Pardona,
venerdì 11 ottobre 2023
APPARENTEMENTE UN DIARIO
Da
soli si è se stessi, in compagnia lo si è soltanto a metà
(Leonardo Da Vinci)
Non ci è dato di sapere come e
perché è partito questo virus, ma quello che ne è venuto fuori ha cambiato la
vita e la morte di un pianeta, uno a caso, che non andava tanto bene nemmeno
prima.
Chi l’ha detto che nella vita mancano le
sorprese? Ammettiamo di faticare a trovarcene di positive, ma spesso molto
dipende proprio da noi stessi, anche a proposito della capacità di
valorizzarle, di non dimenticarsele subito.
Qua sulla penisola la gente, anche quando va
tutto bene, ha la tendenza a pensare a quando tutto andava male, per non
dimenticare, dice, però poi si scorda di vivere il presente, e va piuttosto a
vagliare il futuro, cioè quando - per via della rotazione - tutto di nuovo andrà per il peggio.
Io no, non voglio né dimenticare, né
ricordare, piuttosto agire, muovermi senza stare a pensarmi addosso, viaggiare nello
spazio e nel tempo.
Nel tempo libero, da qualche anno a questa
parte, mi ficco quotidianamente in alcune diverse strutture di dialogo scritto, con me stesso o con altri personaggi virtuali, alcuni realmente esistiti. Ne
viene fuori un’efficace terapia ruspante di mia invenzione, non solo a livello
psicologico, ma anche pratico. Insomma io mi ci diverto assai, se serve a
qualcosa magari lo vedremo in seguito. In questi dibattiti non si tiene
minimamente conto dello spazio e del tempo, si parla con persone morte,
inesistenti, o da me cambiate artificialmente.
È come una specie di confessione, ma senza il prete. Si discutono cose positive o negative, ma che a volte non sono ancora avvenute, che forse non accadranno mai, e forse questo è il bello, c’è una certa libertà dagli schemi. Si considera il carattere degli individui con cui si parla, ma si possono anche un po’ modificare, quelli che parlano troppo per esempio, li faccio ascoltare un po’ di più e mi vendico di tutte quelle volte che mi hanno sommerso sotto cataste di parole non richieste.
E a chi dice che mi conosce potrei dire che
si sbaglia, i pareri espressi infatti discordano assai tra di loro, tutti però
almeno sono d’accordo su un punto: dicono che ho diverse personalità, che non
si sa nemmeno quante e meno male, aggiungo io, sennò mi annoierei. Non me ne
vergogno, no-no, ma cerco di capirle, queste persone che ogni tanto affiorano e
litigano dentro di me. Non sempre ci riesco, ma almeno ci provo, e a volte,
forse per caso, vanno perfino quasi d’accordo.
“Se
qualcuno avesse pensato che io fossi diventato un emerito rompiscatole solo in
vecchiaia non sa proprio di cosa sta parlando, né di chi. Gli si dovrebbe
riferire che a cinque anni, a scuola, in una classe con bambini di prima,
seconda e terza, rispondevo correttamente alle domande fatte ai più grandi da
mia madre, che era la maestra e da lei mi prendevo le relative manate senza
piangere.”
“Comunque l’età ti ha peggiorato almeno un
po’, no?”
“Forse, comunque direi di non molto. Pensa
che appena un po’ più grande mi indignavo e non riuscivo a starmene zitto
quando una bambina della mia classe terza scriveva su un tema che la sera i
signori del castello medioevale guardavano la TV. Non potevo tacere e far finta
di niente quando miei coetanei non sapevano che i soldati romani non sparavano
ancora ai barbari invasori con il mitragliatore.”
“Beh…”
“E non molti anni fa, a Ciudad Ojeda, i miei
allievi di lingua italiana, tutti più anziani di me, mi hanno invitato a cena e
uno di loro aveva fatto una pastasciutta ignobile. Pasta integrale fatta in
casa con un sugo di pesce, poco sale ma esageratamente piccante, che tutti
hanno lodato a profusione, aiutati dalla loro scarsa esperienza in merito,
dalla grande facilità nel simulare e dissimulare tipica dei sudamericani. Visto
che oltre a essere il loro professore d’italiano, per eccesso di sfortuna ero
anche italiano, mi ero mentalmente preparato un sobrio apprezzamento, nel caso
che mi avessero chiesto qualcosa. Inspiegabilmente non lo hanno fatto, almeno finché
ormai tranquillizzato e scolatami quasi da solo una bottiglia di quelle buone
cilene e invecchiate, quando stavamo per andarcene tutti, mi hanno preso di
sorpresa e mi hanno chiesto se era piaciuta anche a me quella meravigliosa
spaghettata preparata da Aroldito.
Una vigliaccata.
Non
sono riuscito a mentire e ho manifestato tutto il mio disgusto, ci sono rimasto
male anch’io, ma non potevo più farci niente.”
A casa mia chi cucinava era mio padre, il
vero italiano trai miei due genitori era lui e aveva anche lavorato come cuoco
in un ristorante. Nella vita era un cazzone, inutile negarlo, ma in cucina ci
sapeva fare e si ricordava perfino, quando cucinava, da dove veniva un
particolare piatto che ti faceva mangiare, da quale città o regione italiana
provenisse e anche se alla gente perlopiù non interessava, lui glielo diceva lo
stesso.
Un tipo di dialogo è questo qui, come se il
mio anonimo interlocutore non mi conoscesse, invece sono sempre io che mi pongo
delle logiche questioni, se mi riesce occasionalmente anche illogiche, servono
allo scopo pure loro, a volte anche meglio.
“Ma che ci facevi in Venezuela?”
“La mia famiglia era emigrata là. Sono nato
in Venezuela e ci son rimasto fino a trentun’anni, da adulto ho fatto tanti
lavori differenti. Per fortuna non ho messo su famiglia, solo per seguire
quello che fanno gli altri e poi trovare una donna che mi garbasse sul serio e
io allo stesso tempo a lei non era facile, non lo è nemmeno ora, ma per altri
motivi. Vado a periodi, come tutti, ma vivendo da solo e facendo un mestiere in
un certo senso privilegiato, sono assai padrone dei miei ritmi e se qualcosa mi
va lo faccio, sennò lascio perdere e senza rimpianti.”
“Oltre a insegnare italiano cosa fai?”
“No, non ti dirò subito del mio secondo
lavoro, che poi sarebbe il primo, in ordine d’importanza, per non indurti a
pensare di me cose sbagliate. Prima voglio parlare di quello che mi circonda
adesso, della mia vita fuori dal lavoro, quello difficilmente non è schiavitù,
dopo confesserò ed entrerò anche nei particolari, ma solo se mi avrai seguito
fino a quel punto e allora potrai capire meglio chi sono.”
“E chi sarai mai?”
“Non sono affatto un essere soprannaturale,
come avrai già capito, sono anche troppo umano. Ma non sono nemmeno una persona
comune, magari perché sono profondo e superficiale allo stesso tempo, perché ho
scelto di semplificare la mia vita, dopo che si era complicata abbastanza da
sola, come di solito accade, se non la sappiamo guidare bene. Ho avuto la
determinazione, la forza e soprattutto l’occasione di tornare sui miei passi e
cambiare prima il mio passato ai miei occhi e al mio cuore, poi il presente e
il futuro hanno preso possesso della mia esistenza, tutto ha funzionato meglio.
In sostanza avevo capito che i miei sforzi per adattarmi al gioco della società
non servivano a niente, bastava cambiare gioco. E quello poi sarebbe stato il
mio.”
“Faccio finta di crederci. La gente quando
parla di sé stessa mente con una strana facilità, come se nascondesse cose
fondamentali a sé stessa, a volte perfino cose evidenti per gli altri.”
“Purtroppo o per fortuna io non riesco a dire
bugie, soprattutto a me stesso, per brutta che sia guardo sempre in faccia la
realtà, per quanto sembri più facile ingannarsi, almeno a volte, io non lo
faccio mai e pago subito il conto, prima che maturino gli interessi passivi.
Di me dicono tante cose, tipo che non lascio
niente al caso, che il caso non mi piace, che non mi affido mai al caso. C’è un
fondo di verità, lo ammetto, ma non sono un perfezionista pignolo, come sarebbe
naturale pensare. Il caso mi piace, nella vita è prima di tutto inevitabile ed
è anche bello che esista, che non sia per forza tutto sempre meccanico, logico
e razionale, ma direi che è opportuno lasciare al caso solo quella parte laddove
vogliamo che intervenga, che poi spesso è quella dove non possiamo intervenire
noi. Questo è quello che cerco di fare io, però non è che mi riesca sempre.”
“Infatti.”
“No. Mia madre mi diceva sempre di non
sudare, che mi faceva male, è per questo che io ora sudo tanto, più di tutti
gli altri.
Ma come si fa a non sudare in Venezuela? Là
sudano anche i sassi.
Per vivere bene dunque bisogna prima imparare
a non ascoltare quello ti dice tua madre, tuo padre, poi la maestra, dopo il
professore, poi il tuo superiore al lavoro, tua moglie, il medico, Annibale e
sua moglie, e poi alla fine bisogna vedersela con Dio in persona. Ma se poi non
esistesse? Sarebbe un’ulteriore fregatura.”
“Come sarebbe a dire fregatura?”
“D’accordo, tecnicamente il nome sarebbe un
altro, le fregature ci sono però e così tante, comunque troppe, a partire dal
fatto che siamo noi stessi, gli esseri umani, che per illuderci, magari per
tentare di difenderci, ci illudiamo con una certa facilità, siamo un po’ troppo
sognatori, senza controllare se i nostri sogni sono realizzabili o no, insomma
cerchiamo sistematicamente di fuggire dalla realtà, ma poi quella ci morde il
sedere.”
“Ho capito. E Annibale chi è?”
“Un grande e valido amico, nonché emerito
rompiscatole, anche lui, a un certo punto della mia storia poi entrerà anche
lui.”
“Ah, ecco, mi stavi raccontando la tua
storia, se si può magari un riassuntino piuttosto sintetico…”
“Sì. Allora: dopo tanti anni sono
venuto in Italia, inizialmente per lavoro, alla fine ci sono rimasto senza
sapere se avrei voluto o no, per uno come me i servizi da fare abbondavano e i
compensi erano alti, la moneta più stabile. Non avrei potuto andare in pensione
regolarmente, ma di soldi ne avevo già messi da parte un po’ e decisi che mi
sarei ritirato in campagna.”
“Ma che lavoro facevi?”
“Te lo dico dopo. Se ci penso
ora ricordo che ero già vecchio, consideravo che i giovani facessero tanto rumore per affermare e riaffermare
la loro esistenza, di cui evidentemente dubitavano. Ne avevo dubitato anch’io a
suo tempo, è normale. Insomma i giovani si sentono insicuri, non sanno ancora
chi sono e cosa devono, possono o vogliono fare. Gli anzianotti come me,
attempati ed esperienti, invece erano già piuttosto stanchi di esserci,
avrebbero voluto qualche tregua in più, per potersela dimenticare un po’. La
famigerata esistenza pesava, la mia era una fase della vita che apprezzava dei
tempi più laschi. Anche per questo la
campagna come la intendevo io era quella dove non ci passava nessuno e non
vedevi mai nemmeno un essere umano, se non per sbaglio. Qualcuno che si era
perso e a quel punto ero anche disposto ad aiutarlo, per qualcosa che
assomigliava alla carità umana, ma anche per farlo ritornare da dove era
venuto, che era meglio per tutti e due eccetera. Insomma l’idea base era
quella, ma rimandavo perché pensavo che dovevo trovare prima qualcuno con cui
dividere bellezze, fatiche e solitudine. Stare da solo in mezzo agli altri mi
pesava sempre di più e cercavo una compagna. Non avendola trovata, né prima né
dopo, mi rassegnai a farne senza, come del resto avevo quasi sempre fatto,
anche se a fasi alterne. Forse cercavo solo un’occasione propizia, o meglio una
minaccia concreta, tipo un’ennesima pandemia.”
“Avevi bisogno di giustificare la
tua fuga dalla società?”
“Può darsi, ma c’è da notare che
io non ne ho mai fatto parte, nel senso che me ne sono sempre sentito
estraneo.”
“Tanti la pensano in questo modo,
ma tirarsene fuori è impossibile o quasi.”
“Vero, ma questa volta l’occasione
era effettiva e propizia, per ottenere una separazione netta ed efficace.”
“Vabbè... Ci credo poco.”
“Aspetta. Stavo dicendo che
speravo di trovare qualcosa sulle montagne del litorale della Toscana, non
lontano da dove era partiti i miei genitori, in provincia di Massa Carrara.
Cercavo una casetta abbandonata, magari un rudere da rimettere a posto. Andai
un po’ a caso, che la gente non dicesse che il caso non mi garbava. Per
cominciare un su e giù con una vecchia Panda arrugginita, che avrebbe anche
potuto lasciarmi a piedi, ma non lo fece, perché il motore lo avevo
controllato, mentre la carrozzeria poteva anche andare a pezzi, non me ne
fregava niente.
Avevo
già visitato il cimitero di Pisa, come mi ero ripromesso, dove c’erano i miei
nonni ebrei da parte di madre, Eliezer e Chulda. Invece mio padre aveva i
genitori, Mauro e Maria Stuarda, sepolti a Pardona, dove lui e mia madre si
erano conosciuti."
"Ma
non avevi detto che tua madre era brasiliana?"
"Sì,
ma di origine ebraica. Era il relativo cimiterino di un paesino piccolo
insomma, con case di pietra e una bella
vista sul mare. Poca gente in giro e assolutamente niente di turistico. Al bar
nell’unica piazzetta mi fermai a mangiare un panino con le acciughe marinate,
con un’opportuna foglia d’insalata e a chiedere informazioni. Fuori, sotto la
pergola, c’erano dei vecchietti anche troppo disponibili e non eccessivamente
infetti, insomma secondo loro non in maniera pericolosa. Il barista e
proprietario sembrava lievemente avvinazzato, di una giovialità non comune a
quei tempi, era sposato con una russa, mi spiegò, per questo lo chiamavano
Pierosky.
P:
Per essici c’è, cioè ci sarebbe un metato a quattro o cinque chilometri da qui,
ma son tutti da fassi a piedi, su e giù per i boschi, se le interessa parli col
signor Bertacca Annibale, pensionato, figura folkloristica del paese e zone
limitrofe. Se vuole un posto tranquillo è quello, c’è anche il torrente
accanto, lì ci andavino a fa’ le castagne, ora non più, troppo fuori mano. Ogni
tanto passa qualcheduno che cerca i funghi, ma anche quelli son diventati rari,
sia i funghi che i cercatori.
I:
Ah. E dove lo trovo?
P:
Annibale? Che ore sono? Tra poco, alle due, arriva per la solita partita a
tresette con i sopravvissuti qui presenti.
Che ci ascoltavano con la coda
dell’orecchio e finta distrazione, mi salutarono con le mani, seriamente
sorridenti, come se gli occhi fossero separati dalla faccia. Dopo una
mezz’oretta arrivò vociando e ammiccando a tutti, non c’era da sbagliarsi,
c’aveva proprio una faccia da signor Annibale Bertacca, tale vigoroso
pensionato e pieno di storie da raccontare, che se ne uscivano da sole in mezzo
a un gesticolare campagnolo.
La conversazione con lui partì
interessante assai e dopo un caffè, che gli avevo offerto volentieri, poi lui
insistette per un bicchierotto di rosso, per ammazzare il caffè, al quale
dovetti retribuire quasi d’inerzia. Poi entrarono automaticamente nel giro
anche tutti gli altri involontari ma curiosi ascoltatori, per scappare di lì ci
volle un’ora e più e ce ne andammo, è vero, con passi piuttosto traballanti,
direttamente al rudere.
Annibale mi condusse su e giù per
quelle salite e discese, dentro e fuori dai boschi, fino a un casottino di
pietra con una finestra per ogni lato, a dire il vero in condizioni non
pessime, dovevano essere venticinque metri quadrati, insomma non più di trenta.
L’acqua del torrentello lì accanto
era limpida e fredda-marmata come si
diceva in zona.
C’eravamo già raccontati i
riassunti della storia più sintetica delle nostre rispettive vite. Per quanto
assai diverse, avevano in comune una tendenza, l’amore per gli animali e la
natura, la stanchezza per gli esseri umani del terzo millennio, la sua molto
più bonaria della mia. Ci facevamo reciproca simpatia, insomma.”
Pardona,
domenica 20 ottobre 2023
IL
BERTACCA
La prova basilare della libertà
umana non è tanto in ciò che siamo liberi di fare, ma in ciò che siamo liberi
di non fare.
(Eric Hoffer)
Il tetto andava riparato, è vero,
mi avrebbe dato volentieri una mano lui, che era stato muratore e carpentiere,
aveva avuto a suo tempo una sua piccola impresa. Il materiale però andava
portato lì col mulo, ma anche quello non era un problema. Il prezzo? Mi chiese
un’offerta, ma io non gliela seppi fare, non ne avevo proprio idea. Allora mi
posò una mano sulla spalla e poi senza toglierla mi disse, guardandomi negli
occhi, con un movimento leggero dei baffi che accompagnavano le relative parole
che se ne uscivano sotto:
A:
Lei è da solo, mi par d’avé capito, quando muore lascia tutto ai miei nipoti,
che tanto io muoio prima, senza fretta, ma muoio prima di lei. Se le va bene,
non mi paga niente d’affitto e io non ni pago niente dei lavori che ci dovrà
fare. Per conto mio non troppi euri ci dovrà spendere, noi muratori ni facciamo
un prezzo da amici e al mulo ci penso io aggratisse. Che gliene pare?
I:
Mi pare vantaggioso, ma di qui ci passa la gente, o no? Io voglio stare
tranquillo, anche senza turisti, tanto per intenderci.
A:
No, no, anch’io, anch’io. Turisti qui un ce ne viene punti, qualche raro
tedesco, ma in paese e poghi anche di loro. Eppoi per caso qui un ci passa
un’anima viva né morta, per i funghi un è tanto bono, per via che ci sono più
pini che lecci o querce. I castagni sono più in là, ma le castagne non se le
frega più nessuno, se le vogliano ormai se le comprano tutti al supermercato.
Il problema casomai è l’opposto, per portacci il mangiare e tutto il resto,
tutto a braccia è un tantino pesantuccio. No? Però se lei si fa anche un po’
d’orto la situazione migliora, volendo c’è un fornetto per il pane, dalla parte
del boschetto, l’ha visto? E di legna ce n’è a sfa’. Ma l’inverno è lungo e i
cervelli vanno anche in pappa, a’vvorte. Lei è convinto del su’ passo, voglio
dì, tra noi: ce l’ha un po’ di esperienza almeno, della vita in
campagna-guasi-montagna come qui?
I:
Poca, ma sono più che convinto, imparerò tutto quello che c’è da imparare. Ma
in paese c’è un alimentari o no?
A:
C’è, ma tra poco chiude, con quei quattro vecchietti che ci abitano, Pardona
non offre occasione per fare eccessivi miliardi, le tasse da pagare in compenso
sono tante o magari anche troppe. Quindi lei avrà sempre bisogno di una
macchina, scassata che sia, ma che monti le salite e non caschi giù per i
burroni, per andare a Camaiore, o a Viareggio, a Sarzana o a Pietrasanta… che
siamo vicini e lontani da tutto, qui la circolare un circola, un’ha mai nemmen
circolato, un so se mi spiego…
I:
Va bene. Questo l’avevo già messo in conto. Affare fatto.
Annibale mi aveva spiegato che lui
era uno che stava bene e voleva terminare in pace la sua vita, non cercava
problemi, di qualsiasi tipo fossero, le sue due figlie erano sposate con prole
e abitavano già da tempo via da Pardona, lui e sua moglie Ivalda erano in
pensione e facevano un po' di orto e di giardinaggio, qualche partita a carte e
guardavano la televisione la sera in santa pace.
È vero, la casetta non aveva luce
elettrica né acqua corrente, ma il ruscello era lì accanto e volendo uno poteva
vivere senza televisione, internet e compagnia bella, anzi era questo che mi
garbava. Solo qualche libro, la compagnia di un cane e di un gatto e via.”
“E per il mangiare?”
“Avevo pensato a tutto, cioè ci
stavo cominciando a pensare, ma in maniera razionale e pratica, io non do molta
importanza al mangiare, cioè molto meno di tanti italiani.
A guardarlo meglio il posto era
incantevole, con le opportune modifiche da fare e la prima cosa sarebbe stata
di buttare giù una mezza dozzina di giovani querce dalla parte del mare,
secondo Annibale, che mi dette automaticamente il permesso, prima che io
potessi dire qualcosa a riguardo e mi aiutò anche. Solo che io volevo uno
spiraglio in mezzo alle frasche e non buttar giù tutti gli alberi, anzi se
potevamo nemmeno uno. Fu un po’ più complicato di quello che lui aveva pensato,
ma dopo un’ora di opportuna chirurgia giardiniera, dalle due finestre lato
ovest e nord-ovest c’erano due non indifferenti e separate, ma ampie, visuali
del mare dorato fino a Porto Venere, le sue relative tre isolette e un pezzo
del vasto golfo di La Spezia.
I muri della casa avrebbero preso
un po’ più di sole e magari ci sarebbe stata meno umidità, dissi, ma Annibale
replicò che lì di umidità non ce n’era punta, era troppo ben ventilato, gli
dispiaceva a lui, ma avrei dovuto fare senza.
Il tetto non fu facile da
aggiustare, nel senso che dovemmo ritornare più volte sulle tavelle e sulle
tegole per migliorare la tenuta stagna in caso di piogge che per fortuna o per
sfortuna ce ne erano parecchie essendo ottobre, che già funzionava un po’ come
il settembre di una volta. Le finestre nuove poi e la porta dettero alla casa
un aspetto quasi definitivo. I muri erano robusti, misti di pietre e mattoni,
mi garbavano così, rozzi e intonacati a chiazze dentro, fuori a vista.
L’arredamento del mio
appartamentino di Muggiano, provincia La Spezia, lo avevo lasciato quasi tutto
là. Di mobili nuovi ne comprai pochi, piccoli, usati e massicci in paese e nel
prezzo c’era incluso il trasporto con il mulo. Nel giro di un mese ero già in casa
nuova. Portai i vecchi libri e ne comprai qualcuno usato, gli attrezzi per
l’orto, per tagliare gli alberi e per la manutenzione della casa me li trovò
Annibale, ogni volta che scendevo in paese una capatina da lui ce la facevo. La
moglie era un po’ scontrosa all’inizio, ma poi iniziò anche lei a prendermi in
giro con il marito e dopo poco tempo sembrava che li avessi conosciuti tutti e
due da sempre. Il vecchio carpentiere era ancora in forma, più di testa che di
braccia e gambe, aveva avuto le sue brave malattie, come tutti, ma m’insegnava
ogni volta qualcosa, per esempio a costruirmi sedie e panche con gli incastri e
le viti, qualche raro chiodo grosso, medio o piccolo, senza raffinatezze
inutili e cittadine.
Insomma se l’inverno stava
velocemente arrivando io ero quasi pronto, la stufa a legna me l’aveva regalata
il mio nuovo amico e me l’aveva portata personalmente, ce l’aveva in cantina e
non sapeva che farsene. Ci tenne a installare lui il tubo per il fumo, disse
che era una specie di arte e bisognava conoscerla ammodo, sennò quando c’era il
vento ci si affumicava come scamorze.”
“Che bellezza! Te scappavi dalla
gente, ma la gente ti dimostrava, mentre la stavi abbandonando, che invece non
era come pensavi tu!”
“Sì, ma in campagna è sempre
meglio, non tutti sono come Annibale, sennò il mondo sarebbe un’altra cosa. Lo
sai meglio di me, basta una mela marcia per rovinare tutto il cesto e di quelle
ce ne sono sempre di più.
Intanto io facevo già del pane che
era quasi mangiabile, anche se per il momento toccava quasi tutto al cane,
giacché digeriva qualsiasi cosa. Trattavasi di cane di stazza media,
bianco-rossiccio da caccia, si chiamava Bico da Bicolore, o anche da Stephen
Biko, che probabilmente è stato, insieme a Nelson Mandela, il
simbolo della lotta all'apartheid in Sudafrica.”
“Ecco.”
“Non lo sapevi? Il cane invece
veniva dalla Calabria, gente del paese lo aveva preso a Sarzana, da una di
quelle Ong che distribuivano, a chi li volesse, cani senza padrone. Aveva due
occhi malandrini, non aveva paura di niente, abbaiava solo quando c’era bisogno
di avvisarmi di qualcosa di urgente, montava anche sugli alberi ed era sempre
di un contagioso buonumore. Dai documenti risultava avere un anno e due mesi.”
Pardona,
venerdì 25 novembre 2023
NON
DIMENTICARTI DI RICORDARE
La
memoria è assai importante, per quanto ingannevole possa essere, dato che i
ricordi di solito si stratificano, a volte depositando successive impressioni,
influenzate dai nostri occasionali stati d’animo. Anche così vale la pena di
avere delle rimembranze indicative.
Holger
Zaccaria (dal romanzo “Pane olio, sale e
aceto”)
Il
suono musicale ritmico di una pianta di banano sbattuta dal vento e il
picchiettare delle grosse gocce è uno di quei tipi di rumori romantici che
evocano altre scene, che non questa di un grosso taccuino sul tavolo, vicino
alla finestra, in un giorno di pioggia e vento, piuttosto una vela e il mare
infinito, lo sciabordare di onde, i relativi schizzi…
La
possibilità di scendere su queste pagine che si stanno formando sotto le mie
dita è una occasione che la maggior parte della gente non ha, perché già
raccontare è una cosa da pochi, ma raccontarsi lo è ancora di più.
L’autoanalisi viene fuori da sola se io lascio
scorrere la penna sui fogli e quelle vanno a raccontare quello che il cuore e
il cervello dicono senza preoccuparsi che sia una cazzata o una serie di
conseguenze senza controllo alcuno, al di fuori della grammatica italiana, un
po’ di sintassi sparsa e maccheronica. Lo spagnolo dell’infanzia insiste per entrarci,
ma di solito me ne accorgo a tempo.
Che cosa mi resta del passato?
Una buona memoria ce l’ho, ma anche la consapevolezza
che pure la mia sbaglia e cambia, con stratificazioni successive, la verità
originaria. Devo fare alla svelta a scrivere questi frammenti di storia, prima
che cadano nell’oblio. Dovrei andare a trovare chi si ricorda e prima ancora
cercare di capire chi.
Nessuno?
Beh, anche se annebbiati e confusi, tanti ne ho ancora
nel cervello intriso di passato prossimo e remoto, eppure ancora umidi, tanti
imperfetti e qualche trapassato prossimo, troppo lontani e spersi i trapassati
remoti. Qualche periodo ipotetico, congiuntivi e condizionali, ma scarsi. Tanti
discorsi a biscaro, fuori dalla Toscana chiamati anche mezze verità. Il difficile
è ordinarli e metterli giù, ci vuole disciplina, tempo e concentrazione.
Non c’entra niente, ma forse
invece sì, con la fantasia esagerata, che vicino a casa mia ci fosse un
manicomio, sull’edificio più grande spesso si sentiva una civetta che cantava tutto mio! tutto mio! Anche di giorno. Più
volte lanciava il suo lugubre richiamo dal tetto del padiglione delle donne, e
siccome lassù c’era una specie di camino che aveva una forma strana, con dei
grandi occhi che erano degli oblò, io pensavo che la civetta fosse quella,
troppo gigantesca per essere vera, infatti mi chiedevo perché non si muoveva,
forse perché era fatta di mattoni e cemento, più sopra qualche tegola rossa.
In passato la stessa fantasia mi
ha portato a ricordi sovrapposti di un luogo, in maniera di vederlo come se
fosse un altro e qui è difficile spiegarlo. È successo solo con posti che ho
vissuto nell’infanzia e poi ho continuato a frequentare anche dopo. Come la
vecchia casa vicina al fatiscente manicomio di Manavas, da determinati punti di
vista la ricordo in due maniere, quella più antica e quella più recente. La
casa dei nonnetti, per esempio, lì accanto, (non erano nonni miei, ma si
comportavano come se lo fossero,) come la vidi da bambino e dopo con gli anni
il ricordo si modificava, crescendo io, non solo la casa e il luogo, o comunque
cambiando un po’ tutti e tre.
Poi ci sarebbe la curva dei banani
di cui ho un ricordo nitido e nebuloso allo stesso tempo, stavo aspettando in
macchina su quell’ampia curva in salita di una strada costeggiata da piante di
banana e tante altre automobili erano posteggiate sui due lati, non ricordo
dov’era, ma credo sulle colline di Carocito, non so chi stavo aspettando, penso
mio padre e che questo sia successo più volte, la macchina dovrebbe essere stata
una Chevrolet bianca e celeste, ero bambino e rimanevo lì da solo, per un tempo
ragionevolmente lungo.
