A parte la roba da mangiare, forse
dell’Italia quello che mi manca di più sono gli amici. Dove sono nato ne ho
tanti e tanti altri li ho seminati per la strada, o mi hanno piantato loro.
Comunque è sempre stata una relazione complessa e in movimento continuo, anche
se incostante. Là non era facile, in compenso qui è più difficile, la gente ha
un rapporto più soave nella stessa routine e non ne sente tanto il bisogno. Le
amicizie non sembrano tanto necessarie, faccio per dire, come in posti di
minore calore umano, insomma un po' più sul riservato e snob.
Tanto per cominciare in Brasile tutti si danno del tu subito, senza presentazioni, come gli americani e gli inglesi, solo che qui l'espressione cortese e di rispetto esisterebbe, ma si usa poco o niente, tanto che può essere a volte interpretata quasi come un'offesa, un interlocutore eventuale può pensare talvolta di essere ingiustamente considerato anziano.
Vivere a Porto Alegre fa diventare in alcuni
casi il contatto tra le persone obbligato, per motivi di vicinanza o di lavoro,
però complica gli altri contatti. Si tratta di una città di circa due milioni
di abitanti e tutti sistematicamente piuttosto indaffarati.
Ho conosciuto attraverso amici di amici
Marcello Banti. In Italia viveva a circa una ventina di chilometri da dove
abitavo io, ma non ci siamo mai incontrati, non ci conoscevamo. Ora ci sentiamo
per e-mail e whatsapp, abbastanza frequentemente.
Da bullen@tin.it a marbanti06@virgilio.it
ore 9 e 25 del 17 ottobre 2023
Carissimo ti pongo un
annoso dilemma: secondo me chi dice che potendo tornare indietro non
cambierebbe niente del suo passato, mente a sé stesso e lo fa per due motivi
essenziali: (primo) sa che tanto non si può e (secondo) non vuole ammettere di
aver sbagliato, confessare la sua impotenza di fronte a una delle leggi della
vita, cioè che indietro non si torna.
Io cambierei
tante cose per esempio, ma so che in quel momento in cui ho deciso di fare una
cosa, invece di un’altra, è stato fisiologico decidere in quella maniera, per
tutto ciò che era successo prima e mi obbligava in un certo senso a questa
scelta, che poi non sarebbe una scelta, perché è praticamente una cosa
obbligata. Eppure sarebbe stato possibile, anche se è improbabile, fare in
maniera che a quel bivio, dei tanti attraversati, la mia vita diventasse
un’altra, come quando sono venuto in Brasile.
Alfredo Bullentini
La vita è bella perché è varia: lo cantava
anche un famoso gruppo comico veronese. E così sono vari gli oggetti, le
situazioni, le persone. Per quanto riguarda queste ultime, la varietà non si
limita alle differenze tra esse, ma anche ai cambiamenti a cui un essere umano
si deve raffrontare nel corso della vita: sia per scelta che per forza. Quello
che mi ha portato a vivere in Brasile si potrebbe definire una forza della
scelta: perché poi, in fin dei conti, era un sogno solo da bambino. Ma poi, è
stata un’opzione mia, o sono stato (da chi, da cosa) scelto? Alfredo ed io
siamo nati e vissuti (almeno i primi anni) a una ventina di chilometri di
distanza, in province differenti dell’entroterra toscano, senza sapere
dell’esistenza l’uno dell’altro. Oggi ci separano più o meno gli stessi
chilometri, abitiamo entrambi nella stessa città sudamericana e, soprattutto,
ci conosciamo.
Da marbanti06@virgilio.it
a bullen@tin.it
ore 16 e 42 del 17 ottobre 2023
Altrettanto carissimo:
sul tornare indietro,
io non l’ho mai preso in considerazione. O meglio: non lo farei. Neanche se
potessi riandare nel periodo dell’infanzia, il mio più felice. Tanto felice,
che ero consapevole del fatto che tutto quello che sarebbe venuto dopo, non
sarebbe potuto essere migliore. Vabbé, non è stato sempre così, ma insomma… Non
tornerei indietro perché poi dovrei andare avanti e rivivere momenti a cui non
voglio neanche pensare. E se mi proponessero di essere presente solo in quella
fase felice, probabilmente non la vivrei come allora.
In ogni caso, tutte le
scelte hanno un rischio. Quando mi si sono presentate, se a decidere sono stato
solamente io, non le cambierei: se in quel momento la mia testa mi diceva di
fare così, è perché così doveva essere. Quelle invece prese su spinta altrui,
sì se le cambierei (chiaramente se si sono dimostrate infelici).
Però a volte dubito
anche su quelle che ho preso io e che, fondamentalmente, si sono rivelate
giuste. Per esempio, quella di venire a vivere in Brasile. Ho già domandato, in
maniera semiseria, alle mie sorelle il perché non mi impedirono di fare questa
pazzia, soprattutto conoscendo il mio carattere. Analizzando la mia vita di
oggi, hanno fatto sostanzialmente bene a “lasciarmi andare”. Ma diciannove anni
fa? È che non avremmo mai la prova contraria: cosa sarebbe potuto accadere
prendendo un’altra decisione? Quale strada ci saremmo trovati davanti? Quello
poi che noi pensiamo, anzi, di cui siamo sicuri in un determinato momento, può
venire stravolto dai fatti. Per esempio, il famoso “Cosa farai da grande” che
ti domandano quando sei bambino. Se non ricordo male, a me sarebbe garbato fare
il pompiere ed il meccanico. Pure il prete: ne avevo una quasi invidia, perché
durante la messa beveva il vin santo e io, in quel momento a causa dell’età,
non potevo. Già un pochino più grandicello, alle scuole superiori durante
un’interrogazione di Tecnica Bancaria, l’insegnante mi fece proprio questa
domanda: “Banti, che lavoro vuoi fare da grande?”. Per quel giorno non avevo
studiato un tubo e quindi me la pose in tono ironico, per dirmi che se volevo
ottenere qualcosa dalla vita, non avrei potuto continuare così. La mia
risposta, invece, fu seria e non era contro questa occupazione: semplicemente
non la sentivo per me. Così replicai: “Cosa farò da grande non lo so:
sicuramente, non il professore”. Beh, sai benissimo quello che faccio ora.
In definitiva, per me
il nostro destino è già scritto. Puoi tentare di sfuggirgli, ma lui ti
riacchiappa.
Marcello
Banti
Da bullen@tin.it a marbanti06@virgilio.it
ore 19 e 27 del 24 ottobre 2023
Egregio Marcellino
oggi
mentre mi stavo crogiolando al sole, mi sono ricordato che anche d’inverno qui
siamo pur sempre in Brasile e sono andato a crogiolarmi all’ombra.
Stavo pensando che sul
destino non sono tanto d’accordo con te, molte delle tue affermazioni
coincidono con il mio pensiero, forse perché siamo nati e cresciuti abbastanza
vicini in Toscana e poi siamo venuti tutt’e due qui. E anche a Porto Alegre
manteniamo la stessa distanza, ma forse per motivi differenti.
Però al destino io ci
credo ma neanche tanto, secondo me possiamo cambiare le carte in tavola, in
parte possiamo decidere sul nostro futuro e soprattutto sul presente, che è
anche meglio.
La gente si divide
principalmente in tre gruppi: i destinisti convinti, quelli che dicono invece
che volere è potere, ma io appartengo al gruppo misto, quello che dice che
esistono le due componenti e purtroppo, o per fortuna, si mischiano, s’incrociano
e insomma fluttuano.
Non siamo
completamente in balia della tempesta, ma nemmeno possiamo sottovalutarla.
Insomma un po’ come tutto, la complicazione sta nella miscela delle varie
componenti, la ricetta non l’ha ancora scritta nessuno, perché cambia
continuamente.
Hai presente la teoria
del caos? Una specie, ma come dice Sun Tzu se conosci te stesso e il nemico, su
dieci battaglie ne vincerai la maggior parte. Io poi non voglio nemmeno
combattere, figurati te, ma a volte bisogna.
Per quanto riguarda la
domanda ricorrente fatta ai bambini: cosa farai da grande? Io risponderei che
non vorrei mai diventare grande, e non so se fino a questo punto ci sono
riuscito. Ma visto che probabilmente è un male necessario se non inevitabile,
allora sono andato un po’ per esclusione e mai avrei pensato, un po’ come
nemmeno te, di diventare un professore.
Forse perché quasi
tutti quelli che ho avuto non mi sono piaciuti, ma qualcuno di loro,
pochissimi, invece mi hanno fatto un’impressione positiva, pur essendo tra di loro
assai differenti. Certo al momento non sempre me ne sono accorto, più spesso
solo dopo ripensandoci.
Sul tornare indietro,
visto che non si può, si discute solo a livello di intenzioni. Io confesso che
ci tornerei volentieri, soprattutto se avessi il cervello e l’esperienza di
ora. Magari tanti errori non li rifarei, mi accontenterei della metà o forse
meno, insomma sceglierei quali, come e quando, dove e perché.
Si ritorna sul
discorso del destino, volenti o nolenti, a volte siamo noi involontariamente a
influenzarlo, nolenti o volenti, ma ce ne rendiamo conto principalmente dopo,
spesso quando è troppo tardi.
A riguardo approvo
quello che dici, mi pare giusto, ma la
mia era piuttosto una critica a quelli che dicono che potendo tornare indietro
non cambierebbero una virgola, e sono tanti, sembrano anche convinti, ma sono
degli sbruffoni, io non ci credo proprio. È troppo facile dire così, visto che
poi non si può, ma li vorrei mettere alla prova, se fossi Dio. Anzi se fossi
Dio cambierei molte cose, farei un macello! Ma forse anche per questo, non
credo che me lo lasceranno fare.
Una cosa che mi piace
di me stesso – forse – è che tra dieci persone interrogate su di me, cioè su
come sono io, diranno dieci cose differenti, almeno credo, o perlomeno assai dissimili
tra di loro.
Per quanto riguarda il
Brasile no, non tornerei indietro, ho fatto bene a venire qua e soprattutto
nell’epoca in cui ho preso questa decisione, era l’unica scelta possibile. Poi
l’Italia e il mondo, tra cui il Brasile, sono peggiorate, ma l’Italia io credo
di più.
Perché allora non
andarsene in Messico o in Nuova Zelanda? Magari perché non ho conosciuto nessun
neozelandese, o nessun messicano. L’occasione fa l’uomo ladro, ma anche la
donna.
A proposito: giovedì
sera c’è il lancio del libro di Ludovico Voronov Diaz sul mercato sottostante,
al Museo del Lavoro, perché non ci troviamo in loco per bere una birra e fare i
relativi discorsi a biscaro? Lui stesso ne sarebbe lieto, ho motivo di credere.
Da marbanti06@virgilio.it
a bullen@tin.it
ore 10 e 23 del 30 ottobre 2023
Ti ringrazio per
l’Egregio, Egregio Alfredo.
Non è facile trovare
il luogo adatto dove crogiolarsi da queste parti. Troppe differenze
meteorologiche in poco tempo.
Quando stavo in
Italia, ai mei tempi di “studi” sul Brasile, avevo letto che il Rio Grande do
Sul era l’unico Stato brasiliano con le quattro stagioni ben definite:
purtroppo non diceva che ciò poteva capitare in 24 ore e forse pure meno. In
Italia non succede ciò, almeno dalle nostre parti. O magari non succedeva: mi
sembra, leggendo le notizie che da là vengono, che il clima italiano si stia
“brasilianizzando”. E non solo il clima.
Tornando al
professore: non lo volevo fare perché avevo l’idea che fosse un mestiere troppo
ripetitivo. Fortunatamente mi sbagliavo: le regole sono sempre le stesse, ma
differenti sono le persone che hai davanti. Molte di quelle persone sono poi
diventati amici, come nel caso di un nostro comune alunno, Teodoro, il quale mi
diceva sempre che sarei diventato un
buon professore: figurati, era la prima volta che facevo ciò – la mia prima
classe – e non ci credevo per nulla, ma a suon di dirlo mi convinse quasi. Mesi
dopo, con un altro gruppo, fu Leonora che cambiò quel “sarei diventato” in
“sei”: ecco, lì iniziai a pensare che stavo facendo un buon lavoro. E poi, è
grazie a questo che ci siamo conosciuti, ricordi? Grande Ludovico! Persona
affabile, anche quando è scorbutico.
Però giovedì non posso, ho una lezione. Mi dispiace: ed essendo in
Brasile, mi dispiace ancora di più. Qui non si va alla presentazione di un
libro , bensì a “prestigiar” colui che lo ha scritto. Quindi, se uno non va –
come me, in questo caso - sembra che
manchi di rispetto alla persona. Il “prestigiar” portoghese corrisponde al
“valorizzare”, “rendere omaggio”, “celebrare” in italiano. Perché il contrario,
il “prestigiare” italiano, vuol dire “trarre in inganno”. Beh, effettivamente
alcuni scrittori traggono in inganno, ma questo è un altro discorso.
Però tutto questo prestigio, bah, mi sembra che sono loro (perlomeno
alcuni) che se lo tirano addosso. Il Brasile è un paese che non legge molto, da
quello che so. Di conseguenza, chi scrive lo fa per pochi. Però, gli scrittori
che integrano le varie accademie, si auto-intitolano “immortali”. Se non
bastasse, in occasioni ufficiali vestono particolari uniformi. Userò una parola
forte, ma mi sembra una casta. Si auto-intitolano e si auto-celebrano. In
Italia neanche Dante Alighieri è immortale, se non altro ufficialmente. Vorrei
chiedere alla prima persona che incontro per la via, se conosce almeno cinque
nomi degli “immortali” dell’Accademia Nazionale. Cinque… forse ne bastano due.
Con questa intitolazione, vedo molta distanza tra lo scrittore e coloro a cui
si rivolge.
Salutami Ludovico e prendimi il suo libro. Poi me lo darai quando ci
incontreremo.
P.S. : ieri sera vedevo, cioè, ascoltavo un programma alla televisione
italiana: tenevo acceso l’apparecchio e nel frattempo ero occupato in un’altra
stanza. Parlava di pesca ed è venuta fuori la parola “mazzacchere” o qualcosa
del genere. Tu che hai frequentato le canne (da pesca, sia chiaro), sai che
roba è?
Da bullen@tin.it a marbanti06@virgilio.it
ore 8 e 40 del 31 ottobre 2023
Illustrissimo Banti
ho personalmente e
piuttosto a lungo frequentato anche le altre canne, se lo vuoi sapere, ma ormai
ci siamo distanziati, da qualche annetto, forse perché non sentivo più alcun
bisogno di stravolgermi, per ovvi motivi lo ero già.
Ludovico, a proposito della
tua assenza, ha detto che la sera le lezioni d’italiano, come di qualsiasi
altra lingua o disciplina, secondo lui sono di un’ingiustificabile falsità
ideologica, la gente è stanca e non capisce una beneamata mazza, butta via i
soldi e i pochi neuroni rimasti.
Ha scritto un cazzo di
libro che ha pensato bene di regalarmi, con firma e dedica, sennò non glielo
avrei comprato di sicuro, dato che parla della Formula Uno e della sua
inspiegabile passione per queste cose. A te invece te lo ha fatto pagare, io ti
ho anticipato la congrua cifra di venti reais, che spero un di’ mi restituirai,
se vuoi che ti consegni il sopracitato surreale volumetto, che ruffianamente
manco a dirlo sulla copertina reca foto del compianto pilota brasileiro Senna.
Questo pelato dispettoso e
barbuto, sto ancora parlando di Ludovico, mi ha giustificato il suo assurdo,
eppure motivato gesto, in questa maniera: “a te l’automobilismo ti fa schifo
invece a Marcello ni garba.” Come sai studia i gerghi toscani e raramente
sbaglia a parlare, ma principalmente gli capita sul fiorentino, forse perché le hohe hole hon le hannucce horte un ni
garbino gnanco a lui.
Il libro, intitolato Turbolence,
per di più è in lingua inglese, perché così lo potrà vendere in tutto il mondo,
anche se poi nessuno glielo comprerà.
All’inizio mi è sembrato
strano che tu non sapessi che cosa era la mazzacchera, dopo susseguente
e profonda riflessione, di non più di un paio di secondi o tre, poi me lo sono
spiegato abbastanza bene: quello è un tipo di attività in disuso, come la pesca
sportiva, almeno dalle nostre parti, e te sei più giovane di me, non mi ricordo
di quanto, ma è meglio così.
E poi si praticava nei
fossi in pianura, in collina come a Pescia i fossi sono piuttosto dei ruscelli
e quindi c’è troppa corrente, l’acqua è pulita, alle anguille non gli piace,
gli garba il fango a loro. Lì vicino c’è la pianura, come pure il Padule di
Fucecchio, però il nome poteva certo essere un altro, ricordandoselo uno
potrebbe anche informarsi, una volta in loco. L’ho sentito chiamare anche il boccone,
ora che ci penso, invece di
mazzacchera.
Saprai che quando piove tanto e i fossi sono in
piena, e le cui acque prendono quel color tè con il latte, dipendendo dalle
zone una specie di caffellatte, le anguille escono a caccia (o forse a pesca)
di giorno (normalmente invece lo fanno solo di notte,) allora i pescatori in
questione calano nei fossi questa odorosa matassa, legata a una canna
corta e abbastanza rigida.
La mazzacchera in sé consta
di lombrichi con certosina pazienza infilati con un lunghissimo filo nel senso della lunghezza,
(poveraccetti da morire,) per poi farne una specie di matassa (e qui direi
anche: che schifo). C’è anche chi, dopo averla usata la conserva in frigo e lo
schifo aumenta, almeno per noi profani.
Un’anguilla di passaggio non la vede, ma la
sente, la morde e il pescatore sente tremare la cannetta, tira su e la relativa
preda sorpresa si lascia cadere in un ombrello speciale, fatto di rete fina.
Pensavo che non
esistessero più pescatori di mazzacchera, anche le anguille sembra che siano in
via di estinzione, invece l’ultima volta che sono stato in Italia, nei
pressi di Molina di Quosa, tra Ripafratta e S.Giuliano, provincia di
Pisa o ancora di Lucca, diciamo sul confine, e non molto tempo fa, ne ho
trovati due e li ho anche intervistati, ma non avevano tanta voglia di parlare,
forse perché non avevano preso nulla. Uno che conoscevo io in questi casi
diceva la famosa frase: “pogo pesce e culo bagnato”
Teodoro mi ha
praticamente portato per mano al mio primo libro, con la sua grande carica di
ottimismo per niente basato sui fatti, ma solo su quello che lui auspica, mi ha
contagiato e non so ancora se ne sono contento o no.
Scherzo: ne sono assai
lieto, prima di Teodoro ero uno che non sapeva cosa né come, dove né perché.
Gliene sono grato e gliel’ho anche detto.
Se mi ricordo come ci
siamo conosciuti? Vagamente, a dir la verità, uno scambio di e-mail, anche in
quel caso. Te vivevi ancora in Italia ed eri in dubbio se venire a vivere qua e
io ti consigliai di farlo. Sbagliai, forse, non lo so, dimmelo te.
A proposito: senti la mancanza dell’Italia, in
qualche maniera? Insomma della tua vita di Pescia pistoiese? (Meglio
specificare perché ce n’è anche una romana, in provincia di Viterbo e una
fiorentina, ovviamente in provincia di Grosseto.) Nelle altre Pescie non lo so,
ma la vita magari è diversa da quella pistoiese.
Da marbanti06@virgilio.it
a bullen@tin.it
ore 09 e 05 del 3 novembre 2023
Illustrissimo,
Illustrissimo…
Sai
che nel 1987, com la mia Olivetti e con il mio quasi nullo portoghese, scrissi
alla CBF (sì, proprio alla confederazione calcistica brasiliana) per avere gli
indirizzi di alcune squadre di calcio di là (che ora è qua)? Il mio amore per
il Brasile era iniziato da pochi anni ed era soprattutto questo sport ad
appassionarmi. Scambiavo, via posta, riviste sportive con brasiliani e da queste
ricavai l’indirizzo della confederazione. Al momento dell’invio, mi resi conto
di quello che stavo facendo e mi venne da ridere. Figuriamoci se la potente CBF
avrebbe risposto a Marcello di Pescia. Invece lo fece: sulla busta, un – per me
incomprensibile – “Ilmo” seguito dal mio nome. Tutto felice, andai dalla
mamma gridando che io ero “Ilmo”. Lei mi guardò e mi domandò che cosa
volesse dire. Non lo sapevo, ma se lo avevano messo sulla lettera, una cosa
negativa non poteva essere! Solo molti anni dopo avrei scoperto che voleva dire
“Ilustríssimo”.
La tua
mail mi rimanda in vari momenti del mio passato. La canna, per esempio. L’unica
volta che ne ho fatto uso era quella da pesca. Ero bambino ed in un laghetto me
ne misero in mano una: quando vidi un pesce galleggiare, gli buttai l’amo
davanti ma quel coglione non abboccava: ci rimasi mezz’ora prima che mi
dicessero che il pesce era morto. Il mio sforzo era pertanto inutile ed il
coglione ero io.
Poi
hai scritto delle varie parlate toscane. Sai che esiste il dialetto Pesciatino?
Siamo piccoli ma indipendenti, eheheh. D’altra parte, eravamo in zona di
confine: sul nostro territorio c’è ancora la dogana (oggi è una casa privata:
c’è nato anche un mio zio) che separava il Granducato di Toscana dal Ducato di Lucca.
Comunque quello che mi ha colpito è stato il “ni”. Io fino a quando non sono
andato a scuola usavo solo quello, altro che “gli” e “le”. Il giorno che lo
dissi in classe, la maestra mi prese da parte e mi spiegò che in italiano non
esisteva, era francese oltretutto con un altro significato. Più che una
delusione, fu un trauma che mi porto dietro ancora oggi.
