina e farina, sto
facendo di nuovo il pane, ma di notte per non far vedere il fumo del forno da
lontano.
Lassù alla Lecciona c’è una radura grande,
una volta ho visto quattro cinghiali adulti scappare sul terreno erboso con una
lieve pendenza, erano andati a bere, li avevo spaventati io arrivando e loro
correvano senza eccessiva fretta, eppure erano assai veloci e spettacolari,
appoggiavano insieme le gambe dietro e poi quelle davanti, parevano quattro
tozzi trapezi scuri caracollanti in piena luce, per quei pochi secondi
necessari per infilarsi nella macchia, hanno trottato fino a scomparire alla
mia vista.
Il tempo si è piacevolmente fermato da quando sono spariti gli
esseri umani, non so da quanto tempo che non guardo un orologio, devo ammettere
che anche prima della catastrofe non ne avevo uno, ma ora è totalmente inutile,
a cosa può servire?”
“A niente, io al tempo un ci penso mai.”
“Perché sei morto!”
“No, anche quando ero vivo, solo quando lavoravo, tanti anni fa.
Domandaglielo a Ivalda! Seguivo il sole e mi bastava.”
“Beh, il tempo per noi esseri umani passa in una maniera, per gli
animali è un concetto astratto.
Il tempo per noi passa anche se non sembra e come su un’ideale
Arca di Noè ci sono inevitabilmente anche i parti, che purtroppo non sempre si
trasformano in nascite. Le galline e le carpe fanno da sole, basta cambiarle di
gabbia o di vasca al momento opportuno.”
“Per le anguille invece no.”
“No, infatti. E per gli altri ho letto sui libri come si fa. Ho
imparato a mie spese, ma soprattutto a spese delle mie cavie involontarie, a
non fare più cazzate. Cogli anni e la multilaterale esperienza sono diventato
un discreto ostetrico, modestamente penso di essere trai migliori in
circolazione. Finché siamo vivi bisogna seguire i segnali di vita, i sistemi
sono tanti e la cosa migliore è osservare quotidianamente i cambiamenti. Ecco
che attualmente secondo i miei calcoli e i doloretti alle articolazioni dovrei
avere approssimativamente settant’anni, quassù non è arrivato ancora nessuno,
non so se sono rimasto solo o no. Non credo. Comunque non fa molta differenza,
ormai.
Spero di non avere bisogno di un medico, quando morirò che possa
accadere d’improvviso. A volte penso che avrei dovuto provvedere alla
continuazione della specie umana, altre volte penso che in fondo è meglio così,
comunque sia è troppa responsabilità per uno che non è mai stato un dio e non
ci ha nemmeno mai assomigliato. Chissà cosa faranno poi le mie bestioline senza
di me. Con il tempo, avendo io bisogno di mangiare meno, alcuni li ho liberati,
ma non se ne vanno, continuano a girare attorno al recinto. Ho pensato che
almeno gli avrebbe fatto bene vedere di nuovo la strada aperta, se potevano. Si
erano affezionati oppure si rendevano conto che io ero una fonte di cibo
sicura? Ho continuato quindi a dargli da mangiare lì attorno al recinto.”
“Hai fatto bene, povere bestie.”
Oltre che per Annibale la libertà per gli animali è un concetto
vuoto, non possono teorizzare nemmeno la sua mancanza, della libertà, non
avendo mai conosciuto la purtroppo umana paura della paura, seguono solo le
regole essenziali della sopravvivenza e il resto lo ignorano, quindi se ne
fregano.
Invece per noi umani cresciuti nelle grandi città è una cosa
sempre parziale e anche così da conquistare faticosamente, perché tutto il
sistema, che proprio noi ci siamo costruiti attorno, ha la tendenza a
obbligarci a fare delle cose che noi non vorremmo fare.
La prepotenza, spesso anche inconscia, a volte anche ipocritamente
mascherata, è stata una delle manifestazioni più comuni sulla terra.
Annibale mi ha fatto notare che quando lui era vivo, io non
parlavo mai così tanto, anche se era già morto, gli ho risposto che questa è
una cosa scritta, dal vivo era lui che mi faceva parlare molto meno,
difficilmente riuscivo a finire una singola frase.
Quando il mondo era più popolato, di cose ne succedevano di più,
non tutte belle, però c’era più movimento. Ho notato che stranamente mi manca
quel senso di pericolo che una volta sentivo in maniera continua e che mi
faceva muovere in un senso o nell’altro. Era il mio punto di riferimento, la
mia bussola, che senza esseri umani intorno lentamente ho perso. Gli animali li
sento molto meno minacciosi.