Le persone più disorientate che
conosco sono quelle che hanno una memoria labile, non si ricordano di niente,
non possono confrontare gli avvenimenti, i semplici dati della loro esistenza,
in pratica non possono usare la loro esperienza. Sono sempre in alto mare e si
tratta di un mare in burrasca, ogni porto è lontano, chissà dove.
Mia
madre per esempio diceva che mio padre aveva anche lui un lavoro numero due, (che Iddio lo trasformasse in un essere un
po’ meno spregevole,) ma che gli dava più soldi del numero uno. Io non ho
mai capito cosa facesse anche di primo lavoro, ipotizzavamo che fosse un
sensale, uno che intermediava a percentuale sugli affari della gente: macchine
agricole e non, semi, diserbanti, terreni e animali da pascolo.
Penso che sottobanco vendesse armi, spero non
droga, ma non mi sentirei di escluderlo.
Pardona,
martedì 29 dicembre 2023
UN
PIETRO RODOLFO A CASO
Il passato non è l’antitesi del
futuro, sono due cose che si possono integrare anche assai bene, se si riesce
ad agire seguendo la propria esperienza. Nei tempi moderni da tutti ormai
dimenticato, quello che ne esce si chiama presente.
Igor Tarallo (dal romanzo: “Fonderemo la nostra pazienza
sulla vostra rabbia”)
A volte parlo con un altro me
stesso, sottintendendo che ci conosciamo già bene, noi due, ma una parte di me
è più critica:
“I ricordi d’infanzia sono rimasti sempre
forti in me, posso dire di aver una buona memoria, a differenza di tanta gente,
proprio perché mi sforzo di rivivere il passato, prendo anche annotazioni e le
rimetto in ordine, non so a cosa serviranno, ma lo faccio lo stesso. La sera a
letto per esempio, o una volta anche nella sala di aspetto del dentista, alla
fermata dell’autobus, ho sempre cercato di riempire i tempi morti di cose
passate ma vive, insomma, e magari piacevoli. Cerco di pensare a cose belle,
che quelle brutte vengono da sé.
Vivendo insieme agli altri, io
avevo sentito sempre più la solitudine e mi accorgevo che non vivevo il
presente in modo efficace, ma un sacrificato futuro e un distorto passato.”
“Ma quando parlavi con Annibale
non ti garbava?”
“Parlare di queste cose con
Annibale era difficile, per lui era inutile teoria, aveva sempre vissuto lì e
sembrava contento di sé, della sua famiglia, dei suoi amici e del mondo, quel
poco che ne sapeva gli bastava e avanzava.
Con il barista di soprannome
Pierosky, un po’ di filosofia spicciola si poteva snocciolare, aveva vissuto
anche in Russia e conosceva abbastanza il globo per apprezzare il suo ritorno e
la sua vita a Pardona. Si trattava di un gigantesco tuttologo barbuto, parlava
a evidenti mezze verità, ma forse della vita e del mondo ne sapeva più di tutti
in paese. Mi spiegò che i russi avevano i nomi terminanti in -skij, i polacchi anche gli stessi
cognomi ma terminavano in -i
semplice. Gli italiani poi ci mettevano una ipsilon finale e sistemavano tutto,
in fondo chi se ne fregava?
Per esempio lui era sposato con
una russa, Olga Banishevskaja, quindi suo padre era Banishevskij, come
l’attaccante sovietico della nazionale CCCP nel 1966, ai tempi del grande
portiere Lev Yashin.
Era un lettore compulsivo,
soprattutto di libri tecnici, un collezionista di manuali di ogni genere e me
ne allungò alcuni per l’orto e la manutenzione sommaria di una casa di
campagna-quasi-montagna: idraulica, elettricità, veterinaria, allevamento
animali e pesci, come fare il pane, la pizza e i dolci in casa, sana
decrescita, la fine del comunismo, politica ruspante, filosofia campagnola e
così via.”
“Una bella conversazione con un
essere umano può fare anche del bene a un altro essere… quasi umano, nel nostro
caso.”
“A volte sì. Dipende. Mi dette
anche un manuale per imparare a usare i manuali: “I pro e i contro dei manuali”, consigli di muratori veri, l’esperienza
dei contadini autentici, pastori, fungaioli eccetera.
Se avete sempre vissuto da
persone normali, persi nel movimento ripetitivo della vostra routine cittadina
o di periferia, non avete mai avuto a che fare con i manuali, il che è un bene,
ma quando uno ne avesse poi bisogno quello diventa un male.
Ci
sono anche dei manuali buoni, intendiamoci, quelli per esempio che mi insegnano
a usare i semi delle verdure, in modo da poterne sempre avere di scorta, senza
dover andare a cercare altri.
Il
manuale però spesso insegna le cose come se chi le impara le sapesse già.
Oppure ha la tendenza a ripetere quello che sapete già e a tralasciare quello
che non sapete e che vorreste sapere. In buona sostanza chi insegna spesso non
sa mettersi nei panni degli allievi, perché sapere le cose non è la stessa cose
che insegnarle, anzi, sono due robe che spesso cozzano e si ostacolano.
Insomma
il manuale per riuscire a leggere i manuali ed eventualmente riuscire a
impararci qualcosa, funziona un po’ come la nostra mente, usando la nostra
memoria, scartando l’inutile e ricordando l’utile, ma prima di tutto, come
riconoscerli? Siamo di nuovo al punto di partenza.
Il
manuale migliore, spiega il manuale dei manuali, è il buonsenso, ma dove
trovarlo? Non è una cosa che si può comprare o affittare, ma si sviluppa
spontaneamente nelle persone che capiscono che magari può servire a qualcosa,
che non si può fare tutto a caso, almeno nella vita, fuori magari sì.”
“Bello!”
“Infatti, io ne ho fatto tesoro. A
dicembre comunque lasciai l’appartamento, che non volevo vendere e poteva
starsene lì come magazzino, anche in maniera definitiva, tutto quello che
m’interessava a breve termine era già lassù.
A più di un’ora a piedi dal paese,
eravamo quasi a ottocento metri di altezza lì al metato, dietro a farci ombra
c’era il monte Prana, alto 1221 metri e quando tirava vento di mare c’era un
freddo antartico, ma anche la tramontana ci pigliava di laterale sorpresa e a
livello di temperature erano guai, non solo d’inverno.”
“E per le spese come facevi?
All’inizio ne avrai avute assai, o no?”
“Sì, infatti. Il mio mestiere, non
quello del professore d’italiano, era in un certo senso privilegiato, mi aveva
permesso di mettere i soldi da parte, sarebbero dovuti bastare per campare fino
alla fine dei miei giorni, avevo calcolato, magari bisognava avere esigenze
modeste e io ce le avevo, non tanto per scelta, piuttosto per naturale
esclusione di tutto quello che non m’interessava. Le banche non mi garbavano,
per esempio e in parti pressoché equivalenti avevo euro, dollari e sterline
inglesi, tutti sotterrati in tre serie di scatole di plastica, l’una dentro
l’altra, come la matrioska russa.
(Le
otto bambole che originariamente componevano la prima matrioska rappresentavano, in
ordine di grandezza, una madre, una ragazza, un ragazzo, una
bambina... fino all'ultima figura, quella di un neonato in fasce, o
appena nato: queste figure servivano a celebrare il concetto di famiglia,
in tutte le sue forme.)
Fuori costruii un modesto capanno
di legno da usare come magazzino e laboratorio. Si sfasciò tre o quattro volte
con il vento forte e io lo ricostruii non senza bestemmiare. Di solito la
bestemmia è usata dai cristiani cattolici, ma stranamente io non lo ero mai
stato, ci avevo solo vissuto insieme e mi pareva pratica di una certa
praticità.
Per il primo inverno mi feci prima
di tutto una doccia rudimentale a legna e un piccolo bagno. Poi mobiletti vari
e rustici, soprattutto panchetti, mensole e pensili. Importantissima la panca
verde fuori dalla porta con la vista sul mare.
Ero un principiante quindi i
tentativi falliti erano innumerevoli e talvolta anche le bestemmie fioccavano.
Alla fine però trionfavo moderatamente e sempre. In fondo la testardaggine è
una buona cosa, basta non perdere la calma.
Il freddo era notevole e il vento
di notte fischiava, anche di giorno, per riuscire a dormire bisognava
abituarsi. Le mie contromisure iniziali di organizzazione e di comodità
spartane furono sempre aumentando finché arrivò la primavera. Molta lettura la
sera a lume di lampioncini a petrolio, puzzava un po’ ma in compenso illuminava
male.”
“Le difficoltà sono il sale
dell’esistenza o no?”
“Effettivamente. Nonostante questo
ero contento, forse anche felice, però come si fa a saperlo? Forse il mio
sguardo era ancora troppo rivolto in avanti, al futuro.
Potevo leggere di giorno e la
notte spesso ero troppo stanco solo per tentare di farlo. L’orto era già in
funzione, i primi frutti della terra non arrivarono così come avrei voluto, ma
anche in questo ramo avevo molta strada da fare.”
“Non ti sentivi solo?”
“Un po’, ma anche quando vivevo
giù a valle non ero mai stato di troppa compagnia, insomma era la libertà che
apprezzavo di più e lì mi sentivo meglio.
La luce elettrica io non volevo
nemmeno mettercela, ma Annibale era un uomo prepotente, lo diceva anche sua
moglie e quando pensava di aver ragione alla fine mi convinceva sempre, aveva
sempre convinto pure lei, e quando eravamo totalmente contrari lui ci si
divertiva anche di più. Io non avevo mai nemmeno tentato di convincere qualcuno
a fare qualcosa, e lui invece lo faceva sempre con tutti.
In quel caso mi portò un
elettricista senza preavviso, un amico suo, che poi diventò anche mio. In più
Annibale rideva e mi dava robuste pacche sulle spalle. Zino disse che il
percorso dei fili nel bosco era favorevole e se il lavoretto fosse stato ben
fatto non se ne sarebbero mai accorti. Ci volevano un duecento metri di filo
grosso, doppio e costoso assai, ma alla fine la resa sarebbe stata ottima,
soprattutto per leggere e per fare il bagno. E poi era gratis.
Dopo una guerra verbale di una
settimana sono riuscito a deviare sui pannelli solari, che non avevano bisogno
di tanto filo, erano più cari ma era un investimento praticamente eterno. Gli
avvenimenti a seguire mi dettero piena ragione, ma Annibale non fu facile da
convincere. Per fortuna che Zino si dimostrò dalla mia parte.”
“Quali avvenimenti?”
“Aspetta, che ora viene il
movimento.”
“Mi pare che tu l’abbia presa un
po’ troppo larga. Non si era detto un riassunto breve?”
“Questo l’avevo detto a Pietro 2,
ma tu sei Pietro 3, cerca di stare al tuo posto. E poi se non ti spiego tutto
quello che è successo prima, dopo non ci capisci più niente.”
“Vabbè, basta non esagerare…”
“No, ascolta: il secondo cane
venne da solo, una femmina piena di zecche e di pulci, ma in poco tempo la
rimisi a funzionare come un pelosissimo orologio svizzero, si chiamava
Annabella, sul solito suggerimento insistito di Annibale. Con l’aiuto del quale
e con la lettura dei manuali pensammo anche di mettere su un piccolo
allevamento di trote, bastava deviare in parte il torrente lì vicino, ma non
sapevamo cosa dargli da mangiare.
In seguito stabilimmo che se non
fossero state trote, potevano essere carpe, o qualsiasi tipo di pesce che fosse
buono da mangiare e che non avesse problemi a cibarsi di un po’ di tutto quello
che avanzava al metato.
Le due vasche grandi ci mettemmo
un po’ a prepararle, per via della famosa impermeabilizzazione. Tutt’e due
perdevano, appena un po’, non so più quanto catrame dentro a secchiellate, ma
Annibale disse che tanto l’acqua lì non mancava mai e allora le lasciammo
così.”
Durante
le mie perlustrazioni al torrente non potevo non venire colpito
dai Tricotteri (comunemente chiamati porta sassi o porta legna) questi
insetti si mostrano in un sacco di forme, sfoggiando i loro astucci protettivi
che compongono con il materiale che trovano sul fondo del corso d’acqua, o
della pozza che abitano e che mettono insieme con seta che secernono da
una ghiandola posta in prossimità della bocca.
Sono
dei minuscoli cilindri semoventi, i nostri fatti di granelli di sabbia, con
dentro insetti che sono tipici dei corsi d’acqua montani, anche se noi non
arriviamo ai mille metri sul livello del mare, qui ce ne sono e sono piuttosto
bizzarri, quando li vedi le prime volte non ci fai caso perché sono del colore
dell’ambiente che li circonda, poi ti pare che si muovano e pensi che sia per
via della corrente dell’acqua, dopo pensi a cosa diavolo siano e ci vuole un
po’ di tempo per capire. La natura riesce sempre a sorprendermi.”
“Sì, vabbè, ma Annibale ha avuto
una grande importanza nel tuo inizio di una nuova vita, non è vero?”
“Sì, è stato decisivo e poi era
simpatico, un po’ rompicoglioni, ma anch’io lo ero… anzi lo sono ancora, lo
sono sempre stato.
Insomma ci capivamo.
Figurati che poi con estrema
serietà mi spiegò che le anguille per l’allevamento andavano più che bene,
mangiavano di tutto ed erano delle bestiacce buone da fare fritte, arrosto e in
umido, se non le ammazzavi te erano praticamente immortali, se ce n’era bisogno
strusciavano anche sulla terra asciutta come serpi.
Risi e replicai che se il Mare dei
Sargassi non fosse stato un po’ fuorimano sarebbero state l’ideale.
Disse che ero proprio uno scemo e
promise che me le avrebbe portate lui, non c’era problema. Chiesi a Pierosky,
che mi appoggiò con piacere, ma Annibale era duro come il nostro vicino e
prezioso marmo di Carrara.
Il barista poi trovò trai suoi un
volumetto che spiegava bene le cose, o almeno senza complicarsi troppo ci
provava e l’allungammo ad Annibale, che era un San Tommaso irriducibile e non
credeva mai d’acchito a quello che gli si raccontava. In alcuni casi di
trincerava sulle sue posizioni e ne faceva un punto d’onore, allora anche due o
tre acchiti non bastavano.
Il libretto diceva che la
migrazione e la riproduzione delle anguille d'acqua dolce erano rimaste un
mistero fino a metà circa del XX secolo, quando furono scoperti per la prima
volta, nel mar dei Sargassi fra le isole Bermuda e Porto Rico, i luoghi di
deposizione delle uova. Quando l'anguilla europea e la specie affine americana
raggiungono la maturità sessuale nei laghi e fiumi d'acqua dolce cominciano la
loro lunga migrazione che le porta nei luoghi di riproduzione.
Esse nuotano nei corsi d'acqua,
ma a volte strisciano come serpenti fra l'erba bagnata dei campi, fino a
raggiungere l'oceano, dove nuotano o si lasciano andare alla deriva portate
dalle correnti; vagano così anche per un anno, fintanto che non raggiungono le
acque ricche di vegetazione del mar dei Sargassi. Qui le anguille depongono le
uova in acque profonde e muoiono. Non appena usciti dall'uovo, i leptocefali si
lasciano portare dalla corrente del Golfo, raggiungendo le coste europee in tre
anni e quelle nordamericane in un anno.
A questo punto, trasformatesi in
cieche, si accumulano numerosissime presso le foci dei fiumi; quindi assumono
una colorazione gialla sul ventre, nuotano controcorrente, risalgono i fiumi e
si nutrono d'animali che vivono sui fondali; infine, diventano individui adulti
dal corpo nero e argenteo, completando così il loro ciclo vitale.
E allora quelle della Cina come
fanno? Fu la sua prima questione, ma il libretto per fortuna, che lui non aveva
letto per intero, più avanti spiegava che per l’Asia e l’Oceano pacifico c’era
un altro punto di riferimento. Lo specifico luogo di riproduzione è
stato recentemente scoperto nelle vicinanze di una montagna marina sul lato
occidentale delle Isole
Marianne. Le anguille adulte migrano per migliaia di chilometri dai
fiumi dell'Asia dell'est fino a questo luogo per potersi infine riprodurre.
Annibale insomma ci mise tutte le
sue forze per andare contro a quella corrente di teoria pratica, ma alla fine,
esausto, quando ne fu finalmente convinto, ne rimase entusiasmato.
Poi glielo raccontò anche alla
moglie, erano a cena da me, ricordo che era maggio e fu l’ultima volta che li
vidi entrambi.
Annibale aveva bevuto un po’
troppo Pitigliano bianco e la prese in giro per un po’ chiamandola
ignorantella, lui queste cose le aveva sapute fin da bambino e mi strizzava
l’occhio in segno d’intesa.
Ridendo e scherzando, bevendo e
parlando, eravamo andati piuttosto sul filosofico quella sera e non mi avevano
capito tanto bene, quando gli avevo parlato dell’assoluto relativo, una
tra le tante mie teorie. Appena me ne ero accorto mi ero subito zittito.
Avevamo cambiato argomento.”
“E meno male, ci mancava solo
l’assoluto relativo!”
“Infatti. Annibale e sua moglie
rimasero addirittura stupiti, quando gli dissi che anche mia madre era partita
dall’Italia, come le anguille a settembre, si era riprodotta in America Latina
e poi era morta, io me ne ero venuto in Italia, un po’ come le cieche, parlavo
bene l’italiano ma non
c’ero mai stato. Mi chiesero che lavoro facevo in
Venezuela e io gli raccontai quello di professore d’italiano.”
“Hai fatto bene a non dirglielo,
o magari non ci avrebbero nemmeno creduto, secondo me.”
“Dopo vari tentativi falliti
decisi che le trote erano buone assai da mangiare ma troppo complicate, le
carpe si rivelarono l’ideale, per me ci volevano pesci onnivori e meno
sofisticati. Erano meno saporite delle trote, ma la loro stretta economia era
sostenibile per me e le avrei mangiate con più sale, aglio, basilico e
prezzemolo. La mia provvista d’olio d’oliva intanto era
già imponente, un fusto da cento litri, poteva bastare forse per tutta la vita.
Quanto volevo vivere ancora non lo sapevo e poi le mie intenzioni non erano
necessariamente quello che si sarebbe realizzato.
Confesso che il mio obbiettivo finale non mi
è sempre stato chiaro, però durante il percorso ho spesso saputo bene cosa non
sopportavo e che non avevo assolutamente voglia d’impegnarmi a cercare
d’ignorare tutte queste cose che non mi garbavano, che anzi mi facevano solo
irritare e ancora di più tutti questi che adoravano situazioni che io non
vedevo proprio alcun ragione per dovere, potere o voler considerare.”
“Sei un po’ esagerato, ma che ci vuoi fare,
ormai è tardi per cambiare.”
“Ecco, infatti, tu lo sai che ho accantonato
tanta gente durante la mia carriera di snob che si fa solo i fatti suoi, di
bastiano assai contrario alla massa e ai gusti comuni, tanta altra gente
l’avrei anche messa da parte io, ma per fortuna ci ha pensato prima da solo.”
“Selezione naturale?”
“Proprio. La selezione naturale non è per
niente forzata, lo dice il nome stesso, non c’è nessuna scelta da fare. Conosco
tanta gente che accetta tutto e tutti, magari non pensa nemmeno che sia una
filosofia originale e bella, per loro è semplicemente più naturale così. Non mi
sento di dire beati loro, perché vedo
che sono trasportati dove non vorrebbero, sono manipolati tanto che non se ne
accorgono nemmeno più, non sanno neppure più chi sia il responsabile dei propri
guai, che poi alla fine sono proprio loro stessi, in maniera irregolare quanto
sistematica. Da quando l’ho capito, il mio lavoro interno, il mio sforzo
maggiore è stato eliminare un meccanismo in me, comune a tanti uomini e donne.”
Ridendo
e scherzando, bevendo e parlando, eravamo andati piuttosto sul filosofico quella
sera e non mi avevano capito tanto bene, quando gli
avevo parlato dell’assoluto relativo, una
tra le tante mie teorie. Appena me ne ero accorto mi ero subito zittito.
Avevamo cambiato argomento.”
“E
meno male, ci mancava solo l’assoluto relativo!” “Infatti. Annibale
e sua moglie rimasero addirittura
stupiti
quando gli dissi che anche mia madre era partita dall’Italia, come le anguille
a settembre, si era riprodotta in America Latina e poi era morta, io me ne ero venuto in
Italia, un po’ come le cieche, parlavo
bene l’italiano ma non
c’ero mai stato. Mi chiesero
che lavoro facevo
in Venezuela e io gli raccontai
quello di professore d’italiano.”
“Hai
fatto bene, non ci avrebbero nemmeno creduto, secondo me.”
“Dopo vari tentativi falliti
decisi che le trote erano
buone assai da mangiare
ma troppo complicate, le carpe si rivelarono l’ideale, per me ci volevano
pesci onnivori e meno sofisticati. Erano meno saporite
delle trote, ma la
loro stretta economia era sostenibile per me e le avrei mangiate con più sale, aglio, basilico
e prezzemolo. La mia
provvista d’olio d’oliva
intanto era già imponente, un fusto
da cento litri, poteva bastare forse per tutta la vita. Quanto volevo vivere
ancora non lo sapevo e poi le mie intenzioni non erano necessariamente quello che si sarebbe realizzato. Confesso che il mio obbiettivo
finale non mi è sempre stato chiaro, però durante il percorso ho spesso saputo bene cosa non sopportavo e che non
avevo assolutamente voglia d’impegnarmi a cercare d’ignorare tutte queste cose che non mi garbavano, che anzi mi facevano solo irritare e ancora di
più tutti questi che adoravano situazioni che io non vedevo proprio alcun
ragione per dovere, potere o voler considerare.”
“Sei un po’ esagerato, ma che ci vuoi fare, ormai è tardi
per cambiare.”
“Ecco,
infatti, tu lo sai che ho accantonato tanta gente durante la mia carriera di
snob che si fa solo i fatti suoi, di bastiano assai contrario alla massa e ai
gusti comuni, tanta altra gente l’avrei anche messa da parte io, ma per fortuna
ci ha pensato prima da sola.”
“Selezione naturale?”
“Proprio. La selezione naturale
non è per niente forzata, lo dice il nome stesso, non c’è
nessuna scelta da fare. Conosco tanta gente che accetta tutto e tutti, magari
non pensa nemmeno che sia una filosofia originale e bella, per loro è
semplicemente più naturale così. Non mi sento di dire beati loro, perché vedo che sono trasportati dove non vorrebbero, sono manipolati tanto che non se ne accorgono
nemmeno più, non sanno neppure più chi sia il responsabile dei propri guai, che
poi alla fine sono proprio loro stessi, in maniera irregolare quanto
sistematica. Da quando l’ho capito, il mio lavoro interno, il mio sforzo
maggiore è stato eliminare un meccanismo in me, comune a tanti uomini e donne.”
Pardona giovedì 13 gennaio
2024 LA NATURA PRIMA DI TUTTO
Non aveva rimorsi per la vita che conduceva, non nutriva rispetto
per una società
basata su valori come il benessere materiale e la normalizzazione
sociale. Una società che, allo stesso tempo,
non era in grado di garantire a un giovane
un lavoro decoroso
e soddisfacente. Il senso di colpa era scomparso da tempo e lui condivideva il pensiero di migliaia
di suoi coetanei: che non aveva scelto di nascere in un sistema politico che andava contro l’essere umano e che
richiedeva solidarietà in cambio di menzogna e
tradimento; riteneva che a vergognarsi dovesse essere chi reggeva le fila di tale sistema,
non lui.
(Maj Sjöwall, Per Wahlöö Un Assassino di Troppo)
Per mantenere
il cervello funzionante ci vuole magari
un alternarsi di attività
positive che non è attuabile in una vita cittadina, o di intenso lavoro, come molte persone
affrontano abitualmente. La vita dell’individuo in mezzo alla natura è più sana
soprattutto se si ama stare in aperta campagna, se la compagnia degli animali
funziona come terapia d’inerzia, se non ci si annoia e non ci si spaventa per via
del silenzio, se non ci manca il contatto continuo
con la gente al quale siamo purtroppo abituati.
Se io avessi vissuto come
quasi tutti gli altri, ora qui da
solo non ci potrei stare bene.
L’osservazione entusiastica della natura mi fa bene, non solo degli animali, ma
anche delle piante e perfino delle rocce, insomma
dei paesaggi la cui musica è la brezza
che può piacevolmente diventare vento, il conseguente stormire delle fronde, il canto degli
uccelli e così via discorrendo.
In
questo contesto anche le scorregge dei cavalli, la puzza dello sterco di
animali al pascolo hanno una loro ragione di essere e di rinfrancare, come di rilassare
l’anima di un essere umano che abbia debitamente sempre tenuto presente
l’importanza di queste cose, anche quando per necessità lavorativa viveva in città, tacitamente premettendo
a sé stesso che doveva pur essere un periodo limitato e provvisorio, desiderando sempre e comunque
togliersi dalla palle per
andare a vivere in mezzo al verde e alla natura il più possibile selvatica.
Di conseguenza ho sempre avuto un rapporto
efficace con gli animali, qui
dovrei dire domestici, ma mi piace poco l’espressione, perché spesso sono
schiavizzati dall’uomo e non vorrei essere io a fare lo stesso, ma con una
pandemia non si può scherzare impunemente.
Rispetto
il loro spazio, quello degli animali, che non sono assolutamente più bestie
degli esseri umani, anzi. Sono autoritario senza essere tirannico, attento alla
loro educazione ma non voglio assolutamente umanizzarli, ci sto proprio attento.
Non mi garbano assolutamente i cappottini
colorati e copricapi, le scarpine, insomma le decorazioni sgargianti che gli
mettono addosso, senza minimamente pensare se a loro gli facciano piacere o no.
I
cani più di tutti apprezzano la mia compagnia, forse perché non sto a parlargli continuamente con quella vocina stronza, come se loro fossero dei
bambini scemi e così non devono stare a scervellarsi per capire che minchia io possa volere da loro.
Non mi dimentico mai di dare soddisfazione agli altri, e di dare da bere e da mangiare a chi ho
attorno, cosa che fanno molti sedicenti amanti degli animali, che poi li
trattano come se fossero oggetti, senza il minimo rispetto per le loro esigenze. Da un’osservazione più particolareggiata poi viene fuori che trattano
anche sé stessi in quella maniera, non hanno la minima autocoscienza e ignorano la possibilità
di avere
un piano
anche approssimativo per la loro stessa vita che non sia un tunnel
senza interruzioni di lavoro, mangiare, riposo, divertimento.
L'autocoscienza è un punto di non ritorno.
Quando si diviene consapevoli di ciò che sta avvenendo non è più possibile
fare finta di niente.
Procuro
la chiarezza degli intenti, non solo con le bestioline, ma con ogni tipo di
creatura, anche se so che l’individuo medio vuole piuttosto della confusione,
perché la disciplina che deve mantenere
al lavoro lo annoia, allora parla con dei doppi sensi, fa
degli scherzetti idioti a parole che lo fanno morire dal ridere, specie se
qualcuno più debole ne rimane umiliato, basta che non siano rivolti
a lui. Teme il malinteso quotidiano, ma gli piace
anche e alla fine
non sa mai con chi ha a che fare e si mette nei peggiori casini, proprio perché
non conosce sé stesso né gli altri, diffidente
fino all’ossessione, si fida proprio
di coloro di cui
non dovrebbe mai fidarsi.
Pardona martedì 22 gennaio 2024
ZINO ED EZRI
Bisognava essere contenti che
fosse solo una manovra finanziaria, una contromanovra per supplire a una situazione che gli era scappata di mano. Eppure
a noi tutti ci giravano lo stesso i
coglioni, forse perché, se le cose stavano così, noi esseri
umani non valevamo
più niente, o magari non avevamo mai avuto valore maggiore di zero.
Dario Stoya
(dal libro “Dissociatevi Finché Siete in Tempo”)
In
questo bar accogliente ma un po’ polveroso, il bar di Pierosky, tutto foderato
di legno stagionato, faceva parte della tappezzeria e della mobilia anche un
uomo piccolo che aveva sempre un colbacco in testa, non era particolarmente sporco,
forse solo esageratamente barbuto, lo chiamavano Ezri, e dicevano che era un ebreo, come se fosse un’offesa.
Attaccava discorso con tutti, le sue frasi erano piene di che dio l’abbia in gloria, che si conservi sano, che sappia distinguere tra il bene e il male, che riposi
in pace… ogni tanto diceva anche qualche proverbio antico,
non sempre a sproposito.
Se
il suo concetto era affermativo la sua faccetta si muoveva in senso verticale
confermando, se era negativo allora in senso orizzontale ripetendo
a iosa il suo no, anche
quando non diceva niente la faccia si muoveva ma un po’ meno, forse
accompagnava i suoi pensieri.
Pierosky
diceva che era un ottimo cliente, passava lì dentro ore e ore e personalmente non lo aveva mai visto
pagare qualcosa, o anche solo consumare un’altra cosa offerta da qualcun altro.