Il
nostro barbuto amico ha ragione sul mio interesse automobilistico, anche se non
c’intendo nulla di motori. Ma non ha ragione sulle lezioni serali. Io ho quasi
sempre trovato gruppi motivati e svegli. E pure numerosi: chi lavora o studia
durante il dì, può avere libera solo questa parte della giornata e non la
spreca. Solo il venerdì era leggermente più complicato: già all’intervallo,
verso le otto e un quarto, c’era qualcuno che se la svignava perché doveva
andare ad una festa. Fino a quando ci sono stati gruppi, ho sempre dato lezione
il venerdì sera. Finivo alle dieci e poi insegnavo anche il sabato mattina.
Avevo proprio voglia di lavorare…
E visto
che parliamo di lavoro, effettivamente ci siamo conosciuti grazie a ciò.
Dall’Italia, programmavo la mia futura vita in Brasile e pensavo alla
professione che potevo svolgere: o era quella collegata alla mia dell’epoca,
oppure l’insegnamento della lingua italiana, cosa totalmente nuova per me.
Tramite triangolazioni (pure quelle, lavorative), la mia futura moglie ci mise
in contatto. Tu mi desti delle dritte e poi, già traslocato in Brasile, ci
conoscemmo di persona in un bar-ristorante nella zona sud di Porto Alegre, se
non mi sbaglio, in una domenica di sole e di elezioni comunali.
Da
allora sono passati diciannove anni e tu mi chiedi se i tuoi consigli sono
serviti. Io ti rispondo: sicuramente e ti ringrazio. E mi chiedi pure se mi
manca Pescia. In questo caso la risposta è più complicata. Diciamo che manca la
famiglia, però a differenza del passato, oggi i contatti sono molto più facili:
perlomeno quelli virtuali che poi tanto virtuali non sono. Chiamate,
videochiamate, messaggi più che quotidiani: insomma, ci sentiamo vicini. Pescia
in sé, estendendo il suo significato in “vita italiana”, no. Qui ho veramente
iniziato una seconda vita, partito da (quasi) zero. Tutto era nuovo, (quasi)
tutto era da conquistare: con le difficoltà del caso, sono riuscito ad avere
una vita sufficientemente stabile. Il mio motto, se così lo possiamo chiamare,
è il toscanissimo “s’addì d’andà?” (lo si può scrivere in diverse maniere), che
avevo messo come frase iniziale del mio primo cellulare brasiliano quando
s’accendeva. Come tu ben sai, vuol dire, “si dice di andare via?”, quando
effettivamente vogliamo andar via da un posto. Però per me aveva e ha il
significato di “forza! Andiamo e lottiamo per andare avanti e migliorare!”, per
conquistare la mia vita brasiliana senza dimenticare le mie radici, da qui il
toscano.
Sono
arrivato al punto che mi sento in casa qui e mi sento in casa là, il che è
positivo. Anche se a volte non mi sento in casa qui e non mi sento in casa là e
mi ritrovo un po’ spaesato, perché non so più qual è “qui” e qual è “là”. Allo
stato attuale delle cose, non ritornerei in Italia. Ma, come mi ha insegnato la
vita, mai dire mai.
I miei
amici e parenti mi chiedono com’è il Brasile. È una domanda impossibile da
rispondere, perché io ho l’esperienza solo di Porto Alegre (e, precedentemente,
quindici giorni a Rio de Janeiro che mi hanno insegnato tanto). Quindi posso
solo ribattere in base a ciò che ho passato nelle mie “due vite”. Non volendo
dire l’ovvio, ma pur vero, “il Brasile è il Paese dei contrasti”, rispondo che
“il Brasile è un Paese emozionante”. Non so a te, ma a me sembra che dove
viviamo la vita ti rincorra e ti faccia fare cose a cui non avresti mai
pensato. E che la vita italiana, in questo caso prettamente pesciatina, sia
ferma, stagnante: imbruttisce, ecco. Forse perché Pescia è una valle dentro a
una valle, mentre Porto Alegre è in pianura e si vede sorgere il sole quando
effettivamente sorge, e tramontare quando effettivamente va giù. I giorni mi
sembrano più lunghi, più vivi. Quindi, ai familiari più stretti (per non farli
preoccupare) rispondo fino a quella frase che ho scritto prima, perché con gli
altri proseguo con un “dove è più facile vivere ed è più facile morire”. Il più
facile vivere te l’ho spiegato prima, il più facile morire non c’è bisogno che
te lo spieghi. Salute pubblica e violenza non sono paragonabili, anche se
ultimamente vedo notizie dall’Italia che mi fanno pensare a una
“brasilianizzazione” dello Stivale. Concludendo: accetto un rischio maggiore di
morte precoce in cambio di una vita più vissuta. Una variazione di “meglio un
giorno da leone che cento da coglione”, anche se non mi sento certo un re della
foresta.
Mamma
mia che e-mail lunga: e avrei molte altre cose da dirti. Magari te le dico
domani pomeriggio: andiamo alla Fiera del Libro?
Marcello
Da bullen@tin.it a marbanti06@virgilio.it
ore 16 e 40 del 5 novembre 2023
A Lucca mi piaceva
passeggiare tutti i giorni, sia in campagna che in città, qui fare delle
camminate è uno stress, non c’è alcun piacere. La gente di Porto Alegre è più
gentile, ora esco poco, ma ogni volta mi sorprendo nel constatarlo, perché là
avrebbero più motivo di essere soddisfatti, ma si lamentano sempre, qui in
tanti o quasi tutti fanno una vitaccia, ma sembrano contenti lo stesso.
Pescia è scura come
Lucca, forse anche di più, ci batte poco il sole, in Italia ce ne sono tanti di
questi posti che d’inverno diventano freddi e umidi, a lungo andare
inevitabilmente cupi e tristi.
Ho notato tanti
cambiamenti paralleli durante questi anni, qui e là le macchine che correvano
sempre di più e l’aumento del rumore, la diminuizione del rispetto per gli
altri.
Quando arrivai anch’io
sentivo questa spinta per fare cose che là non avevo mai fatto, ora non la
sento più. Forse sono fasi che uno attraversa nella vita. Mi pare che qui la
gente sia ammalata di iperattività. Più vedo correre e io più freno, direi che
mi influenza, ma al contrario.
No, domani non posso
venire, c’ho i muratori in casa, se non li controllo mi combinano dei casini,
me li combinano anche se li controllo, ma spero qualcuno in meno.
Ludovico sarà là per
firmare i libri, dalle 16 in avanti e temo che avrà parecchio tempo per parlare
con te, di pazzi per le automobili e per i granpremi qui ce ne sono
assai, ma quanta gente c’è che legge in inglese?
Mi ero proprio
dimenticato della Fiera del Libro, una volta ci andavo spesso, ma a pensarci
bene quando questo succedeva forse era perché abitavo lì vicino, di fronte
all’Usina del Gasometro. C’ho fatto tre lanci di libri e relativi autografi, il
terzo però era un CD con un racconto lungo letto da Ludovico, non so se ti
ricordi, il testo accompagnava sul monitor la lettura con il vocione del pelato-barbuto
e pseudo-intellettuale.
Per curiosità ho fatto
un conto approssimativo di quanti libri ho letto nella mia vita e credo di
essere sul migliaio, senza contare quanti non ne ho portati al termine perché
non mi piacevano, che sono forse anche di più. Ora poi non leggo quasi niente,
forse perché sto troppo al computer, più scrivo e meno leggo.
Poi una cosa che noto
è che qui e là in Italia, la gente non legge più per il suo piacere, ha poco
tempo e poche energie, gli occhi stanchi, il cervello che galoppa in avanti e
non si ricorda nemmeno del passato, né prossimo né remoto, della calma e del
piacere di assaporare una frase ben scritta, che li farebbe immedesimare in una
situazione gradevole.
Questi lavoratori che
sono da me, per esempio, ascoltano la radio a tutto volume, tutto il giorno,
quelle trasmissioni che parlano di delitti e tragedie metropolitane, intanto
parlano tra di loro gridando tutto il tempo, bevono litri di caffè e non fanno
un buon lavoro perché devono fare alla svelta, senza alcuna attenzione ai
particolari, per andare da qualcun altro a fargli un lavoro malfatto in poco
tempo, sciupando il materiale che hanno ordinato in sovrappiù e te che lo paghi
vedi che il margine di errore è alto, circa il trenta per cento, ma non ci puoi
fare niente. Sembra che siano stati addestrati nella stessa caserma, sono dei
soldati del servizio all’ingrosso e guadagnano anche assai, rispetto a qualche
anno fa, ma poi spendono tutto per ubriacarsi e per comprare cose che se
avessero un po’ di calma sceglierebbero meglio e non distruggerebbero in poco
tempo, ma trattano anche gli oggetti con indifferenza, come le persone, perché
non dovrebbero? Per comprarne di nuovi devono eliminare in poco tempo quelli
vecchi, che appena acquistati perdono automaticamente il loro fascino.
Da marbanti06@virgilio.it a bullen@tin.it ore 10 e 06 dell’8 novembre 2023
Carissimo,
avevi ragione. Mentre camminavo
tranquillamente… no, tranquillamente proprio no, visto che nei fine settimana
la Fiera è piena di gente e si passa più tempo a cercare di scansarla che a
vedere libri. Insomma, ero là quando all’improvviso ho sentito un bel
“vaffanculo” in italiano: non avevo dubbi che si trattasse del nostro amico Ludovico.
All’inizio era un po’ arrabbiato con me per via del libro, poi è diventato
improvvisamente affabile ed abbiamo conversato a lungo. Sull’uso delle
parolacce mi ha detto che a lui piace insegnarle, perché non ci sono sui libri
e si usano più di molti argomenti presenti sulle grammatiche. Si diverte quando
spiega un verbo e vede gli alunni attenti, ma non troppo: all’improvviso cambia
materia andando sulle parolacce e gli studenti cercano disperatamente carta e
penna per prendere appunti. In questo caso il nostro comune amico ed io siamo
uguali.
Una volta avevo appena spiegato il
“vaffanculo” quando involontariamente creai una situazione che lo richiedeva.
Uno degli alunni spontaneamente mi apostrofò con quella parola, ma poi si
accorse subito che la persona da lui offesa era il professore: devenne tutto
rosso, si alzò e avvicinandosi mi chiese scusa. Io, tutto tranquillo, non solo
lo perdonai, ma gli dissi che ero orgoglioso del fatto che, oltre ad aver
capito la parola, sapeva quando era il momento di usarla. Molti anni fa a Porto
Alegre circolava una macchina sul cui parabrezza c’era proprio scritto, in
grande, un bel “vaffanculo”. Ero in coda che aspettavo l’autobus e quando la
vidi passare scoppiai in una fragorosa risata: gli altri della fila mi guardarono
seri, perché sicuramente non ne conoscevano il significato.
Cambiando discorso, io invece abito in una
zona dove ho varie alternative per passeggiare: vicino a vari parchi, al
centro, alla riva del fiume-lago-quello che è. Insomma, io qua cammino più che
in Italia. Molto di più. Una delle ragioni è il concetto di distanza: nel
nostro Paese natale è mentalmente tutto più lontano anche se realmente molto
più vicino. Là, quaranta chilometri sono già un viaggio da organizzare bene,
mentre in una nazione delle dimensioni del Brasile, sono una barzelletta. In
questo senso, il luogo mi ha cambiato. Per esempio, prima andare da Pescia a
Cortona (la città del film “Sob o sol da Toscana”, lo scrivo in portoghese
perché ne ho conosciuto l’esistenza solo quando sono venuto ad abitare in
Brasile) mi causava ansia: sono circa 180 chilometri, due ore di viaggio. Oggi
andare da Pescia a Matera, più di 700 chilometri, otto ore di viaggio soste
escluse, non mi provoca un bel niente.
Sul fatto del lamentarsi, mi viene da ridere.
Perché qui vedi un povero (ma veramente povero) e se gli chiedi come va ti
risponde sempre “bene!”. In Italia vedi uno in procinto di comprarsi una
Ferrari e se gli fai la stessa domanda, inizia a scuotere la testa ed ecco che
dalla sua bocca esce un “insomma...”, un “si tira avanti” o una delle risposte
più geniali: “non c’è male”. Ma, dico io, se non c’è male vuol dire che è
“bene”. Ma perché non lo dici direttamente? È che non vogliamo mostrarlo per
paura dell’invidia della gente. Rispondiamo “bene” (o il diminuitivo “benino”
se non vogliamo esagerare) solo se non abbiamo voglia di parlare: con questa
parola non ci sono discussioni e si chiude subito il discorso. Quando incontro
un mio collega italiano, alla domanda “come stai” l’altro risponde “bene”. Al
che segue un “È un bene italiano, o un bene brasiliano?”.
In definitiva, caro “Bullentin” (come ti
chiama Ludovico, in riferimento al tuo indirizzo di posta elettronica), tu come
stai?
Da bullen@tin.it
a marbanti06@virgilio.it
ore 11 e 13 del 10 novembre 2023
Ammirevole Ammiraglio
visto che mi chiedi come sto, avrai notato da
alcuni infimi ma fottuti particolari che nell'ultima mia missiva traspariva un
malcelato malumore, per quanto del quale in un secondo momento io mi vergogni,
ogni tanto ne perdo il controllo.
Ci sono delle giornate in cui tutto va male,
eppure sappiamo in fondo che siamo noi stessi che provochiamo tali serie di
scoppiettanti bestemmie, solo per aver dormito male e in seguito aver forse
notato che dalla più piccola inezia, alla cosa più determinante, senza
tralasciare alcuna intermedia, tutto andava a catafascio.
Trattasi di una virtuale ma ostinata catena,
in cui ogni catastrofico anello porta inevitabilmente al prossimo, senza
riuscire ad approfittare dell'abbondante ossigeno attorno, per riprendere il
necessario fiato.
A proposito di quei cambiamenti di vita ne ho
protagonizzato diversi, ma forse il più grosso è stato quello di essere venuto
qua e per secondo quello - più recente - di essere stato lasciato da mia
moglie. Non che io fossi un fan del matrimonio, al quale a suo tempo mi sono
assoggettato mio malgrado. Ada non era una persona esente da difetti, come non
ne esistono proprio, ma la vita con lei era più allegra e quasi venti anni sono
passati in venti minuti scarsi.
Grazie a lei avevo
smesso di fumare e di bere, appena se ne è andata ho tentato anche di
attaccarmi alla bottiglia, come si fa di solito in questi casi, fino a ridurmi
a un relitto umano, ma non ci sono riuscito, non scendeva più niente.
La vita oltre che di respirazione è fatta
anche di ritmo e quando lo perdi, capita anche che la poesia stessa di quella
romantica canzone tende ad andare a farsi maledire pure lei.
Detto questo, te lo conosci meno di me,
Ludovico è uno di quei rompicoglioni eruditi e intelligenti, uno di quei rari
commedianti pazzi, perché fatti di elastica gomma, che ci possono ancora
sorprendere in questo mondo fatto di personaggi stereotipati.
Di fronte agli allievi d’inglese pare che
faccia dello spettacolare teatro shakespeariano, ma una delle cose che lo
mandano in bestia, come forse anche tu avrai personalmente più volte
sperimentato, è quando lo interrompono per chiedere una spiegazione proprio di
quello che stava già spiegando, prima che lo interrompessero.
A mio parere non è
affatto un cretino, per quanto si affanni a volerlo sembrare, e questo ne
manifesta l’intelligenza. Perché il cretino autentico si comporta in maniera
opposta, simulando un’intelligenza che riesce appena a intravedere e ammirare,
ma di suo non possiede.
Quando gli ho detto che nelle nostre e-mail
ci divertiamo alle sue spalle, insomma lo prendiamo parecchio e volentieri per
il culo, ha chiesto umilmente di poter partecipare alla nostra corrispondenza,
sottolineando più volte l’umilmente.
Intanto un po’ meno umilmente ha detto che
secondo lui è paradossale che delle persone che vivono nella stessa città, per
quando grande e complicata, non si incontrino mai e per parlare usino delle
e-mail, visto che esistono da tempo i telefoni e più recentemente certi
cosiddetti uotsappi di vario tipo.
Poi ha detto di nuovo che gli piacerebbe
partecipare, che potrebbe essere un’esperienza utile, oltre che stupidamente
assurda. Stavamo parlando per telefono, mi ha chiamato lui.
Ogni tanto mi subissa di incredibili quesiti
surreali, dilemmi metropolitani, io ho difficoltà solo a comprenderne la logica
e l’entità, che puntualmente ignoro e invento serie di scuse per riattaccare.
Lui fa finta di crederci, ma credo che ormai si sia fatto un’idea di me e del
mio limitato mondo, fatto più di fantasia che di cose reali.
Che ne pensi?
Io gli direi di no, tanto per vedere come
reagisce, portandogli delle scuse fittizie ma credibili, poi se s’incazza lo
accetterei. Ma se fa finta di niente, se ingolla la nostra decisione senza
dimostrare né sdegno né irritazione, allora invece... lo accetterei lo stesso,
perché secondo me è un’occasione da non perdersi.
Sempre che tu sia d’accordo, beninteso.
Non è esclusa nemmeno una sorprendente
dimostrazione ibrida o intermedia, da parte dell’intollerabile barbone di
scarsissima capigliatura, insomma, credo che ci sia da divertirsi, perché se
Ludovico è un insopportabile cagacazzo, come tutti sono d’accordo nel
considerare, e decisamente va preso a piccole dosi, dall’altro lato di un’internet
e di un computer lo si può limitare, dirigere e acchiappare poi per quello che
ha di buono, cioè un senso dell’humour non indifferente, un’imprevedibilità
flessibile e multiforme.
In più sotto la scorza di facocero
insensibile, invece è una persona di cuore e che credo abbia sofferto assai
nella vita, per diventare così.
Ci sono diverse cose di lui che tu non sai e
non te le ho dette perché sono un gentiluomo di altri tempi e oserei dire di
una certa classe.
Per quanto riguarda un tuo commento di qualche
e-mail fa, gli immortali di cui mi hai parlato, dell’accademia
letteraria brasileira, li ho voluti approfondire, comprando usato il libro di
Jo Soares che tratta proprio dell’assassinio di uno di loro.
Il libro non mi sta piacendo, ma cercherò di
portarlo avanti, intanto l’ho messo in bagno, nel quale le ripetute e regolari
sedute ora come ora rappresentano la più valida occasione di lettura, almeno
per me.
Non sapevo che si auto-definissero tali, ma
come spesso qua un po’ tutto è pacchiano ed esagerato, mi è sembrato che non ci
fosse da stupirsi.
Anche il Gremio, inteso come squadra di
calcio, che dopo l'ultima vittoria con il Botafogo, per cui lo danno già
favorito per il brasileirão, si autodefinisce immortale. Nonostante le
inevitabili e cicliche batoste, incluse ripetute discese nell’inferno dantesco
della seconda divisione. Questa poi è una cosa che anche quelli che perdono
sempre possono dichiarare, visto che continuano a esistere, sebbene piuttosto
inutilmente, o l'importante è partecipare?
Insomma qua sulla terra, detta anche il
mondo, niente sembra veramente serio, il Brasile è un precursore e questa è
forse la differenza maggiore con i paesi europei, ancora arretrati ma ci stanno
lavorando, mi pare che invece di diventarlo si giochi a fare gli adulti e come
idea mi garba, perché io stesso campo un po’ così.
Vivendo ora da solo mi diverto a fare due
voci e un dialogo in italiano, pieno di parolacce, che tanto nessuno dei vicini
capisce e canto canzoncine oscene a squarciagola, che invento al momento,
mentre faccio il bagno o cucino, in cui le bestemmie e i vaffanculos
sono la raffinata base dei testi. L’altro giorno mentre scavavo in una mia
specie di orticello, il mio vicino chiacchierone (e valente scaracchiatore
molesto) da sopra il muro mi ha interpellato e chiesto che stessi facendo, io
gli ho risposto pacificamente che stavo seppellendo mia moglie, che invece se
ne è andata da tempo e ora vive in Sudafrica. Il mio intento era farlo fuggire
in casa e ha funzionato.
Poi qui nella zona sud di PoA, dove io vivo,
un enorme adesivo a fascia sulla parte alta del parabrezza di una macchina
rossa e vecchia mi ha colpito e me ne sono uscito anch’io ridendo,
fragorosamente e tutto, come te. La faccia minacciosa di quello che c’era
dentro direi che accompagnasse bene assai tutto l’insieme, insomma la figura
generale.
C’era scritto CAFAJESTE, in rosso su bianco.
Se in fondo ci fosse stato un punto
esclamativo, a limite anche interrogativo, si poteva considerare che egli si
rivolgesse a qualcun altro anonimo pilota di automomezzo eventuale attorno, ma
senza di questo era come si autodefinisse TESTA DI CAZZO, mi pare di capire e
ci tenesse a farlo sapere a tutti. Glielo volevo andare a chiedere, ma poi ho
pensato che forse era meglio di no.
A proposito, tornando all’argomento
precedente, se tra di noi immortali letterati elettronici accettiamo un
pagliaccio come Ludovico, il visionare ogni email precedente alla sua entrata
gli sarà negato, naturalmente. Cioè potrà partecipare e commentare solo quelli
usciti da quel momento in poi, sennò gli dovremo spiegare un sacco di cose, tra
cui quello che ho detto di lui, che magari non gli garberebbe.
Quando avrai deciso fammi sapere, ma con
calma, mi raccomando. Intanto un’attesa di qualche settimana gli potrà far comprendere
che è totalmente nelle nostre mani e può solo ed effettivamente con sincera
umiltà, stavolta, sperare nel nostro giudizio inappellabile.