Visto che non arrivava nessuno e
che la mia florida azienda a conduzione, distribuzione e consumo personale non
aveva problemi per andare avanti, ho iniziato a uscirmene più spesso per delle
perlustrazioni con la jeep, alle quali partecipava anche il mio cane più
simpatico, il prode Pugacioff, misto di Pastore Tedesco con Cocker, figlio di
Salsiccia e Mea.
Con Pugacioff ho un notevole
rapporto di dialogo, nel quale parlo io e lui mi risponde, non solo a livello
di immaginazione, ma dai movimenti del corpo e dalle sue espressioni io mi
immagino cosa mi direbbe. Peccato che i cani non parlano, ha detto qualcuno,
gli manca solo la parola, ha detto qualcun altro. Io personalmente penso invece
che è proprio il loro maggior pregio, quello di non parlare e basta guardarli
sul muso, nei loro occhi languidi, per capire cosa vogliono o cosa pensano di
te.
La
parola è un virus, figurarsi che dopo tanti anni da solo continuavo a parlare,
a immaginare di conversare con qualcuno, a rivolgermi ai miei animaletti con
frasi ben articolate e non mi aspettavo certo che fossero le carpe a iniziare a
rispondermi, ma quando i cani hanno cominciato a dialogare tra di loro e poi con
me, con accento toscano di coche cole e cannucce lunghe o corte, non mi sono
sorpreso più di tanto. Dopo anni di monologhi senza voci, sono rimasto senza
parole ad ascoltare.
Mentre
li ascoltavo tra il divertito e il preoccupato, seduto sulla mia adorata panca
verde, riverniciata da pochi giorni, Carola, la femmina di maremmano è venuta
davanti a me, mi ha parlato con la voce di Luiz, roca e profonda, per me inconfondibile,
e mi ha detto:
“Il
Veneziano è ancora vivo e ti cerca.”
Dopo
qualche necessario secondo di sorpresa ho chiesto:
“E
cosa vuole da me?”
“Vuole
ricostruire la nuova umanità.”
“Ma
c’è ancora gente in giro?”
“Una
cinquantina in tutto, forse qualcuno meno.”
“Ma
io ormai sono vecchio e forse sono anche ammattito.”
“Buona
questa! Cosa credi? Siamo tutti pazzi, anche lui, Zago, solo che ognuno ha i
suoi tempi, la sua misura e la sua maniera, ma non c’è scelta né tempo, ha
bisogno di te.”
“Il lembo della veste nera a Portovenere era
la sua?”
“Può essere.”
“Insomma, che devo fare?’”
“Lui verrà da te, non dovrai aspettare
molto.”
Pardona martedì 2 marzo 2031
IL BOTTONE
Mezza verità è
una menzogna intera
(detto tradizionale ebraico)
Manco a dirlo, passarono i mesi e non
arrivava nessuno. Ero arrivato alla conclusione che oltre alla mia normale
pazzia progressiva, i cani parlanti erano stati un effetto dei funghi tossici
che avevo mangiato, sembravano dei prataioli ma erano viola vivo sotto, invece
di essere appena rosati. Comunque Zago non si è affatto presentato, come
speravo. Al suo posto mi sono trovato Ezri, dietro un angolo a Padrona, che mi
sono anche spaventato, ho imbracciato il fucile e lui ha gridato col terrore
negli occhi:
“Non sparare!!! Non sparare!!!”
“No, scusi, si figuri anzi sono contento,
sono proprio contento che anche lei si è salvato, ma come ha fatto?”
“Facile, ho smesso di andare al bar.”
“Ecco io lo dicevo ai miei cani: basterebbe
dissociarsi!”
“Lei ha tanti cani feroci, lo so, e anche
tanta roba da mangiare.” Era molto dimagrito, mi è sembrato, forse anche perché
non aveva più barba né colbacco.
“Lei Ezri ha fame, non dica di no, perché non
viene da me a fare uno spuntino?”
“Beh, se promettesse di non fucilarmi…”
“Nooo, glielo giuro! E poi i miei cani non sono
abituati alla carne umana!”
Per un attimo ha scrutato la mia faccia interrogativamente
e poi ha riso, una risatina secca e corta. Aveva capito che non avevo cattive
intenzioni.