Sono
stato invitato da Annibale e Zino a
giocare a carte al bar, di sera. Ho cercato di rifiutare invano, pareva una
cosa importante per loro. Hanno anche insistito
per giocare di soldi, pochi
spiccioli, ma ero piuttosto stanco e poi andare e tornare al metato, ci vuole
dell’ispirazione da giocatori incalliti, oltre alla forza fisica. Per principio non ho mai
portato una bottiglia di vino al metato, non sono astemio solo che preferisco
farne senza, ma loro mi riempivano continuamente il bicchiere e mi ubriacavano di vino oltre che di discorsi a biscaro, poi mi pelavano il
portafoglio. E ridevano come matti. Non è che non ci ho provato a farmelo
piacere, ma alla seconda volta li ho mandati affanculo senza troppi
complimenti.
Forse
ho sbagliato, distrattamente avevo chiesto non a Zino, come fosse al cielo del
bar, quello che stava succedendo al mondo. Queste cazzo di pandemie mi parevano
orchestrate a dovere, gonfiate dai media oltre il lecito bisogno. C’erano le case farmaceutiche di mezzo? O forse era una manovra finanziaria a livello
mondiale? Non l’avessi mai fatto. Lui sull’argomento purtroppo era molto più
ben preparato di quello che avessi potuto pensare.
Figurarsi
che, mentre giocavamo, Zino ha spiegato questa sua articolata teoria, per
niente facile, che ho registrato con un piccolo tascabile, di solito lo uso per
impararmi le espressioni del loro gergo toscano del nord.
“Ecco,
facciamoci uno schema mentale: nel 2008 c’è la crisi dei mutui subprime: un
eccesso di debito causa il collasso del sistema finanziario.
[La crisi dei subprime è una crisi finanziaria scoppiata alla fine del 2006 negli
Stati
Uniti che ha avuto gravi conseguenze sull'economia mondiale, in particolar modo nei paesi sviluppati del mondo occidentale, innescando la grande recessione (da molti considerata la peggior crisi economica dai tempi della grande depressione).
Prende il nome dai cosiddetti
subprime, prestiti ad alto
rischio
finanziario da parte
degli istituti di credito in
favore di clienti a forte rischio debitorio (insolvenza), considerati da molti analisti
come fenomeni di eccessiva speculazione finanziaria.]
Il
problema non viene risolto, anzi, si decide di affrontarlo con nuovo debito in
misura monumentale rimandando le conseguenze e amplificandone la pericolosità.”
Ezri
si è alzato e ne ha approfittato per dire la sua frase fondamentale: “L’uomo è il primo prossimo di sé stesso,
dice un proverbio ebraico, quando si è buoni con gli altri, si è cattivi
con sé stessi.” Guardando in faccia tutti e nessuno si è rimesso a sedere. Nessuno lo
ha considerato e Zino ha continuato come se niente fosse.
“Seguono
dieci anni di tassi a zero e crescita del debito incontrollata che non riescono
a dare impulso all'economia.
I tassi a zero e le emissioni monetarie finiscono nella finanza iper speculativa.
Chiunque si può indebitare per comprare azioni e scommettere nel mondo dei
derivati. La bolla si gonfia in modo preoccupante.
Settembre
2019 - La cuccagna sembra finire da un momento all'altro: la Banca Regolamenti
Internazionali lancia l'allarme:
QUI SCOPPIA
TUTTO!!!!”
E
qui io mi ero fermato, ma visto che gli altri continuavano come se niente
fosse, mi sono adeguato. Zino intanto aveva ripreso a spiegare giocando tranquillamente le sue
carte, come se fossero due persone e due situazioni neanche lontanamente
comunicanti, due film paralleli.
“Il 18 ottobre
2019 a New York andava in scena l'Event
201. I big del mondo si riuniscono per una simulazione che nel giro di
poche settimane sarebbe diventata reale. Le prove generali di un’epidemia di un
nuovo coronavirus zoonotico (Attributo che indica malattie e infezioni che
possono essere trasmesse dagli animali all'uomo e viceversa) trasmesso
dai pipistrelli ai maiali alle persone.
Il
20 gennaio 2020, gli stessi vertici delle nazioni e dei maggiori centri
di potere si riuniscono nuovamente a Davos e, molto
probabilmente, i capi di stato e tutti i media ricevono il protocollo di azione
su come comportarsi, tutti insieme per le misure che tutti noi abbiamo dovuto
subire, nostro malgrado.
Fase
finale: I militari vengono dispiegati sui territori, le libertà individuali
vengono praticamente azzerate. L'economia viene congelata e le Banche Centrali,
all'unisono, con la Federal Reserve in capofila, iniziano la creazione
monetaria più insensata della storia del mondo, iniettando liquidità creata dal
nulla direttamente nei conti reciproci con le banche commerciali, nelle grandi
corporation, nei gestori dei fondi e anche direttamente al Tesoro, continuando
a comprare titoli di Stato.
Nel pieno della crisi economica dovuta
alle misure adottate per il Covid, viene scatenata anche una guerra
civile interna agli Stati Uniti
sfruttando e fomentando l'odio razziale. Nel caos generalizzato, con gli Stati Uniti non più
uniti, ma divisi come non mai, la Cina sembra uscire trionfante e questo fa veramente presagire un disegno della fine di un'epoca, quella americana
e l'inizio di un nuovo mondo dominato dalla Cina. A questo punto abbiamo
possiamo dire di avere quindi
un disegno molto verosimile
che inizia con un problema economico globale estremamente drammatico che
bisogna affrontare in modo urgente e concertato. Il mondo globalizzato si
riunisce e si accorda su come gestire questa situazione.
Per capire bene l'importanza che ha il mondo finanziario
sul mondo reale,
bisognerebbe avere un'educazione almeno basilare di come funzionano le banche, il denaro, i
commerci, i mercati valutari, le compensazioni tra banche, mercati e nazioni, gli arbitraggi e il sistema
bancario ombra con la realtà
intricatissima del mondo dei derivati e dei derivati OTC.”
“Ma che cosa sono i derivati?” Ho chiesto io.
“Lo strumento derivato in finanza è un titolo (security) che deriva (da cui il suo nome) il proprio valore da un altro
asset
finanziario oppure da un indice (ad esempio,
azioni, indici finanziari, valute, tassi d'interesse o anche materie prime), detto
sottostante.
Gli utilizzi
principali degli strumenti
derivati sono la copertura da un rischio
finanziario (detta hedging), l'arbitraggio (ossia
l'acquisto di un prodotto in un mercato e la sua vendita in un altro mercato) e
la speculazione.
Le
variabili alla base della quotazione dei titoli derivati sono dette attività
sottostanti e possono
avere diversa natura: può trattarsi
di azioni, di obbligazioni, indici finanziari, di commodity come il petrolio o anche di un
altro derivato, ma esistono derivati basati sulle più diverse variabili -
perfino sulla quantità di neve caduta in una determinata zona, o sulle
precipitazioni in genere.
I derivati
sono oggetto di contrattazione in molti mercati
finanziari,
e soprattutto in mercati al di fuori dei centri borsistici ufficiali,
ossia in mercati alternativi alle borse vere e
proprie, detti over the
counter (OTC).
Il
derivato è un prodotto finanziario caratterizzato da uno spiccato
livello di complessità, solitamente adatto ad un investitore competente, dotato di alta propensione al rischio
consapevole e, soprattutto, informato dei complicati meccanismi contrattuali
alla base del funzionamento dello strumento.”
Dopo questa
spiegazione ci capivo
anche meno di
prima, gli altri giocavano e non dicevano niente. Zino imperterrito continuava:
“Comunque già aver visto
e capito il film Una Poltrona per Due dà un’idea di come
funzioni il sistema.
Il
mondo è tutto collegato. Non c'è niente che possa avvenire in una parte del
mondo senza avere ripercussioni da un'altra parte. Quando si creano degli
squilibri, bisogna intervenire per aggiustarli. Quando gli squilibri sono talmente
giganteschi da compromettere l'esistenza stessa del mondo
economico che conosciamo, allora le misure da adottare assumeranno una
dimensione proporzionale al problema.
Nel
settembre 2019 stava per esplodere l'intero sistema economico. La Banca
Regolamenti Internazionali, ha lanciato l'allarme e i paesi del mondo, tutti
avviluppati l'un l'altro in un abbraccio economico controparte, hanno
accettato, tutti insieme, di adottare le misure prescritte. La prescrizione è:
BISOGNA CONGELARE L'ECONOMIA!
Perché bisogna congelare l'economia?
In
un mondo super indebitato, dove i debiti sorreggono le scommesse nel mondo finanziario, dove le scommesse si basano sul fatto che i tassi siano vicini o pari a zero, non si
può far sì che i tassi d'interesse possano salire. Se i tassi salgono, diminuisce il valore del nominale dato a garanzia
e si innesca la reazione a catena delle margin call.”
“Aspetta, che sono queste ultime margincol’?”
“Margin Call? Nel mercato
finanziario spesso quando si
compra un titolo l'acquirente non fornisce il completo valore del titolo ma solo una quota (per esempio il 10% del valore) e il denaro rimanente viene
fornito tramite un finanziamento bancario. Se però il titolo si deprezza sotto
la soglia di denaro fornita dall'acquirente (nell'esempio il 10%) il broker
vende il titolo.
L'acquirente perde il capitale investito ma il finanziamento
bancario viene ripagato. Il termine
margin call si riferisce alla chiamata ("call") che il broker una volta effettuava per comunicare al cliente che il
proprio margine ("margin") è stato azzerato e che quindi o reintegra
subito il margine con nuovo capitale oppure il broker avrebbe venduto il titolo
in perdita. Oramai queste chiamate non vengono più eseguite dato che è tutto
informatizzato, ma il termine è rimasto.”
Anche questa spiegazione, giocando
a carte e bevendo vino non mi aveva aiutato molto. Ma Zino non si è fermato.
“Questo evento
sarebbe cataclismico per le banche,
gli hedge fund, i fondi pensione
e tutto il mercato dei titoli di stato.”
Qui, visto il mio sguardo ha spiegato:
“Hedge
Fund: sono fondi di investimento molto aggressivi, per facoltosi
investitori che amano il rischio. Vengono gestiti da professionisti
senza vincoli di mandato.
Fondi Pensione:
fondi che raccolgono il risparmio dei cittadini che
vogliono farsi una pensione privata. Investono prevalentemente in Titoli di Stato.
Titoli
di Stato : quelli italiani si
chiamano BOT, BTP, CCT. Quelli tedeschi Bund. Quelli
americani Tresory. Sono quei titoli
che se aumentano i tassi di interesse crollano
di valore. Basta l'1% di tasso
in più per farli scendere del 10% . Sono titoli posseduti
da tutti . Banche,
Fondi , Risparmiatori , Fondi pensione. Le banche li usano
come garanzia per fare altri prestiti! Questo è il motivo che costringe le banche centrali a
mantenere bassi i tassi di interesse. Se
crollano di valore le banche falliscono come birilli.
Per disinnescare la reazione a catena, l'unico
sistema possibile è quello di
iniettarci dentro la tutta la liquidità necessaria. In un mondo in cui la gente
fa fatica ad arrivare
a fine mese, è difficile
giustificare la semplicità con cui una banca centrale digita dei bit sul pc e
crea soldi in modo illimitato. Se la gente capisse questa cosa direbbe: "se è così facile,
perché non dà i soldi direttamente a noi?”
Questo
modo di ragionare mette in luce la grande ingenuità delle persone. La gente crede che le decisioni dei potenti vangano prese per il bene
delle persone, mentre quella è l'ultima delle loro preoccupazioni. Le decisioni
vengono prese per conservare la solidità della piramide di potere. Il potere,
avendo tutti bisogno di soldi per sopravvivere, è ben saldo nelle mani di chi
detiene il monopolio di creare i soldi, ovvero le banche che sono un cartello.
Lo slogan
"andrà tutto bene" messo sulla bocca dei fessi in tutto il mondo, voleva dire:
andrà bene a noi, non a voi, poveri imbecilli!”
Ed ecco Ezri di nuovo e per niente
a sproposito: Coloro che investono
monete sonanti su realtà incerte e truffaldine, un giorno ci porteranno via i
nostri risparmi sudati e guadagnati col lavoro onesto di una vita, vecchio detto Polacco. Intorno, all’unisono, lo hanno
ignorato in maniera totale.
“L'economia è stata quindi
congelata per consentire alle banche centrali di creare migliaia di miliardi di nuovo
debito e non creare inflazione. (l’inflazione danneggia il creditore - la banca
- e favorisce il debitore, quindi non deve accadere) Si pensa erroneamente che
l'inflazione sia l'aumento dei prezzi, ma l'aumento dei prezzi è soltanto la
conseguenza dell'inflazione.
Inflazione
vuol dire espansione: l'espansione della massa monetaria. Se le banche creano
nuovi trilioni di dollari, inflazionano l'economia di nuova moneta
disponibile. Se questa
moneta inizia a circolare, ad esempio, se c'è esuberanza economica, allora si crea inflazione, in modo proporzionale alla
massa di nuova moneta messa in circolo. Quando questo accade, le banche
hanno un solo modo per intervenire: alzare
i tassi per drenare la
liquidità. Ma adesso questo è impossibile, perché se si alzano i tassi si
innesca l'esplosione delle margin call sui REPO con operazioni di durata
brevissima allo scopo di ottenere liquidità istantanea per le ragioni legate
soprattutto al rischio controparte che scaturisce da operazioni altamente
speculative nel mercato dei derivati.)
e scoppia tutto.
(REPO In pratica sono operazioni di pronti contro-termine con cui le banche e i maggiori
operatori economici si
scambiano asset (principalmente titoli di
stato)
Con
il termine “asset”, la cui traduzione
effettiva è “attività”, si fa riferimento ad
attività
finanziarie su cui è
possibile mettere in atto un investimento nell’ottica di conseguire un
rendimento del capitale compatibilmente con i diversi
livelli di rischio
associati.
L'unica altra
opzione per creare
liquidità e impedire
che circoli è quella
di bloccare l'economia, guadagnando tempo
prezioso per intervenire là dove ci sono le falle,
cercando di tapparle una ad
una gettandoci sopra palate di soldi.
Ecco la verità di tutta questa
triste vicenda dove ci hanno raccontato di tutto, tranne che il
vero nocciolo della questione è quello economico, come sempre. Come in tutte le guerre e in tutte le cose che
accadono: l'incipit è sempre economico.
Tutto
risulta di più facile comprensione una volta preso atto che le persone, nel
mondo, sono gestite come un gregge di pecore.
Ci fanno fare quello che torna utile a loro. Le persone che ce lo impongono, i
governanti visibili e le teste parlanti della
TV, sono solo i cani da pastore.
I mandriani sono le banche,
proprietarie dei soldi e quindi di
tutto il resto.”
Ezri
si è alzato e ha detto: Se la famiglia è
come una pentola, la mamma è come un coperchio, antico detto Giudeo. Stavo per chiedere
la differenza tra Giudeo, Ebreo ed Israeliano, ma Zino è ripartito.
“Il
sistema economico globale è basato sul debito e per sua natura genera squilibri
che con il tempo divengono esponenziali. Un modo di intervento diffuso era
quello di organizzare guerre e dare origine a quello che Schumpeter definì
"distruzione creativa." Adesso è più difficile fare le guerre perché
mancano gli ideali e i giovani, col fisico da Nintendo, non sono più adatti.
Allora è stata scelta una strategia più trasversale. Quella della minaccia di
un virus invisibile con cui tutti gli stati sono obbligati a combattere,
indebolendosi e indebitandosi. Sul campo di battaglia restano aziende,
controllo delle risorse, devastazione e il potere si consolida in sempre meno
mani.
Non sono mancati neanche i militari sul campo a dare credibilità
a tutta la messa in scena, mentre i media all'unisono ripetevano come un disco
rotto: "siamo in guerra contro il virus".
Ezri allora
si è alzato e ha detto una cosa che aveva a che
fare con le parole di Zino, seppur indirettamente: L’uomo che scommette i suoi soldi,
senza lamentarsi dovrà sentirsi pronto anche a perderli tutti, detto Lettone. E si
è seduto di nuovo circondato dall’indifferenza.
“È
tutto collegato. E il collante che unisce tutto è il denaro. Siamo
tutti dentro al gioco. Come un grande
gioco del Monopoli. Quando giochiamo a Monopoli, sappiamo benissimo che
i soldi che usiamo sono finti. Quello che ha valore sono le nostre emozioni che
nascono durante lo svolgimento, mentre giochiamo. Imprevisti, probabilità,
case, alberghi, ferrovie.
Sono le nostre
emozioni a dare
valore a tutto ciò. Quella è la moneta autentica con cui paghiamo per stare al
gioco.”
Alla
fine credo non lo ascoltasse nessuno, ma intanto si giocava e ho perso come
avrei dovuto e potuto, quasi 4 euri. Ezri quando
sono uscito mi ha salutato
con un inchino e indicando Zino mi ha sussurrato: che viva sano e in grazia del
suo Iddio, perché
il mio non credo che lo conosca.
A
casa mi sono riascoltato questo panettone indigesto fuori stagione e ho capito
che aveva una sua logica, se era tutto vero non lo sapevo, ma Annibale aveva
sempre detto che Zino era omo ferrato coi
soldi e che faceva investimenti piuttosto
complicati, ma anche
assai fruttuosi. In più c’erano registrati tutti i detti
di Ezri, che mi sarebbero potuti tornare utili in varie occasioni. Perché la sua maniera di parlare mi ricordava quella di mia madre, donna italiana, ma anche lei ebrea di famiglia.
Pardona giovedì 4 aprile 2024
ZIO ITHAMAR E I SOGNI
Un corpo stanco sotto, non può pretendere un cervello perspicace sopra.
Gennaro Grun (Perché la vita insiste nel farci degli scherzi)
Non
mi piacciono gli orologi, i calendari e tutto quello che ne deriva. I numeri
sono necessari, le date meno. Questo diario non riporterà precisi riferimenti
di tempo, forse non si può nemmeno chiamare diario, ma a pensarci bene non c’è neanche
bisogno di chiamarlo, probabilmente non lo leggerà mai nessuno.
Piano-piano
ho ricominciato a scrivere cose più lunghe, è inutile farlo quando sei troppo
esausto, non viene bene, anzi non viene proprio. Ogni tanto scrivo anche
racconti per bambini, forse non li leggeranno, ma intanto io li scrivo. Per
divertimento. Ho notato che quando scrivo mi diverto di più che quando leggo,
perché decido io cosa succederà, naturalmente scrivere necessita di maggiore
energia e quando sono molto stanco più facilmente leggo.
Spesso
dialogo a colpi di penna Bic con Ithamar Modigliano, uno trai maggiori filosofi contemporanei che io abbia
mai conosciuto, uno zio da parte di madre sui centoventi chili, pressoché immobile
a livello di corpo, ma assai frizzantino nel pensiero.
Lui trova
sempre un significato a quello che scrivo. Non è che Ithamar non sia un po’ fuori di
testa, lo è però in maniera piacevole, e nel suo lavoro è capace, ma non ha una
vita sua scissa dalla psicanalisi e purtroppo o per fortuna vive di fantasie,
occasionalmente anche piene di realtà, ma pur sempre virtuale. Da quale pulpito
viene la predica, però?
“Ho
fatto un sogno strano qualche tempo fa, cioè strani sono tutti, ma secondo te perché
nei miei sogni di ora ci sono solo animali?
Ci deve essere un significato simbolico, non ti pare?” Gli dico.
“Forse…” Mi risponde distrattamente.
“Certo, Annibale
è stato qui tutto il giorno per aiutarmi a fare le vasche per allevare i pesci.
Guarda coincidenza mi sono sognato pesci, assemblee di pesci che dovevano
decidere, come esseri umani, su quello che era bene e quello che era male.”
“Ammettiamolo pure, ma andiamoci piano con le teorie
fantastiche e romantiche, però. La
scienza ci dice che sono del tutto prive di fondamento
queste credenze che attribuiscono ai sogni capacità divinatorie. Sognarsi una
cosa, qualsiasi cosa e poi constatare in seguito il suo verificarsi nella vita
reale è una roba sconcertante che può essere facilmente scambiata per
paranormale. Però, se noi ci mettiamo a
esaminare attentamente e
obiettivamente il fenomeno si ridimensiona e
la straordinarietà del
fenomeno se ne scappa. Ogni notte i 6 miliardi di persone che popolano la Terra
sognano per più di un’ora, un numero spaventoso di sogni…”
“Aspetta,
bloccati un attimo. Io non ti ho ancora raccontato il sogno…”
“E raccontamelo allora!”
“Nel lago d’Isola Vecchia anni fa, con il cambiamento
climatico in atto, fu possibile aggiungere le carpe, alle già esistenti
trote, ma chi lo fece non sapeva che così avrebbe
generato un conflitto tra i due branchi più facoltosi, anche se c’erano
già altri pesci meno importanti e di contorno. Le carpe
vivevano in fiumi, laghi, acqua corrente e ferma, pulita o torbida, pianura e montagna, si adattavano meglio quindi
ed erano anche più grosse delle trote, ma non mangiavano altri pesci, le trote invece
sì. Va bene: laghi, fiumi e ruscelli,
ma di montagna, o anche di pianura ma le acque dovevano
essere fredde e cristalline per le trote.
Dopo un’assemblea con i dirigenti dei due gruppi, alle carpe fu dato il fondo del lago e alle trote la superficie, ma a primavera le carpe volevano
stare anche in superficie e allora si divise il lago tra a monte e a valle, le carpe vicino
alla diga e le trote nella parte più stretta.
Anche così non funzionò, forse perché
le trote erano abituate ad avere tutto lo spazio per loro.
La carpa più sveglia fece un discorso
esortando le trote ad adattarsi, come del resto fanno tutti i pesci, ma non
solo, anche gli altri animali, perfino l’uomo. Loro per esempio, le carpe
avevano convissuto e continuavano a convivere con i Lucci, che non sono tanto
amichevoli e che ti mangiano le carpette giovani per dessert. Una carpa
politica disse che sugli altri pianeti non lo sapeva, ma che sulla terra ci
voleva molta pazienza. Dalle altre parti, figurarsi che l’acqua scarseggiava
più che sulla terra. Le carpe risero e applaudirono con le pinne pettorali, i
cavedani quasi tutti e perfino le rovelle e le alborelle, qualche anguilla, ma
le trote no. La carpa saggia disse che loro si sentivano più importanti perché
erano arrivate prima, erano più difficili da pescare, per gli uomini poi la
loro carne era più pregiata e quindi più costosa, la trota la mangiavano anche
al ristorante, tutti gli altri pesci di acqua dolce no, meno di tutti la carpa.
Però la carpa si adatta meglio alle temperature, mangia di tutto e se quindi,
qualcuno avesse sentito parlare di Darwin, allora capirebbe che è meglio della
trota, perché il clima cambia e con esso le condizioni di vita e chi non sa
adattarsi muore.
Tra gli avannotti di carpa però, a suo tempo e per sbaglio c’erano anche dei
siluri che appena cresciuti iniziarono a mangiarsi tutto e tutti, senza
distinzioni di classe. Per via del solito cambiamento climatico anche i cormorani arrivarono al lago e si mangiarono tutti i pesci piccoli.
Alla fine rimasero i
siluri e i cormorani,
ma visto che i siluri
divoravano anche i cormorani
e quest’ultimi non avevano più niente da mangiare, se ne andarono. I siluri cominciarono allora a
mangiarsi tra di loro.”
Alla fine le
dotte carpe buonanima avevano ragione,
ma se le trote avessero cambiato il loro comportamento non sarebbe
successo niente di significativo. L’uomo come al solito aveva fatto dei guai
con la sua indifferenza e ignoranza, alla fine non era stato utile nemmeno a sé stesso, anzi era stato dannoso. Nonostante
questo continuava a violentare la natura a proprio vantaggio, ma il suo vantaggio
prima o poi sarebbe terminato. E poi la colpa non era sua, la natura rinnova
sempre sé stessa e il tempo era già scaduto.
“No. Anche
la teoria delle informazioni nascoste, citata prima, può
contribuire a spiegare certi sogni premonitori. Può, infatti, accadere che un
soggetto percepisca delle informazioni senza rendersene conto (ad esempio,
vedendo una persona percepisce il suo cattivo stato di salute).
Durante
il sogno queste informazioni possono
riaffiorare (per continuare l’esempio, si può sognare che quella persona si
ammali) e ciò che si sogna ha una certa probabilità di accadere realmente (la
persona si ammala). Infine va fatta un’ulteriore
considerazione. Di solito
i sogni si ricordano con difficoltà.
Di conseguenza capita spesso che ognuno di noi, in perfetta
buona fede e del tutto inconsapevolmente, aggiusti a posteriori il ricordo del
sogno per farlo combaciare con qualche episodio realmente accadutoci.”
In
quei giorni il dualismo trote–carpe era stato l’argomento reale di
conversazione, come faceva il mio sogno a non dipendere da questo particolare
insistente?
Quando
Ithamar si metteva a parlare di cose tecniche adottava un linguaggio tecnico,
faceva un po’ schifo, ma se
lo volevi era così, se non lo volevi era così lo stesso. Insisteva che i sogni non abbiano
necessariamente qualcosa a
che fare con quello che stai facendo in quel periodo. Lo mandai debitamente
affanculo, mi pareva proprio che lì un implicito sovrastasse l’esplicito.
Pardona sabato 6 agosto
2024
CHEDVA LA CIECA
Il timore di essere
sopraffatti e distrutti da orde barbariche è vecchio come la storia
della civiltà. Immagini di
desertificazione, di giardini saccheggiati da nomadi e di palazzi in
sfacelo, nei quali pascolano le greggi, sono ricorrenti nella letteratura della
decadenza dall'antichità fino
ai giorni nostri.
(W. Schivelbush)
Mia
madre Chedva Modigliano, che per semplicità in Venezuela chiamavano tutti Cica,
ma là lo scrivevano Chica, mi aveva raccontato che lì a Pardona all’inizio
dell’estate c’erano tantissime lucciole. Invece io ne avevo vista una sola, dentro
casa, una femmina,
che assomiglia di più a un bruco a scaglie e fa una luce simile giallo-verdolina,
ma senza intermittenza. Annibale mi ha confermato che una volta ce ne
erano tante, di lucciole maschio, ma probabilmente l’inquinamento le aveva
fatte sparire. Pensai che anche mia madre
si illuminava in maniera più continua
di mio padre, anche loro si assomigliavano poco.
Mia madre era di famiglia ebrea,
mi hanno detto
che veniva da Pitigliano,
dove c’era una comunità abbastanza grande tempo fa. Ha vissuto
qualche anno a Pardona e qui i suoi genitori sono morti, prima di
conoscere mio padre, poi emigrare
in Venezuela. Tra gli ebrei i matrimoni
con gente non ebrea, i cosiddetti Goy o
Gentili, non erano tanto comuni, oggi forse lo sono di più.
Oltre
a questo, se vogliamo, Cica è stata una cieca per due motivi. Uno lo abbiamo
già detto, a suo tempo quello della riproduzione delle anguille, le cieche tornano
verso casa e non si sa come facciano. L’altro è perché non si è mai accorta di
chi fosse mio padre, o forse si è resa conto solo quando era troppo tardi.
Quando
converso con lei non posso dire tante cose, bisogna mantenersi sul neutro,
alla fine però confesso ogni misfatto, o quasi. Mi fa piacere
parlarci, perché quando
era viva non ci parlavo mai, cioè si dicevano le cose necessarie alla routine giornaliera della
convivenza, ma raccontarle qualcosa non mi è mai riuscito.
“Sei tutto sudato!” Comincia lei come da copione.
“Sì
mamma, in Venezuela era impossibile non sudare, con un clima caldo e umido,
equatoriale come quello, ma qui è un po’ meglio, è più asciutto e fresco,
comunque ora faccio il bagno e mi vesto tutto ammodino, come se andassi in sinagoga. Sei contenta?
Ti
stavo raccontando che nelle notti di vento e burrasca là dentro il metato
mi sentivo veramente
bene, tranquillo, al sicuro, come quando ero bambino e mi
sentivo protetto da voi genitori.
Misi su le galline,
un po’ alla volta, facevo un po’ di orto libero,
senza curarmi troppo delle erbacce, coltivavo un po’ di tutto, seguendo i miei
gusti, i manuali per quello che si poteva fare qui, che non era certo tutto
quello che esisteva al mondo.”
“Tu
hai sempre lavorato in città, che Iddio ti conservi sano, ma queste cose dove
le hai imparate?”
“Sui
manuali e poi qui in simultanea pratica, te l’ho detto ora, non ti distrarre,
quando parli con qualcuno guardalo in faccia, magari.