Mi sa che come lunghezza del testo proposto
stavolta ti ho superato. Che fai, rilanci?
Da marbanti06@virgilio.it
a bullen@tin.it
ore 09 e 08 del 14 novembre 2023
Comandante,
qui ho mia moglie che mi guarda scuotendo la
testa: non si capacita del perché intratteniamo lunghe conversazioni attraverso
uno strumento che è già storia, come la posta elettronica. Beh, a parte il
fatto che a me piace scrivere e che non riusciamo mai ad incontrarci di
persona, io sono allergico al telefono. Mi provoca una certa sensazione di
panico. Da piccolo mi ricordo un programma radio a quiz per bambini: tutta la
mia famiglia mi indicò la risposta giusta e a me non toccava far altro che,
telefonando, dirla. Non lo feci. Molto anni dopo, fui uno degli ultimi ad avere
un telefonino (usato): me lo fecero comprare a forza i miei amici. Solo con
Uozzappe ho ripreso simpatia per l’oggetto, perché anche lì, scrivo. Però per
comunicazioni lunghe, la posta elettronica rimane il mio mezzo preferito.
Mi dispiace per il tuo periodaccio,
effettivamente mi sembrava che qualcosa non andasse. Io ne ho avuto uno l’anno
scorso ma ora non mi va di parlarne: anche perché altrimenti ci buttiamo giù a
vicenda.
Sul comportamento di alcuni suoi alunni,
Ludovico ha parlato anche a me. A volte lo lasciano senza parole, il che, conoscendo
il soggetto, sembra impossibile. Un giorno gli chiesero il perché della
divisione tra Irlanda (Eire) Stato indipendente e l’Irlanda del Nord facente
parte del Regno Unito. Lui ci preparò una lezione storica-geografica-sociale e
tutto quanto fa spettacolo. Dopo tre ore di spiegazioni, un’alunna gli si
avvicinò domandando: “Ma perché sono divise?”. Un’altra volta uno studente gli
chiese di spiegare un argomento grammaticale. Iniziò quindi dalla parte
teorica, si girò per scrivere alla lavagna e quando si rivolse alla classe per
vedere se era tutto chiaro, l’alunno in questione non c’era più: era
“semplicemente” andato via a metà spiegazione. Proprio lui!
A Ludovico diciamogli di no, un no secco,
tanto per divertirci un po’. “Il triangolo no, non l’avevo considerato” cantava
Renato Zero, anche se il triangolo era di un altro tipo. Poi vediamo come
reagisce ed allora decideremo.
Per quanto riguarda l’eternità, visto che
parliamo del nostro comune amico, perché voi due non fondate un’accademia così
vi “immortalate” anche voi? Avete un sacco di libri scritti, in varie lingue,
chissà. Io scrivo per me stesso, non posso farne parte: non sono un
intellettuale come voi. Sto fuori e vi applaudo.
In Brasile è tutto esagerato, ma anche in
Italia non si scherza. Nel parlare, per esempio, noi diciamo “scendere giù,
salire su, entrare dentro, uscire fuori” oppure – me lo fece notare un alunno –
il fatto di ridire parole. Mi chiese il perché noi italiani non rispondiamo
attraverso un semplice “sì”, ma ripetiamo la parola più volte. Ed io risposi
con un “No, no, no. Non è vero”, e mentre lo dicevo mi accorsi che
effettivamente è così. Oppure l’esagerazione esiste anche nel raccontare le
vicende: un morto accoltellato, per esempio, in Italia non viene scoperto, ma
immancabilmente “ritrovato immerso in una pozza di sangue”.
Saltando di palo in frasca, tu hai vissuto in
più di un Paese: anche in Germania, forse quello più distante culturalmente da
Italia e Brasile. Perché tra questi ultimi due, alla fine non è che ci sia
questa grande differenza che i chilometri suggerirebbero. Ancor più qua nel Rio
Grande do Sul, dove la presenza italiana ed europea in generale copre quasi la
totalità della popolazione, come origine intendo. Io ho una storia particolare,
perché m’interesso del Brasile da quando avevo undici anni. L’ho studiato in
tutte le maniere possibili che un mondo senza internet poteva permettermi
(vallo a far capire alla generazione
attuale), amato anche esageratamente, tanto per restare in tema.
Un’idealizzazione del Paese che uno si fa
attraverso qualsiasi informazione che gli capita sotto mano. Pensa che
dopo aver ascoltato il “Samba da Bênção”, dove Vinicius de Moraes saluta e
rende omaggio ai sambisti attraverso un per me strano e misterioso “Saravá”,
pensavo che in Brasile incontrandosi per strada ci si salutasse così.
Comunque questa idealizzazione la vedo anche
al contrario, forse anche di più. Mi fanno un po’ rabbia quando i brasiliani si
riferiscono all’Italia come primo mondo, sottovalutando quello che c’è qui.
Sicuramente ci sono cose che là funzionano meglio che qua, ma c’è anche il
contrario. E poi questa cosa di primo mondo sembra che serva come scusa
affinché non si cambi niente. Mi ricordo un sindaco di un comune
dell’entroterra gaúcho che, questionato su un determinato fatto che lui poteva
modificare, rispose che non lo avrebbe fatto perché lì era sempre stato così e
chi era lui (il sindaco!) per farlo?
Insomma, come dice una cugina di mia moglie,
siamo tutti latini, non c’è rimedio.
Mi fermo qui: se “chi sa tutto e lo dice
subito, rimane senza più niente da dire” (da notare come faccia
riferimenti spesso a parole di canzoni, in
questo caso “Roda” di Gilberto Gil e João Augusto), figuriamoci io che non so
niente.
Ho rilanciato, come vedi, però non credo sia
arrivato a scrivere una mail come la tua. Ma non stiamo a misurare le parole.
Sai che ora ci sarà un Festival del cinema Italiano a Porto Alegre: ci troviamo
per vedere un film?
Marcello
Da bullen@tin.it a marbanti06@virgilio.it
ore 23 e 16 del 15 novembre 2023
Marcellino Pane e Vino
ma un po' di salame non ce lo vogliamo
mettere? Anch'io sono dubbioso, te lo confesso, ma quell'insaccato di Ludovico,
che a pensarci bene assomiglia più a una grassa e pelosa soppressata, qualche
ora fa mi ha telefonato. Gli ho detto di no, che la nostra commissione ha
rifiutato la sua petizione, gli ho fatto capire che si tratta di diversa gente
e piuttosto importante, non solo di noi due. Ha perso di scatto la sua umiltà,
è diventato impaziente e irritato, come se fosse questa sua ammissione alla
nostra accademia, degli immortali interlocutori metropolitani nascosti e
fuorimoda, fosse per lui la cosa più importante del mondo.
Se non lo ha ancora fatto, telefonerà anche a
te, se non è oggi sarà un domani. Io ho provato anche a dirgli che non era
vero, che la nostra corrispondenza era una mia invenzione, solo per poterlo
prendere bonariamente in giro, al che è diventato furioso, secondo me non ci ha
creduto.
Lo ammetto: è colpa mia, non dovevo dirgli
niente, ora anche se lo facessimo entrare vorrà leggere le email precedenti, ne
sono ragionevolmente sicuro.
Ho mangiato un po' pesantino e ho scolato una
bottiglia di rosso in venti minuti. Me ne vado a letto. Prevedo incubi e
ripetute gite al gabinetto.
Vedere un film? Per me va bene, ma quale, e
soprattutto quando? I nostri orari non coincidono, e poi te hai una moglie e un
lavoro, io sono praticamente un pensionato fidanzato con due gatti e due cani.
Mentre stavo cenando, un po' in ritardo e
quindi trangugiando sovrappensiero con una fame cavallina, ecco arrivare questa
e-mail, non me ne aveva mai mandato una, quindi ne ho avvertito l'importanza.
Non ti ha ancora
chiamato?
Secondo me è una persona molto sola, la gente
lo evita. Io direi di farlo partecipare come membro esterno, con una rigida
serie di norme inappellabili, tra cui quella di non usare mai e per nessun
motivo superlativi e avverbi.
Tra l'altro ha detto che è Massone e che
potrebbe farci entrare nella loggia in questione anche a noi due, come se a noi
ce ne fregasse qualcosa. A me zero di sicuro, non so a te, anzi mi stanno anche
piuttosto pesantemente sugli ammennicoli.
Da patgarrett&billythekid@gmail.com.br
a bullen@tin.it
ore 21 e 12 del 15 novembre 2023
Forse sbaglio in parziale totalità, ma cerco
il futuro nel passato, il presente me l'hanno rubato o io stesso me lo sono
fregato, ragazzi miei, però ho un vantaggio su di voi: io vi sembro decisamente
svantaggiato. È vero o no?
Ora ve lo dico in un'altra maniera: rispetto
a me vi sentite troppamente superiori abbestia? Se mi trattate come un
cagnolino bizzoso ma affettuoso, mezzo scemo ma simpatico, in questo vi do
ragione, badate bene, ma soltanto a metà.
Nell'altra parte succede proprio il
contrario. Naturalmente la frontiera tra le due, e ciò che accade nei due
emisferi opposti, sono due cose fluttuanti, elastiche e in costante ma
piuttosto incostante movimento.
Dicono che ho l'avverbio facile, che lo uso
come se fosse un'arma. Non è assolutissimamente vero.
Se mi accoglierete tra di voi, per me sarà un
segno di amicizia inequivocabile e bello. Non abbiate paura, al primo
comportamento sgradevole, qualsiasi mia intemperanza, mi potrete buttare
tranquillissimamente fuori, perciò gentilmente accoglietemi e non ve ne
pentirete per l'eternità, o per la porzione che ce ne compete.
Vi prego umilissimamente.
L'insegnamento di una lingua e il suo
relativo apprendere sono cose interessanti, per il momento io cortesemente vi
pongo questo piccolo, ma importantissimo problema, almeno per noi, persone di
cultura e di un certa sensibilità, che facciamo questa minchia di mestiere.
Per questo vi mando un indicativo pezzettino,
insignificante ma solo nelle dimensioni, di un racconto lungo, (diciamo pure
medio,) da me scritto qualche anno fa, inventato ma non troppo, se così mi
consentite di esprimermi con una certa umiltà, eppur dignitosissimamente.
Antonio
Voronov Diaz (Ludovico)
Quando iniziai a insegnare spagnolo nel Rio
Grande do Sul, stato più meridionale del Brasile, conobbi un professore
anziano, che mi raccontava scene di vita didattica e non, con poche frasi
coincise e contundenti.
Il professor Cruzes aveva pure una certa
capacità teatrale, mulinava le mani quando parlava di turbolenze linguistiche,
ma sapeva anche mimare efficacemente gesti più pacati se imitava esseri umani
e, soprattutto, riusciva a recitare le sue battute più sarcastiche in completa
serietà, la sua impassibilità e mancanza di espressione erano degne di una sfinge,
il che mi faceva ridere senza possibilità di controllarmi e tutti si giravano a
guardarmi.
Un giorno in una riunione di colleghi,
durante una pausa per il caffè, mentre gli altri erano già rientrati nel salone
universitario, rimanemmo da soli per qualche attimo e lui si avvicinò per dirmi
in un orecchio:
“Il nostro mestiere può essere divertente e
istruttivo, sa? Il piccolo ma importante segreto, l’uovo di Colombo, sta nel
non fissarsi nell’assurda pretesa che gli allievi imparino veramente...”
Sorrisi un po’ imbarazzato e rimasi lì
impalato, con il mio bicchierino di plastica in mano, pieno a metà di caffè
tiepido, mentre lui, a grandi passi tornava dentro.
La sua tecnica, di esperiente comico da bar
di provincia, era sempre quella di dire la battuta e di allontanarsi, per poi
ritornare subito dopo pronto per un’ulteriore performance.
Io ero solo un principiante e mi ricordo che
pensai che quella frase era stata solo un’esagerazione di un uomo
professionalmente stanco e alla fine della sua lunga carriera.
Solo alcuni anni dopo mi resi conto della
grande verità delle sue parole, del senso di frustrazione di qualcuno che tenta
di fare bene il suo mestiere e si trova giornalmente di fronte ad un muro
d’indifferenza.
Cominciavo a chiedermi: quanti erano gli allievi
che veramente avevano bisogno di imparare la lingua spagnola?
Pochissimi, mi rispondevo e quelli ci
riuscivano, perché s’impegnavano nel farlo; tutti gli altri, che forse erano il
settanta per cento, stavano lì più che altro per divertirsi e una grande
percentuale di quelli che lasciavano il corso, lo facevano perché le classi
erano troppo eterogenee, la lezione era una confusione... e quella piccola
fetta che era veramente determinata a studiare e a imparare, era ostacolata e
schiacciata da tutti gli altri.
Stiamo parlando di lezioni in classi di
venti-venticinque allievi, all’inizio, che però si dimezzavano solo dopo un
mese o due, in sale piccole e asfittiche, dove la porta aperta era l’unica
maniera per respirare, ma il rumore che ne veniva dentro, condensato delle voci
delle altre sale e del passaggio continuo di gente che parlava ad alta voce,
certo non aiutava lo svolgimento della lezione.
Credo che nemmeno il trenta per cento degli
allievi, poi, terminasse gli otto semestri di prassi, (che curiosamente in
Brasile erano e sono approssimativamente di tre mesi e mezzo ciascuno,)
adagiati pigramente nella lunghezza di quattro anni, intervallati dalle
vacanze, cioè da un mese più qualche giorno a luglio e tre mesi e mezzo a
dicembre.
Oggi esistono anche gli intensivi, ma solo
per i primi livelli... e, per fortuna, da sempre, ci sono anche le lezioni
private, attraverso le quali, con allievi capaci e giovani, senza forzare, con
lo stesso carico orario settimanale del corso in questione, tutto il programma
che si svilupperebbe in quattro anni, si può riuscire a fare in quattro mesi,
in maniera anche migliore. (continua)
Da bullen@tin.it a marbanti06@virgilio.it
ore 11 e 23 del 16 novembre 2023
Egregissimo elargitore ecumenico
rispondo qui e ora alle altre tue
argomentazioni di ieri l'altro, avvertirti della minaccia ludovica era
più urgente.
Il rifiuto del telefono è una cosa che io
stesso ho sentito, non dico che la sento ancora, perché non mi capita quasi mai
di telefonare e il Brasile mi ha tolto un po’ di quella timidezza che avevo,
anche facendo lezione, ci si deve abituare, ma i dialoghi e i rapporti qua sono
molto meno formali e questo mi ha fatto bene, ho ragione di credere.
Abbi pazienza, sono un po’ a scoppio
ritardato, qualche tempo fa mi hai parlato della tua scarsa ambizione, che
anch’io ho sempre avuto e se anche tu mi dici di avere, la ritrovo in molti dei
miei amici italiani. Qui vedo che seguono più questo stupido sogno americano di
crescere insensatamente come stile di vita, soprattutto economicamente, che per
loro rappresenta anche una certa rivalsa e un’evidente dimostrazione
d’intelligenza, che invece per noi non vale, anche perché le nostre famiglie di
classe media non hanno mai sofferto di povertà, se non quando c'era la guerra e
dopo la ripresa e il boom economico, intorno a noi anche se ne è sempre vista
poca.
Riguardo l'esagerazione italiana direi che è
un fenomeno mondiale e di media, in generale rifiutare i limiti impostici dalla
realtà quotidiana è una cosa apparentemente buona e giusta, ma le conseguenze
sono disastrose, perché dopo la vita è un'altra e molto più complessa di una
corsa al successo personale.
Rispetto ai propositi di deregulation,
a questi discorsi insensati che se vuoi una cosa devi prendertela, significa
che prima o poi la devi togliere a qualcun altro, i più deboli devono
soccombere, per una specie di selezione naturale distorta. Come dice Falcão
quando incontri una squadra debole devi golearla senza pietà, sennò lo fanno le
altre squadre tue dirette concorrenti e ti esce fuori un’inferiorità in
differenza reti, ma anche in autostima, insomma con questa filosofia tutto
diventa una specie di Homo Homini Lupus.
Per il discorso della anacronistica esistenza
e uso dell'email, tua moglie avrà anche ragione, ma io mi attacco alle cose
fuorimoda in maniera incredibile, lo stesso scrivere lo è, almeno a livello di
storie, di racconti, di esperienze vissute.
Dici che l’italiano ripete cose senza
necessità, forse è per prendere tempo, per pensare a una risposta, non mostrare
debolezza, di chi non sa cosa dire.
Io noto che là chi parla di più ha ragione e
chi sta zitto non ce l’ha mai, anche se è solo un’apparenza,
l’auto-affermazione qui è più educata e sorridente, l’ironia più sottile, i
brasiliani sono migliori manipolatori, simulatori e dissimulatori. L’italiano
si preoccupa più dell’apparenza, di mostrare anche a sua moglie che comanda
lui, ma poi i fatti sono un’altra cosa. Nella maggior parte dei casi che io
conosco l’uomo urla e strepita, ma la moglie da dietro muove i fili del
burattino in questione.
Poi l’italiano si lamenta sempre perché ha
una mentalità da commerciante, quando le cose vanno bene agisce d’anticipo e
pensa già a quando andranno male. Se poi l’italiano in questione, nella vita è
veramente un commerciante, per ovvi motivi è anche peggio.
Sai perché qui ci chiamano anche Carcamanos?
Non molto tempo fa l’italiano, arrivato da poco e povero, ma che mirava alla
scalata sociale, vendeva frutta, verdura, insomma alimenti e cose che si
pesavano con quelle bilance metalliche e portatili, calcando la mano di
nascosto riusciva a fare aumentare il peso della merce venduta e quindi il
guadagno.
marbanti06@virgilio.it
a bullen@tin.it
ore 10 e 25 del 22 novembre 2023
Caro Lucchese (ma non
troppo),
non so se è stato un caso oppure è un segno.
Io pendo più per quest’ultimo, fatto sta che la tua mail in cui era compresa
quella del simpatico scorbutico, mi era finita tra gli Spam. Per questo ti
rispondo ancor più in ritardo che del normale. Sì, ha tentato di telefonarmi ma
io non gli ho risposto, tanto sa della mia fobia per l’apparecchio. Quindi mi
ha “uozzappato” coprendomi di insulti, come suo solito. In realtà mi garba più
così, è più schietto.
Sul suo essere massone e volermi far entrare
nel gruppo, è da quando lo conosco che ci tenta. Anche perché io abito in una
zona massonica. Scusa, ma la Massoneria non dovrebbe essere segreta? Invece
dalle mie parti ci sono degli interi edifici in cui sulla facciata c’è scritto
che è un “Grande Oriente” e pure il nome del “Gran Maestro”. Un’altra
contraddizione brasiliana?
A questo punto mi domando: alle mail di
Ludovico, dobbiamo rispondere? O te le becchi tutte te e poi me le ripassi? In
ogni caso, da aggiungere alle sue esperienze, posso dire che qualcuno fa
italiano perché pensa sia facile. Mi diverto quando dicono che è così e non
vedo l’ora di fare la lezione sui plurali. Mi ricordo un alunno che si
auto-proclamava “conoscitore dell’italiano a livello base”. Cioè, che conosce
articoli, plurali, verbi al presente, passato prossimo, futuro e altre cosine.
Bene, dopo la terza lezione, quella famigerata dei plurali, non l’ho più visto.
Infatti io la chiamo “lezione della verità”: la passa solo chi è veramente
interessato.
Mi parli di informalità brasiliana: è
probabilmente uno dei motivi per cui gli italiani si appassionano del Paese. Mi
ricordo la mia prima volta in banca. Io ci volevo andare vestito di tutto
punto, ma mia moglie (mi piace parlare di lei senza dirne il nome: sembro il
Tenente Colombo) mi disse che potevo andarci in pantaloncini e addirittura in
infradito. Ora, te lo immagini te una cosa del genere a Pescia? Avrebbe
suscitato scandalo. Aprendo una parentesi, l’ultima volta che sono ritornato là
in estate, camminavo in ciabatte per le strade già sentendomi strano per
questo. Quando sono arrivato nella piazza centrale, il salotto di Pescia, il
mio “io interiore” si è rifiutato di entrarci e sono tornato indietro: no, in
Piazza Mazzini un pesciatino non può andarci senza adeguate calzature: e se lo
fa, viene subito notato. Un po’ come alla messa: qui vedo persone che ci vanno
con magliette di squadre di calcio. Immagino una cosa simile in Italia:
riceverebbero un’immediata scomunica. Aprendo un’altra parentesi, io sono uno
che anche a lezione apre parentesi e quando deve riprendere l’argomento
principale non si ricorda più qual è. Meno male ho alunni attenti. Di cosa
stavo parlando? Ah, della banca. Quindi io andai là in totale abbigliamento
estivo, entrai e parlai timorosamente con l’impiegata, quando lei si rivolse a
me con un “vedi, Marcello”: Marcello?? Tu non mi conosci, è la prima volta che
mi vedi e già mi chiami per nome? La volevo abbracciare come se fosse una
vecchia amica.
La mia mancanza di ambizione mi accompagna da
sempre: come dice la mia mamma, si vede che sono nato di domenica, dalla qual
cosa deriva la mia pigrizia. In realtà, più che pigro, mi accontento. A scuola
lottavo per la sufficienza, il famoso “sei”. Numero che è il mio preferito (non
il fortunato, quello non ce l’ho) e che ho nell’indirizzo di posta elettronica.