“Ma mi
dica: come ha fatto a sopravvivere? Lei ha la patente di guida? Perché non mi
ha chiamato?”
“Troppe domande, tutte insieme, per un povero
vecchietto che ha perso la memoria e non si ricorda né dove, né quando. Bene,
comincerò dall’ultima, avevo paura che mi sparasse, mi scusi ma lei sembrava un
soldato in guerra, che Iddio la porti piuttosto sul sentiero della pace, sempre-sempre
armato e si guardava intorno con fare minaccioso.
Ebbene no, la patente non ce l’ho, ma per
fortuna la polizia non mi ha fermato.
La prima domanda era sulla sopravvivenza, mi
sono fatto un piccolo orto segreto, sono andato in macchina a saccheggiare di
qua e di là, ho sbattuto qualche volta, pazienza, le macchine abbandonate in
giro non mancano.”
Abbiamo riso e intanto ci eravamo avviati
verso il metato.
“Ma la sua abitazione ora dov’è?”
“Dopo la catastrofe mi sono stabilito in
quella grande villa sopra la strada prima di arrivare a Pardona.”
“Ah, bella assai, ci si sta bene?’”
“Piuttosto decadente ora, ma c’è l’acqua del pozzo,
che è importante. Una volta era bellissima, proprietà di autentici ebrei,
famiglia Zelman. Che Iddio li abbia in gloria.”
Allora gli ho domandato la differenza tra
giudei, ebrei e israeliti.
“Il
termine “ebreo”, di origine biblica, è fatto derivare dal nome di Eber,
discendente di Sem, antenato del popolo ebraico (Genesi 10, 21-25). La parola
ebreo significava “regione posta al di là”: gli ebrei provennero da un
territorio posto oltre l’Eufrate. La prima persona, nella Scrittura, a cui
venga riferito il termine ebreo inteso come appartenente al popolo, è Abramo,
in Genesi 14, 13: «Ma uno degli scampati venne a dirlo ad Abramo l’Ebreo,
che abitava alle querce di Mamre». Il termine “ebreo” può dunque riferirsi
a tutti gli appartenenti al popolo d’Israele dall’epoca patriarcale fino ai
nostri giorni.
Il
termine “giudeo” richiede un discorso più articolato. Innanzitutto è giudeo chi
anticamente abitava la regione della Giudea, con capitale Gerusalemme. Vi è
inoltre un significato più ampio, legato al suo corrispettivo astratto, “giudaismo”,
con cui s’intende la forma assunta dalla religione ebraica successivamente alla
conquista babilonese del territorio del Regno di Giuda e la conseguente
distruzione del primo Tempio (586 a.C.). I giudei delle tribù di Giuda e
Beniamino furono in gran parte deportati in Babilonia. Qui svilupparono una
forma di culto forzatamente nuova. I sacrifici, attuabili solo nel Tempio di
Gerusalemme, furono infatti sostituiti con una forma di culto più legata alla
parola e grande peso assunse l’osservanza del sabato. Queste scelte furono
mantenute anche con il ritorno degli esuli in terra d’Israele e con la
riedificazione del Tempio (536 a.C.). Con la distruzione del secondo Tempio si
rafforzò il giudaismo rabbinico. In questo senso, tutti gli ebrei vissuti dopo
l’epoca biblica sono, religiosamente parlando, giudei. Il termine
ebraico yehudì (giudeo) deriva dalla radice yadà (hodà) che
significa ringraziare.
Il
termine “israelita” innanzitutto significa, figlio d’Israele (Giacobbe), cioè
tutti i discendenti dei dodici figli del patriarca Giacobbe, chiamato anche
Israele (Genesi 32, 29). In secondo luogo “israelita” è un abitante del regno
d’Israele, costituitosi con la frattura del regno unitario avvenuta dopo la
morte di Salomone (ca. 922 a.C.) dove risiedevano dieci delle dodici tribù,
escluse Giuda e Beniamino. Con la conquista del Regno d’Israele ad opera degli
assiri nel 722 a.C., i suoi abitanti furono deportati o assimilati. Dal periodo
dell’emancipazione (XIX sec.), il termine “israelita” fu impiegato come
sostituto di “ebreo”. Oggi, per esempio, le comunità ebraiche locali sono
chiamate anche “Comunità Israelitiche”.
Il
termine “israeliano” indica esclusivamente un cittadino dello Stato d’Israele,
la cui fondazione risale al 1948.