Poi
c’era il mio amico Annibale
che m’insegnava un sacco di trucchetti
campagnoli, e anche sua moglie Ivalda, loro avevano sempre vissuto
in mezzo ai campi. Intanto stavo abituandomi a fare a meno del pane, mi piaceva
e anche assai, ma sarebbe stato troppo complicato da produrre senza comprare
niente. Andavo sempre meno in paese, Annibale veniva qualche volta, sempre più
rara, ma le sue gambe erano, ogni giorno in più, troppo ballerine.
Ero
ancora forte e mi sentivo piuttosto in forma, ma la mia età era già avanzata.
Alla fine del terzo anno di ritiro ormai ero autosufficiente e le pandemie che
erano scoppiate e terminate, ritornate e andate via di nuovo erano state diverse, secondo la radio, avevo perso il conto.
Intanto
ero diventato pressoché un eremita felice e avevo rinunciato a scendere a
valle. Figurarsi che l’ultima volta, attorno alla mia Panda arrugginita, nel piccolo posteggio del paese,
avevo notato che era cresciuta l’erba alta.”
“Sempre macchine brutte e scassate hai avuto!”
“Sì,
costavano meno e l’importante non era la bellezza, per me, ma che
funzionassero.”
“Ma quelle
si rompevano sempre!”
“Ogni
tanto, le macchine usate hanno questa caratteristica, non voglio dire che sia un vantaggio.”
“Allora
il tuo risparmio nel comprarle lo pagavi con gli interessi.”
“Va bene mamma. Smetti
di pensare ai soldi. Considera che finalmente il denaro e la
macchina non mi servivano più, ero diventato quasi autonomo e autarchico!”
“Senza
soldi? Ma com’è possibile?”
“Un po’ di pazienza. Lasciami raccontare, ora ti spiego tutto: passò un bel po’ di tempo, forse troppo, senza scendere a Pardona e non che ne avessi sentito la mancanza, solo che sul mare non vedevo più navi e sull’autostrada là sotto, qualche chilometro in basso, non passavano più automobili né camion.
Anche
con il cannocchiale non vedevo più niente in giro, niente aerei nel cielo, né
sentivo più rumori che non fossero
di animali nel bosco e di uccelli
sugli alberi. La radio non è
che la ascoltassi tutti i giorni, ma in precedenza non aveva dichiarato
avvenimenti speciali, la solita routine di epidemie, o pandemie che fossero.
Poi,
di punto in bianco, le trasmissioni erano finite.”
“No! E che era successo?”
“Se hai pazienza un attimo... pensavo che la morte potesse finalmente toglierti
tutta quest’ansia, invece no. Ora te lo racconto: andando al paese incontrai muli
che giravano liberi, galline e animali da cortile che circolavano senza persone
intorno, nessuno. Incontrai i primi cadaveri putrefatti, mangiati dagli animali
e consumati dalle intemperie, tanti corvi e uccelli in generale, topi e tarponi
vivaci e quasi ammiccanti, parevano sorpresi di vedermi, forse mi consideravano
già come potenziale cibo.
Impossibile
non notare eserciti di formiche in movimento, blatte e insetti a profusione, di
ogni tipo e grandezza, finalmente liberi dai vari ed eventuali veleni. Gatti e
cani andavano su e giù, in disperata ricerca di mangiare, non c’erano più
abituati a doverselo trovare da soli.
Avevo più volte pensato che ci sarebbe stata di nuovo una
guerra mondiale, per come stavano andando le cose in giro, sarebbe stata solo
una questione di tempo.
Invece
no, peggio ancora.”
“Eri rimasto solo sulla terra?”
“No, sì… insomma non lo sapevo
ancora. Mi dispiaceva per tanta gente perbene che
era morta senza colpa. Io stesso mi ero salvato forse per caso, forse sì o forse no, ma almeno da tempo ero uscito dal
loro gioco.”
“Ma
esistevano altri sopravvissuti?
E
come si erano salvati?
E
se c’erano dov’erano?”
“Eh?”
“Finalmente sarai
stato contento, potevi
giocare da solo, con
i soldatini, come quando eri piccolo che non volevi
altri bambini, che erano ignoranti e facevano sparare i soldati romani
col mitragliatore!”
“Infatti, cioè no, non è stato così semplice, mamma.
Andai
in paese, da Annibale, la casa era chiusa, forse erano morti dentro, sfondai la
porta, dentro non c’era nessuno, nel frigo chiuso roba putrefatta, forse erano
stati ricoverati in ospedale quando le cose si erano fatte bige, o forse erano
vivi, erano solo scappati.
Il bar di Pierosky
era stato saccheggiato, qualcuno si era ubriacato per bene prima di morire.
C’era un grosso cadavere in putrefazione, mezzo spolpato, per terra vicino alla
scala per il suo appartamento sopra il bar, doveva essere lui.”
“Ma
era pericoloso, potevi contagiarti e morire anche te!”
“Infatti
mamma, all’inizio ho dovuto usare una mascherina, quando stavo vicino ai morti,
mi sa che non è mai servita a niente, come non era servita a loro, ma me la
sono messa, non si sa mai.”
“E dopo?”
“Dopo
piano-piano i morti si sono squagliati e io stavo più che altro al metato,
lontano da tutto e da tutti.”
“E non avevi sentito il puzzo dei cadaveri, prima?”
“No, cioè sì, ma poteva essere
anche un cinghiale
morto, era già successo, e poi di solito il vento veniva dalle montagne
o dal mare, dalle parti non abitate.”
“E gli animali non erano infetti?”
“No,
questo era stato comune anche a tutte le pandemie precedenti, gli animali se ne
erano sempre fregati. Pensai però che qualche essere umano ci doveva ancora essere in giro,
che camminasse con le proprie gambe, in cerca di roba da mangiare, di sicurezza
e di conforto perduti.
Presto
o tardi mi sarebbe toccato di difendermi da quei gruppi di feroci affamati tipo
film dei sopravvissuti. Quando il mangiare attorno sarebbe finito mi avrebbero trovato
anche nascosto com’ero, ne
ero convinto.
Pensai che a giudicare dalle bestie a passeggio, loro non erano
state contagiate nemmeno
stavolta, non ne avevo vista morta in giro nessuna,
allora avevo un certo lasso di tempo di vantaggio, diversi mesi ancora
per prepararmi. E di vegetali in giro ce ne dovevano essere in abbondanza ancora, poi cibo confenzionato non scaduto. Prima di tutto una jeep, e c’era l’imbarazzo della scelta, già
qui in paese, ci voleva
un fuoristrada con i controcazzi, naturalmente con licenza parlando.
Me ne scelsi
una assai infangata, tu non avresti certo approvato, ma era in buone
condizioni, con le chiavi infilate nel cruscotto. Dunque me ne andai in giro
per cercare la benzina, poi mi accorsi che era a gasolio, c’era scritto vicino
al tappo del serbatoio. Là sotto era uno sfacelo di cadaveri e di mezzi di
trasporto abbandonati, però in relativo ordine, la gente era morta ma non
improvvisamente, non per strada, la maggior parte, forse negli ospedali, o a
casa. Insomma si passava abbastanza bene senza bisogno di dover spostare
oggetti o cose peggiori. A parte il volo di migliaia di mosche c’era un
silenzio irreale, mai sentito tanto tutto insieme e così insistito, nemmeno
nella giungla amazzonica.
Al
secondo distributore di benzina
trovai anche grosse
taniche e riempii tutto, due anche di benzina che mi
sarebbe servita per accendere il fuoco o per l’eventuale difesa estrema, non si
sapeva mai.
Non
vidi nessun essere umano vivo, solo animali e anche allo sbando, troppo
abituati come erano a essere cibati dai rispettivi padroni, prematuramente e
inopinatamente schiantati. Pecore e vacche sperse mi fecero venire
l’idea di portarmene qualcuna su, mi ci voleva un rimorchio e non fu facile
trovarne uno, ma in pochi giorni di lavoro
avevo reclutato e trasportato quattro
pecore e un montone, due mucche e un toro, il latte mi avrebbe fatto
comodo e dovevo anche pensare alla riproduzione.
Stavo
già costruendo i loro recinti, una capanna per l’inverno e le nostre
prossime notti fredde.
Riuscii a trovare dei cavalli, per girare attorno
erano meglio della jeep, almeno potevo caricarli dei pesi più leggeri fino a
casa, avevo già preso anche due muli per portare i carichi.
La mia mandria era sempre più numerosa
e aumentava anche il mio lavoro
quotidiano per dargli
da mangiare. Per fortuna
la maggior parte si accontentava di pascolare intorno e d’inverno un po’ di paglia stagionata bastava a farli felici.”
Naturalmente
del mio secondo lavoro mia madre non ha
mai saputo niente, anche nei miei dialoghi virtuali non gliene parlo, non si sa
mai.
Pardona lunedì 30 ottobre 2024
ZIA YAEL
La libertà è quel bene che ti fa godere di ogni altro bene. (Montesquieu)
Un ulteriore incontro virtuale è la conversazione con zia Yael, sorella
più giovane di mia madre e di Ithamar, tutti da
tempo defunti. Con lei ho sempre potuto parlare di tutto, perfino della ricerca dell’assoluto relativo:
“Ho notato che nella vita ci sono dei problemi, che al di fuori di questo ambiente, diciamo fuori
dalla vita, non si presentano.”
“Quindi?”
“Quindi togliendo
la vita si evitano tutti questi problemi, diciamo, tutta una serie di
problemi se ne va. Sparisce.”
“E allora?”
“Ecco
l’utilità di un killer. Una tra le altre che abbiamo già citato.”
“Ne abbiamo già parlato?”
“Sì, in un certo
senso, diciamo.”
“Rinfrescami
la memoria.”
“Beh, oltre all’ovvio vantaggio materiale per il killer, che se ne esce più danaroso, diciamo, c’è
il fatto che uscito da quell’ambiente il prematuramente defunto non deve più
pagare le bollette, scappare dai creditori, diciamo,
non deve sottostare a tutte quelle assurde regole che la vita impone,
se ne va da questa valle di lacrime e chi s’è visto s’è visto.”
“Bravo. Non fa una piega. Forse il prematuro
non è d’accordo, ma in fondo
basta non chiederglielo.”
“E poi
c’è la ricerca dell’assoluto relativo, non
dimentichiamocelo.”
“Me lo sono già dimenticato.”
“Non
ci credo.”
“Giuro.”
“Sei una bugiardona, ma te lo riassumo subito lo stesso: sarebbe come dire l’imperfetto
perfetto. La ricerca dell’assoluto relativo, è già in sé un controsenso, eppure
un’esigenza tipicamente umana, quella di cercare un’improbabile quanto
auspicata e stabile sicurezza. L’assoluto relativo è un interrogativo irrisolto e nascosto,
al quale nessuno di noi sfugge, per molti è la chiave di volta
dell’esistenza.
Quello
che noi vogliamo è qualcosa il più possibile perfetto, desiderio legittimo e
illegittimo allo stesso tempo, è bene intendersi, ma il fatto è che tutto
intorno ci pare tanto incompleto e mal funzionante, che lavoriamo quindi
incessantemente sulla base di un’idea complessa, quanto meravigliosa e sbagliata.”
“Per fortuna
non tutti vanno dietro a questo assoluto
improbabile. A pensarci è un
po’ scomodo, magari fa parte della storia dell’uomo?”
“E
la scomodità non ce l’ho certo messa io. C’era già quando sono arrivato. Insomma
io a quei tempi leggevo assai e scrivevo
in proporzione, a volte leggendo
mi veniva voglia di scrivere, ma quando scrivevo
assai - e mi divertivo a farlo - allora
non leggevo quasi
per niente.
Avevo iniziato a scrivere dei racconti
per i miei allievi, in Venezuela, tanto per
spiegare le regole
di grammatica e di sintassi, insieme al loro uso
corrente. Poi ci avevo preso gusto e alla fine mi ero immedesimato in quei corti viaggi
nel tempo e nello spazio, che mi ero dimenticato degli
allievi e delle regole. Mi si era aperta una porta nuova e un mondo
inesplorato. Poi ho letto da qualche parte che scrivere è un’attività altamente dissociativa e io non faccio altro
che dissociarmi, da quando
sono nato.”
“A intermittenza direi, ti piace anche associarti, ma vuoi scegliere
troppo forse con chi e alla fine resti solo.”
“Soli si sta bene assai.”
“Sì, ma in compagnia si sta meglio!”
“No.
Non è per tutti così.”
“Invece
sì, ma forse sei abituato a pensare troppo. A vivere dentro di te le tue
emozioni senza poterle comunicare a nessuno.”
“Forse.”
Mia
zia Yael è stata ricoverata in manicomio diverse volte, gli esaurimenti nervosi la distruggevano, poi riusciva a ritornare
in testa. Ogni volta, dopo, gli occhi sembrava che vagassero sempre al di sopra
della gente, ma alla fine a forza di medicine ed esaurimenti ci ha lasciato le
penne.
Il
suo debole forse è stata la combinazione di una grande intelligenza associata a
una sensibilità illimitata, si innamorava troppo e gli uomini la sfruttavano,
prendeva tutto per gioco e sul serio allo stesso tempo, era una contraddizione
vivente. Beveva, si drogava, viveva in un arcobaleno di realtà parallele. Però nei suoi momenti più
lucidi era acuta e osservatrice.
Per questo
mi garbava parlare
con lei, oltre a rappresentare una pazzia che io avevo
casualmente quanto abilmente evitato, sapeva notare le cose vere e profonde,
nelle sue non troppo rare parentesi positive, come nessun’altro.
“Però, da tempo hai semplificato il tuo modo di pensare, mi pare, cioè sei più abile a
lasciare da parte i pensieri negativi e scherzi di più sulle fatalità, sulle assurdità
del mondo, il paradosso qui sulla terra è all’ordine del giorno, perché
soffrire di questi eccessi, non possiamo divertirci?”
“Ecco, meno male zia che qualcuno
si è accorto dei miei
cambiamenti buoni e non solo di quelli cattivi!”
“Ho
detto solo che mi pareva!”
“Ma
hai confermato quello che volevo io, zia, non può essere un caso! Quando le
coincidenze coincidono troppo, allora non sono più coincidenze, me lo hai
insegnato te!”
Pardona sabato 11 gennaio 2025
MEGA ALBERTO SUPER NUTI
Quando a un uomo è negato il diritto di vivere la vita in cui crede, questi non ha altra scelta che diventare un fuorilegge.
(Nelson Mandela)
Il
mio migliore amico forse è stato Pieruccini Duilio, in arte Alberto
Nuti, cantante venezuelano tra i più famosi dell’epoca, magari ci siamo
frequentati poco, eppure
pareva che lo avessi conosciuto da sempre.
Poi
non era vero, perché ci siamo taciuti a vicenda le cose più importanti. Solo
dopo molto tempo, che ci scrivevamo lettere elettroniche, già lontani migliaia
di chilometri, ho saputo che era omosessuale, nel frattempo lui era morto
massacrato a colpi di machete in uno
di questi suoi convegni segreti, forse anche a pagamento.
Non
ci sono rimasto male perché era omosessuale, ma perché non me lo aveva mai detto e poi perché era morto,
ma prima o poi ognuno di noi va a vedere cosa c’è nell’altra stanza e magari il peggio è che non c’è proprio
niente di interessante. È solo la fine del gioco.
Un’altra cosa che avevamo
in comune era questa scarsa paura, sommata alla poca curiosità
di scoprire cosa c’è dopo.
Ci
siamo conosciuti a Maracaibo, anche lui era di famiglia italiana, ma senza
origini ebraiche. Mi avevano mandato ad ammazzarlo a dir la verità, ma io ho
capito subito che invece era una brava persona. Ne seguirono episodi di
guerriglia urbana e anche un po’ extraurbana e nella giungla equatoriale per
cui credetti che fosse meglio espatriare.
Partito
che me ne fui per il mondo circostante, poi ci siamo incontrati una volta a
Vienna, otto anni dopo, lui era lì per un concorso canoro internazionale dove
rappresentava il Venezuela. Mi pare che vinsero gli Abba, per la Svezia.
Mi
ha presentato anche Loretta Goggi, che difendeva il tricolore italiano, a
livello canzonettistico. Siamo rimasti sempre
in contatto, ci siamo scambiati
anni e anni di lettere, poi di
e-mail, dopo lui è morto ammazzato, ma non dai mandanti originari, perché
quelli li avevo eliminati io personalmente.
Alla fine siamo pari perché io non gli ho mai detto del mio mestiere numero due e del perché ero arrivato a casa sua, quel giorno. Non sono uno che mente bene, anzi, ma lui era uno piuttosto ingenuo da questo punto di vista e non mi ha mai sgamato. Dall’altro lato che lui fosse un po’ effemminato era impossibile pensarlo, forse per contrasto voleva fare il maschione anche oltre il necessario.
Gli
piacevano assai gli animali, viveva da solo con una specie di zoo in casa,
aveva due cani così piccoli che sembravano topi. Forse dei Chihuahua a pelo lungo,
se mai ne esistessero, lui
diceva che erano bastardi, ma il vero bastardo invece era proprio lui, nel
senso buono del termine. Un pazzo, sempre di buonumore, simpaticissimo ma senza
il senso del pericolo.
“Insomma
ti trovi bene, là da solo come un cane e con una miriade di cani a farti
compagnia?” Dice lui.
“Benissimo, il cane è il miglior
amico dell’uomo e anche
se l’uomo non è il miglior amico del cane, loro non me lo
fanno pesare.” Rispondo
io.
“E come passi il tuo tempo?”
“Di
lavoro qui ce n’è tanto e più aumentano gli animali attorno e più lavoro c’è
per me, in più c’è anche l’orto, mangiare tanta verdura
fa bene, la manutenzione della casa
e degli impianti delle vasche delle carpe, insomma la sera sono stanco morto.”
“Ma non hai nessuno
con cui parlare…”
“No,
cioè sì, io con loro ci parlo, loro non mi rispondono a parole, ma con i gesti, i fatti, capiscono tutto e sono molto più sensibili degli esseri umani,
cosiddetti, se lo vuoi sapere.”
“Ah
sì? Fammi qualche esempio.” Gli piaceva sempre fare l’avvocato del diavolo,
se tu avevi un’opinione lui, che
aveva la stessa, fingeva sempre
di essere estremamente contrario.
“Beh,
quando sono triste, loro lo sentono subito, si avvicinano e mi grattano con la zampa, le orecchie basse e guaiscono piano-piano. Si sdraiano vicino a me, in modo da
sentire il contatto corporeo.”
“Tutti loro?”
“No,
solo alcuni, dipende, ognuno ha le sue caratteristiche.”
“Non sono come gli esseri umani,
per fortuna.”
“In
che senso?”
“Noi
esseri umani siamo sempre distratti da qualcosa che non conta, come il futuro
sempre diverso da quello che volevamo nel passato, e ci
dimentichiamo che il presente è molto più importante.”
“In effetti…”
“E poi i soldi!
Lo sai che gli animali
non hanno i dannati
soldi a rompere le scatole,
ma non sanno che fortuna che hanno!”
“Eh no!”
“Allora qualche
volta sei anche triste? Non te ne credevo capace.”
“Certo,
figurati, ma se ne accorgono solo i cani, penso che cambiamo di odore, quando
siamo tristi, ma per gli esseri umani la mia faccia e il mio comportamento non
cambiano, quindi non se ne accorgono, meglio così.”
“Pietro Rodolfo,
scusa ma io sono venuto qui oggi a dirti che so tutto, e so anche che tu sai
di me.”
“Tutto?”
“Tuttino.”
“Allora dimmi
chi ti ha ammazzato!”
“Nessuno, cioè nessuno che avesse a che fare con i boss
con i quali ti sei messo a fare la guerra.”
“Beh,
questo mi conforta, in un certo senso… e perché non mi hai detto che eri omosessuale?”
“Debolezza
femminile, tutto qui, il mondo è assurdo, cioè il mondo no, la gente è assurda,
a cominciare da noi stessi. Tu hai massacrato un numero enorme di persone,
anche se erano banditi erano sempre persone, sei dovuto scappare prima che ti
scuoiassero e lo hai fatto generosamente solo per salvarmi, non mi conoscevi
neanche… e io ho buttato tutto dalla finestra.”
“Va
bene, ma tu non sapevi quello che era successo…”
“No, ma pensi che avrebbe cambiato
qualcosa? Credi che
il mio istinto selvaggio si sarebbe lasciato
ingabbiare da una tragedia
gigante, sì, ma che io non avevo né visto né sentito?”
Pardona lunedì 20 marzo 2025
CRITICA CINEMATOGRAFICA
La vita è come un film, ma i film non dovrebbero raccontare proprio la vita?
Wolfgang
Paciocco
(Facciamoci una Sana Mente Locale)
I film ora non li posso più vedere, ma ogni tanto ci penso e me li rivedo sul telone là dietro i miei occhi, a volte li discuto con Dundee, una delle mie due quasi donne ideali, sottolineando il quasi, che dopo alcuni mesi mi ha debitamente mandato affanculo, oppure io ci ho mandato lei, non l’ho mai capito, forse neanche lei. Una francese insomma con il nome di una città scozzese, secondo lei erroneamente i genitori avevano pensato che Dundee in inglese si pronunciava come Dandy, magari gli faceva tenerezza, che ne so?
Mi chiedo se sia ancora viva, da qualche parte, probabilmente no, dal punto di vista
dei virus era troppo socievole e se ne stava costantemente circondata di gente,
anche di dubbio gusto e forse questo
fu il motivo principale
per cui ci lasciammo. Comunque sia era simpatica e intelligente, completamente
irrazionale su certe cose e troppo razionale su altre. Nessuno è perfetto, per
carità, di queste cose me ne intendo.
Aveva
una passione particolare per i film impegnati, si costruiva idoli come James
Dean, Humphrey Bogart e il solito Elvis Presley, era una sognatrice,
l’importante era l’entusiasmo e lei quello ce lo aveva.
Andavamo
spesso al cinema a Kiel, nel nord della Germania. Forse è stata l’epoca più
romantica della mia vita, ma non è durata molto.
Di solito
cedevo alle sue preferenze, per cui andammo
a vedere L’Atalante, una bellissima serie di film polacchi, di cui non ricordo né i titoli
né l’autore, e i film di Jos Stelling,
un olandese geniale, ma che non tutti potevano
apprezzare.
Al cinema Moviemento facevano
nottate a tema, tre o più film di uno stesso
autore di tematiche d’essai. Una delle più
temibili, che ci addormentammo tutti e due all’unisono,
fu quella dell’ungherese Béla Tarr.
Mi
svegliarono perché russavo un po’ troppo, secondo me se fosse stato un Harry
Potter qualsiasi non se ne sarebbero nemmeno accorti, ma quello era un film troppo silenzioso.
Spesso il dialogo tra di noi va involontariamente a finire su Ingmar
Bergman e sul film
Il Settimo Sigillo, che lei ha visto e mi rimprovera di non aver mai
sopportato fino in fondo. Va bene, la partita
a scacchi con la morte
è una bella idea, non lo nego, ma Bergman è troppo datato per me, i
dialoghi dei suoi film mi sembrano falsi. Il
Posto Delle Fragole per esempio,
non nego che sia bello
e interessante, ma come si fa
a non addormentarsi?
Pardona mercoledì 4 settembre 2025
MARTO E PALLINO
Più che scrivere è meglio vivere,
se proprio si deve scegliere, ma se si riuscisse a fare le due cose insieme, o alternandole, è
chiaro che una influenzerà l’altra, non sempre e solo positivamente.
Lee Gustav Paltrinieri (L’Incomunicabilità del Dialogo)
La parola autismo deriva dal greco, il suo significato letterale è stare soli con sé stessi. L’autismo non è un disturbo definito con certezza, ma un insieme di alterazioni dello sviluppo cerebrale: per cui è preferibile usare la definizione di disturbi dello spettro autistico.
I disturbi dello spettro autistico sono variabili da un soggetto
all’altro, tanto che si può dire che ogni bambino autistico è un caso a sé.
I
miei racconti sono anche loro popolati di animali, gente non ce n’è. E
dovrebbero essere per i bambini, ma alla fine, dice Ithamar, sono tutto il
contrario, a causa del simbolismo.
“Mi chiamo Pallino per via di
una macchia quasi perfettamente rotonda e marrone
scura sul pelo bianco, sul dorso, quasi all’altezza delle gambe posteriori. Ho anche tante altre macchie, più piccole, alcune solo sotto il pelo, ma quella è la principale. Questo è un caso trai più famosi,
a cui il sottoscritto ha preso parte, col fido assistente Marto detto Martino,
o anche Biforcazione, poi si capirà perché.
È ambientato, come tutti gli altri,
nei dintorni della cittadina di Fagundes Varela, nell’interno dello stato
Brasiliano del Rio Grande do Sul. Tanto
per entrare nel vivo della storia, il pastore tedesco Schöneberger mi aveva
fatto chiamare alla Fazenda
Tonhão, quella mattina di cui ricordo bene il freddo
intenso e il vento. Non tutti sanno che il Brasile è grande 28 volte l’Italia e che nella sua parte sud,
vicino ad Argentina e Uruguay c’è un inverno relativamente rigido, più che altro umido e ventoso.
Il vento dalla Patagonia spirava dritto dentro le nostre orecchie, noi sapevamo che veniva da
più sotto ancora, dall’Antartide, per questo
non c’era da scherzarci.”
“Parli sempre del
Brasile, eppure, correggimi se sbaglio, tu non ci sei mai stato.”
“No, no, infatti.”
“Forse perché vorresti andarci.”
“Credo di sì. Non lo so. Aveva piovuto e il fango della strada ci fece sporcare le zampe, è vero, ma ci permise altresì di trovare le prime tracce del malfattore, ed erano appendici poderose assai, ma non parevano di un cane, almeno non di nessun cane che noi conoscessimo, anche se gli somigliavano, Marto era d’accordo con me su questo. Lupi e volpi in Brasile non ce ne sono mai stati, tantomeno Dingos o altri tipi di bestie selvatiche della famiglia dei Canidi, i pochi e rari animali del genere erano dei comuni bastardi fuggiti ai loro padroni, di solito roba piccola.
Qualunque cosa fosse, quel bastardone
aveva rubato con evidenti scopi alimentari una gallina di cui Schöneberger era
responsabile, come per il resto del pollaio.
“Se prendete questo figlio di un cane.” Disse il pastore tedesco col corpaccione vibrante di rabbia. “Vorrò essere io personalmente ad incaricarmi della relativa punizione!”
“Beh, come lei m’insegna, i figli di cani si dividono in due categorie…” Intervenne a sproposito
quanto prontamente Marto: “Quelli di nome e di fatto e poi quelli nel puro senso dispregiativo, io personalmente,
preferisco senza ombra di possibile dubbio…”
“Lascia perdere, Martinho. Andiamo
piuttosto avanti con le
indagini.” Dissi io e così facemmo, sebbene il brontolio del mio assistente non scemasse, continuò
solo più a basso volume.
Dai nostri nasi allenati ed umidi,
anche per il tempo inclemente, l’odore che sentimmo era forte assai, ma spariva,
troppo disgraziatamente, insieme alle tracce delle zampe e alle piume color cannella del volatile,
bagnate per terra, proprio dove iniziava la strada lastricata a
parallelepipedi di pietra.
L’olfatto di noi cani è superiore agli altri nostri
sensi, l’udito anche è buono assai, d’accordo, ma la vista ce l’abbiamo
scarsa e se l’oggetto in questione non ha la benevolenza di muoversi, non lo distinguiamo nemmeno dal grigiore generale, anche perché i colori, per noi, sono semplici opinioni, di cui però non amiamo
discutere con nessuno.
Il
segugio è famoso
per il suo naso umido e sensibile, ma anche tutti gli altri cani,
tra cui noi, anche se a torto chiamati bastardi, abbiamo
addirittura un certo comportamento standard, perlopiù in funzione del nostro
odorato.
Le
razze pure non esistono, mettiamo
subito in chiaro che ogni cane di alto lignaggio è frutto di incroci e anche se sono più snob sono più delicati, facili ad ammalarsi, vivono anche
meno.
Pur essendo di purissima razza bastarda, per esempio, io
di fatto sono un segugio,
non di nome, nossignori, ma piuttosto di fatto.
Approfitto della mia attitudine innata al fiuto per scoprire i colpevoli di eventuali misfatti e così mi guadagno ossi e pezzi di carne di vario tipo, croste di formaggio e succulente pastasciutte avanzate agli umani, e gratitudine con il mio lavoro e quello di Marto, ovviamente anche lui non si fa pregare e si abbuffa volentieri .
Quello che si capì subito dopo era che il cagnolone non era affatto
selvatico, era un esemplare domestico, sorprendentemente, giacché sentimmo
puzze varie di antipulci e altri prodotti vomitevoli da veterinari
e da cagnolini di città.
Il fatto che le tracce finissero sulla strada lastricata era una disdetta,
d’accordo, ma ci fece capire un'altra cosa: che il cane era il colpevole materiale, sì, ma il mandante poteva e doveva essere un uomo che lo trasportava con un carretto trainato da cavallo o qualcos’altro con le ruote.