Quando ottenevo il sei, non m’interessava arrivare al sette. Ad un compito
scritto di storia alle scuole medie, presi “appena sufficiente”, che sarebbe un
sufficiente striminzito, al limite proprio: io ero contento ma la professoressa
aggiunse un commento che terminava con un “da te esigo di più”, con la parola
“esigo” sottolineata tre volte. Ed aveva ragione: fa rabbia vedere qualcuno che
può ma non vuole. In definitiva, mi faccio rabbia da solo. Ma non è che mi
accontento sempre: solo quando ho ragione di pensarlo. Il mio voto finale delle
medie fu per l’appunto un “sufficiente” che non mi è mai andato giù. Secondo
me, meritavo di più. E devo dirti che sono abbastanza obiettivo: lo dimostra un
fatto accaduto cinque anni dopo. Alla fine del famoso esame di maturità, una
delle professoresse riunì l’intera classe per sapere com’era andata,
chiedendoci quale voto pensavamo di aver preso (in realtà lei ne era già in
possesso, ma fece finta di niente). Tutti a dire “mah”, “più o meno questo”,
“non lo so”: arrivata a me, io fissandola negli occhi dissi un chiaro e netto
“quarantaquattro” (all’epoca il voto era in sessantesimi: equivale a 7,3). Mi
guardò con aria spaventata e mi domandò come lo sapevo. Io non feci caso alla
sua risposta e le dissi che,
oggettivamente, era quello che mi sarei dato, ma non ne ero affatto a
conoscenza. Giorni dopo, quando appesero al muro i risultati, vidi che avevo
ottenuto proprio quel voto.
Anche nel gioco ero così: nelle interminabili
partite a pallone, e non solo, sull’asfalto tra bimbetti, io giocavo solo per
divertirmi. Chiaramente lottavo per vincere, ma se ciò non accadeva non era una
tragedia. Invece ho visto amici piangere per una sconfitta oppure addirittura
per una vittoria. Così, anzi di più, pure nel mini basket. Al momento del
setaccio di chi vermente voleva diventare un atleta, me ne andai.
Il termine “carcamanos” lo conoscevo: cioè,
l’ho conosciuto qua. All’inizio non ne capivo il significato, poi qualcuno me
l’ha spiegato: chissà, magari sei stato tu.
Invece ricordo bene quando, dopo pochi giorni
dal mio trasloco in Brasile, alla Fiera del Libro avevo fame e vidi scritto panini
con salsiccia toscana. Prendendola, mia moglie disse al venditore che io
ero proprio toscano (al contrario della salsiccia, che poteva provenire da
tutte le parti meno che dalla nostra terra). Lui allora mi disse: “Italiani,
brava gente”, ed io sorrisi orgogliosamente. Sorriso subito spento da quello
che aggiunse: “Ma tutti ladri”. Mia moglie, quasi scusandosi, si affrettò a
spiegarmi che era una specie di modo di dire
Per quanto riguarda il Cinema Italiano,
ancora non ho deciso se e quando ci vado. Probabilmente lo farò all’ultimo
minuto e ciò esclude un nostro eventuale incontro. Sicuramente il nostro
intellettuale conoscente rompiscatole li vedrà tutti e ci sommergerà con i suoi
commenti. Suggerisco, quindi, evitarlo nei prossimi giorni. Già, il problema è
che sarà lui a non evitarci.
Marcello
Da bullen@tin.it a marbanti06@virgilio.it
ore 9 e 23 del 23 novembre 2023
Carissimo Carismatico
Carciofino Carolingio
codesti coloriti appellativi li ho imparati
da Ludovico, parlando li usa anche con i suoi cani, con il suo avvocato, la
donna di servizio Thais e sua zia Dianora, indifferentemente dal loro
significato o potenziale interpretazione. Lo so che non hanno senso, ma ci
dobbiamo magari abituare a lui e poi ci si romperebbe pure la monotonia di
dover usare sempre i nomi propri delle persone, sempre uguali negli anni e nei
secoli. Che palle, dice lui e stavolta concordo.
La Massoneria è
segreta ma non troppo, diciamo che non è fuorilegge, ma alcune loro pratiche lo
sono e comunque sono tantissimi ormai nel mondo, ho fatto uno specie di studio.
La Massoneria cerca di raggiungere i propri obbiettivi
attraverso il consenso popolare, anche se mira a certe fasce privilegiate e ne
esclude altre meno utili, però cerca almeno di non inimicarsele, di
arruffianarsele con il minor sforzo possibile. Per ottenere il consenso vi sono
alcuni veicoli particolarmente efficaci, te li sintetizzo.
In primo luogo concedere vantaggi indebiti,
pensioni e salari ingiustificati ed ingiustificabili, trattamenti di favore,
chiamandoli “diritti precostituiti”.
Si legano a loro affiliati disposti a tutto
pur di continuare a mantenere i propri privilegi.
Altra tattica è distruggere la resistenza
etica e morale dei cittadini, alienandone la libertà.
Dare alla massa droga, alcolici, legalizzare
ogni sorta di perversione così da distruggere alla radice la residua dignità umana.
Combattere con ogni mezzo la vecchia nemica:
la religione e la Chiesa che la rappresenta.
Solo la Chiesa sa dare martiri sull’altare
della Verità.
Non solo, ma la Massoneria si propone essa
stessa come religione, secondo alcune fonti la distruzione della Chiesa si sta
consumando oggi con la massoneria infiltrata al suo interno.
Rimangono un Segreto di Pulcinella le
dimissioni di Papa Benedetto XVI, che andava contro poteri molto più grossi e
grassi di lui.
Italiani brava gente, ma tutti ladri
al mio arrivo qua me lo hanno detto mille volte, praticamente ogni volta che
venivo presentato come italiano autentico. Verso la duecentesima volta ho
iniziato a non lasciarli finire e li fregavo, precedendoli sul tutti ladri
finale.
Ludovico ti ha coperto d'insulti? Strano, non
è da lui. E poi ti ha chiesto umilissimamente scusa? Dopo ha alternato i due
atteggiamenti fino a non capire più se parlava sul serio o scherzava? Beh,
allora era proprio lui.
Devi sapere che a Ludovico io ho sempre e
sistematicamente mentito, non è che non se ne accorge, ma lo considera normale
e umano, fa finta di crederci. Oppure se ne dimentica subito dopo, ci sono cose
che si ricorda bene, anche a distanza di mesi se non anni, altre che elimina
immediatamente dalla memoria, non so se usa un criterio con parametri di
importanza o cosa, ci sto studiando ma per ora non ho una risposta chiara e
definitiva, e nemmeno confusa, parziale o provvisoria.
Quanto all'ambizione credo che la maggior
parte dei miei amici ne era privo, ma in giro non solo tra di noi, ma intorno
anche se ne vedeva poca o nulla. La sua mancanza l'ho notata per la prima volta
qui, forse perché in Brasile è più rara e ce l'abbiamo in comune anche con
Ludovico, se ce l'ha è nascosta, la sua ambizione, nel mezzo di tutte le altre
cose si perde e non si vede.
Un'altra teoria che sto elaborando è che la
sua mente è un po' troppo fervida e il resto del corpo non riesce ad
accompagnare quel cervello che se ne scappa sempre altrove.
Con uno come lui non puoi batterci di fronte,
l'unica maniera è nascondergli la verità. Io sono una persona anche troppo
sincera, ma con lui dire bugie mi garba e poi ci sono anche affezionato, in
qualche maniera. A Ludovico, non alle bugie.
Questo suo comportamento irrazionale ci
consente di contraddirci più volte, senza che lui dica niente, come ho fatto
recentemente, dicendo che la nostra corrispondenza aveva non due ma più
personaggi e piuttosto importanti e poco dopo negando addirittura che ne
esistesse una, dichiarando che era solo una mia invenzione per poterlo prendere
per il culo di più e meglio.
Insomma Ludovico non esclude che sia vero, quello
che gli dico e non mi pare un tipo di reazione sbagliata la sua. Quando non si
sanno le cose, è difficile avere certezze, inventarsi un'innegabile ma falsa
verità e poi crederci ciecamente è il tipo di atteggiamento più comune.
Gli ho preparato e spedito le nostre e-mail
tutte, ma ci ho tolto o addolcito in alcuni casi le parti in cui si parla di
lui, vediamo come si comporta.
Per tutta risposta mi ha mandato, senza alcun
commento questo pacco che mi è sembrato interessante e divertente, nello
scrivere forse è meno esagerato e bipolare, alla sua maniera acuto e originale.
Si può commentare quello che dice e comunque
è bene ricordarsi che si ha a che fare con un tipo da spiaggia... insomma un
bizzarro, uno stravagante intelligentissimo, una tigre non sempre moderata.
Che ti devo dire: boh?
Ludovico parla non so quante lingue, credo
una decina e non contento s'impara anche il gergo toscano, ora sta voracemente
attaccando il romanesco. Ludovico è imprevedibile e per me questo è un
complimento, perché il resto del mondo da me conosciuto mi pare già troppo
visto e sentito, lo trovo ripetitivo e banale.
Lo sapevi che è ebreo e che ha fatto anche
l'attore? Possibile che sia veramente un Massone? Forse lo dice per scherzo,
proviamo a chiedergli di partecipare.
Gli hai chiesto come vanno le vendite del suo
libro?
Naturalmente da questo momento in poi non si
può parlare male di lui, o perlomeno si deve tener conto e responsabilizzarsi
per ogni cosa detta su di lui, tali affermazioni potrebbero fomentare polemiche
o intemperanze del suddetto barbuto pelato rompicoglioni, passo e chiudo.
I testi Ludovico me li manda a me e io li
metto qui nel pacco grande, mi riservo una certa censura e lui il documento
vero e grande non lo vedrà mai.
Quando mi ha mandato la storiella preistorica
che segue gli ho telefonato per chiedergli se quel testo sui professori e gli
allievi di spagnolo sarebbe poi continuato. Lui non mi ha risposto e ha
cominciato a disquisire sul dialetto romanesco che poi non è un dialetto vero e
proprio, ma una specie di gergo. Gli ho più volte chiesto di quell'altro testo
e pareva non capire di che diavolo stessi parlando e comunque non mi ha mai
risposto. Insomma secondo me non se ne ricorda proprio.
STORIA DEL CAZZO
L'epoca che più mi garba è la preistoria, sia
per l'elasticità dei limiti temporali, che per la mancanza di regole e leggi,
per l'ampio spazio disponibile per ipotesi - eventuali e potenziali spiegazioni
per quello che è successo dopo - e soprattutto per la totale assenza di
politica e guerre.
Se il genere umano esiste da 3 milioni di
anni o anche più, i Neanderthal sono rimasti con noi, che saremmo i Sapiens,
qualcosa tra i 70 e gli 80 mila anni, poi si sono estinti, un po’ come i
dinosauri, facendo spazio ai mammiferi.
Dicevano che non si erano mischiati i due
ceppi, ma ultimamente hanno ammesso che invece sì. Ci sono alcuni difensori, in
alcune squadre di calcio, alcuni determinati padri di giovani fidanzate che ho
avuto modo di conoscere, che anche volendo non potrebbero negare la loro appartenenza.
Il Sapiens, che veniva da sud era più
slanciato e meno forte, forse più intelligente, il Neanderthal che era già lì e
li aspettò - meschino - a piè fermo, era una specie di Hulk peloso e di un
altro colore, meno verde e più sul rosa, aveva la mascella assai pronunciata da
carnivoro e forse era anche meno svelto di cervello, si capisce anche dai suoi
utensili che erano certo più rozzi di quelli dei Sapiens.
Per 70.000 anni i Sapiens e i Neanderthal
hanno convissuto, l'agricoltura esiste però da 10.000 approssimativi, prima gli
uomini cacciavano e pescavano, le donne intanto inventavano un allevamento e
cominciavano a coltivare, ma i primi animali domestici furono i lupi e la donna
visto come facevano loro, quando si accoppiavano, cominciò a capire anche i
loro figli da dove venivano.
Lavorare è noioso e sgradevole, non è per un
altro motivo che hanno inventato la schiavitù e il salario minimo. Perché
allora l'uomo ha preferito l'agricoltura e abbandonato la vita da nomade,
perché ha preferito il lavoro massacrante della civilizzazione al vagabondaggio
attivo del Paleolitico? È qui che casca l'asino: per causa dell'inerzia. L'uomo
vuole la routine anche se la routine è noiosa, pesante, sgradevole perché la
routine gli dà la sicurezza. L'uomo preferisce le certezze della prigione ai
dubbi della libertà!
Insomma l'avere è nemico dell'essere, ma
bisogna riuscire a farli convivere. Come l'uomo e la donna che sono opposti,
complementari e a volte, purtroppo o per fortuna, anche supplementari.
Il problema è che la vita agricola dipende
essenzialmente dalla terra cioè l'uomo aveva bisogno di possedere la terra per
ovvi motivi agricoli.
Ecco il verbo decisivo: avere.
Fino a quel momento l'uomo non aveva niente,
il maschio non aveva nemmeno i figli, perché i figli appartenevano alle donne.
Per più di due milioni di anni l'uomo non ha
lavorato, al massimo costruiva le sue armi rudimentali, ma non si poteva
chiamare lavoro, perché succedeva ogni tanto.
L'uomo non aveva beni, non aveva la casa, non
aveva mobili, aveva alcuni pochi utensili personali che si portava dietro, ma
se li avesse persi poi poteva costruirne di nuovi facilmente, con quello che
gli offriva la natura: una pietra da lavorare, una lancia da affilare, insomma
un bastone per farlo diventare una lancia.
Allora l'uomo cominciò
ad aver bisogno di possedere, aveva bisogno della terra per piantare, per
coltivare la sua nuova agricoltura, una casa dove abitare. In questa casa
bisognava avere lo spazio per dormire e mangiare, ci dovevano essere gli strumenti
per lavorare la terra e armi per proteggerla. Ora l'uomo aveva qualcosa, la
proprietà è stata un sottoprodotto dell'agricoltura.
I Sapiens iniziarono a salare la carne, nelle
terre fredde facevano buchi e congelavano gli animali uccisi. Il cane, figlio
bastardo del lupo, iniziò ad aiutare l'uomo a cacciare, alcune specie si
estinsero con la caccia intensiva, allo stesso tempo alla fine dell'Era
Glaciale il ghiaccio si ritirò verso i poli e aumentarono le foreste, i grandi
animali che correvano nelle praterie diventarono sempre più rari.
Con i
nuovi sistemi riuscirono a mantenere la carne per maggior tempo e allora
cominciarono a cacciare in maniera più sistematica e continua. Arrivarono a
costruire fionde, arco e frecce, dei grandi imbuti fatti di muri di pietra,
dove gli animali venivano spinti e massacrati, quando in fondo non avevano più
dove fuggire, un po' come le tonnare diventate recentemente fuorilegge.
Il Neanderthal non
pianificava, era a livello di tecnologia inferiore e antiquato, perciò si
estinse. L'agricoltura, l'allevamento e
la vita sempre meno nomade, diventarono la normalità un po' dovunque, la
proprietà fu una conseguenza della nuova
vita sedentaria.
Il sesso è una cosa da uomini, forse perché
dietro c’è una caccia, un desiderio di conquista, quasi come se fosse sbranare
la propria preda.
Inutile negare che ci siano alcune, poche,
dilettanti che si sentono di fare un po’ la stessa cosa, però è più per
nervosismo e istinto d’imitazione. La donna è più madre e regina della grotta,
o capanna che sia, governante del suo territorio e relativa prole, galline,
anatre, capre e pecore incluse.
L’uomo dal canto suo è un pavone che cerca
d’impressionare la sua femmina, mostrare la sua forza fisica, la sua fama, il
denaro, il potere, la sua falsa sicurezza e alla fine è solo una facciata e
dietro non c’è niente, perché non c’è stata né occasione né tempo per uscire da
quel tunnel e farsi una pensata, per capire qualcosa della vita e del mondo.
La monogamia è una cosa da donne, ma
oggigiorno tu che sei un uomo ti vedi obbligato, forzato, anche tu a essere
monogamo.
Oggi è brutto non essere monogamo: non è
peccaminoso, non è illegale, non è nemmeno immorale, è brutto e non c'è bisogno
di niente di più per opprimere e far vergognare e anche schiavizzare qualcuno.
Sì, ti sei trasformato in uno schiavo della monogamia.
E perché poi un uomo e una donna, e non due
uomini e una donna, o due donne e un uomo, come fanno per esempio gli indios in
Amazzonia, in questi grandi comunità pare che nessuno sia di nessuno, e che non
ci siano pretese di questo genere, che secondo me sono ancora assurde e
generano anche malintesi e screzi, dove non sono assolutamente necessari, la
vita è già abbastanza complicata.
Ho avuto un discreto successo con le donne,
per come viene comunemente inteso, anche se fisicamente non sono affatto una
bellezza e non sono ricco per niente. Tra cui tre mogli che mi hanno tutte
mandato affanculo e probabilmente avevano ragione loro e non io. Avere ragione
è una cosa che mi ha sempre interessato poco, e forse ho sbagliato a vivere
così, ma sono un po' troppo attempato per poter pensare di cambiare.
Eppure da qualche anno questo interrogativo
va e viene, ogni tanto mi ritorna in mente, forse è una domanda che almeno in
teoria dovrei affrontare.
Perché esiste la monogamia?
All'inizio e per qualche milione di anni non
c'erano pretese coniugali perché il matrimonio non esisteva, non c'era nemmeno
la famiglia e l'uomo non sapeva nemmeno che per fare figli era fondamentale la
sua partecipazione. Ancora oggi tribù indigene considerano la fecondità
femminile causata dalla luna piena, dai bagni nel fiume in determinate epoche,
punture di alcune zanzare eccetera.
In un secondo periodo, in queste pratiche
comunità, dato i tempi che correvano, l'uomo non sapeva mai chi fosse il
proprio figlio, se ogni donna poteva farlo con tutti. Il discorso della coppia
fissa forse è iniziato come una funzione di protezione della proprietà, da
parte della donna. L'uomo poteva continuare ad andare con le altre, ma la coppia
fissa - per questioni pratiche di eredità - era la soluzione femminile di chi
era madre e faceva i suoi primi storici passi, per la società in cambiamento.
Per avere un esempio più recente, di quello
che invece potrebbe succedere, c'è una commedia di Eduardo De Filippo, Filumena
Marturano, diventato poi il film di De Sica Matrimonio all'italiana
con Sofia Loren e Mastroianni, anche lui Marcello.
Non si sa se prima o
dopo che l'uomo avesse capito, perché glielo aveva detto la donna, che per fare
i figli anche il suo intervento era importante.
Secondo alcuni studiosi, è l’homo sapiens il
primo essere umano con la forma della bocca e degli organi della gola adatti a
parlare.
Ciò che conta è che per mezzo del linguaggio,
gli uomini preistorici furono in grado di stabilire rapporti sociali più complessi.
Tra l’altro, essi poterono trasmettere informazioni. Per esempio, gli adulti
poterono educare i giovani insegnando loro le proprie conoscenze, come
accendere il fuoco, cacciare gli animali, curarsi con le erbe.
Queste conoscenze poi si consolidarono e si
ampliarono nelle generazioni successive. Di conseguenza, la tecnologia poté
svilupparsi e diffondersi sempre di più.
Il fatto di poter rimanere a lungo -
supportati indipendentemente dall'erezione - nel corpo della partner sottrae
tempo ai rivali e aumenta le chance di assicurarsi una discendenza. La
poligamia e la presenza di accoppiamenti stagionali, infatti, sono fattori
predittivi della lunghezza dell'osso penico nei primati.
Non tutti sanno che come il cane e tanti
altri mammiferi, l'uomo aveva un osso nel pene, detto baculum che aveva
una sua precisa funzione. La storia evolutiva di quest'osso, scopriamo che
iniziò a evolversi tra i 145 e i 95 milioni di anni fa. Era quindi sicuramente
presente nel più recente comune antenato di primati e mammiferi carnivori. Il
motivo per cui poi, in alcuni discendenti è andato scomparendo sembra legato
alle modalità di accoppiamento. Nei primati, la presenza del baculum è legata
alla maggiore durata dei rapporti, essenziale per garantire alte possibilità di
generare prole nelle specie poligame, in cui molti maschi si accoppiano con
molte femmine. Nell'uomo le cose funzionano diversamente. Gli scienziati
ipotizzano infatti che l'essere umano abbia perso l'osso del pene quando la
monogamia è emersa come la strategia riproduttiva dominante, circa 1,9 milioni
di anni fa, al tempo dell'Homo erectus. A quel punto non c'era più bisogno di
far durare la penetrazione tanto più a lungo, e l'osso è scomparso.
Detto questo, l'amore romantico probabilmente
ha fatto i suoi primi passi nel Medioevo, in precedenza il cristianesimo aveva
condito il sesso con la colpa, aveva elevato lo spirito a discapito della
carne.
Da marbanti06@virgilio.it
a bullen@tin.it
ore 17 e 49 del 28 novembre 2023
Carissimo Appellativo,
essendo io quasi del tutto privo di fantasia,
non troverò tanti nomignoli per chiamarti con tanti soprannomi differenti.
Perciò, accontentati di uno.
Ma in una cosa ti assomiglio: quella di
anticipare la frase tutti ladri. Anzi, quando mi presento come italiano
DOC la dico già tutta per intero: brava gente ma tutti ladri. Sulla
Denominazione di Origine Controllata, un mio conoscente catarinense di origini
siciliane, divide la categoria degli italiani in “italiani di origine”,
“italiani DOC”, cioè gli italiani nati ma che risiedono all’estero e “italiani
DOCG”, quelli nati e residenti in Italia. Quindi, noi facciamo parte della
prima categoria: abbiamo perso la “G” del Garantita.