Non
tutti gli ebrei sono perciò israeliani, né tutti gli israeliani sono ebrei.
Esiste infatti oltre un milione di israeliani (cittadini dello Stato d’Israele,
appunto) di religione musulmana e, in misura molto minore, israeliani
appartenenti a varie denominazioni cristiane e ad altre religioni.”
Dopo qualche minuto in silenzio coll’unico
rumore dei nostri passi sul terreno sassoso, ha detto che aveva conosciuto i
miei nonni, Chulda ed Eliezer, che Iddio
li conservasse puri, nell’alto dei cieli o dove volesse lui. Poi che Ezri,
il suo nome, in ebraico arcaico significava “il mio aiuto”. Da questo, e da
come lo ha detto, ho capito le sue intenzioni, che all’inizio mi hanno
spaventato, ma non molto a lungo.
Due mesi dopo infatti abbiamo costruito una
stanza per lui al metato, Annibale nelle mie pagine ha provato anche a
protestare, ma in maniera blanda e poco convinta, si vedeva che era contento
per me e per Ezri.
“Non sono omosessuale, se è questo che sta
pensando.” Gli ho detto un giorno che mi guardava in maniera strana. Lui ha
riso, aveva pochi denti ma abbastanza scuri e storti.
“Aha! Lo dicono anche le scritture: l’intelligente ha gli occhi sulla testa!
Vuol dire che quello che si può far capire a un intelligente con un cenno, a
uno stupido bisogna farglielo sapere col bastone. Purtroppo o per fortuna
neanche io lo sono.”
“Bello! Sono parole sue?”
“Nooo, lei conosce Shalom Alechem?”
“Non personalmente, ma ne ho sentito
parlare.”
Non ce n’era bisogno, in quel contesto, ma Ezri partì con una
presentazione formale, piuttosto interessante.
“Shalom Alechem, pseudonimo di Shalom Rabinovic (1859-1916),
fu per qualche tempo rabbino, poi commerciante senza fortuna, prima di
dedicarsi alla letteratura. Cominciò a scrivere in ebraico ma passò ben presto
allo yiddish, lingua allora disprezzata, sotto lo pseudonimo di Shalom Alechem
(che in ebraico significa “la pace sia con voi”). Shalom Aleichem è una canzone
tradizionale cantata dagli ebrei ogni venerdì sera al ritorno a casa dalla
preghiera della sinagoga. Segnala l'arrivo del Sabbath ebraico, accogliendo gli
angeli che accompagnano una persona a casa alla vigilia del Sabbath.
Scrisse racconti, articoli, recensioni, opere
teatrali e poesie in yiddish, ebraico e russo. In seguito a un pogrom nel 1905,
Alechem si trasferì negli Stati Uniti. Iniziò poi a girovagare per America e
Europa e a riscuotere popolarità nel mondo. La storia di Tewje il
lattivendolo ha avuto una versione teatrale ed è diventato prima un
musical, poi un film col titolo Il violinista sul tetto (1971).”
“Il film mi è piaciuto assai. E anche la
commedia con Zero Mostel.” Ho commentato e lui se ne è visibilmente rallegrato.
Nonostante l’età avanzata Ezri ha imparato
presto a fare i lavori necessari per la nostra sopravvivenza da vecchietti. Gli
è stato facile, fisicamente sta bene, anche se la terra è bassa, per lui stare
curvato non è un problema come per me. Inoltre a livello di nozioni di agricoltura,
devo ammettere, ha molta più esperienza.
Non ama affatto le armi, ma ha dovuto
imparare a sparare decentemente, non si sa mai. Sta tentando d’insegnarmi
l’ebraico con risultati deludenti, almeno per ora, ma mi sto impegnando, anche
perché ha portato dei libri antichi che mi sembrano intriganti.
Confesso che qualche volta ho pensato di aver
fatto un errore a invitare Ezri a vivere da me. Non avevo nessun dovere di
aiutare un membro della società, visto che finalmente – questo era uno dei lati
positivi della catastrofe – la società non esisteva più. Dal canto suo Ezri ha
saputo farsi benvolere, anzitutto nel suo servizio agricolo ha preso in poco
tempo tutto il lavoro in mano sua, in linea di massima lasciando a me le altre
cose, salvo aiutarci a vicenda in caso di bisogno. Naturalmente anche tutta l’alimentazione
vegetale delle bestie era ben presto passata a suo carico.