A questo punto,
corremmo narici a terra su e giù, giù e su. Come volevasi dimostrare, trovammo
pallottole verdastre di provenienza equina, a giudicare dalla grandezza
e dal relativo olezzo.
Eravamo già avanti con le
supposizioni e le ipotesi, eppure non avevamo ancora niente sotto le zampe, perché
quella coppia doveva essere venuta da una distanza che per poca che fosse non era facile da scoprire
a naso, il miglior
rivelatore che avevamo.
“Qui le possibilità sono due.” Disse Marto. “O i nostri amici-nemici sono due delinquenti che mirano a qualcosa di
più alto e complicato. Oppure...”
“Oppure?” Chiese interessato Schöneberger che ancora non conosceva Martinho.
“Oppure sono una coppia di cretini e
allora non si capisce perché armare
una tresca del genere per rubare
una gallina.”
“Lascia perdere Martinho.” Dissi io. “Naso a terra e pedalare, Schöne, ci vediamo dopo, spero presto.”
“Wooofs!” Rispose il pastore.
Io e il mio fido assistente abbiamo
solo due cose in comune, ma importanti: zampe corte e naso lungo,
tutta roba che ci permette di correre senza staccare le narici dal suolo.
Meno male che quel cavallo era un
generoso concimatore di terreni e ogni poche centinaia di metri lasciava
le sue inequivocabili tracce odorose.
Dopo qualche chilometro ci fermammo a bere le acque limacciose del ruscello Rio Pardo sul lato di un ponticello e fu una fortuna. Da lì sotto fu possibile vedere tracce fresche di ruote, su una stradina sterrata che da sopra non avevamo visto. Poche decine di metri più avanti il cavallo ci aveva di nuovo gentilmente quanto
involontariamente e profumatamente aiutato. Seguimmo quelle tracce prima che la
pioggia o qualche animale troppo affamato le facessero sparire. Le gocce non erano troppo forti, ma ci si bagnava lo stesso, senza fretta. Entrammo
in un bosco, la strada
cominciò anche a salire. Gli alberi a diventare sempre più fitti, la fame ad aumentare.
Il castello apparve dalla nebbia e
tra la pioggia ora battente, tutto buio alle
finestre, c’infilammo cautamente in una specie di cantina. Nessun rumore
riusciva a oltrepassare quello del temporale, nessuna luce attorno, ci addormentammo sulla
paglia, con un languore dentro
lo stomaco. Piovve tutta la notte, oppure ci svegliammo solo alla mattina e c’era un pallido sole che filtrava
dalla finestra dai vetri rotti. Il silenzio regnava nel castello e
quando uscimmo i nostri piccoli passi sulla ghiaia bagnata sembravano l’unico
rumore.
Arrivò una simpatica signora in un
camice bianco insanguinato che ci accarezzò e ci dette delle ciotolate
di spezzatino sulle quali ci buttammo a pesce, si fa per dire.
Dentro c’era del sonnifero, io e il
mio socio poi ci risvegliammo in gabbia, una per uno, di ferro e troppo piccole e strette. Non si sa quanto tempo era passato
e ci faceva male la testa,
attorno a noi tante piccole,
medie e grandi gabbie e
ognuna con un cane di diverso tipo rinchiuso dentro.
“Ci
sarebbero due ipotesi
da fare…” Cominciò
a dire Marto, ma quando si girò ammutolì
perché vide il mostro,
forse l’autore dei misfatti in questione, cioè un grosso cane, ma pareva fatto con i pezzi di altri cani, che si
guardava attorno minaccioso, l’unico
libero, seduto su un materasso in terra.
Dopo aver ringhiato per bene e
zittito la confusione degli altri cani curiosi del nostro arrivo e angosciati per la triste
fine che anche noi come loro avremmo fatto, il cagnolone minaccioso è uscito.
Zio
Ithamar a questo punto è venuto fuori con il suo solito sacco di stereotipi a
partire dal mio essere esageratamente individualista, per arrivare allo
scegliermi sempre un collaboratore sempliciotto da poter dominare. Io secondo lui insisterei sempre
nel voler dipingere
l’essere umano come un manipolatore e schiavizzatore della
natura e degli altri animali. Chissà da dove avevo estrapolato tutte
quelle assurdità, ha detto e poi ha riso sgangheratamente.
Secondo lui ambientavo sempre i miei racconti in un posto dove non vivevo
e non avevo mai vissuto,
forse perché cercavo sempre l’altrove e quando lo trovavo non mi
bastava, ne volevo un altro e poi un altro ancora. Forse aveva anche ragione.
Il castello era un grande parallelepipedo evidentemente costruito da un italiano del nord, aveva la stessa struttura del Maso Alto Atesino. Fatto di pietra e mattoni, ma solo la base era in muratura, la parte alta era tutta di legno, con i merli e tutto, era minaccioso e ridicolo allo stesso tempo.
Dalle rispettive gabbie abbiamo
cominciato a comunicare con gli altri cani, abbiamo appreso novità per niente edificanti tra cui quella che questi
cagnoni artificiali erano fatti con i pezzi nostri, cioè di cani veri e piuttosto
disgraziati. Uno degli ingabbiati era un Volpino piuttosto
sveglio e osservatore che ci ha detto:
“La
professoressa Pietra Franchi,
detta anche Franchipietra è una pazza, chissà
perché si è fissata che vuol fare dei Frankenstein canini e fino a un certo punto ci riesce pure, solo che quelli poi non obbediscono e se vanno a rubare le galline,
poi invece di portargliele a lei se le mangiano,
invece di fare terrore e ordine
qui, come lei vorrebbe, fanno disordine e scenette
involontariamente comiche, sono perfino scorreggioni, oltretutto.
Sono più imbranati e stupidi dei cani
normali, anche se hanno grandi denti aguzzi e maggior forza fisica, non sanno approfittarsene.
La professoressa cerca di riprendere
il controllo da tempo perduto con l’ipnotismo, ma finora è riuscita solo a peggiorare la situazione.”
“I casi sono due.” Lo ha interrotto Marto. “Dobbiamo ipnotizzare noi i cagnoni, perché
proprio loro ci potrebbero aiutare a uscire, caso contrario, sennò
qui, diventiamo anche noi spezzatino e già l’idea non mi garba per
niente.”
“In un certo senso... d’accordo, passiamo alla pratica.” Ho detto io, mi sono informato
tra gli altri ingabbiati su quale fosse il più stupido o più sensibile
all’ipnotismo e mi hanno indicato
H, detto la Bomba, per via
delle sue rumorose esplosive o talvolta mitragliate capacità gassose.
I cagnoni erano denominati con le lettere dell’alfabeto, H era l’ottavo tentativo miseramente
fallito di fare un mostro almeno un poco efficiente, ma ce ne erano tanti altri precedenti o seguenti, figurarsi che erano
arrivati fino alla P, di Pollo, che era stupido,
camminava a due zampe e attraversava la strada proprio quando arrivavano le automobili.
H era così sensibile all’ipnotismo che a volte andava in trance da solo, con il movimento di una foglia al vento, o il pendolare di un ragno da un filo, il volo di un passerotto attorno a un alberello. Alla
prima occasione Marto lo chiamò quando lo vide passare, quando fu abbastanza
vicino iniziai a muovere la coda a strisce bianconere in maniera
più che sinuosa e speravo anche velatamente freudiana,
mentre Marto con la sua voce più profonda e impersonale gli diceva che
andava tutto meravigliosamente bene, quindi di chiudere gli occhi, di
addormentarsi e di ubbidire ai suoi ordini.
Poco dopo la mia gabbia era aperta e H su nostro ordine si era nascosto
dietro una botte enorme. Quando tutti gli altri cagnoni
si furono allontanati per l’ora della pappa giornaliera, aprimmo
tutte le gabbie e facemmo
uscire i relativi e numerosi
cani dal castello e poi rapidamente dalla proprietà.
Nel frattempo io con un becco Bunsen pieno
di combustibile appiccavo il fuoco alla paglia del fienile, che essendo alto e
attaccato alla parte in legno in poco tempo si tramutò
in un incendio totale.
Essendo il cortile all’interno di quattro muri e di soprastanti ridicoli supporti di legno
inchiodati, credo che la nostra
opera di distruzione fu completa, forse poco etica dal punto di vista professionale, ma chi se ne fregava?
Un investigatore canino non può ricorrere alla polizia purtroppo, e anche se portasse prove inconfutabili lo prenderebbero lo stesso a calci nel culo.
Un puzzo di bruciato invase il bosco,
accompagnato da urla disumane, ma noi eravamo opportunamente già lontani.
Ithamar
pensa che le regole valgano ugualmente per tutti, per carità, ma non per lui.
Alla fine del mio racconto ha riso, mi ha detto che chissà perché l’uomo che io ritraggo è sempre peggio
degli animali. Fin lì avrei ragione, secondo lui, ma mi dimentico sempre a
quale categoria io appartengo, per quanto mi dissoci sarò sempre
un essere umano.
O qualcosa
del genere.
E poi è inutile
che io mi sforzi di sognare animali
e solo animali, che quelli anche
se camuffati rappresentano gli uomini, le persone insomma.
Pardona venerdì 28 febbraio 2026
ANNIBALE NOSTRO SE SEI NEI CIELI
L’uomo veramente libero è colui che rifiuta un invito a pranzo senza sentire il bisogno
di inventare una scusa.
(Jules Renard)
Da
un po’ di tempo parlo spesso con Annibale, a volte interviene anche
sua moglie, ma è già difficile spiegare
a lui tante cose, senza che
arrivi lei a chiedere ulteriori chiarimenti. Comunque sia mi pare divertente,
tutti e due hanno un certo senso dell’humour.
“Eh sì, amico caro. Ogni giorno
si lavorava di binocolo e osservazione delle strade, eventuali
imbarcazioni dal mare, forse sarebbero arrivati da quella parte, ma potevano
anche arrivare dalle altre.”
“O da sopra con gli elicotteri.”
“Ti
sarebbe garbato di più, ma la vita non è
come i film che ti piacciono a te.
No.
Figurati.
La
sera io pianificavo, il giorno mettevo in pratica. Dare mangiare agli animali era già
un’occupazione impegnativa, lo facevo il pomeriggio, dopo
pranzo, tutto il resto del giorno era un piano di guerra di difesa, un nuovo
tipo di guerriglia moderna.
Intanto i miei cani erano arrivati
a otto, vivevano liberi e giravano intorno alla casa. Il bosco
intorno era impenetrabile per i rovi alti e intrecciati e un sottobosco fitto
intorno, te lo sai bene, nei passaggi obbligati c’erano roccioni e strettoie,
nei punti strategici i miei mortali tranelli
imparati dagli indios
della foresta amazzonica, intorno alla casa uno
steccato di pali appuntiti di castagno, dai lati e dietro, davanti il burrone.
Erano passati forse sei mesi, dalla cosiddetta catastrofe, quando vidi arrivare uno yacht bianchissimo da lontano, con il binocolo spiai per un po', attraccarono con evidente scarsa perizia marinaresca, presero la strada dopo aver scelto delle automobili abbandonate. Non mi sembrò che fossero dei samaritani che volessero reclutare gente pacifica per la loro buona causa. Li seguii con il cannocchiale e stavano venendo nella mia direzione, possibile che aldilà del mare avessero saputo che avevo della carne fresca e del pesce vivo da mangiare?
Il
capo era un piccoletto pelato che teneva sempre le mani sulle sue due
automatiche Glock, forse temeva una rivolta interna al gruppo.”
“Ma te le armi le conosci
bene, o come mai?”
“Non hai ancora capito
che facevo di mestiere?”
“No,
se un me lo dici…”
“Già,
è vero, ora che sei morto te lo potrei anche dire... ma forse è meglio se te lo
dico dopo. Insomma erano una ventina, in mezzo c’erano tutte le razze e gli
abbigliamenti erano misti,
strappati, erano sporchi
e sudati, contai più uomini
che donne, più orientali che occidentali. Evidentemente la vita dell’epoca non
permetteva più l’esistenza di malfattori in giacca e cravatta, c’era già un
miglioramento, almeno era sparita la falsità, quello che si faceva, bello o brutto,
era alla luce del sole. Notai anche che
le armi erano di ogni tipo, cioè quelle che avevano trovato in giro.
La
rivoluzione era stata magari non improvvisa, però rettilinea e inarrestabile,
quando la luce elettrica e le altre fin troppo scontate comodità erano venute a
mancare, si tornava automaticamente all’età della pietra e la gente non avrebbe
avuto il tempo d’imparare a fare quello che da secoli non aveva più fatto.
Tornare a essere cacciatori e guerriglieri dopo una vita da impiegati non era
facile, ci voleva del tempo, contemporaneamente il tempo non giocava a loro
vantaggio, perché intanto non avevano da mangiare. La maggior parte della gente
che si era salvata, non sarebbe riuscita a mantenersi in vita, per questo si
associavano e diventavano dei saccheggiatori capaci di badare a sé stessi
appena al momento, al domani non ci pensavano proprio. Forse avevo
sottovalutato qualche aspetto, come per esempio che gli animali chiusi e
lasciati imprigionati nelle stalle, come vacche e pecore, sarebbero morte di
fame o di sete, se non c’era nessuno durante i primi giorni a liberarle.
Un
vantaggio che io avevo da sempre era quello di non farmi illusioni, la gente
era attaccata alla vita in una maniera spropositata, avevo notato che
chi viveva peggio c'era più aggrappato degli altri, forse per via dell'ansia,
perché non sapeva cosa gli sarebbe successo dopo. Non che io lo sapessi, invece,
ma da anni avevo imparato
che sopravvive più facilmente
chi non ha paura di morire e per me i cambiamenti erano più il bello che il brutto
dell'esistenza. Il timore di
perdere porta inevitabilmente alla sconfitta, non sto parlando di qualche
stronza competizione, ma della normale lotta per la sopravvivenza, che
improvvisamente, dopo secoli di tecnologia che aveva impigrito la gente, aveva cambiato
a sorpresa tutte le regole.
Lo
diceva anche il vecchio Darwin, la specie che sopravvive alle ostilità dell’ambiente non è quella più
forte, o quella più intelligente, ma quella che sa adattarsi meglio ai cambiamenti.”
“E chi è Darvi?”
“Un amico mio, poi ti spiego.
Forse
le mie paure si identificavano con l’inattività, l’abulia, la depressione, la prigione o cose di questo genere. Se potevo muovermi ed essere il
percussionista del mio ritmo, invece, niente mi spaventava.
In
caso di guerra nucleare i topi e le blatte sono i più resistenti e quindi
favoriti alla sopravvivenza, gli esseri umani i più soggetti all’estinzione e
se lo meritano anche visto che il nucleare lo hanno inventato loro. Nel caso di
una guerra batteriologica anche, perché i microbi dei virus senza di loro non
sarebbero esistiti, ma anche perché hanno
complicato talmente la propria vita che non saprebbero più tornare a campare in
maniera diversa.
Nell’oscurità
i cani abbaiarono più volte, sentii un baccano ritmico e insistito quando era
quasi l’alba e mi preparai. Ma era solo il vento che si era alzato al sorgere del sole e sbatteva qualcosa nel silenzio
circostante. Ovviamente non dormii, ma il giorno dopo approntai nuove trappole
nel bosco e sui sentieri attorno a me. Tutte le mie armi erano ben oliate e
cariche, pronte in punti strategici.
Avevo
dei fucili di precisione col cannocchiale, potevo colpire e uccidere da grandi
distanze calcolando anche il vento. Pensai che i più sofisticati e fanatici tra i miei colleghi
disdegnavano la praticità della pallottola a distanza, gli piaceva di
più il pugnale, il corpo a corpo. Invece così il poveraccio in questione moriva
senza nemmeno sapere cosa era successo, in più non ci si sporcava le mani, si aveva
tutto il tempo per allontanarsi.”
“Allora te eri un killer?”
“Sì, ma non ero come credi te, sono sempre stato una persona di principi saldi. Ho una certa mia personale ma ferrea etica.”
“E
come si fa ad ammazzare la gente e a credere nel mondo e nella vita?”
“Non
è facile. Hai ragione, ma la mia vita è stata una lotta di sopravvivenza, come
per tutti, sicuramente più estrema, anche di quella dei miei cosiddetti
colleghi. Ero l’unico del mio campo che rifiutava degli incarichi, se mi
documentavo e la vittima non mi soddisfaceva, io dicevo di no. È successo di rado, solo quando
avevo visto che i mandanti erano peggiori delle vittime.
Lo
sapevo che perlopiù erano equivalenti, almeno approssimativamente, non c’era da farsi illusioni, facevano schifo da entrambe le parti. Ma quando mi
mandavano ad ammazzare una persona giusta, per pochissime che ne esistessero, ai
livelli di guerre di potere, non volevo certo farle diminuire.
Ecco
che dopo mi mandavano altri killer, in alcuni casi dei poveri debuttanti allo
sbaraglio. Forse con timore che li potessi denunciare, cosa che
non mi passava nemmeno per la testa, o magari per una pura dimostrazione di potere o di
infantile orgoglio ferito.
Non c’è niente di più assurdo della logica umana. In questi rari ma
indicativi casi dovevo farli fuori, anche i matadores, se volevo sopravvivere e a volte la loro testardaggine sostituiva il semplice
buonsenso, dovevo arrivare
anche ad ammazzare i mandanti originali. Una faticata che durava anche dei
mesi. Solo per una questione di principio.”
“Ma non è successo tante volte, credo.”
“Infatti,
solo tre volte in venticinque anni di onorata carriera. Si fa per dire. In
genere il caso era fatto di comportamenti di routine, i cattivi erano gli altri
e il buono, che ero io, ne ammazzava uno e prendeva soldi dall’altro. Per me i
principi erano ancora validi e ci tenevo.
Ho ingannato venticinque anni la società che mi ha creduto un professore
per tutto quel tempo e io non ero mai nemmeno passato una volta per la polizia.
Avevo abbandonato le lezioni alle classi e avevo continuato le lezioni private,
che mi permettevano orari elastici
e una facciata di attività
legale.”
“Se glielo dico a Ivalda un ci potrà credere…”
“E te non glielo dire, tanto siete morti tutti e due credendomi un innocuo
professore…”
“Innocuo?”
“Sì,
uno che non può far male a nessuno. Ma lasciami raccontare le cose ammodo ora. Mi trovavo avvantaggiato, a quel punto, il
gioco era cambiato, in maniera totale, solo che io lo avevo già praticato in
precedenza. Per scalzarmi da lassù ci volevano degli
eserciti, oppure dei professionisti
esperienti e scaltri. Comunque per riuscirci non mi dovevano far accorgere che
arrivavano, sennò il mio vantaggio era incolmabile.
Certo
non mi potevo concedere errori, la notte dormivo troppo poco. I miei cani
abbaiavano anche per delle stronzate, avrei avuto bisogno di qualcuno che mi
desse il cambio, un compagno, meglio una compagna, ma dove l’avrei trovata?
Saltavo su per ogni più piccolo rumore: l’abbaiare dei cani, il muggire delle
vacche, il belare delle pecore, il cinguettare degli uccelli in maniera
differente. I gatti stavano zitti per la maggior parte del tempo e per fortuna
le carpe aspettavano in silenzio, abitualmente non sono di molte parole, e poi
essere mangiate da me o dagli invasori non faceva differenza per loro.”
Pardona mercoledì 5 dicembre 2026
IL SOGNO DEGLI ACQUARI
Anche la poesia, a volte, se ne esce fuori a bestemmie, con il mondo d’oggi mi sembra più appropriato.
Marino Sumatra (Il Cinema
Contemporaneo Nel Passato)
La storia
del mondo non finisce quando termina quella dell’uomo. Che presunzione, chissà
quante cose devono ancora accadere! Il mondo senza l’uomo potrebbe anche essere
meraviglioso.
Se
si facesse un parallelo tra me e l’uomo primitivo, si vedrebbe una comune
tendenza ad assestarsi, ma l’uomo delle caverne pare che dal momento in cui si
è messo la cravatta si sia dissestato di più e meglio, abbia perso la rotta
e da tempo. La cravatta
io me la sono messa
di rado, mai su
mia iniziativa, ho avuto più coscienza di me stesso,
dei miei pregi e dei miei difetti e alla fine ho fatto un po’ quello che volevo, fregandomene il più possibile degli
altri. Ebbene sì, sono stato più egoista, individualista e solitario, ammettendo che siano difetti. In
compenso sono andato più avanti di
loro e non mi sono perso in desideri e pratiche di integrazione che trattandosi di esseri umani
non funzionano proprio. Non ho sfruttato nessuno e non sono mai stato
sfruttato.
Magari è vero che l’universo sia realmente attraversato e governato da forze occulte che noi non conosciamo e ci
sforziamo appena di sopravvivere, tacitamente accettando di ignorare perché
siamo qui e come diavolo fa a esistere qualcosa d’infinito, quando tutto quello
che vediamo attorno a noi ha un inizio e una fine. Va bene, mi sono dimenticato
cosa volevo dire, con tutto questo, ma credo avesse a che fare con il sogno che
ho fatto stanotte.
Ero
in un appartamento, porzione di un palazzo abbastanza alto. Dicono che sognare l’acqua
è un bene, ma non deve essere
sporca, non so perché ma porta sfortuna, ammesso che qualcuno ci creda.
Personalmente non lo escludo perché se il mondo è strano, già nelle cose che
conosciamo, figuriamoci in quelle che ancora ignoriamo. Comunque sia fuori
c’era una sfilata di dinosauri che passavano enormi a lato del palazzo dove ero
io e li guardavo dalle finestre
e quelle erano ad arco e senza vetri,
su pareti di pietra a vista. I dinosauri erano grandi come case ma io non avevo
paura e loro passavano seguendo il ritmo di tamburi tribali. Altra gente non ce
n’era, a dire il vero anche io ero un animale, forse un orso o un procione,
avevo le braccia pelose e le mani ungulate, ero uno psicoterapeuta e i miei
clienti erano tutti bestie, non nel senso che erano stupidi, ma si trattava di
animali veri e propri, non di ogni tipo, solo quelli domestici, quindi cani e
gatti perlopiù, ma anche tartarughine, canarini, pappagalli eccetera.
Lo
studio era particolare, le sue pareti interne
e i muri esterni erano acquari trasparenti, con pochi pesci tranquilli e contemplativi, non molto colorati, piuttosto a tinte pastello, tante
alghe lunghe che si muovevano sinuosamente seguendo il ritmo lento della spinta
dei vari motorini ronzanti quasi
silenziosamente per il riciclaggio dell’acqua.
I
pazienti mi raccontavano le loro storie, ma se le situazioni erano diverse, una cosa avevano
tutte in comune, il problema era sempre un essere
umano, o più di uno, i loro padroni o i loro vicini di casa.
Ithamar si limita a dire che “I sogni sono il prodotto dell’attività cerebrale durante il sonno.
In particolare essi
si manifestano
prevalentemente durante quella fase del sonno chiamata REM (Rapid Eye
Movements, ovvero “movimenti oculari rapidi”).
Durante il sogno i neuroni sono
interessati da un’intensa attività elettrica che produce nella nostra mente immagini,
suoni, pensieri ed emozioni.
I sogni hanno suscitato l’interesse degli uomini fin dai
tempi più remoti. La letteratura classica, ad esempio, è ricca di racconti che
hanno a che fare con l’attività onirica.
Già nell’antichità furono
numerose le teorie che cercavano di spiegare i sogni.
Addirittura nel II secolo
d. C. un autore greco di nome Artemidoro
Daldiano, precorrendo Freud, scrisse un’opera
intitolata L’interpretazione dei sogni.
Diciassette secoli dopo, Sigmund Freud fu uno dei primi studiosi moderni a occuparsi in modo sistematico dei sogni. Secondo le sue teorie il sogno rappresenta “la strada maestra verso l’inconscio”. Tutto ciò che cerchiamo di nascondere a noi stessi durante lo stato di veglia (a causa dell’effetto negativo che produrrebbe su di noi) riemergerebbe durante il sogno poiché i freni inibitori della nostra coscienza sarebbero allentati. Tuttavia in qualche misura i freni inibitori continuerebbero almeno in parte ad agire e questo spiegherebbe il carattere fantastico, surreale e spesso criptico tipico dei sogni. Per questo motivo, secondo Freud, i sogni necessitano di una interpretazione per poter scoprire gli aspetti più reconditi del nostro inconscio. Le teorie di Freud, nonostante la loro indubbia attrattiva, non hanno mai ottenuto una vera e propria dimostrazione scientifica. La principale obiezione che viene loro rivolta è la seguente: se si cerca un significato nelle immagini fantasiose dei sogni, sicuramente lo si trova, ma non c’è nessun modo di scoprire se sia quello giusto o no (per dirla con Popper, la teoria di Freud è infalsificabile).
Altri studiosi hanno formulato teorie molto diverse. Per alcuni (come ad esempio il neurofisiologo Robert W. MacCarley) il sogno, anziché essere un processo di mascheramento, sarebbe un processo di attivazione. Questo spiegherebbe come mai in molti sogni si manifesta un’attività eccessiva come correre, nuotare, ecc. Per altri autori il sogno sarebbe semplicemente una rielaborazione delle esperienze nascoste percepite durante lo stato di veglia. In altre parole, durante la veglia noi raccoglieremmo molte informazioni senza rendercene conto. Esse verrebbero comunque memorizzate e riemergerebbero durante il sonno. In tal modo, durante, il sogno il nostro cervello metterebbe, per così dire, in ordine le esperienze accumulate.
Il premio Nobel per la medicina Francis Crick (uno dei due scopritori della struttura del DNA) ha elaborato una teoria secondo la quale il sogno sarebbe un
modo in cui il cervello smaltisce l’eccesso di informazioni raccolte. Secondo
la teoria delle “reti neurali” (ovvero gruppi di cellule neuroniche che cooperano
per la registrazione delle associazione tra eventi percepiti) il sogno servirebbe non
solo a mettere ordine, ma anche a fare pulizia, eliminando i ricordi più deboli e inutili, mantenendo in efficienza la rete neuronica
per il giorno seguente. Secondo tale teoria i sogni sarebbero quindi una sorta di spazzatura
che il cervello sta eliminando.
Dal fatto che esistano
diverse teorie, spesso contrapposte,
si può facilmente capire che dal punto di vista scientifico i sogni rappresentano ancora in buona parte un mistero. Questo
deriva ovviamente dal fatto che essi
sono il prodotto del
cervello che, come qualcuno ha affermato,
è l’oggetto più complesso che esista in natura.
Nel
momento in cui comprendessimo meglio il funzionamento del nostro cervello, probabilmente riusciremmo anche a spiegare a fondo
il meccanismo dei sogni.
Ithamar
è palloso, ma dice delle cose che hanno il loro necessario fondamento
scientifico, almeno credo, quando parlava accendevo il mio registratorino,
staccavo l’audio metaforico delle mie orecchie e pensavo ai fatti miei e poi me
lo riascoltavo con calma, se e quando ne avevo voglia. Ora è meglio ancora,
perché i miei dialoghi sono scritti.
Poi, non so da quando, i dialoghi sono diventati orali, in un primo momento, li scrivevo dopo, ma mi ricordavo tutto perfettamente e finché non li
scrivevo soffrivo anche un po’, per paura di dimenticarmeli, forse.
Ho
fatto confusione anche con i tempi
verbali, lo so, ho usato il passato remoto per cose più recenti e il passato
prossimo per fatti più lontani nel tempo.
Se
qualcuno leggerà mai questo non-diario, un giorno, capirà che le mie condizioni
sono state se non disagiate, piuttosto particolari.
Pardona domenica 4 luglio 2027
PRIGIONIERI DEL MONDO
Non disperare la tua anima gemella è lì fuori! Tra 7 miliardi di persone. In 5 continenti diversi. Supponendo che sia viva e che sia single.
(Iddio, Twitter)
“Sulle
cause e sui motivi per cui tutto finì si potrebbero scrivere consistenti
volumi, ma dopo nessun libro fu più scritto.
Nonostante la situazione pesante avevo una specie di entusiasmo addosso che in un certo senso mi spaventava, uno normale si sarebbe sentito male, malissimo.”
“Io per esempio. Ma come fa uno a vivere da solo? Senza Ivalda io sarei già perso!”
“Sì,
lo so Annibale, anche io avrei trovato, più di una volta una donna con la quale
mi sarebbe piaciuto invecchiare, ma a loro non sono piaciuto io, i tempi non
coincidevano, certo non è una cosa facile, non tutti ci riescono, ma meglio
stare da soli che con qualcuno che non ti piace.
E
poi voi mi avete abbandonato, chi ve lo ha fatto fare di morire? Comunque io da
solo sono sempre stato e la gente, almeno la maggior parte, non mi è mai
garbata troppo.
Da
una parte tutta quella solitudine mi faceva paura, dall’altra devo confessare
che mi piaceva. I cosiddetti esseri umani se lo erano voluto, senza saperlo si
erano stancati loro stessi di esistere, non avevano ideali, né metodo.”