Il poliglotta mi ha detto che è riuscito a
vendere qualche copia, soprattutto alle scuole d’inglese. Non mi sembrava
granché soddisfatto: anzi, era un po’ giù di morale. Dalla nostra ultima mail
non l’ho più sentito, neanche per Uozzappe. Ma sappiamo che lui è così:
infatti poi ha sfornato quel saggio sull’umanità dall’eloquente titolo e quando
scrive così non può che star bene. Non so da dove gli spuntano tutte queste
idee. A me, quando si parla di Neanderthal, viene in mente la canzone del 1970
degli Hotlegs, “Neanderthal man” appunto. Quando da (molto) piccolo
l’ascoltavo, muovevo ritmicamente per tutta la sua durata la testa in avanti.
Così, mentre Ludovico scriveva, io ero molto
più volgarmente occupato nel “venerdì nero”. In realtà non cercavo niente,
tant’è vero che mi trovavo in un supermercato: niente vestiti o
elettrodomestici. Anni fa ne uscii con più di dieci pacchi di pasta, di
minestra come diciamo noi toscani, quest’anno c’era un interessante sconto sui
vini importati. Ma non è su questo che ti voglio scrivere. Lo spunto mi è
venuto dalla foggia (ogni tanto metto qualche parolone per sembrare una persona
seria) proprio delle bottiglie.
Pensavo così ad un aspetto della terra che mi
(ci) ospita. Mi piace parlarne solo con persone che conoscono la mia decennale
passione per il Brasile perché sanno che, se lo critico, è con affetto. Gli
altri potrebbero giustamente dire che se a me non piace, posso anche tornare da
dove sono venuto. Ma, come dicevo, sono liberi pensieri che fanno capolino.
Ordunque, guardando le varie bottiglie, mi
sono posto una questione. Il Brasile vuole essere un protagonista nello
scacchiere mondiale ma al contempo sembra voglia isolarsi. La sua volontà di
voler far parte del mondo, del mondo “che conta”, fa a cazzotti con cose
pratiche che lo isolano. Per esempio, mi hanno detto che i pochi chilometri di
ferrovia esistente hanno uno scartamento differente dall’Argentina. Un
ipotetico treno merci dovrebbe, quindi, fermarsi a Uruguaiana, scaricare tutto
e ricaricarlo su un altro treno al di là della frontiera. Il problema non si
pone, vista la scarsità di questo mezzo di trasporto, però lo trovo un segno.
Parlando di treni, una volta andai nel sud
del nostro Stato, vidi un segnale con scritto Pare, escute, olhe nella
strada che attraversava un binario. Percorrendo in macchina questo tratto, non
feci nessuna delle tre cose scritte lì, perché, a parte la Trensurb e le
turistiche Maria Fumaça, non ero a conoscenza di linee ferroviarie
attive. Quando, successivamente, vidi accanto alla strada che stavo percorrendo
un treno in movimento, mi venne un colpo. Ma allora, i treni esistono! Ed io
che avevo attraversato quel passaggio a livello senza sbarre a velocità
normale, infischiandomi altamente del segnale!
E le spine della corrente? Quelle con tre
perni non allineati? In quale altra parte del mondo sono così? E, visto che
parliamo, anzi, parlo di luce, perché ci sono due linee di tensione elettrica
nelle abitazioni, a 110 e 220, nello stesso Paese, nello stesso Stato, nello
stesso Comune, nella stessa città e, nel mio caso, nella stessa casa? Perché,
Alfredo, perché??
Torno alle bottiglie che mi hanno fatto
iniziare questo discorso. Non so se è un caso, ma le marche di vino brasiliane
che compro hanno un formato di bottiglia diverso dalle altre (italiane, cilene
ed argentine, per esempio). Sono più strette ed hanno il collo più lungo,
cosicché non mi entrano in vari mobili di casa.
Insomma, in tutti questi casi il Brasile si
differenzia da chi lo circonda, come se non volesse far parte del resto del
mondo. Allo stesso tempo, corre dietro a tutte le sedie possibili delle varie
organizzazioni internazionali affinché, di questo stesso mondo, sia considerato
un attore principale.
Ieri ero dalle tue parti, ma non avendo un
orario certo, non ti ho chiamato. Su queste cose sono abbastanza puntiglioso:
se non sono sicuro dell’orario, preferisco soprassedere. Anzi, più che
puntiglioso, sono ansioso. Quando vado dalla dentista, per esempio, spesso
arrivo così in anticipo che poi ne esco all’ora in cui sarei dovuto entrare. E
l’ansietà è un grosso problema, Alfredo. Per cercare di mitigare questa
oppressione per quello che verrà, cerco di non pensarci. Prima ero uno che
pianificava, aveva un piano A, un piano B e un piano C (a volte arrivavo alla
Z).
Oggi il mio futuro è quello di organizzare le
lezioni della settimana il lunedì mattina. E se vado oltre, è sempre causa
lavoro. Per il resto, si vede quello che verrà. Non arriverò mai ad essere come
gli indios, che se trovano due cinghiali ne ammazzano uno solo, perché è
quello che serve per togliere la fame di oggi (al domani, ci pensano il giorno
successivo), però cerco di non ammalarmi di “futurite”.
Auguste de Saint-Hilaire scrisse che la
civiltà indigena ha come scopo il
presente, mentre quella occidentale ha la mente proiettata nel futuro: dunque
non si sarebbero dovute mischiare, perché entrambe avrebbero perso una parte
importante di sé senza assorbire completamente quella dell’altro e ciò avrebbe
causato seri problemi. Chissà se è stato davvero così, se i problemi del
Brasile sono dovuti a questa miscela incompatibile che non lo fa essere né
carne né pesce (che comunque ne spiegherebbe le varie contraddizioni),
oppure se è proprio questa la sua
ricchezza.
Con questo pensiero pseudo socio-filosofico e
la dotta citazione messa lì per darmi una certa importanza, ti saluto. O dovrei
dire, VI saluto?
Marcello
Da bullen@tin.it a marbanti06@virgilio.it
ore 21 e 36 del 30 novembre 2023
Notabile Notaio Nuccio
Notarbartolo
ci sono varie versioni dei fatti, ma la più
accetta è che non c'è un modello nazionale per la tensione o voltaggio che
arriva alle prese della nostra casa. Quando il Brasile ha cominciato a mettere
sulla sua rete elettrica nell'inizio del secolo 20 le differenti compagnie
hanno stabilito in ogni regione del paese la scelta del sistema 110 o 220 volt.
Dipende dal paese di origine delle prime
imprese e da un'analisi di costo la quantità di consumatori per metro quadrato,
il denaro per l'installazione e per il materiale necessario come trasformatori
e cavi.
Le prime concessionarie che hanno distribuito
l'energia nella regione Nordest hanno optato per il sistema 220.
Nei due casi i sistemi continuano gli stessi
fino a oggi perché dopo essere installata è difficile riformare tutta la rete
di distribuzione, costerebbe troppo
troppi soldi e non c'è nessuna ragione forte per giustificare questo questa
spesa. Esistono vantaggi e svantaggi per ogni tipo di sistema, secondo me per
quello che ho letto il 220 sarebbe meglio in generale, ma il discorso dei soldi
di solito è quello che comanda, non solo in Brasile.
Nessuno più del Brasile avrebbe bisogno di
treni, il suo territorio senza montagne o quasi e con lunghe e lunghisime
distanze ne trarrebbe un garnde giovamento, per il commerico e il
trasporto di passeggeri, ma le mafie
riunite in un solo grande organo, il governo, hanno deciso di no, alleluja.
Le prese elettriche poi sono state una
grandissima presa per il culo gigante, ma qualcuno ci ha guadagnato assai. Come
il kit obbligatorio per i primi soccorsi in macchina, forse te non eri ancora
arrivato in Brasile, ma appena se lo sono comprato tutti non era più
obbligatorio e qualcuno ci ha lucrato quanto ha voluto.
Quanto alle bottiglie io non mi sento un
grande patriota, nel nostro caso non sono nemmeno mezzo brasiliano, ma lo farei
lo stesso, anche nel caso di bottiglie italiane e io fossi ancora piazzato da
qualche parte sulla nostra amata penisola, oppure anche qui dove sono adesso.
Lo confesso: non mi sento per niente
responsabile né tantomeno colpevole, da anni non compro più vino brasiliano,
per un discorso di qualità prezzo, che non è affatto trascurabile. Il vino
cileno, uruguayano e argentino in generale è assai più conveniente.
Però se ora mi dici che le bottiglie hanno
una misura differente, e tutte le altre sono più pratiche, non potevo farci
caso prima, ma ora che lo so mi sento ancora di più di essere sulla buona
strada.
Il ballo di Neanderthal Man che mi
viene in mente è quello assai buffo di Panelli e Fabrizi, Bice Valori e Ave
Ninchi nel varietà televisivo Speciale
per noi del 1971, si trova ancora su Youtube. Il gruppo degli Hotlegs poi
diventò più serio, si chiamò 10.cc. e sfornò dei successi internazionali come I'm
not in love. Il re dei lenti da discoteca, all'epoca tanto importanti per
arrivare al dunque, al proverbiale o la va o la spacca.
L'ansia, caro Marcello, è uno dei punti
chiave della vita, se riesci a sconfiggerla sei già avvantaggiato, ma
dimenticarsela è difficile assai e se sei troppo tranquillo l'evoluzione ti
massacra, un po' di tensione è necessaria.
Una delle cose che ho imparato qui in Brasile
è che è meglio non esagerare. Lo sapevo anche prima, ma alcuni sistemi pratici
che fanno dell'uomo un animale intelligente, soprattutto se non usa contro di
sé questa intelligenza, ma a suo favore.
Il fatto è che siamo
abituati dalla società stessa ad abbandonarci dentro certe paranoie quotidiane
che invece non fanno per noi, esseri limitati, nello spazio e nel tempo.
Per esempio fino ad ora non ho mai preso sul
serio niente che avesse a che fare con Ludovico, ma oggi ho avuto la sensazione
che qualcosa di serio stia effettivamente accadendo, oppure è già accaduto.
Non so se conosci Thais, la sua donna di
servizio, un paio di ore fa è venuta a casa mia piangendo, dice che Ludovico è
scomparso.
Avendoci parlato solo per telefono mi
figuravo un donnetta striminzita e in là con l'età, scura di pelle e odorosa di
bagnischiuma a buon mercato.
Ci ho indovinato poco, forse solo sulla
pelle. Mi sono trovato davanti a una donna a suo tempo bell'assai, ma che
piangeva un po' troppo, per essere una donna di servizio che stava
potenzialmente per perdere il suo stipendio.
Per fartela breve Ludovico è scomparso, tra
un singhiozzo e l'altro Thais mi ha detto che il suo principale (o innamorato
che sia, forse anche fidanzato, ma non credo sposo, per via delle di lui idee a
riguardo) insomma Ludovico, se ne era andato via qualche giorno fa, in
Patagonia, a Ushuaia per la precisione, la città più a sud del nostro
continente.
Il racconto che mi ha mandato lo ha spedito
lei stessa, secondo le sue istruzioni, ma te quando lo hai visto l'ultima
volta? Io ci ho parlato circa cinque giorni fa, uozzapandomi forse già
in Patagonia argentina.
Mi aveva accennato di questa gita
organizzata, senza specificare né data né permanenza, ma io distrattamente me
ne ero fregato e lui mi aveva mentito: era laggiù per affari e secondo Thais la
sua sparizione ha qualcosa a che fare con gli stessi.
Pare che abbia una causa in corso addirittura
con la famiglia Bernascon, la nostra cara famiglia veneta ha grandi
possedimenti là e pare che l'unica via di comunicazione tra due grande
appezzamenti di terreno, passi per un pezzo di terra di scarso valore, tra
rocce e montagne, di proprietà dell'amico nostro, che pur più volte sollecitato
non vuole assolutamente cedere.
Ora è venuto fuori che io sarei il suo
migliore amico, (figuriamoci il peggiore se ci riusciamo) e che devo
assolutamente occuparmene personalmente, sennò non si sa chi. E che te
ovviamente come miglior amico del miglior amico anche e alla svelta, seppur in
seconda battuta o terza.
Sono andato a parlare con sua zia Dianora,
per scoprire che anche lei è un bel pezzo di femmina, sebbene non più
adolescente e che probabilmente non è nemmeno sua zia, piuttosto una sua
seconda amante, ma solo in un ordine di scoperta mia personale.
Dianora potrebbe essere la compagna
principale, di origine italiana, e nata a Buenos Aires, nonché cresciutaci fino
all'età di 18 anni. O peggio ancora semplicemente una delle due e ce ne
potrebbero essere anche altre, a questo punto non mi sorprenderei affatto.
La polizia argentina ignora il fatto,
sennonché Ludovico risulta essere arrivato là e poi se ne sono perse subito le
tracce, aveva prenotato una stanza in una specie di hotel di campagna, El Lobo
Blanco, le sue cose però non sono rimaste là, perchè lui pur perdendo i soldi
della caparra non si è mai presentato.
Thais si è spaventata
dal fatto che il nostro non ha più mandato notizie da giorni, lui le telefonava
sempre di sera e anche Dianora conferma la stessa impressione.
Le due sanno reciprocamente della loro esistenza,
pare e sembrano liete di dividersi, non so quanto equamente, il barbuto in
questione, che forse a tempo pieno non riuscirebbero a sopportarlo tutto.
Sembra anche che il loro rapporto duri da anni e che attualmente non ci siano
altre amiche o concorrenti, ma una o due sembra che si siano perse per strada.
Insomma vogliono che io vada là a vedere, a
cercarlo. Io ho cercato di schivarmi, gli ho detto che lo conosco appena, ma
non ci hanno creduto. Pare che gli parli assai di me, anzi di noi due, e sapevano
anche della nostra corrispondenza segreta. Non gli ha detto che era
segreta solo per lui, Ludovico, anche se parzialmente.
Stasera ero un po' dubbioso, ci vado oppure
no? Volevo chiederti se venivi anche tu,
ma so che non puoi per impegni di lavoro e di matrimonio. E poi con una testa
matta come lui potrebbe anche essere una bischerata, o un capriccio, chi lo sa?
Magari uno scherzo.
Di positivo c'è che sarò completamente
spesato dalle due donne, che se ho ben capito non hanno problemi di soldi, i
quali poi per la proprietà transitiva dovrebbero essere dello stesso Ludovico.
A giudicare dalla casa mi pare che se la
passi bene, sono dieci anni o più che lo conosco e - sebbene più volte invitato
- non sono mai andato a casa sua, gli ho sempre inventato delle scuse.
Mentre ti scrivevo mi sono reso conto che gli
voglio bene, in qualche maniera incomprensibile, a questo pazzoide e nel frattempo mi è arrivata questa
continuazione del racconto sulle lezioni di spagnolo, mandata da Thais, ma su
istruzioni temporali di Ludovico, senza dubbio.
Da questo pezzo si capisce anche una cosa che
non sapevo: Ludovico non ha sempre
vissuto qui. So che Voronov è un cognome falso, che è di origine italiana e
dovrebbe chiamarsi Pizzi, notizie avute da un amico-conoscente comune e che
sarebbero ancora da dimostrarsi.
Prima viveva in Spagna o altrove?
Parlando di lui la risposta spesso è questa:
boh?
Parte 2
Di chi è la colpa di
tutto questo imbottigliamento linguistico? Di tutti, anche dei professori,
naturalmente, ma in Brasile le cose funzionano così, bisogna conformarsi, tutto
si livella dal basso, perché se si facesse il contrario si perderebbe la
maggior parte dei partecipanti.
Qua,
disgraziatamente o per fortuna, tutto è in funzione di un rapporto sociale
assai rilassato e gradevole tra le persone, che noi in Europa potremmo e
dovremmo anche invidiare, ma c’è da notare pure che questo limita e confonde, a
seconda dei casi, la pretesa serietà di tutto quello che si cerca di fare tra
il Carnevale e il Natale, tra la Pasqua e la decina di ponti festivi che
interrompono, disgraziatamente... ma anche per fortuna, ogni tentativo di
continuità.
Le
condizioni in cui si danno le lezioni sono di confusione, spesso con un calore
insopportabile, poi, se si accendono i ventilatori, le già proibitive
possibilità di udire qualcosa si assottigliano ulteriormente, i divisori tra le
aule sono pannelli di plastica, le voci di tre professori si sovrappongono e
diventano un’unica confusa zuppa di parole, che non hanno niente a che fare tra
di loro, gli allievi arrivano a metà lezione e se ne vanno dieci minuti prima,
nessuno studia a casa o quasi.
Certo
in Spagna, una lezione di portoghese sarebbe una cosa differente, una cosa
noiosa e ripetitiva, forse anche banale, senza nessun colpo di scena e gli
allievi si limiterebbero a imparare, in silenzio, senza protestare, senza
scherzare troppo e si concentrerebbero solo in quello, studierebbero perfino a
casa e tutto diventerebbe asettico e normale.
In
Brasile, invece, ho conosciuto innumerevoli e interessanti variazioni su questo
tema: la lezione è più teatrale, i professori – per essere uditi - gridano
ancora come ossessi, gli allievi, (bambini, adolescenti, o adulti che siano,)
sono indisciplinati, lo sono per motivi storici e ambientali, per cause
climatiche, per la maniera che hanno di vivere e perfino per il tipo di scuola
a cui sono abituati.
Abbastanza
frequente è anche il caso degli allievi che rifiutano di essere corretti dai
professori, che ne contestano le regole, ecco, gli insegnanti, non perché
abbiano studiato la materia e/o siano spagnoli, non devono aver per forza
ragione, o addirittura fargli notare di fronte agli altri di aver sbagliato la
pronuncia...
Però,
nonostante la loro leggera, media, o un po’ più forte difficoltà nel considerare
l’idioma in questione serenamente e seriamente, anche se in Brasile il rispetto
si conquista millimetro su millimetro, giorno per giorno e non è mai una cosa
acquisita definitivamente, mi sono veramente divertito in questi quasi dieci
anni e tanti allievi sono diventati anche miei amici.
È
facile immaginare che la situazione, all’inizio per certi bacchettoni europei
può sembrare drammatica, ma ripetuta per mesi e poi anni, è oggettivamente
comica e devo ammettere che mi insegna giornalmente molte cose sulla vita,
sulle persone, su come è migliore il modo d’interpretarla di questo popolo.
Il
gioco di cintura è quello che noi possiamo imparare in Brasile, la
flessibilità, il saper giocare con le persone e le situazioni, come se tutto
fosse uno scherzo.
È
fin troppo facile dire che tutto è serio ma non troppo, il difficile è
applicarlo in tempo reale, la vita europea insegna esattamente il contrario,
tutto è serio o perfino tragico al momento e, solo per pochi illuminati,
diventa divertente e comico dopo, ripensandoci.
Il
bello invece è divertirsi mentre le cose succedono, dà una dimensione più viva
e presente, nel nostro mondo decadente d’oltreoceano non ci si riesce più bene,
forse da una ventina di anni.
Nelle
lezioni di spagnolo, anche se la porzione di lingua messa in pratica e in
teoria, era ed è scarsa, zoppicante, insufficiente... però il tempo scorre bene
e ci divertiamo.
Dopo
questi nove anni, quasi dieci, per causa di questi imprevisti tecnici... e
della mia conseguente scelta razionale di non pretendere ciò che un individuo,
o una classe intera, manifestamente non vogliono fare, sono sempre più convinto
che, anche se qua non si sa bene cosa si sta facendo, lo si fa lo stesso e
mentre lo stiamo facendo, si sta meglio e se non s’impara quella cosa che
volevamo, forse, se ne imparano altre.
Purtroppo, lavorare la notte, per un
professore di spagnolo a Porto Alegre, si ritiene quasi obbligatorio, perché la
maggior parte dei potenziali allievi è occupata tutto il giorno.
Però, visto che io sono un bastiancontrario
incrociato con una persona oculata, la notte mi riposo e lavoro il giorno, con
quelli che hanno tempo e voglia di farlo, serenamente e seriamente.
Andare controcorrente può essere faticoso
all’inizio ma apre mondi nuovi e inesplorati, situazioni inesperate. I
risultati e la soddisfazione personale sono migliorati e stanno costantemente
migliorando e fare il professore non è così frustrante come lo è,
irrimediabilmente, per chi insegna la sera, o per chi pensa che sia normale
lavorare senza soddisfazione. È un fatto logico e inesorabile che dopo il
tramonto il flusso degli allievi verso le pur improbabili lezioni di spagnolo
sia più vorticoso, sebbene i cervelli siano già andati a casa e magari anche a
letto e i corpi possono solo fingere di manifestare la volontà di essere lì, in
quel momento, di concentrarsi su qualcosa che non è mai così semplice come
avevano pensato.
Diciamocelo
chiaramente: la lezione di spagnolo di sera, dopo un duro giorno di lavoro, è
un’ipocrisia.
Da
marbanti06@virgilio.it
a bullen@tin.it
ore 19 e 09 del 4 dicembre 2023
Carissimo Alf senza Johnny,
O che mi dici? Ludovico scomparso,
Patagonia...che storia è questa? L’ultima volta che l’ho visto è stata alla
Fiera del Libro, se non mi sbaglio. Effettivamente, come ti avevo accennato,
non era nei suoi migliori giorni. Ma sapendo che lui è così imprevedibilmente
imprevedibile, non mi sono preoccupato più di tanto. Forse sarà una delle sue
trovate, uno scherzo. Visto che è sicuro che in Argentina è arrivato, sarà lì
per sfuggire dal caldo di Porto Alegre e si starà divertendo alle nostre
spalle. Ma tu vai davvero? Io non posso, mi dispiace. Al massimo posso farti da
tramite con qualcuno di qua, tipo Thais.