Le sorprese piacevoli non erano finite, ha
confessato di essere un esemplare vivente, a suo tempo unico al mondo, ora a
maggior ragione, di autismo logorroico, che tendeva ad allontanare gli altri
proprio mostrando di volersi insistentemente avvicinare.
Mi ha pregato di avvisarlo se e quando avesse
ecceduto nelle sue chiacchiere, che Iddio
mi salvasse e mi conservasse sano e intelligente come pochi (o nessuni).
Lateralmente mi ha spiegato anche che nessuni
è un toscanismo, perché nessuno,
parola diventata ultimamente più importante e usata che nel passato, non ha
affatto bisogno di un plurale.
La sua fortuna è stata proprio che Pierosky, (che Iddio gli facesse pagare salati tutti i
suoi altri peccati, ma non questo) lo avesse mandato via, perché parlava
troppo e non consumava niente. Non aveva comunque tutti i torti. Vivendo da
solo fuori dal paese, con il suo grande orto, senza amici o semplici
conoscenti, si era salvato dalla pandemia, come me.
Ha cantato poi le lodi di un certo suo cugino
affetto anche lui da un lieve autismo, ma tanto una bravissima persona e anche
assai simpatico, a saperlo prendere dal lato giusto.
Per me poi la più recente sorpresa è stata
quando, durante una lezione di ebraico, ha parlato male di Whitebread, dicendo
che era stata una fortuna che lo avessero ammazzato, che era una vergogna per
il popolo degli ebrei. Ho pensato che avesse spiato nei miei ritagli di giornale,
magari frugando per cercare qualcos’altro. Non gliel’ho detto però, ma solo che
anche se fosse sopravvissuto quel mostro di avidità non sarebbe arrivato alla
nostra attualità. Ezri ha replicato che invece sì, quello era il diavolo in
persona, prima o poi ce lo saremmo ritrovato a capo di una bandaccia per
strapparci i nostri preziosi tesori in natura. Gli ho chiesto se lo aveva
conosciuto personalmente e non mi ha risposto, si è chiuso in un mutismo che è
durato delle ore. Da quello ho capito tre cose, che non aveva frugato nei miei
ritagli, che lo aveva conosciuto personalmente e che non gli era piaciuto.
Per risparmiare Ezri era un ebreo perfetto, in
più aveva dei fottutissimi pannelli solari che abbiamo installato al metato,
seguendo un confuso libro di istruzioni, per sommarli ai miei già in azione.
Per diversi giorni siamo rimasti senza energia alcuna e anche se non eravamo
dei bestemmiatori lo stavamo diventando. Per fortuna mi è apparso Zino in sogno
e mi ha spiegato un piccolo ma importante particolare, un’inezia idiota ma che
si burlava sistematicamente della nostra ingenua faccia di scarsi elettricisti.
E il giorno dopo ce l’abbiamo fatta.
Gli ho anche accennato alla sua teoria della
congiura internazionale che era sballata, sennò non sarebbero morti tutti, ma
lui ha cercato di minimizzare, proprio come padre Ramiro.
Per avere lo spazio sufficiente per i
pannelli e per ampliare la vista sul mare dalla sua finestra, abbiamo dovuto abbattere
due alberi, però il panorama è risultato ampio e piacevole e i pannelli alla
fine funzionavano a dovere.
Per giustificarci Ezri ha detto che la sacra foresta
del mondo emerso non avrebbe sentito troppo la loro mancanza, gli uomini, che Iddio salvasse la loro anima di
peccatori e li mantenesse lontani da noi, avevano dovuto da anni abbandonare
la loro - tutt’altro che lungimirante - opera di disboscamento e
cementificazione.
Se potessi schiacciare un bottone e tutto tornasse
come prima, onestamente non lo so se lo farei, Ezri dice che lui non ci
penserebbe nemmeno un secondo, che Iddio
ci mantenesse sani e lontani da quel bottone!
La nostra vita continua così, senza orologio
né calendario, il sole e gli elementi tutti attorno, ci danno il tempo, se mai
ne avessimo bisogno, ma spesso ce ne dimentichiamo proprio. Se abbiamo voglia
di parlare parliamo, se abbiamo voglia di stare zitti tacciamo. L’aria è pulita
e si vede a chilometri di distanza, le fabbriche chiuse e abbandonate da anni
non avvelenano più il mondo e ci accorgiamo che è primavera quando le lucciole maschio
di notte invadono il buio della campagna a milioni.
No comments:
Post a Comment