“Ma
quale metodo? La gente si è trovata in una situazione impossibile! Te hai avuto
culo! E basta.”
“No,
no, ascolta: quelli, non tu, ma chi doveva fare qualcosa a livello sociale e
organizzativo, loro passavano il tempo a litigare, a rubare i soldi pubblici, a
favorire amici e parenti, il loro stesso vivere li indeboliva e li allontanava
dagli obbiettivi veri e fondamentali. E poi c’era troppa gente, il mondo
diventava sempre più piccolo e il cibo scarseggiava, anche l’acqua - avvelenata
dalla stessa umana produzione esagerata di beni inutili - cominciava a mancare.
Ma
dove volevano andare?
I
batteri delle peggiori pandemie non avrebbero potuto procedere se ci fosse
stata una resistenza ben organizzata. Ripetutamente era accaduto che una volta
che i virus erano giunti dalla Cina, gli occidentali avevano fatto confusione,
usato la situazione per arricchirsi a danno di chi moriva, per trarre vantaggio
politicamente a danno degli altri partiti, in poche parole erano riusciti
invece di solidarizzare a fare del loro peggio per tentare di estinguersi. Ci
avevano provato e riprovato, alla fine c’erano riusciti. Nessuno aveva un piano
a lungo termine, per il bene della maggioranza, non gli passava nemmeno per il
cervello. Detesto ogni tipo di elite, perché dicono di andare lì a comandare
per fare del bene e fanno solo del male, non solo per incompetenza, ma per
ipocrisia, individualismo, disonestà e prepotenza. Un’elite idiota può far
comodo alle varie mafie locali e nazionali, più di tutte a quelle
internazionali. Tanti erano incompetenti, altri cercavano di guadagnarci, tutti
o quasi facevano propaganda politica contro i nemici tradizionali e quelli
nuovi, già che c’erano. Inizialmente in Cina invece riuscivano con la loro rude
disciplina a debellare i contagi, ma altrove, specie nei paesi ricchi a sanità
privata, tendevano a fare tutto quello che non si poteva e nell’ordine
peggiore. La globalizzazione aveva fatto il resto, quasi nessuno era più
materialmente separato dagli altri, quei pochi forse erano quelli che si erano
salvati.”
“Qui a Pardona noi siamo stati, naturalmente senza saperlo,
solo vittime di quel sistema che dici te.”
“È
vero, ma sto parlando in generale, guarda: storicamente migliorare il nostro
livello di vita era stato il nostro obbiettivo da sempre. In maniera sistematica
abbiamo cominciato dopo l’anno
mille, visto che non ci eravamo ancora estinti, noi esseri umani, a
cercare di risolvere gli interrogativi pungenti.
Poi,
visto che non ce la facevamo, abbiamo pensato che mentre aspettavamo le
soluzioni, potevamo costruire una struttura stabile e duratura, per poterlo
fare in maniera regolare. Che poi significa mettere il carro davanti ai buoi.
Per migliorare il nostro livello
di vita abbiamo lasciato perdere
tutto il resto,
ogni utopia via per una prospettiva razionale, che poi a guardare bene era irrazionale, ma ormai c’eravamo dentro con i piedi e tutto.
Ci siamo fatti un bel culo per
arrivare al duemila,
ma allora invece
di starcene sdraiati
a riposare, come speravamo, lavoravamo sempre di più, per guadagnare
sempre di meno, in termini di benestare, non solo di denaro.
Gli interrogativi si sono addirittura
complicati, almeno quelli di prima, poi ne abbiamo scoperti altri, ai quali non
avevamo pensato.
Quella
che doveva essere una maniera per vivere meglio ci ha preso la mano e ci ha portato dove voleva lei.
Insomma l’uomo
impara solo quando
è troppo tardi,
per questo mi sono dissociato, e forse proprio per questo mi
sono salvato.
Quando si nasce non si può certo scegliere dove e come, questo
non significava che io dovessi
seguire sempre e per forza questo gregge di pecore impazzito, insomma in
qualche maniera io ho sempre pensato di non farne veramente parte.”
“Va
bene, ma chi poteva prevedere una
epidemia che avrebbe spazzato via il genere umano dalla terra?”
“Nessuno forse
e io ho magari ho avuto solo culo, ma intanto
mi ero dissociato. Quando me ne sono reso conto, raggiunta una certa
convinzione, ho cambiato vita,
ero già adulto
e maggiorenne, diciamo
più prossimo alla trentina, ma sono andato per gradi, o meglio mi sono
costruito degli scalini ideali, che poi ho salito, uno alla volta.
Non
me ne pento affatto.
Lo
so che la soluzione ideale non era nemmeno quella, la soluzione ideale non
esiste, bisogna creare il proprio terreno fertile giorno per giorno, senza paura di dover cambiare
sempre e di nuovo.”
“Ma se tu fossi nato e cresciuto qui, dico io, non ci avresti neanche pensato a queste cose qui.”
“È
vero. Forse avrò anche avuto solo fortuna, nella sfortuna che ho avuto, di
crescere in un ambiente particolarmente inospitale, ma il piccolo dettaglio che
io, per qualche ragione sconosciuta, avessi cambiato terra e cultura è stato
decisivo, perché mi ha aiutato a capire.
Per
quanto apprezzassi la vita e le cose buone del mondo,
non avevo un dio al quale mi riuscisse di credere, né una religione che mi
potesse sembrare autentica, forse più per istinto, ma anche per scelta
razionale, nessun idolo da glorificare, né da santificare.
Apprezzavo
la bellezza in senso generale, purtroppo ne trovavo molto più spesso di fisica
che di morale. Tra i cantanti, attori, personaggi famosi o semplici esseri
umani non ho mai intravisto nemmeno lontanamente una perfezione, cosa che non
cercavo più nelle persone. Ne trovavo nella natura e anche spesso, e quella non
interessava più a molti.
A me sì. È lì che trovavo il carburante per il mio motore a
scoppio, la voglia di vivere, il desiderio di un domani.
Se nessuno me lo chiedeva potevo stare tranquillamente zitto, ma se volevano sapere la mia opinione io non dicevo bugie, né mezze verità.
Per
esempio: mi piacevano poche persone e mai completamente, anche gli animali mi garbavano ma nessuno per me era perfetto, i lavori poi mi piacevano poco tutti, perché erano sempre forzati in qualche maniera, non potevo fingere
che mi piacessero tutte le canzoni di un disco, a volte è anche successo, ma raramente. Di registi
di film preferiti ne avevo tanti, italiani e stranieri, ma nessuno ha mai
raggiunto la vetta della classifica, da me mentalmente ideata e stilata, di
uno, uno solo che avesse fatto tutti i suoi film di mio gradimento. E i partiti politici? Mi facevano schifo tutti. ”
“La
natura mi garbava anche a me, anche se non la chiamavo così. Insomma vivere
in campagna, non in città.”
“Infatti questa
è stata la tua fortuna,
finché hai vissuto
sei stato bene, senza pensare ai problemi della globalizzazione
e del consumismo. Ma poi… arrivata la pandemia sei caduto insieme agli altri.
Insomma fammi raccontare, che ora viene il forte della storia: mi misi al lavoro, quindi,
con le vecchie ma efficaci tattiche
di azione-reazione e le
varie trappole, fili tesi nei boschi
e attraverso i passaggi obbligati. Avevo imparato a rendere
specifiche per animali ad andatura eretta i miei tranelli, per non fare male ai
cani e a tutti quegli animali che andando a quattro zampe non raggiungevano l'altezza che gli sarebbe
stata letale.”
“Un ne hai mai ammazzato nessuno
per sbaglio?”
“Uno sì, Rocco, un cane bello e forte, c’è rimasto secco sul colpo, non ti racconto i particolari, ma la
colpa è stata sua che ha fatto un salto troppo alto…”
“E come faceva a saperlo, poverino?”
“Non
poteva, lo so, ma forse agli altri è servito come esempio, dopo non è più
successo.”
“Meno male.”
Pardona domenica 6 ottobre 2027
IL
SOGNO DEL PINGUINO
Ridere è importante - le dissi - ridere sviluppa una specie di complicità.
Ma per me queste risate che fai
tu sono fuori tempo - replicò lei quasi sorpresa - io le avrei fatte in un altro
momento.
(Laszlo Vaccariello, La storia della Geografia e Viceversa)
Il problema per me non era
sognare, ma ricordarmelo il giorno dopo. Forse è solo questo che è cambiato,
non lo so. Era da tanto tempo che non
sognavo ricordandomi poi di cosa e come, una trama, un senso, un messaggio
anche criptato.
Qui sulle montagne del litorale ho
ricominciato, anzi si può dire che così non mi ricordo di aver mai rammentato,
a volte anche i minimi particolari dei sogni.
Comunque sia i miei di ora sono
invariabilmente con animali, alcuni parlano,
altri no, ma sono sempre animali e gli esseri umani
non ci sono.
Non so che cosa significhi o se
può solo voler dire un qualcosa.
Di un sogno mi ricordo alcune parti
e altre no, a volte mi manca il finale,
altre volte dei dettagli
che magari sapendoli capirei meglio quello
che è successo dopo, o anche prima, o forse no.
Ithamar entra in gioco senza
essere stato chiamato, non si risparmia nella sua interpretazione virtuale, da vivo anche all’altra,
di persona, era disponibile.
“Beh, ora gli uomini non ci sono
più, cioè l’umanità è praticamente estinta, quindi…”
“Ma io questo sogno l’ho fatto prima del grande virus!”
“Sei sicuro?”
“No, mi pare di sì, cioè sì, ma mi pare di no…”
“Sei un po’ confuso.”
“Sì. Cioè no. Come ti ho già detto
nel sogno non c’erano esseri umani, ma solo animali di ogni tipo, dall’elefante
alla formica, che guidavano ognuno la sua automobile, camion o autobus per le
strade del mondo come impazziti, probabilmente senza sapere dove andare, ma volendoci
arrivare prima degli altri, quindi senza rispettare le regole del transito, non
solo posteggiando in seconda, terza, quarta fila ma provocando incidenti a
ripetizione con morti e feriti, sangue sull’asfalto, ingorghi paradossali,
sembrava un moderno quadro in movimento di
Brugel, una catastrofe in movimento, insomma.”
“Ferma un attimo: ma te chi eri nel sogno?”
“Io ero un pinguino.”
“Un pinguino come fa a guidare che
non ha le mani?”
“Il sogno non me lo ha spiegato, che ci posso fare? Ma guidavano
anche gli ippopotami e i rinoceronti, delle macchine più grandi che volendo o
anche non volendo ti potevano spiaccicare…”
“Quelli forse erano gli uomini più
potenti, e le formiche?”
“C’erano dei marciapiedi che servivano anche ai pedoni, dei marciapiedini più piccoli
per le formiche e altri insetti, a piedi o con le loro automobiline,
camioncini, piccoli autobus che però abbastanza spesso venivano massacrati dai pedoni o
dalle macchine nostre degli animali più grossi che passavano o sbandavano…”
“E i camion e gli autobus
grandi?”
“I camion trasportavano materiale
di ogni tipo, non sono stato lì a guardare, avevo una certa
fretta, come tutti. Gli autobus erano pieni di animali che si guardavano attorno
irrigiditi dalla fretta e dalla paura, erano tutti con la stessa espressione,
come se a ogni costo dovessero arrivare a tempo, ma fossero in ritardo…”
“Le multinazionali… forse. I grandi gruppi industriali?”
“Non lo so…”
“E i pedoni non attraversavano la strada?”
“Eccome! Non so quanti ne ho messi
sotto. Ma anche non avevano paura di lasciarci le penne, solo una fretta sproporzionata!”
“E morivano? Cioè tu li soccorrevi?”
“No, quando mai, io correvo come
un disperato, come tutti, chi lo sa se morivano o no? Gridavano. Secondo me
continuavano la loro corsa forsennata subito dopo…”
“E tu avevi una meta, cioè sapevi dove stavi andando?”
“Certo, al polo sud.”
“Dovevi attraversare il mare?”
“No, il mare non c’era.”
“Come fai a saperlo?”
“Era tutto così, c’erano delle
zone meno dense, ma era quasi sempre un paesaggio urbano
in rivolta costante, come la ripartenza dopo il virus.”
“Allora alla fine ci sei arrivato?”
“Al polo sud? E certo.”
“Un sogno completo quindi.”
“Sì. Ma senza nessuna spiegazione.”
“In che senso?”
“Sapevo che dovevo andare al polo sud e alla svelta, ma non sapevo perché. Quando ci sono arrivato ho capito che cercavo gli altri pinguini, ma non c’erano.”
“Hai guardato bene?”
“Sicuro! Ho corso per un bel po’
sulle distese ghiacciate!”
“Ma non sei mai sceso dalla tua automobilina?”
“Mai e non ho capito nemmeno come
facesse a camminare così bene sul ghiaccio e sulla neve.”
“E il sogno è finito lì, non hai
incontrato orsi bianchi in automobile-slitta, o foche su piccole imbarcazioncine con le
ruote?”
“No, niente e nessuno,
ma ero angosciato forte.”
Ithamar, giammai invitato, ma
sempre desideroso di collaborare, soprattutto quando nessuno ha bisogno della
sua collaborazione parte con l’interpretazione:
“Sembrerebbe una premonizione, ma
come sempre accade relativamente alle previsioni, la nostra mente effettua una selezione a posteriori. Tendiamo
a dimenticare rapidamente i
sogni che contengono episodi che non si verificano nella realtà, mentre
ricordiamo con grande
enfasi quelli in cui gli eventi si realizzano.
Se si facesse un’analisi
statistica tra le previsioni avveratesi e quelle non avveratesi, si scoprirebbe
di essere perfettamente all’interno delle
leggi probabilistiche.”
Purtroppo i miei dialoghi
virtuali a volte danno segno di
squilibrio, forse per la stanchezza, o per le forze occulte trasversali
dell’universo, chi lo sa? Come tutti i grandi rompiscatole Ithamar deve
assolutamente mostrare alla gente che sa tutto e che lo sa pure spiegare bene,
anche dopo morto e a migliaia di chilometri di distanza, la sua volontà è
determinata e insistente.
Pardona domenica 1 aprile 2028
CICERO, MIO PADRE
Gli uomini combattono per la libertà,
poi cominciano ad accumulare leggi per portarla via a sé stessi.
(Anonimo)
A proposito di immortali cagacazzi ci sarebbe da dire qualcosa su mio padre e sul dialogo virtuale con lui. Ritornava ogni tanto, ciclicamente come se fosse stato per effetto di una maledizione, senza essere chiamato, solo per criticarmi e per trovare in me i suoi peggiori difetti, con l’intento di scaricarmeli e liberarsene. Purtroppo per lui non funzionava, ormai lo conoscevo talmente bene che sapevo già in anticipo cosa stava per dire, e meno male per me. Morto da una ventina d’anni, Cicero ancora continuava a fare le stesse cose che faceva da vivo.
Avrebbe potuto fare l’attore,
se gli avessero pagato le prestazioni al momento,
sarebbe stato capace di interpretazioni madornali e incredibili, ma a quei tempi nessuno
ci ha pensato e in Venezuela
di registi di film, se ce ne sono mai stati, nessuno li ha mai visti.
La comunicazione tra noi è sempre
stata problematica, siamo sempre stati due opposti che invece di compensarsi
cozzavano e sbattevano a oltranza,
dopo averlo metaforicamente seppellito mi ero illuso che sarebbe
migliorato, invece niente.
“Sai perché mi piace
leggere un buon libro?” Chiedo
io.
“No.” Risponde lui.
“Beh, perché ogni tanto mi fa
piacere avere a che fare con qualcuno che ragiona in maniera logica, nella vita
di tutti i giorni mi capita raramente.”
“Ma se sono tutti morti!”
“No. Anche prima, voglio dire, mi
capitava raramente anche prima. La gente comune non usava il cervello che per
farsi del male, per indirettamente che fosse, per ossessionarsi con cose inutili
se non dannose. Per fingere
che andasse tutto
bene e così non doveva
affaticarsi per provvedere a risolvere i problemi…”
“Ah sì? Non ci avevo fatto caso.”
“Forse perché anche tu sei come
loro, per quanta teoria tu abbia, in pratica sei uno che si fa del male sistematicamente,
con il tuo stesso pensiero.”
“Meno male che ci sei tu, sei un esempio da seguire, prendi
tutti a fucilate e poi te ne stai in pace a goderti la vita.”
“Lo sai che ho ammazzato solo dei delinquenti, dei rifiuti umani.
E poi il primo contratto me
lo ha commissionato il tuo miglior amico.”
“Amico tra virgolette e ti scordi
che eri pagato da altri rifiuti
umani.”
“Va bene, intanto ce ne era sempre
uno in meno al mondo, dopo. Comunque quello che volevo dire prima era che un
buon scrittore ha il potere di riportarmi in un mondo in cui le cose funzionano, dove la gente
usa il proprio raziocinio
a suo vantaggio, ma non necessariamente a svantaggio
di qualcun altro.”
“Forse è un mondo che non esiste?”
“Forse, ma è bello sognare ogni
tanto. Chissà se è mai esistito?”
“La realtà è sempre stata
fatta di molteplici sfaccettature
… ” Riprende lui.
“Sì, ma che vuoi dire con questo?” Chiedo
io.
“Niente, per esempio che gli esseri
umani sono… o meglio erano,
tanti e tutti molto diversi
tra di loro…”
“Bene, e allora?”
“Allora tu non sai o non sapevi cosa stava succedendo in quel momento in ogni parte del mondo.”
“No, non lo so e non avrei potuto
saperlo…”
“C’erano tante persone buone, simpatiche e intelligenti.
Anche gentili. Tu non puoi fare a
meno di tutti, lo sai.” “Ritorni fuori con le tue accuse rivolte a me, perché
sei ancora irritato con te stesso?”
“Nooo, e quando mai? Piuttosto ti
chiedo: se gli altri sono il nostro specchio, se ti ci guardi e non vedi
niente riflesso non ti spaventi?”
“Forse, ma anche sentirmi uno di
loro mi spaventa. Gli animali sono
migliori.”
“Siamo d’accordo, almeno in parte, ma i tuoi simili sono gli
esseri umani, la solitudine si sente per mancanza di altri
esseri umani, o no?”
“Magari per te è così, per me no.”
“Ma come fai a passare il tempo?
Da solo il tempo non passa mai.”
“A te. A
me passa benissimo. Guarda
un po’! I cani mi stanno sempre intorno e la sera d’inverno si sdraiano sul tappeto
vicino a me accanto al caminetto, io leggo e bevo un bicchiere di vino rosso, a
volte.”
“Sì, vabbè… dove li metti dieci cani? Qui non c’è spazio! E
poi c’è una puzza…”
“No, non c’è nessuna
puzza, è pulitissimo. Diciamo che non tutti
vogliono entrare, alcuni preferiscono stare fuori, gli ho fatto uno sportelletto nella
porta…”
“E loro entrano ed escono
continuamente portando freddo dentro e il caldo fuori…”
“Dopo chiudo e…”
“Quelli dentro abbaiano perché
vogliono uscire, che hanno sentito un rumore, quelli fuori perché hanno freddo
e vogliono entrare grattano la porta…”
“Alla fine tutti fuori
e mi godo un po’ di pace.”
“Ma sei troppo stanco e vai a
dormire.”
“Sì, è bello sentire il vento che
fischia e stare dentro al calduccio, mi addormento pensando a quando si andava
a pescare insieme, o quando si leggevano le lettere arrivate dai nonni
italiani…”
“Ci rinuncio a farti ragionare.” Si rassegna alla fine.
“Bravo. Se vuoi farmi arrabbiare come facevi una volta, ora non ci riesci più, puoi trovare sempre dei difetti alla mia vita, ma se guardi nella tua ce ne sono altrettanti, se non di più. Ma lì tu non ci vuoi guardare, ti fa paura.”
Cicero alza gli occhi al cielo.
“Va bene, me ne vado.”
“E comunque vaffanculo.” Il mio cortese commiato, ora che posso, ma quando era in vita non potevo.
Pardona domenica 2 luglio 2028
(Sandro Pertini)
Era autentica nel bene e nel male e anche
se mi dava addosso gli piacevo così com’ero, cosa rara. Le piaceva fare l’avvocato del diavolo,
forse perché era di origine italiana, non lo so. Parlavamo molto e di solito
lei mi faceva capire cose che da solo non ci sarei
riuscito, ma era un po’
faticoso viverci insieme, infatti ci lasciammo, non so se fu lei o io, forse
tutti e due.
“Mi pare che se uno deve dimostrare qualcosa
agli altri è solo perché lui stesso non ci crede. Questa è la critica
che ti faccio, caruccio!”
“Dimostrare qualcosa a qualcuno
io? Ma è proprio per evitare
di dover dimostrare qualcosa a qualcuno che non voglio più avere a che fare con
questi matti.”
“Ognuno è matto alla sua maniera.”
Venuta da realtà completamente
differente, Britt amava le storie della mia famiglia, era addirittura
incredula, che potessero essere vere, ma mi chiedeva spesso
di parlarmi di loro, a me non piaceva, ma in un certo
senso mi ci sfogavo anche.
“Mia madre era di una famiglia più
ricca, ma non troppo, di quasi nobili… se mai fossero
esistiti i nobili
in Venezuela, non lo erano
mai stati, ma tacitamente si consideravano
tali, perché anni prima erano stati più benestanti, alcuni di loro persone
anche colte, rispetto alla famiglia di mio padre, per esempio, di poveri arrampicatori
sociali assai ignoranti, se non presuntuosi e apparentemente astuti, ma neanche troppo, e solo in direzione di potere e
denaro.
Figurarsi che su suggerimento di mia madre,
suo fratello maggiore Ithamar dava lezioni di psicologia e filosofia a mio padre, con il risultato di farlo diventare sempre peggiore,
sempre più bugiardo e ipocrita, attaccato ai soldi
e pessimo padre,
ancora peggior conoscitore della vita e di sé stesso, delle conseguenze
infine di quello che faceva e soprattutto di quello che non faceva. Non che lo
zio non fosse un buon professore di filosofia, ma si era creato un antagonismo
così forte, che mio padre anche senza accorgersene, sabotava sé stesso
pur di dimostrare a mia madre che si buttavano via quei soldi delle lezioni
di Ithamar, che non sapeva
insegnargli niente.
Mio padre è stato uno dei pochi,
forse l'unico che si è scomunicato da solo,
prima che lo facessi io, e forse io non l'avrei mai fatto, perché
in fondo era mio padre,
una persona assai intelligente, simpatica e autoironica, nonostante tutto. Forse è stato
la dimostrazione vivente,
per me indelebile, che una persona molto intelligente poteva risultare
anche più stupida, nella sua maniera di affrontare il mondo, di tante persone tecnicamente poco
intelligenti.
La sua principale evoluzione è stata attraverso il denaro e il potere,
perché tutto passa attraverso il suo processo di guadagnare (e spendere) sempre
di più, credo che alla sua maniera
lui sia stato assai generoso, pagava da bere e da mangiare a tutti, non si limitava mai
nel suo pubblico dimostrare che poteva permetterselo, ma poi diventava meschino e miserabile, al limite del ridicolo, quando
avrebbe dovuto darle dei soldi per le spese di casa, o
anche solo ammettere di aver dimenticato qualcosa, pur insignificante che
fosse, di cui mia madre lo accusava, e di cui si sapeva che era responsabile.”
“Ma come fai a dire che era intelligente se nella sua vita
faceva solo cose sbagliate?”
“Intanto io l’ho conosciuto,
purtroppo e te invece no. Per esempio perché era un abile bugiardo, mia madre
che non era tanto facile, ci cascava sempre
e non era l’unica. Anche se poi non lo fanno, a dire la verità sanno fare tutti, sarebbe più semplice, ma per mentire bene ci vuole dell’intelligenza. No?”
“Anche se mentire ti provoca più
guai che vantaggi?”
“Quello è un altro discorso, è la sistematica sbagliata che una persona ha, suo malgrado, per
via del suo ambiente meschino, dell’educazione che non gli hanno saputo dare.
Guarda: se bastasse essere intelligenti per trasformarsi in benefattori altruisti il mondo funzionerebbe meglio,
ma non è così, purtroppo, lo vedi da sola.”
Pardona domenica 14 maggio 2029
Ramsete Ghilardi (dal romanzo “Come mai i Perché non Hanno la
Stessa Nostra Fretta?”)
“Avevo letto che un navigatore solitario brasiliano diceva che, se c’è bisogno,
si può dormire a rate e allora
cominciai anch’io, in maniera sistematica.
Un’ora alla volta, in certi casi due, raramente tre.
Però ero troppo teso e la mia salute di vecchietto peggiorava, mentre
passavano le settimane e non succedeva niente.
Il gioco era anche psicologico,
bisognava anzitutto stare tranquilli, per riuscire a dormire, per poter far riposare
la mente, l’esagerata necessità spesso
sfocia nell’effetto contrario
a quello desiderato. Pensai che avrei
avuto più pace in paese, magari nascosto in qualche casa alta, magari a tre piani. Loro non sarebbero venuti a cercare
prodotti a lunga conservazione, quelli
ce li avevano già laggiù a valle. No, volevano piuttosto gli animali, la roba da
mangiare viva, avrebbero sentito l’odore delle galline e del bestiame.
Quindi sul campanile della chiesa
misi un letto e organizzai la difesa
con Salsiccia, il cane più tranquillo trai dieci che erano diventati, gli altri
li lasciai alla base, dove passavo anche tutto il giorno a lavorare, ma la
notte lassù dormivo meglio. C’era una vista a 360 gradi ed ero ragionevolmente
sicuro che qualsiasi banda di disperati prima di arrivare alla mia piccola
fattoria modello, doveva per forza passare lì sotto.
Per chi guarda in faccia la
realtà, spesso il futuro è facilmente prevedibile, ma non bisogna mai escludere
le potenziali sorprese. In sostanza non si deve mai dare niente
per scontato e questo era un po’ il mio motto da sempre.
Saccheggiai le librerie che trovai nelle città vicine. Le mie incursioni erano sempre mirate a
trovare dei beni abbandonati, ma non potevo caricarmi di cose superflue, a
portare tutto lassù poi era dura e per mantenere il mio patrimonio animale non
potevo stare via molto tempo.
Misi su un magazzino in paese per
lasciarci tutte quelle cose che non mi servivano, per il momento. Anche la jeep
la lasciavo in un garage
spazioso e chiuso
a chiave.
La sera mi godevo quel silenzio e la relativa lettura, il vento a volte era anche troppo forte e freddo, ma mi vestivo bene ed ero ormai abituato a riconoscere i rumori degli animali attorno, non solo i miei ma anche degli uccelli, per capire se c’era qualcuno o qualcosa in avvicinamento.
Un elefante sopravvissuto a qualche circo
una volta fece suonare tutti gli allarmi
e distrusse con la sua mole qualche trappola non destinata a lui, in
sostanza mi fece prendere uno spavento e si tirò dietro i miei cani inferociti,
corse impaurito e ferito fino a cadere in un burrone.”
“Madonna mia! Si sfracellò?”
“Per un po’ ho cucinato sulla
brace la sua carne, per i cani, ma poi è ammarcita.”
“Ma non avevi il frigorifero?”
“Sì, uno piccolo, ma i pannelli
solari non potevano alimentare frigoriferi così grossi e l’elettricità ottenuta
mi serviva per tante altre cose.”
“Che storia… e dopo?”
“E dopo ero quasi contento che la
nostra insensata umanità fosse arrivata alla meritata fine, che gli eventuali
sopravvissuti avessero occasione di ricominciare da capo, magari anche in
maniera più degna. Se fossi stato uno normale avrei dovuto sentire la mancanza
degli esseri umani, in senso generale, invece no, solo di alcune persone, come
te, Ivalda e Pierosky, ma anche prima vi frequentavo assai di rado e non ero quasi
mai io a cercarvi. Passati
i primi anni ero diventato esperto della mia nuova routine e avevo imparato a
dormire in due o tre rate notturne, una o due più brevi pomeridiane, insomma mi
sentivo di nuovo bene fisicamente e mentalmente. Là a valle, anche in lontananza,
sentivo dei boati, ogni tanto, qualcuno si stava facendo la guerra, come la storia
insegna, per togliere agli altri quello che avevano.”
Pardona domenica 10 luglio 2029
AL CIMITERO DAI NONNI
Si nasce e si muore senza sosta. Se il mondo è un enorme cimitero di ossa di uomini e donne, animali e piante - sotterrati a miliardi - che si riciclano, come si dice in giro, nell’atmosfera, la morte non dovrebbe farci così tanta impressione.
Gualteiro Gualandris (Chiome di Alberi all’Infinito Passato)
Anche gli ulivi sono tipici delle nostre colline, si riconoscono per il colore argentato delle loro foglie e ricordano subito le olive che piacciono molto o non piacciono per niente, a me per esempio no, ma soprattutto l’olio extravergine e appetitoso a crudo su ogni tipo di mangiare.