Proprio perché credo che sia uno scherzo,
risponderò a quello che dice Ludovico. Non è una vera e propria risposta,
perché in generale concordo su quello che dice, ad eccezione delle lezioni
serali di cui mi ero espresso già in una precedente mail. Personalmente ho
trovato e ricevuto più rispetto dagli alunni che dalle direzioni delle scuole,
salvo alcuni casi (sia dall’una che dall’altra parte). Potrei, anzi, potremo
scrivere un libro sulle nostre esperienze scolastiche, ma visto che
probabilmente andrai in Argentina (Alfredo) o ci sei già (Ludovico), ve ne dico
una collegata ad essa.
Orbene: un giorno la direzione della scuola
in cui all’epoca insegnavo, mi chiamò per cercare di risolvere un problema. Un
professore se n’era andato (o era stato “fatto andare”) e uno dei gruppi che
aveva di pomeriggio era molto legato a lui. Avevano bisogno di una persona che
riuscisse a sopportare le sicure rimostranze degli alunni sapendo che sarebbe
stato “lapidato”, perché visto come un usurpatore. Questo professore avrebbe
dovuto ricevere queste lamentele col sorriso sulle labbra, cercando di
conquistare la classe con… classe.
La direttrice insieme alla coordinatrice
aveva pensato a me: cosa che mi lusingava ma allo stesso tempo mi preoccupava.
Decisi, per il bene di tutti, di accettare. Di tutti, tranne me.
Il giorno della prima lezione, arrivato nello
stretto corridoio che separava le scale dalla classe, mi fermai, respirai a
fondo e se non mi sbaglio mi feci pure il segno della croce, cosa rarissima
perché credo che Dio abbia altri problemi in testa ben più complicati, per
pensare ad una lezione d’italiano: ma qualsiasi aiuto sarebbe stato benvenuto.
Insomma, entro e dico “buona sera”. Il fatto è che, come ben sai, in Italia in
questo periodo del giorno si dovrebbe dire “buon pomeriggio”, ma ciò è usato
raramente e viene sostituito a seconda di dove uno vive, con un “buon giorno” o
con quello che dissi io.
“Si dice buon giorno”, sentii dire in tono
cattedratico. Capii così che la fantozziana crocifissione in sala mensa (in
questo caso, in aula scolastica) era iniziata. Mi misi quindi a spiegare l’uso
di questo particolare saluto e più parlavo, più mi accorgevo che la classe, per
me totalmente nuova tranne una studentessa che era già stata precedentemente
mia alunna, al contrario di quello che mi avevano detto non era bellicosa e non
avevano pietre da tirarmi: con eccezione di uno che di lì a poco si sarebbe
presentato come Juan Pablo, argentino che viveva da anni a Porto Alegre, colui
che mi aveva “corretto”.
Probabilmente sono
stati i venti minuti più difficili della mia carriera di insegnante. Non avevo
neppure avuto il tempo di presentarmi e tutto quello che usciva dalla mia bocca
era contestato da Juan Pablo. Dicevo “A”? Lui rispondeva che invece era “Z”.
Nero? Bianco! Pari? Dispari! Era una cosa incredibile. Volevo quasi dire che la
capitale d’Italia era Roma, per vedere se correggeva pure questo. Il tutto
veniva spiegato da parte mia con estrema pazienza e precisione. Sapevo che ero
lì per quello, per essere martirizzato senza per questo divenire santo. Dovevo
solo saper aspettare per dimostrare che potevano aver fiducia nel loro nuovo
professore. Soffrire con allegria. E ci stavo riuscendo, fino a quando…
Fino a quando Juan Pablo, dopo avermi ancora
una volta rettificato, si prese la briga di spiegare il perché a suo dire lui
ne sapeva più di me. Così, guardandomi con aria di superiorità, mi disse: “Io
so tutte queste cose, perché, oltre ad essere di ORIGINE italiana, io ho abitato in Italia per TRE MESI”. Non ci
vidi più. Detti un pugno sulla cattedra, lo fissai negli occhi e gridai: “Io,
oltre ad ESSERE italiano, ho abitato là per TRENTACINQUE ANNI”. Finita la
frase, mi accorsi di quello che avevo fatto: per la prima, ed unica volta per
ora, mi ero incazzato in classe. Quando proprio non dovevo. “Finalmente hai
trovato uno che ti ha fatto arrabbiare”, mi scrisse successivamente
quell’alunna che già mi conosceva e sapeva della mia tranquillità nello
svolgere il lavoro.
Mi vidi licenziato (che, visto com’è andata a
finire la scuola, sarebbe stato meglio): non avevo compiuto quello per cui ero
stato messo lì. M’immaginai una rivolta popolare ed invece pure Juan Pablo si
calmò. Anzi, mesi dopo fu uno dei primi a firmare la richiesta di avermi come
professore anche per il semestre successivo.
Sempre rispondendo a Ludovico, tra i
professori che urlano come ossessi e cantano pure, ci sono io. O c’ero, visto
che adesso le mie lezioni sono a distanza, anche se ciò non m’impedisce di
usare un alto volume di voce. Questa cosa chiaramente era odiata dai colleghi
che per loro disgrazia mi avevano come vicino di classe. Anche perché il mio
casino fomentava il casino del gruppo, se questo era ben disposto. Una volta,
tale confusione fece sì che una professoressa entrasse nella nostra sala per
chiedere un immediato silenzio:
intervento che non piacque, soprattutto agli uomini della mia turma.
La confusione continuò, provocando l’ingresso nel nostro spazio di un’altra
professoressa, evidentemente più piacevole agli occhi dei ragazzi. I quali
decisero di continuare la caciara per farla intervenire di nuovo. Il risultato
non fu quello sperato, perché a fare le sue rimostranze tornò la prima
insegnante.
Dirai: ma tu che ci stavi a fare? Non li
calmavi? No, perché anche lì c’era una storia particolare. Il semestre
anteriore ero già stato il loro docente ed erano abituati ad una certa
leggerezza (era un gruppo serale, quindi mi comprenderai ancora di più). Col
nuovo semestre gli toccò una professoressa che era l’esatto contrario di me:
rigida, disciplinata con poca voglia di scherzare. Fu un trauma. Alcuni di loro
riuscirono a sfuggirle e crearono un gruppo minore di cui ero il professore. La
voglia che avevano perso tornò, così come l’allegria delle lezioni.
L’insegnante, che principalmente deve essere psicologo, deve capire la
situazione. Così gli permisi anche alcuni eccessi, come quello che ho
raccontato.
Ora brevemente a noi, Alfredo. Per quanto
riguarda la canzone sui nostri progenitori, era proprio quello il programma
televisivo che mi proporzionava il movimento ripetuto della testa. Ero troppo
piccolo per ricordarmelo, ma la mia famiglia me lo rammenta sempre.
Ah, sulle cose che si fanno qui in Brasile
per poi essere subito modificate, a me fanno ridere le rotonde “semaforate”.
Questo particolare tipo d’incrocio è fatto apposta per eliminare i semafori ma
evidentemente i brasiliani non ci sono abituati e non sanno come comportarsi
quando se ne trovano una davanti: passo io?, passi tu? Nel dubbio, passiamo
entrambi. Così, per evitare incidenti, sulle rotonde ci hanno riappioppato i
semafori. I quali spesso sono (e non solo sulle rotonde) sapientemente non
sincronizzati, cosicché è tutto un andare e fermarsi, il che aiuta
l’inquinamento e i distributori a vendere più benzina, dato che in questo modo
il consumo aumenta.
Oppure è tutto un caso? “A pensare male degli
altri si fa peccato, ma spesso s’indovina”, diceva Giulio Andreotti, uno che se
ne intendeva (di peccati e di arti divinatorie).
Marcello
Da bullen@tin.it a marbanti06@virgilio.it
ore 11 e 01 dell'8 dicembre 2023
Esimio Esattore Esanime ed Esacerbato ma non
troppo, non avevo ancora notato le rotonde semaforate, ma sicuramente valgono
la pena di essere osservate e di studiare i comportamenti che provocano nel
vivente motorizzato. A proposito c'è un mio lontano parente in Italia, che ho
conosciuto su Facebook e poi lo sono andato a trovare a casa sua, che crede di poter insegnare agli altri a
vivere e fa dei commenti pacati sul social, tipo ma che cazzo dici, è
proprio tutto il contrario!
Bene, anzi male, questo mio cugino ha
pubblicato delle spiegazioni su Facebook piuttosto incazzate di come ci si deve
comportare sulle rotonde in questione, gli farebbe piacere forse, sapere della
soluzione brasiliana che tu mi dici.
Personalmente Gino è una persona
meravigliosa, insieme a lui ho passato delle ore divertenti e istruttive, ma
sui social si trasforma e diventa un intollerante incazzereccio abbestia,
offende tutti come se lui avesse la verità unica e incontestabile.
Le situazioni che mi racconti da insegnante
di lingua agli adulti le ho attraversate anch'io, e mi sono divertito molto
poco. Ho avuto un'allieva a Novo Hamburgo che ogni parola che dicevo andava a
controllare sul dizionario, e trattandosi del Micaelis, figurati che dovevo
spiegare poi a tutti che il vocabolarietto in questione si divertiva a
inventare parole e traduzioni con una certa frequenza, che comunque non poteva
essere assolutamente usato come pietra di paragone.
Di fronte alla mancanza di rispetto, il
comportamento che ho avuto è risultato in un ampio ventaglio di opzioni che non
ho scelto, ma che mi sono venute fuori al momento, tra cui arrabbiarmi è stata
la meno frequente, perché poi so che perdo il controllo ed eccedo, ma qualche
volta sì, è inevitabile, sennò ti scoppia la testa.
Sarei curioso di vedere Ludovico come si
comporta, credo che ci sarebbe da divertirsi, nei giorni dispari e ventosi
potrebbe anche prendere per il collo qualcuno.
A proposito, obbietterai che non avrei dovuto
sobbarcarmi l'onere morale di questa impresa, e magari hai anche ragione, ma
ormai è tardi, inutile piangere sul latte versato e non si sa nemmeno da chi.
Mi faccio le domande e le risposte da solo,
incluso obiezioni eventuali, così facciamo prima. Ho imparato dalla mia ex
moglie, anche Ludovico è piuttosto ferrato e abile in questo tipo di attività,
che denota un temperamento stressato e ansioso.
Bene, anzi male, io non ti ho mai detto,
forse perché me ne vergognavo, ma da giovane ho fatto e per qualche annetto
anche l'investigatore privato, prima di venire in Brasile, quindi ho una certa
infantile passione per questo assurdo mestiere e una certa e necessaria
esperienza.
Capirai, essendo pensionato e senza un cazzo
da fare, appassionato di gialli e pure di noir, in un certo senso e in qualche misteriosa
quanto inspiegabile maniera, affezionato a un uomo poliedrico e pieno di
angoletti nascosti, che più passa il tempo e più mi accorgo di conoscere assai
meno di quello che pensavo, senza averci mai riflettuto troppo a suo tempo,
confesso, senza averlo mai preso sul serio, alla fine ho deciso.
Naturalmente Ludovico non risponde al
cellulare satellitare, da tutti questi giorni. Le cui mogli, come le chiamerò
d'ora innanzi, hanno detto che spostandosi parecchio per affari, parlavano
spesso attraverso il telefono in questione e il bi-marito non mancava mai di
avvisarle di come stava e di chiedere come stavano loro, ma senza dirgli mai
dove si trovava, visto che stava fuori dei giorni poteva essere ovunque.
Insomma loro sapevano solo che era via per affari e che si stava guadagnando la
pagnotta, seppure una piuttosto sontuosa, a giudicare da come vivevano e che da
professore in Brasile non è che si nuoti nell'oro, ma nemmeno altrove.
Il nostro eroe, cioè in questo caso io
stesso, prima di partire però se n'è andato a chiedere alle scuole, dove egli
eserce la sua funzione, fondamentali informazioni sulla persona scomparsa e
pare che tale uomo scomparisse spesso e volentieri anche dalle lezioni, ma che
fosse un buon professore dato che insegnava anche all'università Pucrs e Ufrgs,
che dovrebbero essere le migliori in loco e dove i professori di quelle lingue
erano loro che li mandavano.
Poi sono dunque andato a casa di Ludovico a fare una perquisizione,
come si fa in questi casi e ammetto che in certi momenti mi sentivo il
protagonista principale, ma ti assicuro che non si tratta di uno scherzo e che
la cosa è piuttosto seria e misteriosa, lo avrai capito dai particolari che ti
ho dato e da quelli che ancora ti scriverò, penso che anche tu non avrai più dubbi.
Immediatamente ho constatato che lì vivevano
lui e Thais, due figli adulti e indipendenti se ne erano già andati, fuori dal
Brasile, ma non mi ha detto dove. Non ho capito perché lei era stata definita
la donna di servizio, forse solo una copertura per le losche faccende del
nostro. Vorrei tanto dire vostro, ma non posso, io sarei il suo miglior amico.
La seconda scoperta è che anche con Dianora
aveva una bella casa, tutte e due possono essere chiamate ville, non molto
lontane l'una dall'altra e sempre nei pressi di Itapoã, che poi è aperta
campagna, con strada sterrata piena di buche e talvolta piuttosto dei crateri,
con o senza acqua dentro.
Ci vuole quasi un'ora di macchina dal centro
e qui si spiega la jeep gigantesca, confortevole e costosa, assai infangata e
coperta di foglie secche, posteggiata all'aperto, sotto un enorme Ficus. Le due
signore hanno delle gippettine meno maestose, ma pur sempre moderne e costano
dei bei soldi anche quelle.
Dianora era la zia
ufficiale, titolo fuorviante, sempre migliore di donna di servizio, forse
dovuto al colore della pelle di lei, più chiara e simile a quella di lui. Qui
ancora tre figli erano stati sfornati senza fretta e due vivevano lì. Da questo
ho capito che con lei era forse successo tutto più recentemente, salvo prova
contraria e comunque a noi credo che non ce ne fregherebbe troppo.
Bene, anzi male, qui ho trovato, nel cassetto
del comodino della camera da letto, dalla parte di lui, un recente opuscolo con
i viaggi in Patagonia dell'agenzia Patagorru's, di certi sardi di origine, ai
quali per scrupolo ho subito telefonato.
Ho domandato a Thais se lei lo sapeva e mi ha
risposto che Ludovico, a suo tempo da lei stessa richiesto, non le ha dato
alcuna soddisfazione, come piuttosto raramente accade - lo avrai notato
personalmente - che il nostro risponda, direttamente o indirettamente, alle
domande postegli da chicche e sia.
Nessuna prenotazione a
nome Voronov, nemmeno a nome Pizzi, piuttosto di Prizzi, come nel film con Jack
Nicholson su un certo onore mafioso. I numeri di telefono coincidono, sia
cellulare che fissi, delle due case in questione e pure un certo odore di cosa
nostra che non ti dico, oppure servizi segreti, magari tutti e due, poi
vediamo.
Solo per caso ho scoperto il trucco, perché
recatomi in loco per parlarci personalmente, come fanno opportunamente anche
Maigret, Poirot, Montalbano e la stessa Imma Tataranni, sul registro avevano
sbagliato il nome Prizzi e risultava scritto Pizzi, pur pronunciato male, per
coincidenza quindi correttamente, dal signor Gavino con i baffi cespugliosi. I
relativi numeri di telefono mi hanno confermato il misfatto e ci siamo fatti
quattro risate.
Ho riso meno quando ho saputo che là lui ha
fatto, come un autentico turista, tutte le escursioni in programma, ma al volo
di ritorno non si è presentato.
Poi ho pensato che doveva necessariamente
avere documenti falsi e che le cose si complicavano, prima di cominciare.
Ho chiesto se loro ne hanno denunciato la
scomparsa alla polizia locale e loro lo hanno fatto, come no? Naturalmente, ma
per chi diavolo li avevo presi?
Potrei aver scherzato sul fatto che i
sequestri di persona in Sardegna, in una certa epoca, erano piuttosto di moda,
ma non ho detto niente.
La guida Guitierrez, con cui ho parlato
personalmente mezz'ora dopo, davanti a un espresso doppio macchiato in centro,
al Cafè Haiti, ha detto che gli argentini di fronte al fatto in questione hanno
dimostrato la consueta indifferenza.
Per loro un brasiliano in meno, effettuati i
fondamentali pagamenti in precedenza, è sempre una cosa trascurabile,
sicuramente da non preoccuparsene, perché tanto di quelli ce ne sono in grande
quantità, ne basterebbero anche meno, secondo lui, atteggiamento riscontrato
anche altre volte, data la sua personale esperienza e non abbiamo parlato di
calcio, ma ci siamo intesi al volo che avremmo anche potuto.
Anche lui però grande estimatore del cinema
argentino come me, il buon Pablo Guitierrez, grassoccio di lontana origine
uruguayana, vale a dire dei vari registi Campanella, Agresti, Burman, Martel e
così via.
Ovviamente ho parlato anche con l'avvocato,
uno dei migliori di Porto Alegre, tale Peter Zangrillo Lopez, una persona
squisita che - pur soffrendo
visibilmente - non mi ha fatto pagare i suoi preziosi cinque minuti in cui mi
ha spiegato che per tutta la manovra argentina e della causa con i Bernascon
era stato da lui sconsigliato più volte. Ludovico ha agito poi di conseguenza,
cioè tagliandolo fuori.
Alla fine mi è stato utile però, almeno per
sapere che l'origine vera del nostro è proprio argentina e precisamente è nato
a Mendoza si è trasferito a Buenos Aires nel quartiere Avellaneda e ci è
rimasto almeno durante l'infanzia tutta, forse anche parte dell'adolescenza.
Epoca della dittatura e dei desaparecidos inclusa nell'esoso prezzo.
Alcuni particolari in fila: che insegnasse lo
spagnolo, fosse di origine italiana e fosse un cagacazzo patentato, me lo
avrebbero dovuto far arguire anche prima, ma la conferma è stata necessaria
oltre che illuminante.
Indirizzo e telefono di eventuali parenti in
loco amanti del tango? No, gliene dispiaceva assai, intanto mi spingeva fuori
dalla porta, ma Dianora per uotsapp mi ha passato subito le dritte:
indirizzi e telefoni, prima della sua famiglia, ancora residente a Buenos Aires
e dei fratelli di Ludovico, che poi all'anagrafe sarebbe Antonio Pizzi,
residenti uno a El Calafate e l'altro a Ushuaia. Quindi in estrema Patagonia.
E proprio a El Calafate noi siamo arrivati in
aereo, dopo una sosta di due giorni a Buenos Aires, dove la famiglia della
sorella di sua moglie-zia, Amparo, argentina verace, ma pur sempre di origine
italiana, mi aveva appioppato un aiutante, studente di legge e lettore di
gialli, il nipote Santiago, molto serio ma per niente stupido e sono andato a
casa di suo fratello Mario Pio, gestore di ristorante.
Avevo deciso di prendere lo stesso pacco
turistico di Ludovico, per seguire un po' le sue stesse tracce.
Suo fratello era stressato e preoccupato,
quindi ci siamo intesi subito, io per motivi diversi, ma lui forse anche per i
lavori in corso nel ristorante, non ancora terminati, in prossimità della
stagione alta. Mi ha chiesto se sapevo che mestiere faceva Ludovico, che lui
chiama ancora Antonio, quando gli ho detto professore di spagnolo e d'inglese
si è fatto una grassa risata, forse un po' amara.
Questo particolare insieme ad altri
precedenti mi ha fatto sudare freddo, ma non ce ne era bisogno, qua nonostante
la stagione, è piuttosto fresco e di notte si dorme con un imbottito di piume e
lana.
O PACOTE INCLUI:
Passagem aérea POA/ BUE/ USH / FTE / BUE / POA – Voando Aerolineas
Argentinas com franquia de 01 bagagem despachada;
traslados de chegada e saída em todos os destinos;
02 noite de hospedagem com café da manhã em Buenos Aires;
03 noites de hospedagem com café da manhã
em El Calafate;
03 noites de hospedagem com café da manhã em Ushuaia;
Tour ao Parque Nacional "Tierra del
Fuego" – c/ entrada;
Trem do Fim do Mundo – Categoria Turista;
Navegação pelo Canal de Beagle - Isla de
los Lobos;
Tour ao Parque Nacional "Glacial Perito Moreno"
c/ entrada + Sáfari Náutico;
Seguro de viagem Coris Max Mundo 30.
Hotéis previstos ou similares:
Buenos Aires:NH City
& Tower;
Ushuaia:Las Hayas Resort;
El Calafate:Lagos Del
Calafate.
ÉVERSON RAFAEL
everson@patagorru'strip.com.br
+55 51 98115-8391
Rua Quartino Boca y Uva, 887
Moinhos de Agua | Porto Alegre | RS
IATA | 67511861
www.patagorru'striptravel.com.br
Non so se loro, le
mogli in questione, leggano le email di Ludovico già pronte che mi mandano ogni
tre giorni, ma l'ultima che ho ricevuto è questa e si specifica, prima di
tutto, che sostituisce le altre normali in una fila temporale. Sarebbe da
mandare cioè solo se qualcosa non andasse bene, tipo la sparizione di Ludovico
a me pare un caso del genere.
Di fronte alla quale
missiva poi non so più che pensare, o meglio: lo so, ma cerco inutilmente e
affannosamente di trovare altre spiegazioni.
Santiago non lo dice,
ma credo che sappia di cosa stiamo parlando. Quando gli ho fatto vedere questa
email, ha fatto una faccia inespressiva, se possibile ancora di più della sua
solita. Non credo perché fosse in portoghese, ma domandato che gli avessi
spiegazioni a riguardo, si è dimostrato alquanto evasivo e indifferente.
In Brasile ci sono
arrivato per passaggi rapidi e fisiologici, e nel gruppo asociale anche, quasi
senza accorgermene. "E" non era affatto un ciarlatano come dicono e
predicava cose nelle quali credeva per esperienza diretta, non per averle lette
da qualche parte. Un dialogo interiore è necessario, per chiedersi se quello
che facciamo è giusto, se è quello che vogliamo, se non nuoce a nessuno, se ci
può portare dei risultati utili e magari anche equi.