Visto che non avevo niente da
fare, per riuscire a spaccarmi meglio la schiena, mi sono messo a pulire un uliveto abbandonato e poi a raccogliere le olive, a farci il mio olio, che
bestemmiando per le difficoltà, finalmente, sono riuscito dopo mesi di tentativi
ad assaporare.
I cipressi sono il tipico albero
italiano e toscano, non solo da cimitero, ma sempre austeri ed eleganti, sempre
schierati su colline a fare da combinazione con i cieli azzurre a nuvolette
bianche, perché si riconoscono da lontano. Ho saputo che nella Pianura Padana,
visto che i cipressi non si mantenevano in vita nemmeno a forza, hanno adottato
dei pioppi particolari che hanno la stessa forma affusolata e che efficacemente
ingannano l’occhio dell’osservatore eventuale.
I nonni da parte di mia madre,
essendo ebrei, sono nel cimitero di Pisa, abbastanza verde ma piuttosto
anonimo.
Un notevole cimitero con vista sul
mare invece quello di Pardona, dove giace la tomba accoppiata dei miei nonni da
parte di mio padre. La loro posizione è privilegiata, con i cipressi alle
spalle e davanti al nostro sguardo si apre la pianura della Versilia
e il mare sconfinato.
Quelli anglosassoni però mi garbano
di più, c’è più verde e le lapidi di pietra grezza sono solo verticali, piuttosto rustiche
combinano meglio con i
pratini verdissimi dai quali spuntano come funghi, senza rispettare file o qualsiasi altro ordine di simmetria.
Ho anche provato a conversare con
i nonni, ma non mi dicono niente di importante o appena indicativo,
sarà perché in vita non mi hanno mai conosciuto e per loro sono un estraneo, anche se gli spiego chi sono e cosa faccio qui.
Ho notato che non solo i concetti
cambiano assai tra le generazioni, ma soprattutto la maniera di parlare. Loro
per esempio sembrano timorosi di dire qualcosa di sconveniente, il che tra noi,
con la morte di mezzo e cinquantine di anni di differenza, a fare da metaforico
cuscino ammortizzatore, non mi pare proprio il caso. Pazienza.
Pardona domenica 19 luglio 2029
UN PACATO PASSATO DA DIMENTICARE
Ascoltati gli alibi, stabiliti i moventi, ci si rende conto di quanto la vita sia poco matematica e lontana dal meccanismo logico di un qualsiasi romanzo poliziesco.
Fanny Menga Chang
(dall’opuscolo
didattico: “Più che un Giallo...
direi, un Quasi Verdolino”)
Virtualmente converso con mio zio Ithamar abbastanza di frequente, di solito la sera, seduto sulla panchina fuori. Specie quando c’è la luna piena, sennò cerco di ricordarmi le luci che c’erano e non ci sono più, quelle ferme e quelle in movimento. Il mare che altrimenti non si vede, ma si intuisce perché di solito è sempre là sotto, con tanti piccolissimi lumini lontani di paesetti intorno, tipo Porto Venere, in ordine sparso Marola, Fezzano, Le Grazie, da un’eternità lì nel golfo di La Spezia, le navi che passano, barche di pescatori, ognuna aveva i suoi bravi lampioncini.
Bei tempi, oppure no?
Ora è Ithamar che mi illumina,
cioè qui al buio mi porta problemi, situazioni e persone a me completamente
estranei e lontani, poi ne fa l’interpretazione assolutamente non richiesta.
Non mi pare che abbiano qualcosa a
che fare con me o con il mio mondo limitato dalla mia filosofia invero piuttosto
zoppicante, invece a pensarci bene ce l’hanno, eccome.
“Una buona filosofia di vita, e mi raccomando non di morte, può
aiutare parecchio un essere, suo malgrado pensante nella pratica dei suoi giorni.” Dice Ithamar.
“Il mondo presenta vari problemi a chi
insiste nel volerci proprio vivere, principalmente a noi esseri umani, il primo
guaio è indubbiamente la presenza
di tanti, forse troppi altri esseri umani.
Hanno scoperto altri pianeti con
sopra dell’acqua, questo non significa poi che ci sia della vita, come la
intendiamo noi, e poi per ora non saprebbero lo stesso come spedirci delle
vagonate di esseri umani, non in treno, ma come? Non si sa, perché sono lontani
anni luce.
La sopravvivenza di per sé è
desiderabile, ma provoca comportamenti insensati, superiori all’entità del
problema. La gente lotta oltre l’effettivo bisogno di farlo, si crea nemici
immaginari che non hanno altra colpa di volere lo stesso che vogliono
loro, forse di volerlo troppo intensamente, come loro stessi, del resto. Più
vivono male e più sono attaccati alla vita. Il consumismo nasce dal voler
immagazzinare dei beni di conforto che non solo non ci confortano, ma che ci
schiavizzano per dover guadagnare dei soldi per poterli comprare, mantenere,
cambiare, portare al livello degli altri, o addirittura superiore.”
“Non mi dirai che io sono consumista…”
“No, ma ne sei assai influenzato, al contrario, fai di tutto per non accumulare, cioè vuoi scegliere troppo.”
“Fammi qualche esempio.”
“Le scomuniche.”
“Come le scomuniche?”
“Non te le ricordi più? Non è roba
del passato, anzi, là in Italia è continuata a tutto vapore...
Sì, la gente va selezionata, ti giustifichi con te
stesso, comunque è un meccanismo inconscio e forte, come per tuo padre. O una
persona ti piace molto o troppo poco, non riesci
a sentirti indifferente, e per farlo devi allontanarti da questa persona,
che eventualmente ti stia recando danno sproporzionato al piacere di
starle insieme.”
“C’è un robusto fondo di verità. Tra tutti quelli
che ho conosciuto però, che non sono pochi, un mio amico di Boulogne - conosciuto a Oslo, uno giammai scomunicato, tale Henry Brest - diceva che mi sbagliavo a voler selezionare, lui usava un altro sistema: si ubriacava tutti i giorni e la
gente gli pareva migliore.
Non so nemmeno se è ancora vivo,
ma non credo.
Invece io no, all'alcool ci ho
rinunciato e anche quando bevevo scomunicavo a tutto andare,
anche così il mio senso critico non risparmiava l'osservazione degli altri e anche la feroce critica a me stesso, devo
ammettere.
C'è anche da dire che così facendo
riesco a non sentire rancore per queste persone, dopo un poco di tempo, le
considero solo disgraziate, perché debbano rinunciare alla mia compagnia.”
“Ah-ah-ah!”
“Era un’affermazione ironica.
Ecco un altro punto strano; quando
li vedo, o me li immagino, ho difficoltà a credere, per qualche
attimo, che loro possano continuare a esistere, anche dopo averli esclusi
dal mio mondo.
Sto ironizzando ancora su me
stesso, l’avrai capito ora. Lateralmente però, critico
molto anche il mio stesso modo di vivere, questo mi permette di migliorare, perché
non mi accontento mai, cioè ogni giorno sto studiando il modo di
fare qualcosa di più o di
migliorare quello che sto facendo
attraverso altri sistemi nuovi o già usati, ma forse usati
male, o nel momento sbagliato, o in altre situazioni.”
“Il bello che ti dici tutto
da solo, lo sai che sbagli eppure continui.” Dice sorridendo
Ithamar, io non lo vedo ma lo sento, ricordo molto
bene quel suo sguardo che commisera
l’interlocutore, lo usa a priori,
anche senza ragione,
fa parte del suo modo di fare.
“Non sono del tutto
d’accordo. Dal punto
di vista di gente che vive assai
meccanicamente la sua vita, io vivo analizzando di continuo, lo posso fare
perché vivo assai ritirato, io penso troppo,
io questiono anche
l'inquestionabile. In un certo senso invece penso di testare
abbastanza la mia vita, nel senso che sono assai
più disciplinato della
maggior parte della gente e
questo mi ha sempre permesso di lavorare meno e di prevedere il futuro in
maniera approssimativa, ma con i piedi per terra soprattutto per quanto
riguarda la mia situazione finanziaria.”
“Hai parlato abbastanza ma non
hai detto molto. Tagliando corto forse è colpa di Cicero, tuo padre. Il vostro
antagonismo è cominciato da lui, ma tu non te ne sai liberare ancora, dopo che è morto da parecchio tempo. Quasi come se tu dovessi fare
per forza il contrario di quello che faceva
lui. Tuo padre
diceva che la vita non si può controllare e con questa
scusa, certo lui non lo ammetteva, ma non
si sentiva minimamente responsabile per quello che faceva
e scaricava tutto il suo pesantissimo Ego sugli altri, che lo sopportassero o
no a lui non gliene fregava niente.
Tuo padre nel lavoro era un ruffiano tremendo,
sempre sorridente e disposto a
leccare le altrui palle fino all'orgasmo. Anche fuori nel tempo libero si
comportava in maniera untuosa,
ma senza modificare di un millimetro il proprio
comportamento di fronte alla diversità e sebbene volesse mostrare proprio
il contrario, era permaloso e vedeva i rapporti
tra le persone in maniera assai poco sentimentale e sempre interessata.
Non è mai cambiato, almeno in
questo senso di evoluzione dialettica, è sempre stato
abile a negare
l'evidenza e a provarla con evidenze che erano evidenti solo per lui, robe inesistenti in
assoluto. Attraverso la bugia e il suo atteggiamento, quello di chi aspetta
sempre la mossa dell'altro per poter agire di rimessa, valutava erroneamente
che fosse più facile e al riparo da ogni rischio. Ma la fatica che uno dura solo per
evitare la verità e ricordarsi tutte le bugie che dice?”
A volte mio zio ha ragione, non è
uno stupido, e poi se uno parla tanto alla fine qualcosa di giusto lo dice per forza.
Sono tornato un po’ indietro
nel tempo, pensare
a quelle situazioni mi è sempre piaciuto poco, ma
forse era necessario.
Poi c’era il miglior amico di mio
padre, Conrado Sixto, che lo manipolava facilmente, il suo amicone era un boss ed è
stato lui che per primo mi ha pagato per uccidere un uomo.
Usava molto quello che dicevano gli altri come se fosse suo, aveva il raziocinio rapidissimo e se te lo mettevi contro ti
tagliuzzava sadicamente a rasoiate di lingua sottilissime e velenose... ma in fondo la sua volontà era poca, se non
messa alle strette in maniera
diretta, viveva anche lui in un tunnel come Cicero, mio padre, la
struttura della sua giornata lavorativa era
pesante, nonostante l'età e la sedentaria maniera di vivere, ce la faceva ancora perché viveva così da tempi immemorabili.
Parlavano male l'uno dell'altro, ma almeno frontalmente si difendevano a spada tratta. Per bene che andasse, se non si trovavano nella reciproca presenza, si appoggiavano assai meno, o niente del tutto.
Tutti e due vivevano in un tunnel
di quello che chiamano lavoro, ma era piuttosto delinquenza, tutti e due
smettevano di aver rispetto del disgraziato che stava loro di fronte,
dal momento in cui si manifestava una divergenza di opinioni, tutti e
due avevano un Ego enorme e sotto, se si andava a vedere, non c'era quasi niente,
uno scudo gigantesco per proteggere delle nullità, anche dagli sguardi,
anche dalle indiscrezioni. Lo scudo insomma serviva anche a proteggere loro da sé stessi,
ecco perché comunicavano tanto poco con le loro stesse anime, sarebbe stato piuttosto
scomodo.
Mio padre era già in ospedale, non ci sarebbe più uscito se non con i piedi davanti, non seppe mai che avevo
fatto fuori io Don Conrado, e quella fu una catena di coincidenze, partite dal
mio voler risparmiare Alberto Nuti.
Non era stato l’amico di mio padre
a commissionarmi il contratto, ma quando mi misi contro l’altro boss, attaccato
ci venne, in offerta speciale, anche Don Conrado, e la sua numerosa gang.
Vedi che ti succede?
Ebbi a dire a me stesso. Se avessi fatto il fornaio,
tanto per dirne una, questo
non mi sarebbe capitato.
<Fare
attenzione bimbo, quando si sceglie un mestiere.>
Probabilmente Don Conrado aveva
garantito per me, ora era con lui che dovevo usare la mia arte, ma se
esattamente di arte si trattasse non lo sapevo.
Fu proprio lui a dire la famosa frase,
che magari non gli
costò direttamente la vita, ma di sicuro accelerò
il processo già in atto:
“Io ti ho fatto e io ti disfaccio!”
Pardona domenica 9 settembre 2029
Rupert Bocchio Zapf
(Se Tale Documento Mai Fosse Divulgato)
Non so perché vado spesso a fare perlustrazioni a Portovenere, forse perché è abbastanza vicina e poi mi piace, in più sono anche sempre curioso di vedere a che punto la rovina si sia abbattuta sul borgo ligure.
L’ultima
volta io e Pugacioff, abbiamo camminato lentamente scavalcando le ossa umane
sparse in giro e incontrando animali singoli
o in gruppi, piccoli, medi e
grandi che sembravano come al solito sorpresi di vedermi.
Ho
sostato a rimembrare il passato davanti alla finestra di Byron e avrei anche
fatto delle foto, ma ormai eravamo tornati all’età della pietra.
Salendo verso la chiesa sulla rupe a picco sul mare sono passato accanto a quella enorme scacchiera dove giocavano con pezzi scolpiti nella roccia, o forse di cemento armato, sono sceso nella spiaggetta sottostante e mi è venuto in mente il film Il Settimo Sigillo di Bergman e la partita a scacchi con la morte, una pellicola che non avevo visto che a pezzi, ma quella scena mi aveva impressionato.
Lo scenario simbolico
di morte e di spiaggia sassosa
mi sembrava affine, anche se quella del film era molto più ampia.
A un certo
punto Pugacioff, appena
uscito dal mare con un grosso bastone in bocca che gli
avevo buttato io, ha guardato verso l’alto
e ha abbaiato, girandomi velocemente ho visto come un’ombra
sparire dentro il portale di pietra e il lembo di un vestito nero svanire
aldilà dell’ingresso di quel muro antico.
Con il rumore del mare mosso contro
gli scogli non avevamo potuto avvertire qualsiasi altro indizio sonoro.
Abbiamo rapidamente scalato i gradini
e arrivati su non c’era nessuno, poteva essere stato
un corvo, un cane nero, che ne so, anche un cinghiale che sembrava più scuro
di quello che era, forse la mia immaginazione aveva fatto il resto. Mentre ci guardavamo intorno, a
maggior distanza è avvenuta la stessa
illusione ottica, alla porta della
chiesetta di S.Pietro aperta, lassù in alto. Siamo corsi con la fiataccina
anche lì, ma non c’era niente e nessuno, sono sceso anche nella cripta,
accendendo al volo una candela senza pagare, mentre Pugacioff abbaiava furiosamente perché non poteva scendere le ripidissime scale e la
chiesa rimbombava in maniera assordante. Nulla nemmeno lì, a parte teschi e
scheletri, i soliti mucchi di ossa umane.
Mi sono seduto su una panca polverosa a riprendere fiato, in quel momento ho sentito forte una voce echeggiare:
“Che
tu potessi di tua spontanea volontà entrare in una chiesa non l’avrei mai
creduto!”
“Eh?”
“Sono io che ti parlo. Mi rivolgo soprattutto al tuo cuore nascosto. Confessati figliuolo, ne
hai un estremo bisogno, noi due lo sappiamo…”
“Ma
che sapete? E poi chi siete voi?” Ho pensato io ad alta voce.
“Noi
due nel senso d’io e te. Dove io sono Padre Ramiro Lameira della diocesi di
Ciudad Ojeda!”
La voce era la sua, con un assai realistico
eco della pietrosa chiesa. Don Ramiro era mio coetaneo, eravamo stati in classe
insieme alle elementari. Era molto intelligente, e ciò nonostante simpatico e
buono, dotato addirittura di ironia e autocritica.
Se
tutti i preti fossero stati come lui magari anch’io stesso, da sempre contrario
alla chiesa e alle religioni in genere e numero, mi sarei forse quasi-quasi convertito.
Il
suo difetto maggiore però era che la diocesi
di Ciudad Ojeda
per lui era sconfinata, non bastava
l’universo per scappare e mi aveva sempre inseguito con le
sue lettere e i suoi e-mail, per convertirmi a qualcosa al quale, a mio
giudizio, non credeva più nemmeno lui, insomma voleva salvarmi, ma non sapeva
bene nemmeno da cosa, né perché. Solo per partito preso, o per simpatia, chi lo
sa?
Ogni
tanto però era venuto a parlarmi delle cose che non avevano niente a che fare
con i peccati miei o con la chiesa cattolica.
Altre volte anch’io ero ricorso al suo aiuto, più tecnico che spirituale, ma in
lui erano cose ben collegate.
Sulle pandemie
per esempio aveva la stessa idea di Zino,
erano tutte solo congiure a spese nostre,
povere pecorelle smarrite e
stupide, non necessariamente in quest’ordine. Io non lo sapevo,
all’inizio, non avevo una posizione definita, quello che diceva lui non lo escludevo, ma non ci credevo fino in fondo.
Con lui avevo sempre scherzato sulla confessione, lui mi diceva di confessarmi sempre e subito, che ne avevo
estremo bisogno e io allora di
rimando glielo intimavo a lui, pur sapendo che lui di peccati non ne aveva, se
non quell’insistenza nella missione di voler salvare tutti e me per primo, che
non ne sentivo alcuna voglia o necessità.
In
quel momento alcune domande mi ronzavano nel cervello. Il lembo della sua veste
nera da prete era quello che avevamo visto io e Pugacioff? Stavo cominciando a
impazzire... e perché allora anche Pugacioff, nello stesso fottuto momento?
Mentre
Ramiro introduceva a parole il suo misto indissolubile di religione,
cibernetica ed economia, l’ho battuto sul tempo e gli ho chiesto subito della
congiura mondiale che lui dichiarava in atto.
“Non mi confesso da anni ormai e
ho perso il conto dei peccati, tanti o troppi non fa alcuna differenza, ma a proposito
della pandemia e degli intrighi internazionali cosa avresti
da confessarmi tu?”
“In che senso?” Ha chiesto lui.
“Che
se la pandemia era una manovra come dicevate voi, ora sono morti anche loro, i
manovratori, ma che minchia di manovra era?”
Le
risposte non ce le aveva, ma ha subito tagliato e confuso le acque. Su alcune
cose era molto preciso, su altre svicolava, diventava molto approssimativo, se e quando gli faceva
comodo.
“Ah, sì è vero. Penso che gli sia semplicemente sfuggita dalle mani.”
“Spiegati
meglio, padre nostro che sei nei cieli...”
“Intanto i cieli sono diversi da come me li ero immaginati. Ma questo è normale e poi c’è
anche un altro discorso. Le crisi, queste cose malamente manovrate, sono sempre tentativi di
fregare la gente, le povere pecoracce sperdute, tentativi finiti male anche per
loro, a cui poi cercano di rimediare.
Le
congiure, da quella di Lucifero in avanti, sono sempre andate a parare dove non volevano e
allora, prima di rimetterci troppo, cercano di ristabilire le cose, ma
l’entropia dice che più processi
chimici o fisici si mettono a
funzionare, più difficoltà abbiamo a tornare indietro, le variabili della teoria del caos diventano troppe e si perde
facilmente il dannato controllo...”
“Beh, effettivamente...”
“Nel
caso specifico hanno voluto o dovuto studiare un virus più forte e gli è stato
letale...”
“A loro e a tanta gente che non c’entrava niente...”
“Così
è la vita, tutto inizia e poi si trasforma, niente finisce ma tutto cambia.
Vedi che non sono un povero parroco sprovveduto e ancorato al passato. A proposito poi ci sarebbe quella storia del tuo
secondo lavoro, che non mi hai mai confessato.”
“Perché
avrei dovuto confessartelo se lo sai benissimo e non credo nella confessione,
né nella chiesa, né in un qualsivoglia Dio, nel suo eventuale perdono o
condanna?”
“Non fare il furbo con me, quando avevi
bisogno del mio aiuto però ci credevi... o no?”
“Credevo
nel potenziale tuo appoggio, che si è rivelato poi efficace, in alcune
occasioni, ma non sempre, niente di più e non ti ho mai fatto credere che fosse
così.”
“Confessati
ragazzo mio, anche se hai settant’anni e passa ti sentirai
più giovane e leggero. Tanto ormai...”
“No.”
“Ti devo dare una notizia, ti può essere preziosa. In
cambio della tua confessione.”
Non era tipo da bleffare e confessarmi in fondo non mi
costava niente, in due minuti eravamo pronti.
“Ma
sì, tanto ormai...”
“Bravo.
Non sono venuto solo a parlarti di cose per te senza senso. Lo avranno in
seguito, vedrai, ma confessati prima: poi ti dirò. Parola di Giovane Marmotta.”
Ho
confessato dunque tutti i miei peccati, o almeno quelli che ricordavo, perché
erano tanti e poi non sapevo quali veramente lo fossero e quali no.
“Tra
i sopravvissuti ce n’è uno che ti ha giurato morte, tale Zé Larnaca. Questo
nome non ti dice niente?”
Se mai avessi avuto paura di un uomo sarebbe stato Zé Larnaca, il cui fratello
amatissimo a suo tempo io avevo ucciso, mi aveva giurato morte e torture
abominevoli, non necessariamente in questo ordine.
Ormai
era notte e sono tornato a casa in fangosa jeep con Pugacioff. Ho avuto difficoltà a
non addormentarmi, mi girava anche la testa, non siamo usciti di strada per miracolo. Forse così avrei risolto il
problema nel migliore dei modi. Invece no: sarebbe magari morto anche Pugacioff
e non se lo meritava proprio, insomma molto meno di me.
Pardona sabato 12 febbraio 2030
La filosofia
non serve per approfittare delle verità dei vari pensatori, che si divertono
l’uno a dire il contrario
degli altri, ma per stabilire un nostro comportamento efficace, attraverso i normali ostacoli del nostro
cammino.
(La Trincea di un Calzolaio a Caso)
Al
di fuori del mio dialogo con mio zio Ithamar che mi fa spesso e volentieri
perdere le staffe, ma lo fa a fin di bene, lontano dalle ideologie religiose
di padre Ramiro,
che ha senza dubbio
a cuore non solo la mia salute
ma quella di tutti, la mia filosofia
di vita si divide in due parti.
La
prima è precedente alla cosiddetta catastrofe, la seconda ovviamente è quella dopo.
Come
qualcuno anticipandomi di pochi anni ha dichiarato, la nostra disponibilità nei
confronti del nostro prossimo cambia in proporzione alla legge della domanda e dell’offerta. Cioè se sei uno che vive
in mezzo alla gente diventi meno disponibile, perché ti rompono un po’ le
scatole.
Se invece rimani solo al mondo allora le persone sembrano migliori, ti ricordi più
facilmente le cose belle dell’umana compagnia e ne senti
quasi la mancanza. E comunque è facile essere ben disposti con un prossimo
teorico e assai più difficile con
uno che ha una faccia e un corpo, soprattutto una personalità ben delineata e
diversa dalla nostra, in buona sostanza: un seccatore.
Detto
tra noi pensavo che il mondo senza la gente diventasse molto migliore,
alla fine però mi manca qualcosa, forse ho perfino paura di dire qualcuno.
Prima
della catastrofe ricordavo con piacere alcuni momenti della mia vita a contatto
con determinate persone, forse perché la mente in genere,
in maniera del tutto automatica, esclude i brutti ricordi. Però a me succede il
contrario, mi rammento più facilmente delle cose brutte e mi dimenticherei al
volo le cose belle. Qui entra il mio ragionamento e mi sforzo di cercare il
positivo, di solito lo trovo e me lo godo.
Nel
nostro caso mi sono impantanato in un ragionamento più che altro laterale, ora
cercherò invece di rimanere sull’essenziale.
La
mia filosofia di vita fino a un certo punto della mia storia è stata rappresentata dallo stare bene con la gente che mi stava attorno e cercare di far
stare bene anche loro, fregandomene in seguito e alla grande se usavo un po’
troppo il verbo stare, dato che non avrei saputo trovare sinonimi equivalenti
ed efficaci.
Accorgendomi
che più passava il tempo
invece insieme agli altri ci
rimanevo poco e male, ho cercato di concentrarmi di più su me stesso, capendo
meglio, se ne fossi stato capace, ogni mio desiderio o bisogno.
Questa
parte mi è riuscita, almeno quando sono approdato a un certo tipo di standard
più funzionale, del mio comportamento nei miei stessi confronti, allora in
maniera del tutto automatica sono stato meglio anche con gli altri, ma intanto
quelli se ne erano andati.
I cani per me sono un esempio positivo, una fonte di
ispirazione.
Cerca di vivere come il cane
Non
lasciare passare l’opportunità di uscire a
passeggiare.
Prova la sensazione dell’aria fresca
e
del vento sul
tuo muso (o faccia) per puro piacere.
Quando qualcuno
che ami si avvicina, corri a salutarlo. Quando ce n’è necessità, pratica l’obbedienza.
Fai sapere agli altri quando invadono il tuo territorio.
Quando puoi, schiaccia un pisolino e stirati per bene
prima di alzarti.
Corri, salta
e gioca ogni giorno.
Mangia con gusto ed entusiasmo, ma smetti quando ti
senti soddisfatto.
Sii sempre leale.
Non
fingere mai di essere quello che non sei.
Se quello che vuoi è coperto di
terra, scava fino a trovarlo.
Quando qualcuno sta attraversando un giorno difficile, stai in silenzio, siediti vicino e
tenta gentilmente di compiacerlo.
Evita di mordere quando un semplice
ringhio può risolvere.
Nei giorni tiepidi, stenditi di spalle sull’erba.
Nei giorni caldi, bevi molta acqua e
riposa sotto un’albero frondoso.
Quando sei felice, danza e fai ondulare tutto
il
corpo.
Non importa quante volte ti hanno
censurato, non assumere la colpa che non hai e non ti sentire intimidito...
corri immediatamente di nuovo dai tuoi amici.
Rallegrati del semplice piacere di una camminata.
Se il tuo problema ha soluzione,
allora non ti devi preoccupare. E se il tuo problema non ha soluzione, tutta la preoccupazione sarà invano.
(Raccolta di regole tradizionali tibetane, probabilmente non
scritte da un cane.)
Pardona domenica 2 novembre 2030
È dubbio
se gli oppressi abbiano mai lottato per la libertà.
Essi lottano per l’orgoglio e il potere
– potere di opprimere gli altri. Gli oppressi vogliono
soprattutto imitare i loro oppressori; vogliono vendicarsi.
(Eric Hoffer)
Gli
anni passano e ogni tanto provo a vedere se c’è la luce, se funziona la radio,
senza alcun risultato. Ogni tanto qualche fuoco, a volte anche qualche
incendio. Più nessuna automobile però, o imbarcazione,
autobus o anche piccoli aerei. Nulla.
Ogni
tanto mi appare in sogno il prete che mi ricorda che devo morire, che Zé
Larnaca è vicino, che è solo una questione di tempo.
Nella
vita è quasi tutto una questione di tempo, però ci sono vari livelli e
interpretazioni.
Mi
chiedo ancora e spesso se veramente sia ancora vivo e dove sia. Dovrebbe avere
anche quasi un centinaio di anni, ma la sua faccia mi appare lo stesso come una
minaccia. Lo vedo anche nella ghiaia e nelle corteccie degli alberi, sui muri
scalcinati e in ogni buio.
Se
magari non stia organizzando qualcosa da qualche parte, con un manipolo di
sopravvissuti armati ai suoi ordini.
Alla
fine dell’estate mi è capitato di passare per zone dove c’è acqua e branchi di animali, forse
cinghiali. I tafani si sono moltiplicati, in certe zone
attaccano a nuvole e si deve scappare, mordono come ossessi, ma non demordono
facilmente.
All’andata
della mia perlustrazione non ce ne erano quasi, ma al ritorno ho dovuto
mettermi a correre, mentre li prendevo invano
a cappellate e dopo mi hanno inseguito
fino in casa.
Credo
che sentano quando sei sudato e allora arrivano miriadi di antipatiche
bestioline, che cercano di pungerti, come se fosse
l’unica cosa al mondo che possa interessargli. Ai primi freddi per
fortuna spariscono, penso che muoiano.
È incredibile pensare alla complessità della natura. Mi sono
ricordato che le lucciole maschio vanno in giro e fanno luce intermittente, ma
quasi nessuno conosce le femmine, che fanno luce continua, e stanno molto più
appartate.
Per
i tafani invece sono le femmine che succhiano
il sangue e infernizzano la vita di chi vive in certe zone di campagna. Invece i maschi
succhiano i fiori, non danno noia ad animali e persone.
Ci
sono anche tanti uccelli in giro e con il fucile da caccia ogni tanto
sparo a qualche
fagiano, o colombaccio, ma non sono mai stato un amante della
cacciagione.
I cinghiali sono tanti, si sono riprodotti in maniera esponenziale e qui
non ci sono molti predatori, a parte me, che ogni tanto ne arrostisco qualcuno,
per dare da mangiare ai cani.