Il luogo dove tutto è partito è stata la favela,
perché i bisogni degli esseri umani, fisiologicamente risultano acuiti dove si
vive male, dove si rischia la vita ogni giorno, dove l’esistenza proprio per
questo diventa un bene più concreto e tangibile.
Nella favela si pensa meno agli altri problemi
dell’uomo moderno, come per esempio al senso della nostra permanenza in questa
valle di lacrime, qui la sopravvivenza diventa l’unico scopo, l’unico pensiero.
In un certo senso, quindi, si è più umani e ci si allontana dalla mancanza di
ideali della gente che va dietro al consumismo selvaggio, alla globalizzazione,
ma non per scelta propria, piuttosto seguendo la maggioranza, come le pecore.
Dall’altro lato queste cose che si vedono
continuamente in giro, specie alla televisione, ma alle quali non si accede
facilmente, sono un generatore continuo di ansia di ricchezza, per cui le
persone che riescono a uscire da quello stato di miseria, non saranno mai
capaci di pensare a nient’altro, nella loro vita.
Quest’immagine di miseria sempre davanti agli occhi
genera un tipo di società che idolatra il denaro e porta la gente di classe
media e ricca a odiare questo - per loro vergognoso - aspetto del Brasile, che
per esempio non volevano mostrare nei film e meno ancora nelle novelas, almeno
fino a poco tempo fa, ma che ultimamente invece ne hanno scoperto il fascino
feroce e sensazionalista, da vendere specialmente fuori dal Brasile e anche
questo può essere un buon business.
"E" venne intimato di lasciare la favela, ma
non avendo ubbidito alla fine venne giustiziato dai trafficanti che
controllavano la favela Collina dell’Avvoltoio (Morro do Urubu) perché era
diventato un pericolo per loro, già che lui insegnava alle persone a vivere
meglio, la gente lo seguiva come un’autorità. Visto che "E" era
diventato un personaggio famoso, la fazione Amici degli Amici (Amigos dos
Amigos) ha dovuto mettersi d’accordo con le altre due fazioni di Rio de
Janeiro, cioè Comando Rosso (Comando Vermelho) e Terzo Comando (Terceiro
Comando).
Avevo capito che per fare veramente bene alla gente
dovevo almeno cercare di eliminare i prepotenti che purtroppo non avevano
nessuna voglia d’imparare a sviluppare un dialogo interno, ma preferivano
piuttosto fare a pezzi gli avversari, togliere il loro potere individuale per
poco che fosse, ma in quel modo accumulare il proprio, mattoncino su mattoncino
costruivano dei grattacieli d’ingiustizia e di sangue rappreso, ma anche di soldi
e quindi di potere, che se non sono esattamente la stessa cosa, spesso
coincidono.
La mia seconda carriera iniziava segretamente, tutto
quello che mi aveva insegnato "E" mi serviva, soprattutto a capire
chi avevo di fronte, ma questo era il momento in cui dovevo imparare a usare le
armi, comprare informazioni direzionate e il denaro ora ce l’avevo. Un
addestramento da killer anche era un tipo di prodotto non proprio facile a
trovarsi in giro e soprattutto da parte di chi - magari - non lo sarebbe andato
subito a spifferare in giro. Intanto avevo conosciuto tanta gente nuova che
aveva bisogno del mio aiuto, ma che poteva anche darmene, magari fare uno
scambio, bastava trovare la persona giusta, per fortuna che nel frattempo avevo
anche iniziato a riconoscere di chi mi potevo fidare e di chi no.
Iniziai a guardarmi intorno in quella ben determinata
prospettiva e dopo non molto capii che "L", con il quale aveva più
volte conversato sull’argomento, era la persona che cercavo.
La guardia specializzata finse di credere che era
tutto per sicurezza personale, ma poi mi chiese se poteva collaborare più
attivamente al progetto. Io caddi dalle nuvole ma pur negando iniziai a
pensarci, intanto "L" mi addestrava e parlavamo spesso di vari
argomenti, passando tempo insieme e condividendo alcune idee diventammo quasi
amici. Uno strano tipo di amicizia.
In seguito mi sono stupito che "L" facesse
parte di quell’organizzazione che aveva le mie stesse idee e quelle di
"E", dentro c’era anche "IV", amico e consigliere di
"E". "IV" che aveva cambiato stile di vita, per noia forse,
o per mancanza di donne, magari perché era sorta una nuova favela sulla sua
collina, ma anche perché voleva farsi una specie di giustizia che anche secondo
lui al mondo non esisteva ancora.
Le menti dell’associazione segreta erano sei quindi,
oltre a L, c’era I, c’era N, ex moglie di E e poi K, un sudafricano fuori di
testa quanto geniale. Questi ultimi due erano quelli che portavano i soldi, o
almeno la maggior parte, che poi non erano direttamente loro, piuttosto dei
loro ricchi genitori, ma ne avevano in quantità e qualità. Gli altri
finanziamenti li fornivamo tutti, nel limite delle nostre possibilità. Una
cinquantina sparsi per il mondo i collaboratori.
In sintesi noi eravamo persone che volevano aiutare
gli altri, insieme a noi stessi, abbiamo provato a fare del nostro meglio,
almeno per sentirci meno stupidi e manipolati, ma abbiamo perso la capacità di
credere che potesse bastare, che non si potesse e non si dovesse fare qualcosa
di più.
La mia prima pistola fu una Glock, perché non aveva
quasi per niente rinculo ed era facile da usare.
Da marbanti06@virgilio.it
a bullen@tin.it
ore 16 e 47 del 12 dicembre 2023
Carissimo Sherlock
Holmes,
Ogni tua mail è una sorpresa. Non sapevo che
sei stato anche un investigatore privato: a questo punto mi domando cosa NON
hai fatto nella vita!
Ma per prima cosa, devo dirti che adesso sono
seriamente preoccupato per Ludovico. Oltre a quello che mi stai dicendo, nella
mia ultima mail ho deliberatamente messo una citazione, cosa che lui odia.
“Marcello Inutile, questo dovrebbe essere il
tuo cognome! Inutile come chi usa il cervello degli altri per esprimersi!”.
Ecco quello che mi urla, salvo poi immediatemente offrirmi un lauto pranzo, il
nostro amico quando ne uso una. Dice sempre che chi fa spesso citazioni, usa
proverbi o modi di dire (ancor peggio se in latino) non ha un pensiero proprio
e utilizza quello degli altri per ovviare a questa lacuna.
Io glielo faccio apposta, mi piace vederlo
che s’incazza, è un mio piccolo divertimento. Perciò, quando mi hai detto
quelle cose, l’ho messo alla prova, per così dire. L’ultima mia citazione,
oltretutto del discusso uomo politico, l’avrebbe sicuramente mandato su tutte
le furie. Invece, niente, nessuna reazione. Mi dichiaro, dunque, ufficialmente
allarmato.
Parlando di lui, all’inizio cercavo di
evitarlo. È stato il momento in cui mi sono sentito integrato a Porto Alegre.
Io mi sento così, non quando in un luogo incontro qualcuno che conosco, ma
quando cerco di scansarlo. Successe alla Pucrs, credo che fosse per la
Settimana della Lingua Italiana nel Mondo. Tra le tantissime persone che
intravidi, c’era anche questo signore barbuto (e forse con ancora dei capelli
sparsi) che mi facesti conoscere tu – se non mi sbaglio – qualche mese prima.
Ne avevo avuto una spiacevole impressione (ah, le prime volte ingannatrici!) e
quando mi accorsi della sua presenza all’evento, cercai di sfuggirgli. E, come
ti dicevo prima, in quel momento me ne compiacqui: capii che ero diventato un
“cittadino” portoalegrense. Comunque la mia fuga fu inutile, mi vide e mi si
appiccicò per tutto il tempo: che poi fu quello che mi fece cambiare idea su di
lui. In fondo, era divertentissimo, se preso con le dovute cautele.
Insomma, mi dici che andrai in Argentina. Io
ho messo piede là solo quando andai alle cascate dell’Iguaçu. Mi ricordo della
carne che mangiai in una churrascaria, una delle più buone che abbiano
mai attraversato il mio esofago. Tu c’eri mai stato prima? In Argentina, dico.
Penso a quale fu la mia prima impressione del
Brasile. Arrivai a Rio de Janeiro – per starci due settimane – dopo ventitré
anni e mezzo di studi autodidatti su questo Paese di cui mi ero innamorato
all’età di undici anni. Non ti annoierò sul come e perché, sta di fatto che
quando arrivai nella città carioca, “fisicamente” mi colpirono due cose: la
terra, ben più rossa di quella a cui ero abituato, e i poveri pali della luce
che dovevano sostenere una marea di cavi. Se poi, dopo il mio trasloco nel Rio
Grande do Sul, la terra rossa l’ho ritrovata nelle Missões, i poveri
pali, che si trovano in una situazione ancora peggiore, per vederli basta che
mi affacci dal mio appartamento.
Su ciò che vissi “emozionalmente”, invece la
situazione si fa più complessa. Riassumendola, posso utilizzare il detto locale
(tanto, purtroppo, Ludovico non mi legge) “la cosa migliore del Brasile è il
brasiliano. Quella peggiore, è il brasiliano”. In due ore, anche senza ancora
conoscere questa massima, vissi entrambe le situazioni.
Ero ospite di Norberto (e la sua compagna)
che avevo aiutato, tramite mie fotografie,
per un suo sito sulla partecipazione militare brasiliana in Italia
durante la seconda guerra mondiale. Scrivevo anche su un suo blog, una cosa
recente all’epoca. Ci conoscevamo solo così, virtualmente. Mi venne a prendere
all’aeroporto, così come – separatamente – Helena che avevo conosciuto proprio
tramite il blog. Appena conosciuti personalmente, Norberto mi dette il
portachiavi (con relative chiavi di casa) recante il simbolo della F.E.B. , la Força
Expedicionária Brasileira che aveva, appunto, combattuto dalle nostre
parti. Esaminai l’oggetto e con un sorriso glielo restituii. Lui gentilmente
rifiutò e mi disse: “Queste sono tue”. Io lo guardai e pensai: “Ma sei pazzo?
Metti le chiavi di casa in mano a una persona che non hai mai visto prima????”
Ecco, questo è la parte migliore del Brasile.
Un paio di ore dopo, il rovescio della
medaglia. Con Helena e la sua amica Barbara andavamo in macchina verso il Pan
di Zucchero. Proprio Barbara aveva bisogno di fare un prelievo al Bancomat e ci
fermammo: eravamo in un quartiere di classe medio-alta, non so quale (ero
appena arrivato). Sta di fatto che io la volevo aspettare mettendomi in una
posizione classica: un piede in terra, l’altro sul predellino dell’auto, gomito
destro sullo sportello semiaperto e quello sinistro sul tetto. Alla domanda di
Helena, che era al volante, su cosa stavo facendo, risposi che stavo aspettando
l’amica. Lei mi invitò – eufemismo – ad entrare e quando mi sedetti chiuse
ermeticamente tutte le portiere. Mi sentii in prigione e pensai: “Che cazzata
ho fatto a venire qui! Cosa ci sto facendo?!?!?!”. Non fu una cazzata, ma
rappresenta la seconda parte del detto sopracitato.
Da notare che Barbara mi restituì la
sensazione della prima parte, visto che – senza assolutamente sapere chi ero se
non attraverso Helena, che a sua volta mi conosceva il giusto, cioè quasi
niente – mi fece dormire nell’appartamento
dove abitava con la famiglia affinché la mattina seguente potessi essere già
pronto per andare con Helena a conoscere Grumari, la spiaggia dove ho per la
prima volta toccato l’Oceano Atlantico. Atlantico che poi toccherà me a Torres
tempo dopo, ma questa è un’altra storia.
Il Micaelis! Ancora un tuffo nel passato, sia
perché adesso ho quasi tutte lezioni a distanza, sia perché adesso i vocabolari
sono sui cellulari. Praticamente tutti avevano quello strumento che aiutava
loro…. ad avere più confusione in testa. Sì, ricordo le varie lotte per far
capire agli studenti che quello che c’era scritto non sempre corrispondeva alla
realtà.
Su ciò che ha scritto Ludovico sulla favela,
posso solo essere d’accordo. Anzi, oggi non si chiama più così, bensì comunidade.
Ma, come ha detto un noto conduttore televisivo, è sempre la stessa merda, nel
senso che si può cambiare nome, ma le problematiche rimangono. Un’estrema
povertà che agli occhi degli stranieri diventa addirittura scicche.
Prima della pandemia, i prezzi delle baracche erano aumentati a dismisura
proprio perché nord-americani ed europei ne erano attratti e le stavano
comprando. Posso anche capire questa visione esotica, d’altra parte una delle
immagini tragicamente più belle che ho di Rio è proprio legata a questo.
Helena e io stavamo tornando proprio da
Grumari: già buio, dopo una curva (o una galleria, non ricordo bene),
all’improvviso davanti ai miei occhi apparve un’immensa parete trapunta di
stelle, parafrasando Domenico Modugno e Franco Migliacci. Rimbambito da
centinaia di lampade elettriche, domandai a Helena cosa fosse quello che, per
me, era uno spettacolo. “È la Rocinha”, fu la sua risposta. Il rimbambimento
continuò, ancor più accentuato dal pensiero che un obbrobrio della società umana,
la disuguaglianza, fosse in grado non solo di produrre tale splendore
(letteralmente), ma di farsi presente continuamente, anche quando in teoria
l’oscurità dovrebbe appianare, nascondendole, le differenze. No, Alfredo: di
notte non tutti i gatti sono bigi.
Ma a parte ciò, mi domando: chi è realmente
il nostro carissimo collega? E questa vicenda, non sarà troppo pericolosa per
te? O forse ti sottovaluto come investigatore? Tienimi costantemente
aggiornato!
Marcello (spero non
totalmente Inutile)
Da bullen@tin.it
a marbanti06@virgilio.it
ore 21 e 08 dell'16 dicembre 2023
Supermegafamilycountrybrother
più si scende verso sud e più il caldo diminuisce e
non ci crederai, allo stesso tempo e sorprendentemente pure il freddo aumenta.
Non ero mai stato in Argentina, pensavo che fosse
simile all'Uruguay, dove anni fa passai una decina di giorni, tra Montevideo,
Paysandu e rapide soste in varie zone del paese che è piccolo, come il nostro
stato brasiliano del Rio Grande do Sul, credo. Qualcosa in comune a livello di
paesaggio c'è, ma non gli assomiglia tanto in definitiva e poi la Patagonia è
un capitolo a parte.
Hai visto la Rocinha e non dici niente? Mi sarebbe
garbato anche a me, ma non ho avuto occasione, a Rio ci sarò stato per
soggiornarci alcuni giorni, almeno quattro o cinque volte, non ricordo.
In pericolo ci sono sì, ma indirettamente anche te,
forse per colpa mia, che te l'ho fatto conoscere, essendo tra i migliori amici
di tal terrorista, a quanto pare. Del lavoro di investigatore ricordo poco, di
quel poco che potrebbe essere utile, tutto è cambiato, a cominciare dai
cellulari, con il GPS e l'internet che a quei tempi non esisteva. Bisognerebbe
essere anche psicologi, ma il brasiliano non si comporta proprio come un
italiano e l'argentino men che meno, poi ora ci sono anche i cinesi di mezzo.
Quali cinesi? Legittima domanda.
Man mano che m'infilo
meglio nella situazione in questione, poi ci arrivo di sicuro, per ora navigo
in acque turbinose e in discesa vorticosa verso Capo Horn, perennemente in
tempesta.
(Devo capire anche io
prima, ma poi ti spiego.)
Sono meno preoccupato di quello che pensavo, però, mi
pare di essere in un film e il gettone non è ancora caduto, perlomeno
non del tutto. Non credo che esista un'espressione simile in italiano.
La causa con i Bernascon è stata vinta da loro, per
ovvi motivi, per un cavillo burocratico e per uno scontato appoggio prezzolato
del corrottissimo governo argentino. La terra di Ludovico verrà privata di
quella strada sconnessa che a loro tanto premeva, ma che in fondo ora non ha
più molta importanza.
El Calafate è una città vicino al confine con il campo
di ghiaccio della Patagonia meridionale nella provincia argentina di Santa Cruz.
La città è conosciuta come porta d’accesso per il Parco Nazionale Los Glaciares
dove si trova l'imponente ghiacciaio Perito Moreno, il cui paesaggio ghiacciato
in continuo mutamento, che si butta in mare senza fretta, è straordinario e
mozzafiato. Il moderno centro scientifico chiamato Glaciarium studia i numerosi
ghiacciai della regione.
Calafate è situata sulla riva meridionale del Lago
Argentino, circa 320 km a nord-ovest di Rio Gallegos, il capoluogo. Ha una
popolazione di oltre 6000 abitanti. Il suo nome deriva da un piccolo arbusto
dai fiori gialli molto comune in Patagonia, con bacche di colore blu scuro: il
calafate (Berberis buxifolia); è un
termine della lingua tehuelche.
La storia di El Calafate ebbe inizio nei primi decenni
del XX secolo. In origine, costituiva semplicemente un rifugio per i
commercianti di lana. Fu fondata
ufficialmente nel 1927 dal governo argentino per promuovere un incremento della
popolazione. Ma il piccolo villaggio, già fornito di energia elettrica, non crebbe finché non fu creato il parco
nazionale, e furono costruite strade migliori per raggiungerlo.
Ormai questi posti sono in mano al turismo di massa,
anche se venire qua per noi non è tanto economico. Ora è tutto moderno e più
possibile spersonalizzato, riescono a toglierti anche la soddisfazione della
bellezza selvaggia di questi posti, specialmente nelle gite organizzate non hai
scampo.
Nel Museo del Ghiaccio c'è addirittura un assurdo bar
dove i bicchieri, il banco, insomma tutto è fatto di ghiaccio, a dieci gradi
sotto zero!
Buffo che Mariopio in Argentina lo scrivano tutto
attaccato. Io e lui abbiamo parlato tanto, tra un colpo di martello, un panino
con la porchetta e un'escursione plastificata in questa meravigliosa natura
patagonica.
Secondo me Mariopio sa molto di più di quello che
dice, ma mi ha spiegato che Genesio, il fratello minore, conosce i particolari
e magari me li dirà, a Ushuaia fra tre giorni.
Questa zona è molto ventosa, bella e selvaggia, si ha
l'impressione di essere sempre in montagna, anche sulla riva del mare. Per
fortuna o purtroppo il turismo è in aumento, lo dico perché secondo me la
povertà non sempre, ma a volte è meglio del consumismo, di frotte di turisti
scemi che in vacanza agiscono come se stessero lavorando alla catena di
montaggio.
Mariopio mi parla di queste cose come se non le
conoscessi, ma di Ludovico e degli FDP non dice niente, ha paura di essere
sentito, rintracciato, collegato all'operato del fratello terrorista, rispetto
al quale ha un cognome differente ora, mantenendo il suo originale.
Santiago parla poco ma è attento ai particolari e me
ne tiene informato, se e quando vede che qualcuno mi sfugge. Tutto sommato è
una buona compagnia, soprattutto perché è uno che sa ascoltare, poi magari fare
delle domande impertinenti, riportarmi sulle mie stesse cazzate e farmele
notare. Sta studiando per essere un filosofo, cioè alla facoltà di filosofia,
che poi non è la stessa cosa.
Questi grandi
oligarchi del mondo, ha detto a un certo punto, che hanno diritto di vita e di
morte sul popolo ignaro e manipolato dai mass media e dalle fake news, non
sanno cosa sia la diplomazia, né la nostra cara e giusta evoluzione dialettica.
No, ci vogliono delle bacchiate sonore, dai retta a me, sono le uniche cose che
capiscono, non bastano le perdite nel portafoglio, come si poteva credere, sono
troppo pieni di arroganza e potere per scoraggiarsi.
Forse Marcello però tu non sei alla pari, come
Santiago, di alcuni loro segreti, non che io ne sappia tanto e la stampa e la
Tv fanno di tutto per nasconderne le gesta, gli intenti e l'importanza, ma sono
dei giusti, anche se hanno poche seghe, gli FDP. Guarda cosa è successo con il
ponte Miccoli a Mantova e con la concessione dello sfruttamento delle
autostrade.
Oltre la causa persa, che è un fatto personale,
insieme a un gruppo FDP, pare che L fosse lì per colpire la famiglia Bernascon,
che forse sapevano essere riuniti qua in Patagonia, dove hanno una grande
quantità di appezzamenti e di pecore per via della lana e tutto.
NOTIZIE RIGOROSAMENTE
FALSE
Sono diventato così per via della mia storia
personale, un'infanzia ai tempi della dittatura e dei desaparecidos, insomma,
non diamo la colpa a quello che tante altre persone hanno subito, senza
diventare poi come me.
Solo che l'orrore dell'ingiustizia ha formato il mio
carattere, il mio stile di vita e mi ha portato qui oggi. Credete che io non mi
renda conto che sono un rompiscatole? Lo so io, lo sapete voi e se ne sono
accorti anche i cinesi, che sono quelli che più mi hanno dato la caccia, e se
voi state leggendo queste pagine, vuol dire che mi hanno preso e da quello che
succederà, comunque sia, non c'è un ritorno possibile.
Eppure uno penserebbe che là vogliono il bene del
popolo, il quale bene non lo vuole nessuno, nemmeno il popolo stesso, a quanto
pare, perlomeno non si rende conto, mentre tutto e tutti fanno in maniera che
non lo sappiano, quel che succede intorno.