Ci sarebbero anche i cani selvatici,
spelacchiati, magrissimi e rabbiosi che attaccano a gruppi, pare siano
incrociati con i lupi e sembrano malati, mi dispiace ma gli devo sparare, per
proteggere i miei cani fedeli, le mie risorse alimentari, e poi magari anche
me, se non ci sto attento.
C'è da difendersi anche
dai topi e dai corvi,
gli avvoltoi si avvicinano sempre di più, come se
aspettassero impazientemente la nostra morte.
Una
volta dalle nostre parti non ce ne erano, con tanti cadaveri devono aver proliferato abbastanza, però dopo anche
i corpi allo sfacelo hanno
cominciato a mancare.
Stare
attenti a non essere mangiati e procurarsi da mangiare erano le occupazioni degli uomini primitivi, però a pensarci bene ora io sono già ritornato a quel periodo
in cui la caccia veniva in parte sostituita dall’allevamento.
Per
l’agricoltura forse ci voleva la donna, ma qui non ce ne ho e poi un piccolo orto mi basta.
Le
donne badavano ai figli e al territorio adiacente l’abitazione, l’uomo stava fuori tutto il tempo a caccia. Confesso
che una donna
mi manca e anche
qualche amico come te, Annibale, ma non si può avere tutto.
Per conto mio, in nome dell’umanità, forse avrei dovuto andare
a cercare una femmina di uomo in mezzo a questi gruppi di predatori che vagano
per il mondo, magari prenderli a fucilate, rapirla e portarla qui. Però ero
troppo vecchio per quello. Avevo concluso che alla riproduzione, se ne avevano
voglia, ci avrebbero pensato loro. Sarebbe stato bello che l'uomo avesse
imparato dai propri errori e avesse sviluppato un'umanità più lungimirante,
insomma meno idiota, per intenderci, ma non ci credevo.”
“Io anche un lo so
nemmeno se ci credo o no!”
“Te
certe cose non te le sei mai chieste, perché non ne hai mai avuto bisogno.
La tua vita è stata tranquilla e senza
pensieri!”
“Insomma,
un ti dimenticare che c’è stata la guerra…”
“Ah sì, è vero.
Il conflitto bellico.
Ma anche il virus nostro è stato come una guerra, anzi
peggio. Io ogni tanto insisto e provo ancora se la radio trasmette qualcosa,
invano. Nelle mie trasferte cerco il passaggio di esseri umani e ne trovo anche, ma difficile sapere quando è stato,
se ancora vivono, chissà dove.
Ma sembrano tracce
vecchie e polverose.
Intanto ho costruito un capannello, mimetizzato con teli militari su
una quercia alta, da un punto di vista sopraelevato e strategico.”
“Su alla Loggiona?”
“Sì,
di lì si domina tutto il paesaggio. Con il fucile a cannocchiale faccio la
guardia qualche ora al giorno, di solito dopo pranzo, sonnecchiando anche un
po’, il resto del tempo lo passo al metato, che di lavoro ce n’è sempre assai, per nutrire la mia mandria
mista e affamata. Qualche
escursione giù a valle ogni settimana per trovare cose nuove
o vecchie: vestiti, medicine sempre più scadute, ma alcune ancora utili, tante cartucce, gasolio, benzina e farina,
sto facendo di nuovo il pane, ma di notte per non far vedere il fumo del forno
da lontano.
Lassù alla Loggiona c’è una radura grande, una volta ho visto
quattro cinghiali adulti scappare sul terreno erboso con una lieve pendenza,
erano andati a bere, li avevo spaventati io arrivando e loro correvano senza
eccessiva fretta, eppure erano assai veloci e spettacolari, appoggiavano insieme
le gambe dietro
e poi quelle davanti,
parevano quattro tozzi trapezi scuri caracollanti in piena luce, per quei pochi
secondi necessari per infilarsi nella macchia, hanno trottato fino a scomparire
alla mia vista.
Il
tempo si è piacevolmente fermato da quando sono spariti gli esseri umani, non
so da quanto tempo non guardo un orologio,
devo ammettere che anche prima della catastrofe non ne avevo uno, ma ora è
totalmente inutile, a cosa può servire?”
“A niente,
io al tempo un ci penso mai.”
“Perché
sei morto!”
“No, anche quando ero vivo, solo quando lavoravo, tanti anni fa. Domandaglielo a Ivalda! Seguivo
il sole e mi bastava.”
“Beh, il tempo per noi esseri umani passa in una maniera,
per gli animali è un concetto astratto.
Il
tempo per noi passa anche se non sembra, e come su un’ideale Arca di Noè, ci sono inevitabilmente anche i parti, che purtroppo non sempre si
trasformano in nascite. Le galline e le carpe fanno
da sole, basta cambiarle di gabbia o di vasca al momento opportuno.”
“Per le anguille invece no.”
“No,
infatti. E per gli altri ho letto sui libri come si fa. Ho imparato a mie
spese, ma soprattutto a spese delle mie cavie involontarie, a non fare più
cazzate.
Con
gli anni e la multilaterale esperienza sono diventato un discreto ostetrico,
modestamente penso di essere trai migliori in circolazione. Finché siamo vivi bisogna seguire i segnali di vita, i sistemi sono tanti e la cosa migliore è
osservare quotidianamente i cambiamenti.
Ecco che attualmente secondo
i miei calcoli e i doloretti alle articolazioni dovrei avere approssimativamente settant’anni, quassù non è arrivato ancora
nessuno, non so se sono rimasto solo o no. Non credo. Comunque non fa molta differenza,
ormai.
Spero di non avere bisogno di un medico, quando morirò che possa accadere d’improvviso.
A volte penso che avrei dovuto provvedere alla continuazione della specie umana, altre volte penso che in fondo è meglio così, comunque sia è troppa responsabilità per uno che non è mai stato un dio e non ci ha nemmeno mai assomigliato.
Chissà cosa faranno poi le mie bestioline senza di me. Con il tempo, avendo io bisogno di mangiare meno, alcuni li ho liberati, ma non se ne vanno, continuano a girare attorno al recinto.
Ho pensato che almeno gli avrebbe fatto bene vedere di nuovo la strada aperta, se potevano.
Si erano affezionati oppure si rendevano conto che
io ero una fonte di cibo sicura? Ho continuato quindi a dargli da mangiare lì
attorno al recinto.”
“Hai fatto bene, povere
bestie.”
Oltre
che per Annibale, la libertà per gli animali è un concetto vuoto, non possono
teorizzare nemmeno la sua mancanza, della libertà,
non avendo mai conosciuto la purtroppo umana
paura della paura,
seguono solo le regole essenziali della sopravvivenza e il resto lo ignorano, quindi se ne fregano.
Invece, per noi umani cresciuti nelle grandi città, è una cosa sempre parziale e anche
così da conquistare faticosamente, perché tutto il sistema,
che proprio noi ci siamo costruiti
attorno, ha la tendenza a obbligarci a fare delle cose che noi non vorremmo
fare.
La
prepotenza, spesso anche inconscia, a volte anche ipocritamente mascherata, è
stata una delle manifestazioni più comuni sulla terra. I prepotenti la chiamano
la legge del più forte e ne sono perfino orgogliosi. Almeno finché non trovano
uno più forte di loro, che magari in nome di Dio, li massacra.
Quello
che per il ragno è il paradiso è inferno per la mosca, e nessuno dei due pensa
al punto di vista dell’altro.
Annibale
mi ha fatto notare che quando lui era vivo, io non parlavo mai così tanto. Anche se era già morto,
gli ho risposto che questa
è una cosa scritta, dal vivo era lui che mi
faceva parlare molto meno, difficilmente riuscivo a finire una singola frase.
Quando
il mondo era più popolato, di cose ne succedevano di più, non tutte belle, però
c’era più movimento. Ho notato che stranamente mi manca quel senso di pericolo
che una volta sentivo in maniera continua e che mi faceva muovere in un senso o nell’altro. Era il mio punto di riferimento, la mia bussola,
che senza esseri umani intorno lentamente ho perso. Gli animali li sento
molto meno minacciosi. Avevano un
comportamento certo più lineare e meno distorto degli esseri umani, sicuramente
più prevedibile.
Visto
che non arrivava nessuno a vendicarsi e che la mia florida azienda a
conduzione, distribuzione e consumo personale non aveva problemi per andare
avanti, ho iniziato a uscirmene più spesso per delle perlustrazioni con la
jeep, alle quali partecipava anche il mio cane più simpatico, il prode
Pugacioff, misto di Pastore Tedesco con Cocker, figlio di Salsiccia e Mea.
Con
Pugacioff ho un notevole rapporto di dialogo, nel quale parlo io e lui mi
risponde, non solo a livello di immaginazione, ma dai movimenti del corpo e
dalle sue espressioni io mi immagino
cosa mi direbbe. Peccato che i cani non parlano, ha detto
qualcuno, gli manca solo la parola, ha detto qualcun altro. Io personalmente
penso invece che è proprio il loro maggior pregio, quello di non parlare e
basta guardarli nei loro occhi languidi, per capire cosa vogliono o cosa
pensano di te.
La parola
è un virus, figurarsi che dopo tanti
anni da solo continuavo a parlare, a immaginare di conversare con
qualcuno, a rivolgermi ai miei animaletti con frasi ben articolate e non mi
aspettavo certo che fossero le carpe a iniziare a rispondermi, ma quando i cani hanno cominciato
a dialogare tra di loro e poi con me, con accento
toscano di coche cole e
cannucce lunghe e corte, non mi sono sorpreso più di tanto. Dopo anni di dialoghi-monologhi
senza voci, padre Ramiro aveva sbloccato
qualcosa, o forse avevo solo sbroccato, sono rimasto comunque senza parole ad
ascoltare.
Mentre
li ascoltavo tra il divertito e il preoccupato, seduto sulla mia adorata
panca verde, riverniciata da pochi giorni, Carola,
la femmina di maremmano è venuta davanti a me, mi ha parlato con la voce di
Barry White, per me inconfondibile, e mi ha detto:
“Zè Larnaca è ancora vivo e ti cerca.”
Dopo qualche necessario secondo di sorpresa ho chiesto:
“E cosa vuole da me?”
“Vuole ricostruire la nuova umanità. Ma prima deve fare una pulizia etnica, come la
chiama lui...”
“Ma
c’è ancora gente in giro?”
“Un duecento
in tutto, forse qualcuno meno,
divisi in alcuni gruppi e pochissimi eremiti solitari come te.”
“Ma
io ormai sono vecchio e forse sono anche ammattito.”
“Buona questa!
Cosa credi? Siamo tutti pazzi,
anche lui, Zè, solo che
ognuno ha i suoi tempi, la sua misura e la sua
maniera, ma non c’è scelta né tempo,
ha bisogno di te.
Prima fare giustizia, insomma, per poi ricominciare ammodino.”
“Sì,
ma quale giustizia? Una volta esisteva il consenso, anche se valeva poco... almeno esisteva.”
“Ora
c’è solo la legge del più forte. Che non significa il più intelligente o
lungimirante.”
“Va
bene, anche prima la prepotenza era mascherata ma funzionava ammodino, però mi
viene in mente una cosa: Zé non è un vecchietto quasi centenario?”
“Novantasei
anni, per la precisione, ma ha un piccolo esercito di disperati ai suoi
ordini.”
“Il lembo
svolazzante della veste nera a Portovenere era la sua?”
“No, quella
era la tonaca di padre Ramiro.”
“Insomma, io che
dovrei fare?’”
“Lui verrà
da te, non dovrai aspettare molto.”
Pardona martedì 2 marzo 2031
IL BOTTONE
Mezza verità è una menzogna intera
(detto tradizionale ebraico)
Manco a dirlo, passarono approssimativi i semestri e non arrivava
nessuno. Ero arrivato alla conclusione che oltre alla mia normale pazzia
progressiva, i cani parlanti erano stati un effetto dei funghi tossici che avevo mangiato,
sembravano dei prataioli
ma erano viola vivo sotto, invece di essere appena rosati. Comunque Zè non si è affatto
presentato, né nessun altro, come io speravo. Ma quell’attesa mi aveva
fatto più male che bene.
Un
giorno ho visto un filo di fumo oltre il paese e sono andato a vedere, circospetto
e nascosto, senza fare rumore. Quella, se voleva attirarmi fuori dai miei
fortini, poteva essere una mossa astuta di Zè Larnaca. Ma il mucchio di sterpi
secchi bruciati non ha saputo darmi risposte, se non che quello non era
successo senza la mano umana.
Sono
passati giorni bui di appostamenti e di notti dormite male, senza risultato. I
miei animali erano tesi anche loro e i cani soprattutto, loro queste cose le
sentono, ad ogni rumorino saltavano su ad abbaiare.
Sono
rimasto un po’ più triste, anche i cani se ne sono accorti, stavo spesso seduto
sulla panca davanti casa con Pugacioff che voleva che mi scuotessi dal mio
torpore, il che avrebbe prima di tutto significato che mi avrebbe volentieri
riportato quelle sue pigne
bavose e io gliele avrei ritirate nel bosco. Invece no.
Un
giorno a Pardona ho trovato non una, ma due automobili, messe in maniera che evidentemente
erano state spostate. Una jeep Land Rover addirittura aveva i vetri puliti,
dopo che per mesi erano stati fangosi e assai poco trasparenti.
Ho
scoperto scatolette vuote sulla riva del torrente e resti di pasti in una
casetta che visitavo spesso, come punto di riferimento a est del paese.
L’ipotesi
della mia demenza insomma, alzheimer o pazzia, anche non erano da scartare.
Non
era lui, ma qualcuno che qui attorno ci viveva, nascosto e vigile, se non lo
avevo mai incontrato. Oppure da poco era arrivato. Larnaca se mi voleva stanare
non ci avrebbe messo delle settimane, la sua tattica mancava di senso o di metodo.
Al
suo posto mi sono trovato Ezri, dietro un angolo in paese, mi sono anche
spaventato, ho imbracciato il fucile e lui ha gridato:
“Non sparare!!! Non sparare!!!”
“No,
scusi... si figuri anzi sono contento, sono proprio contento che anche lei si sia
salvato, ma come ha fatto?” Respiravo affannosamente per l’emozione, quanti
anni erano passati non lo so, che non avevo più parlato con un vero essere
umano.
“Facile, ho smesso di andare al bar.”
“Ecco
io lo dicevo anche ai miei cani: basterebbe dissociarsi!”
“Lei ha tanti cani feroci, lo
so, e anche tanta roba da mangiare.” Era molto dimagrito, mi è sembrato, forse
anche perché non aveva più barba né colbacco.
“Lei
Ezri ha fame, non dica di no, perché non viene da me a fare uno spuntino?”
“Beh, se promettesse di non fucilarmi…”
“Nooo,
glielo giuro! E poi i miei cani non sono abituati alla carne umana!”
Qui
ha avuto un brivido, la mia ultima frase non era certo incoraggiante, né ben
augurante. Per un attimo ha scrutato la mia faccia interrogativamente e poi ha riso,
una risatina secca e corta. Chissà come aveva capito
che non avevo
cattive intenzioni.
“Ma
mi dica: come ha fatto a sopravvivere? Lei ha la patente di guida? Perché non
mi ha chiamato?” Gli ho chiesto.
“Troppe
domande, tutte insieme, per un povero vecchietto che ha perso la memoria e non
si ricorda né dove, né quando.
Bene, comincerò dall’ultima, avevo paura che mi sparasse, mi scusi ma lei
sembrava un soldato in guerra, che Iddio la porti piuttosto sul sentiero della
pace, sempre-sempre armato e si guarda intorno con fare minaccioso.
Ebbene
no, la patente non ce l’ho, ma per fortuna la polizia non mi ha fermato...”
Ho
riso soltanto io, lui è rimasto serio, proprio come facevano i grandi comici.
“La
prima domanda era sulla sopravvivenza, mi sono fatto un piccolo orto segreto,
sono andato in macchina a saccheggiare di qua e di là, ho sbattuto qualche
volta, pazienza, le macchine abbandonate in giro non mancano, per ora nemmeno
la benzina.”
Abbiamo
riso insieme, stavolta e intanto ci eravamo in segreto accordo avviati verso il
metato.
“Ma la sua abitazione ora dov’è?”
“Dopo
la cosiddetta catastrofe mi sono stabilito in quella grande villa sopra la strada prima di
arrivare a Pardona.”
“Ah, bella assai, ci si sta bene?’”
“Piuttosto
decadente ora, ma c’è l’acqua del pozzo, che è importante. Una volta era
bellissima, proprietà di autentici ebrei, famiglia Zelman. Che Iddio li abbia
in gloria.”
Forse
non era il momento giusto, ma gli ho domandato la differenza tra giudei, ebrei
e israeliti.
Non l’avessi mai fatto, Ezri era un audiolibro ambulante!
“Il termine
“ebreo”, di origine
biblica, è fatto derivare dal nome di Eber, discendente di Sem, antenato
del popolo ebraico (Genesi
10, 21-25). La parola ebreo significava “regione posta al di là”: gli ebrei
provennero da un territorio posto oltre l’Eufrate. La prima persona, nella
Scrittura, a cui venga riferito il termine ebreo inteso come appartenente al
popolo, è Abramo, in Genesi 14, 13: «Ma uno degli scampati venne a dirlo ad
Abramo l’Ebreo, che abitava alle querce di Mamre». Il termine “ebreo” può dunque riferirsi a tutti gli appartenenti
al popolo d’Israele dall’epoca patriarcale fino ai nostri giorni.
Il termine “giudeo” richiede
un discorso più articolato. Innanzitutto è giudeo chi
anticamente abitava la regione della Giudea, con capitale Gerusalemme. Vi è
inoltre un significato più ampio, legato al suo corrispettivo astratto,
“giudaismo”, con cui s’intende la forma assunta dalla religione ebraica successivamente alla conquista babilonese del
territorio del Regno di Giuda e la conseguente distruzione del primo Tempio
(586 a.C.). I giudei delle tribù di Giuda e Beniamino furono in gran parte
deportati in Babilonia. Qui svilupparono una forma di culto forzatamente nuova. I sacrifici, attuabili solo nel Tempio di Gerusalemme, furono infatti sostituiti
con una forma di culto più legata alla parola e grande peso assunse
l’osservanza del sabato. Queste scelte furono mantenute anche con il ritorno
degli esuli in terra d’Israele e con la riedificazione del Tempio (536 a.C.). Con la distruzione del secondo Tempio si rafforzò il giudaismo rabbinico. In questo
senso, tutti gli ebrei vissuti dopo l’epoca biblica sono, religiosamente parlando, giudei. Il termine ebraico yehudì
(giudeo) deriva dalla radice yadà (hodà) che significa ringraziare.
Il termine “israelita” innanzitutto significa, figlio d’Israele (Giacobbe), cioè tutti i discendenti
dei dodici figli del patriarca Giacobbe, chiamato
anche Israele (Genesi
32, 29). In secondo luogo
“israelita” è un abitante del regno d’Israele, costituitosi con la frattura del
regno unitario avvenuta dopo la morte di Salomone (ca. 922 a.C.) dove
risiedevano dieci delle dodici tribù, escluse Giuda e Beniamino. Con la
conquista del Regno d’Israele ad opera degli assiri nel 722 a.C., i suoi
abitanti furono deportati o assimilati. Dal periodo dell’emancipazione (XIX
sec.), il termine “israelita” fu impiegato come sostituto di “ebreo”. Oggi, per
esempio, le comunità ebraiche locali sono chiamate anche “Comunità
Israelitiche”.
Il termine “israeliano” indica esclusivamente un cittadino dello Stato d’Israele, la cui
fondazione risale al 1948.
Non
tutti gli ebrei sono perciò israeliani, né tutti gli israeliani sono ebrei.
Esiste infatti oltre un milione di israeliani (cittadini dello Stato d’Israele,
appunto) di religione musulmana e, in misura molto minore, israeliani
appartenenti a varie denominazioni cristiane e ad altre religioni.”
Dopo
qualche minuto in silenzio, con l’unico rumore dei nostri passi sul terreno
sassoso, ha detto che aveva conosciuto i miei nonni, Chulda ed Eliezer, che Iddio li conservasse puri, nell’alto dei cieli o dove volesse
lui. Poi che Ezri, il suo nome, in ebraico arcaico
significava “il mio aiuto”. Da questo, e da come lo ha
detto, ho capito le sue intenzioni, che all’inizio mi hanno fatto riflettere,
ma non molto a lungo.
Due
mesi dopo infatti abbiamo costruito una stanza per lui al metato, Annibale
dall’interno delle mie pagine ha provato
anche a protestare, ma in maniera
blanda e poco convinta, si sentiva
che era contento per me e per Ezri.
“Non
sono omosessuale, se è questo che sta pensando.” Gli ho detto un giorno che mi
guardava in maniera strana. Lui ha riso,
aveva pochi denti ma abbastanza scuri e storti.
“Aha! Lo dicono anche
le scritture: l’intelligente ha gli occhi sulla testa! Vuol dire che quello che si può far capire a un intelligente con un cenno, a
uno stupido bisogna farglielo sapere col bastone. Purtroppo o per fortuna
neanche io lo sono.”
“Bello! Sono parole sue?”
“Nooo, lei conosce Shalom
Alechem?”
“Non personalmente, ma ne ho sentito parlare.”
Non
ce n’era bisogno, in quel contesto, ma Ezri è partito con una presentazione
formale, piuttosto lunga ma interessante.
“Shalom
Alechem, pseudonimo di Shalom Rabinovic (1859-1916), fu per qualche tempo
rabbino, poi commerciante senza fortuna, prima di dedicarsi alla letteratura.
Cominciò a scrivere in ebraico ma passò ben presto allo yiddish, lingua allora
disprezzata, sotto lo pseudonimo di Shalom Alechem (che in ebraico significa
“la pace sia con voi”). Shalom Aleichem è una canzone tradizionale cantata
dagli ebrei ogni venerdì sera al ritorno
a casa dalla preghiera della sinagoga. Segnala l'arrivo del Sabbath ebraico,
accogliendo gli angeli
che accompagnano una persona a
casa alla vigilia del Sabbath.
Scrisse
racconti, articoli, recensioni, opere teatrali e poesie in yiddish, ebraico e
russo. In seguito a un pogrom nel 1905, Alechem si trasferì negli Stati Uniti.
Iniziò poi a girovagare per America e Europa e a riscuotere popolarità nel mondo.
La storia di Tewje
il lattivendolo ha avuto una versione teatrale ed è diventato
prima un musical, poi un film col titolo
Il violinista sul tetto (1971).”
“Il
film mi è piaciuto assai. E anche la commedia con Zero Mostel.” Ho commentato e
lui se ne è visibilmente rallegrato.
Nonostante l’età
avanzata Ezri ha imparato presto
a fare i lavori
necessari per la nostra sopravvivenza da vecchietti. Gli è stato facile, fisicamente sta bene, anche se la terra è
sempre bassa, purtroppo, ma per lui stare curvato non è un problema, come per
me. Inoltre a livello di nozioni di agricoltura, devo ammettere, ha molta più
esperienza.
Non
ama affatto le armi, ma ha dovuto imparare a sparare decentemente, non si sa
mai. Sta tentando d’insegnarmi l’ebraico con risultati deludenti, almeno per
ora, ma mi sto impegnando, anche perché ha portato dei libri antichi che mi
sembrano intriganti.
Confesso
che qualche volta ho pensato di aver fatto un errore a invitare Ezri a vivere
da me. Non avevo nessun dovere di aiutare un membro della società, visto che
finalmente – questo era uno dei lati positivi della catastrofe
– la società non esisteva più.
Dal
canto suo Ezri ha dimostrato prima di tutto che se ne fotteva della società, come
me del resto, nonostante tutto il suo amore per la tradizione, mi pareva che
vedesse il passato del suo popolo come una favola, bella e brutta, comunque piena
di roba, ma senza troppo senso pratico nell’attualità.
E
poi ha saputo farsi benvolere, prima
di tutto rendendosi utile, nel suo servizio agricolo
ha preso in poco tempo tutto
il lavoro in mano sua, in linea di massima lasciando a me le altre cose, salvo
aiutarci a vicenda in caso di bisogno. Naturalmente anche tutta l’alimentazione vegetale
delle bestiacce, includendo
noi due, era ben presto passata a suo carico.
Dopo
un po’ mi sono stupito a constatare che io avevo automaticamente preso il rimanente
ruolo del macellaio-poliziotto, diciamo di capo-rappresentante dell’ordine,
insomma addetto alla sicurezza della comunità, piccola, ma cazzuta, che in genere
si cibava di carne, dove la verdura cominciava a diventare preponderante.
Ezri ha confessato di essere
un esemplare vivente, (a suo tempo raro al mondo, attualmente a maggior
ragione,) di autismo logorroico. Tende ad allontanare gli altri proprio
mostrando di volersi insistentemente avvicinare, parlando di cose di cui agli
altri non gliene frega niente.
Mi
ha pregato perciò di avvisarlo se e quando eccedesse nelle sue chiacchiere, che Iddio mi salvasse e mi conservasse sano
e intelligente come pochi (o nessuni). Lateralmente mi ha spiegato anche
che nessuni è un toscanismo, perché nessuno,
parola diventata ultimamente più calzante e usata, rispetto
al passato, non ha affatto bisogno di un plurale.
La
sua fortuna è stata proprio che Pierosky, (che
Iddio gli facesse pagare
salati tutti i suoi altri peccati, ma non
questo) lo avesse
mandato via, perché
parlava troppo e non consumava niente. Non aveva comunque
tutti i torti. Vivendo da solo fuori dal paese, con il suo orticello nascosto,
senza amici o semplici conoscenti, si era salvato dalla pandemia, come me.
Ha
cantato poi le lodi di un certo suo cugino affetto anche lui da un lieve
autismo, ma tanto una bravissima persona e anche assai simpatico, a saperlo prendere
dal lato giusto.
Per risparmiare Ezri era un ebreo perfetto,
in più aveva dei fottutissimi
pannelli solari che abbiamo installato al metato, seguendo un confuso libro di
istruzioni, per sommarli ai miei già in azione. Per diversi giorni siamo
rimasti senza energia alcuna e anche se almeno originariamente non eravamo dei
bestemmiatori, lo stavamo diventando.
Per
fortuna mi è apparso Zino in sogno, e mi ha spiegato un piccolo ma importante
particolare, un’inezia idiota ma che si burlava sistematicamente della nostra
ingenua faccia di scarsi elettricisti. E
il giorno dopo ce l’abbiamo fatta.
Per
avere lo spazio sufficiente per i pannelli e per ampliare la vista sul mare
dalla sua finestra, abbiamo dovuto abbattere due alberi, però il panorama è
risultato ampio e piacevole e i pannelli alla fine funzionavano a dovere.
Per
giustificarci Ezri ha detto che la sacra e fitta foresta del mondo emerso non
avrebbe sentito troppo la loro mancanza, gli uomini,
che Iddio salvasse la loro anima
di peccatori e li mantenesse lontani da noi, avevano
dovuto da anni abbandonare
la loro - tutt’altro che lungimirante - opera di disboscamento e
cementificazione.
Se
potessi schiacciare un bottone e tutto tornasse come prima, onestamente non lo
so se lo farei, Ezri dice che lui non ci penserebbe nemmeno un secondo, che Iddio ci mantenesse sani e lontani
da quel bottone!
La
nostra vita continua così, senza orologio né calendario, il sole e gli elementi
tutti attorno, ci danno il tempo, se mai ne avessimo bisogno, ma spesso ce ne
dimentichiamo proprio.
Ezri è quasi guarito dal suo autismo sui generis, la cura
involontaria è stata sfogare la sua logorrea con gli animali, quelli non se ne
offendono, si direbbe addirittura che gli piace.
La sera, dopo una giornata di lavoro spesso anche duro, ci beviamo
un bicchierotto di vino, che ha iniziato a produrre lui da alcune vigne
abbandonate ma opportunamente da noi rigenerate. Devo dire che stavolta il
manuale da lui usato è stato efficace: il rosso è buono, il bianco deve ancora
migliorare, il rosé è un misto dei due, perciò ancora ha ancora dei chilometri
da fare prima di tirare fuori il suo indubbio potenziale.
Seduti fuori quando è caldo, dentro al caminetto acceso
quando è freddo, se abbiamo voglia di parlare parliamo, se abbiamo voglia di tacere stiamo zitti.
Non ho mai trovato nessuno capace di ascoltare come lui. Forse una
compensazione.
L’aria è pulita
e si vede a chilometri di distanza, le fabbriche chiuse e abbandonate da anni non
avvelenano più il mondo e ci accorgiamo che è primavera quando le lucciole
maschio di notte invadono il
buio della campagna a milioni.
Perché
il titolo non di ultimo ma di penultimo manoscritto? Ezri sta
scrivendo il suo ed è un po’ più lungo del mio, e lui è anche più lento di me, insomma
qua intorno poi non c’è più nessuna fretta.
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