Io però sto divagando...
Andiamo per ordine.
Le mie donne non sanno niente, ma si sono preoccupate
perché io tutte le sere, fossi a Sidney o a Esteio, gli telefonavo e ci parlavo
senza fretta, se non potevo le avvertivo per tempo.
Ti chiederai caro A, perché ho scelto te come mio
miglior amico e portavoce al mondo, delle mie gesta, cioè di quelle dei FDP,
credo che anche M ti sarà di aiuto.
Forse perché tra i tanti pur non sapendo che io ne
facessi parte, mi hai sempre dimostrato ammirazione e appoggio per i nostri
immortali FDP, ogni riferimento al Gremio e all'Accademia Brasiliana di Lettere
è puramente casuale e fuoriluogo.
I governi seguono ottusamente il consenso dei
cittadini o perlomeno fanno finta. Tutte le polizie del mondo devono andare
dietro a un discorso di consenso che invece noi non vogliamo seguire,
eventualmente influenzare e cambiare.
Lavorare in polizia significa spesso saper fare delle
domande precise, se non quasi chirurgiche.
Per esempio chiedere al sospetto, in quale tipologia
di contesto egli si trovasse impelagato oltreoceano a cavallo degli ultimi due
millenni, non va tanto bene.
La nostra ultima avventura, quella quasi impossibile,
era scoprire e dichiarare al mondo, con le prove inequivocabili, chi e come
avesse causato la pandemia, per questo ci siamo messi contro i cinesi, ma
dietro di loro c'erano anche gli americani, come al solito, poi si sono
accodati quasi tutti gli altri, praticamente in blocco, ma non ufficialmente,
perché per loro pubblicamente noi non esistiamo ancora.
Da notare che ho detto ancora e quasi, esistono dei
governi che ci appoggiano, non sono molti e forse ora è meglio non citarli, ma
sono già una decina, sul numero di 200 nazioni circa non sono tanti, ma siamo
all'inizio.
Pare che i primi a nascere
fossero chiamati dai loro fondatori OFDP, cioè O Fim Da Paciencia, ovvero La
Fine Della Pazienza. Non si sa se loro stessi o forse anche altri interpretavano
questa sigla OFDP con un più pratico Os Filhos Da Puta,
cioè I Figli Di Puttana, che non è molto lontano dalla verità, solo che anche
le puttane possono ribellarsi, alla fine, o perlomeno dopo un bel po' di tempo
di ingiustizie e tirannie cammuffate da democrazie.
Comunque gli FDP si definivano
una Rete Asociale, probabilmente la prima al mondo. Forse per contrastare
l'ipocrisia e le fake news delle cosiddette Reti Sociali. A quel tempo il
consenso era molto importante, ora notiamo che la gente usa di più la libertà
di pensiero individuale, ma non è facile, ci vuole tempo e determinazione
perché tutto attorno c'è la bugia legalizzata e allora distinguere è piuttosto
proibitivo, non ci sono più metri di paragone attendibili.
I NO SUV brasiliani ora hanno
decine di nomi, sia per non essere riconosciuti ma anche perché sono
internazionali e quindi poliglotti, ma noi li chiameremo con il nome originale
FDP.
Qualche anno fa i NO SUV
sarebbero stati perseguiti dai governi di tutti i paesi allineati. Oggi no, o
piuttosto molto meno. Il fallimento della politica e dei partiti come sistema
di decisione pilotato dai poteri forti ha determinato una spaccatura dentro la
quale la ribellione è diventata prima tollerata e oggi quasi protetta, se non
dai governi apertamente, a volte e frammentariamente sempre meno di nascosto
dai liberi cittadini, insomma è una rivolta a tempi lenti, anche se sempre più
monitorata e ostacolata da ogni lato, per esempio con omissione di notizie
importanti e fake news a 360 gradi.
Da marbanti06@virgilio.it
a bullen@tin.it
ore 10 e 49 del 21 dicembre 2023
Carissimo Tenente Sheridan,
Tu mi dici che sei meno preoccupato: forse
perché questa preoccupazione si sta trasferendo a me, per osmosi. All’inizio
ero in ansia solo per Ludovico, poi per te ed ora anche per me.
In ogni caso, per stemperare questa tensione,
approfitto di alcuni temi della tua mail per raccontarti fatti e misfatti vari.
Rio de Janeiro: città che mi fa incazzare.
Potenzialità da prima città turistica al mondo impossibilitata dall’esserlo a
causa della violenza. Personalmente, comunque, è stata una lezione di vita
brasiliana. Dopo ventitré anni e mezzo che dall’Italia avevo studiato teoricamente il Brasile, le due settimane
passate lì sono state vere lezioni pratiche. Dico sempre che ho avuto tre
angeli: Norberto e Helena di cui ti ho parlato nella mail passata e Ronaldo,
tassista fisso a cui Norberto mi aveva affidato per qualsiasi movimento
all’interno della città e non solo.
Ronaldo, paraibano trapiantato a Rio, mi
faceva schiantare dalle risate. Quando passavamo, per esempio, davanti ad una
chiesa, molto seriamente mi diceva, indicandomela: “una chiesa”. Davanti ad un
parco: “un parco”. Davanti ad uno stadio: “uno stadio”, e così via. Ed io,
altrettanto seriamente, muovevo la testa in segno di sorpresa.
Gli angeli effettivi erano in realtà di più,
come dimenticare per esempio di Barbara o della compagna di Norberto.
La mia vita a Rio era a metà tra il turista
e, cosa che successivamente mi è stata utilissima, il normale residente.
Infatti Norberto, che abitava nella Ilha do Governador, studiava la
mattina in centro e dava lezione il pomeriggio a Duque de Caxias. Spesso l’ho seguito,
quindi mi svegliavo la mattina poco prima delle cinque, per prendere l’autobus
per il centro. Mentre lui studiava, io camminavo lì intorno, poi rapido pranzo
e altro autobus per Duque. Lì assistevo ad alcune sue lezioni e poi, ultimo
autobus per tornare a casa. Insomma, una sfacchinata: ma era vita vera. Poi,
chiaramente, ho fatto anche il turista. Ma, non volendoti troppo annoiare, ecco
(per il momento) solo alcune considerazioni.
Sulla Rocinha, o meglio, sulla favela
in generale: chiaramente a Rio è impossibile non venderne, anche se magari non
ne conosciamo il nome. Andai vicino a visitare la famosa Maré. È che
Norberto, studente di sociologia, doveva fare un lavoro proprio in questo luogo
e mi propose di accompagnarlo. Come turista in cerca di cose nuove ed esotiche,
risposi con entusiasmo di sì. La compagna di Norberto, invece, era totalmente
contro. Finì che non andammo, con un pizzico di mia incosciente delusione.
Successivamente seppi che non andò neppure lui.
Con Ronaldo, invece, andai alla chiesa della Penha,
che è circondata proprio da un complesso di favelas, nonché vicina al
famoso Alemão. È la chiesa che sta su un colle che da lontano sembra un
cubo. Si vede bene dal Galeão, nella sala di attesa dei voli
internazionali. Quando faccio scalo in questo aeroporto, è proprio da lì che mi
soffermo ad osservare le bellezze di Rio (si riescono a vedere anche il Pan di
Zucchero e il Corcovado): e ad essere pervaso da quel sentimento rabbioso del
“potrebbe ma non vuole”.
Carissimo, siamo vicini a Natale. Festa
religioso-commerciale che è uguale in Italia e in Brasile. Ricordo che quando
abitavo ancora nel Belpaese, mi chiesero come si festeggiava il Natale in
Brasile. Esposi il fatto che era come in Italia, con la differenza che nel
Paese sudamericano faceva caldo. La persona, un giovane, mi guardò e,
pensierosa, disse “ad agosto...”. Gli feci capire che il giorno era lo stesso,
il 25 dicembre, ma che lì era estate. Fece lo stesso gesto, ed espresse le
stesse parole. Io, iniziando un po’ a perdere la pazienza, gli illustrai il
fatto che il pianeta Terra era diviso da una linea immaginaria chiamata
equatore e quando nella parte chiamata emisfero nord era inverno, in quella
opposta, sud, era estate e viceversa. Quindi il 25 dicembre a Pescia faceva freddo
e a Rio de Janeiro, caldo. Finalmente annuì convinto e ripeté: “agosto!”.
Distrutto e sconfitto, abbassai lo sguardo e mormorai: “sì, ad agosto”.
Certo che è strano fare l’albero di Natale in
infradito e bermuda. Espressi questo concetto ad una persona, Alda – italiana che tu hai conosciuto come
coordinatrice della scuola, mentre io per un breve periodo sono stato il
professore di un suo centro di traduzioni – durante il mio secondo Natale
brasiliano. “Mi ci abituerò”, le dissi. Lei mi guardò, e nel suo classico modo
iperserio disse: “Tu non ti ci abituerai MAI”. Ed infatti oggi è il mio
ventesimo Natale, anzi diciottesimo, visto che in questo periodo per due volte
sono stato in Italia, e quando faccio l’albero scuoto la testa in segno di
incredulità.
Non è solo la temperatura meteo che mi
sorprende, qui in Brasile. Ma anche altre temperature, per esempio quelle delle
bevande. Il mio primo caffè preso qui fu in un bicchiere di plastica. Bicchiere
normale, non un bicchierino, vista la quantità del liquido che un italiano
avrebbe difficoltà a chiamare caffè. Ero con Norberto, il quale prese il
contenitore e ingurgitò la bevanda senza difficoltà.
Lo feci anch’io, ma, portandomi il bicchiere
alla bocca, la mia mano inizò a tremare per l’altissima temperatura. Dovetti
posarlo sul tavolo ed aspettare una decina di minuti, affinché tornasse ad una
temperatura accettabile, facendo innervosire il mio amico che di lì a poco
doveva iniziare una lezione. Lo stesso amico che poco prima avevo visto bere
una birra gelatissima: ma questi brasiliani, che esofago hanno?
Sul lato negativo che il turismo porta nei
luoghi, mi viene in mente Alberobello, in Puglia, la patria delle
caratteristiche costruzioni chiamate “trulli”. Molti di questi sono diventati
negozi di prodotti tipici, perdendo quel significato storico e quel clima che,
per esempio, si respira nei Sassi di Matera, in Basilicata. Sono stato nelle
due città a distanza di pochi giorni e questo è stato il sentimento che ho
provato, confermato anche da un operatore culturale materano che mi stava
illustrando un particolare teatro. Sì, anche dentro i Sassi c’è del commercio,
ma la storia viene prima. Ad Alberobello è il contrario.
Sul consumismo, le cose sono notevolmente
peggiorate negli ultimi anni. C’è sempre stato, come per esempio testimonia la
canzone “Baby”, di Caetano Veloso, dove l’espressione “você precisa”,
cioè “tu hai bisogno”, fa riferimento alle pubblicità che hanno come scopo il
farti avere necessità che in realtà non hai, per farti comprare qualcosa.
Pensavo fosse una canzone d’amore, invece… Beh, oggi molti danno la colpa anche
o soprattutto agli influenzatori – permettimi di usare la parola italiana –
mentre è chiaro che sia di coloro che si lasciano influenzare, i seguitori…
seguaci… come li chiameresti?
Una domanda: hai incontrato degli italiani?
Perché normalmente sono (siamo) dappertutto. Come ti ho già detto, il primo
posto che ho visitato a Rio è stato il Pan di Zucchero. Arrivatoci, le prime
voci che ascoltai erano in italiano, specificamente di una regione.
Appartenevano ad un gruppo di ragazzi che, quando mi videro mi chiesero se
potevo fargli una foto, visto che non esistevano ancora i selfie.
Anzi, esistevano già, perché mia nipote
Christie (italianissima, nonostante il nome) le faceva già da tempo, Tant’è
vero che quando io ne volevo scattare una, dicevo “facciamo una foto alla
Christie”, con “alla” nel senso di “al modo, alla maniera”. Ha perso
un’opportunità di brevetto, perché vari anni dopo è arrivata la ministra danese
che ha fatto questo tipo di foto con Obama ed il nome selfie è entrato
nel vocabolario comune.
Insomma, questi ragazzi mi videro e mi
chiesero di fare questa benedetta foto. Mi fecero la domanda in inglese,
pensando che potevo essere un turista proveniente da una qualsiasi parte del
mondo. Solo che tutti giungevamo dallo stesso luogo. “Potete parlare italiano:
anzi, in toscano, visto che veniamo da lì”. Infatti quel pomeriggio, sul Pan di
Zucchero erano rappresentate cinque o sei, non ricordo bene, delle dieci
province toscane.
Spero di averti fatto passare un paio di
minuti senza avere per la testa quella che è una vera e propria organizzazione
internazionale, la cui vera pericolosità ancora mi sfugge.
Quindi, caro amico, ti auguro un Buon Natale,
tu che lo vivrai a temperature più consone a quelle dove siamo nati: ma non
esagerare nell’avventurarti in situazioni poco chiare, se non addirittura
totalmente nebulose.
Marcello
Da bullen@tin.it
a marbanti06@virgilio.it
ore 6 e 12 dell'23 dicembre 2023
Marcellissimo!
Non mi ci sono
abituato neanch'io alle sante feste natalizie con il caldo, ma con il tempo ho
imparato proprio a ignorare il Natale e questo mi ha aiutato, il caldo però lo
sento anche troppo e sempre di più, con il passare degli anni.
Non ho incontrato
italiani, negli ultimi anni quando mi succede faccio finta di essere muto o
sordo, comunque non del paese loro. Per me sono un condensato di stereotipi che
non mi fa alcun piacere di conoscere, dopo due parole so già tutta la
rispettiva storia personale. So anche che non sono tutti così, ma di solito
quelli che incontro io purtroppo sì.
Il viaggio in aereo
da El Calafate a Ushuaia è veloce, più o meno come da Porto Alegre a Curitiba,
un migliaio di chilometri circa.
Colpo d'occhio
notevole: situata ai bordi del canale di Beagle e circondata dai monti Martial,
Ushuaia offre un paesaggio unico in Argentina: la combinazione di montagne,
mare, ghiacciai e boschi.
Trattasi di una
località di villeggiatura argentina che si trova all'estremità meridionale del
paese nell'arcipelago della Terra del Fuoco, soprannominato "la fine del
mondo". Spesso battuta dal vento, Ushuaia è edificata su una collina
scoscesa ed è circondata dai monti Martial e dal canale di Beagle. La cittadina
è il punto di partenza per le crociere in Antartide e verso l'Isla Yécapasela,
conosciuta come "l'isola dei pinguini" per la presenza di numerosi
esemplari di questo animale.
Santiago a volte
sembra un vero turista, fa un sacco di foto, ma ha detto che per ora è meglio
non spedirle a casa, questo denota una certa saggezza, perché qui non si sa se
stiamo rischiando qualcosa anche noi e nel frattempo è meglio stare in campana.
Mi piace assai la
cantilena del castigliano degli Argentini, che poi la V diventa una B, come el
bino, per esempio. A proposito: il vino, qui è buono, ma non credo di avere
visto delle viti in giro, viene da altre parti dell'Argentina, molto più a
nord.
Ushuaia, in considerazione della sua posizione
geografica nell'emisfero sud, ha un clima particolare (Cfc): inverni relativamente miti (temperature medie sulle 24 ore
attorno ad 1-2 °C) ma estati decisamente fresche (medie di circa 10°C),
precipitazioni leggermente più abbondanti nei mesi autunnali.
Secondo le guide è assolutamente
obbligatorio, e comunque anche secondo me auspicabile, visitare il Museo della
Fine del Mondo, una costruzione del 1902, che conserva le interessanti opere
d'artigianato degli indiani Ona, i resti di naufragi, documenti e foto
riguardanti la storia della regione e, ad ovest della città, il Parco Nazionale
Lapataia, una riserva vergine dove si può passeggiare nella foresta difaggi
australi lengas e coihués e dov'è sorprendente il numero dei castori che
arrivano a formare delle dighe con i tronchi degli alberi.
Sono curioso di
vedere com'è il Natale Patagonico, per ora mi pare più per i turisti che per
gli abitanti, e manca poco.
Prima che mi
dimentichi, vai a dare un'occhiata anche te ai miei gatti e cani? C'è il mio
vicino Zè e la mia vicina Brandina che se ne occupano, ma un terzo parere mi
farebbe comodo, in fondo quei quattro animaloski sono la mia famiglia. La
chiave del cancello sai dov'è e quella di casa è sempre allo stesso posto.
Qui non so se rimarrò solo una settimana, da come si
sta mettendo la situazione forse ritornerò presto, se arrivo in pochi giorni è
perché le cose sono messe così male che non ci sia rimedio.
Genesio mi ha detto che il nostro non è poliglotta per
caso. Sto proprio parlando di Antonio, che per noi è Ludovico, pare che sia un
terrorista internazionale, ma non di quel tipo classico.
E lì per lì non ho capito se Genesio e Mariopio
approvano, come faccio io, l'operato di questo gruppo multinazionale, ma a base
brasiliana, chiamato FDP, Fim Da Paciencia, ovvero Fine Della Pazienza. Sono
preoccupati, gli vogliono bene, se non mi sbaglio lo vedono non solo come un
fratello, ma come un determinato castigamatti, un fottuto eroe moderno.
Ludovico è passato di
qua, naturalmente hanno fatto finta di non conoscersi, secondo lui i cinesi lo
hanno preso, forse ora anche loro, i due fratelli sono in pericolo, o anche io
stesso, ma per lui ormai non c'è niente da fare, lo dice lui nelle sue email
previe, lo dice anche Genesio, insomma dicono che tutto il mondo emerso gli
dava la caccia, o quasi e noi non ne sapevamo niente.
Io gli ho fatto un
sacco di domande tra cui una in primis: che c'entrano i cinesi? Genesio
mi ha fornito un relativo sacco di risposte, delle quali posso dire
tranquillamente che non ci ho capito niente, all'inizio questo mi ha
innervosito, poi ho creduto di comprendere, ma non ne ero affatto sicuro.
Ci siamo fatti
diligentemente anche la visita al Museo Marittimo installato nell'antico
carcere (una delle prigioni più famose della storia argentina) e l'interessante
escursione con il Tren del Fin del Mundo che percorre uno dei sentieri
utilizzati dai carcerati decine di anni fa per rifornirsi di legna
attraversando i boschi centenari.
E comunque ero piuttosto distratto e pensavo ad altro,
mentre vedevo passare cinesi, giapponesi e coreani... forse anche malesiani o
peggio, tutti assai fotografanti e selfanti, ma senza saperli distinguere bene.
L'unica cosa certa è una certa malcelata turbolenza, poi
che al momento ho inteso che da un bel po' le email non sono le mogli che me li
mandano, ma è lui stesso, Genesio, sono andato a vedere l'indirizzo elettronico
di provenienza ed è vero.
Dallo spartiacque ideale della sparizione di Ludovico,
che non sappiamo ancora esattamente quando è avvenuta, 7weBNttt8?@gmail.com.br
si è segretamente trasformato in 7wBNtttt8?@gmail.com dato che purtroppo la
comunicazione tra di loro, per ovvi motivi, è problematica e rischiosa.
D'ora in avanti però è meglio parlare sulla cassa
delle bozze Zetamail del mio amico Edinho, che tanto non la usa mai, ed è quasi
analfabeta, te lo sai. La password è il suo numero di targa, della Ford Ka che
ora non ha più, ma tu lo sai, perché ne hai una foto, piuttosto brutta ma ben
chiara, dopo quell'incidente a Belem Novo di un anno fa, o erano due?
Nelle bozze troverai la mia email, la ricopi dove vuoi
tu, per leggerla con calma, la cancelli dalla bozza e ci scrivi la tua, poi io
faccio lo stesso e che Dio, Allah o Manitù ce la mandino bòna e senza mutande,
come diceva mio padre, ma quando non c'era in giro mia madre.
Verso l'ora di cena, dopo un'escursione bell'assai, ma
stancante, almeno per certi vecchietti che io conosco purtroppo bene, parlando
con Santiago abbiamo inteso che indirettamente e nascostamente - magari
quest'ultimo avverbio l'ho inventato io ora - Genesio è collaboratore,
smistatore di messaggi, raccoglitore ospitante e rassicurante di soldati degli
FDP di passaggio.
Pare che L e G (che è Genesio) non comunicassero
direttamente. Tutte queste cose le sa, perché amico e indiretto collaboratore
di Q, eroe metropolitano e campagnolo argentino e ufficiale degli FDP.
Si mangia bene qua, pesante e carnivoro, d'accordo, ma
cucinato a dovere e completamente ignari dei dettami vegetariani e tanto più
vegani. Anche il pesce è buono e senza tante panne o condimenti strani, la
culinaria semplicità funziona ancora nonostante il turismo, almeno per ora.
La facciata
dell'occupazione di Genesio è questa piccola pensione di legno e vetro, che
però così, modernamente antica, oppure rustica clean, piace anche ai turisti.
Ci stiamo spedendo email da dentro lo stesso edificio
di tronchi di legno, senza mai ammetterne di averne ricevute. Lui dice che qua
sono sicure, meglio di parlare e poter essere uditi. Dice che i cellulari sono
più sicuri del computer e io ti mando tutto con il mio.
Questa che mi sta raccontando a forza di email
prefabbricate è una storia che io, anzi noi, dobbiamo spiegare alle mogli.
Visto che io mi trovo qua potresti avvantaggiarti, sanno chi sei e cosa fai,
sei uno dei migliori amici di Ludovico, volente o nolente.
Loro due e noi, visto che ormai L, cioè Ludovico, lo
hanno preso, non dovremmo correre pericolo, secondo questo tosto fratello
minore, che parla poco ma quando lo fa non si capisce cosa stia dicendo e
perché.
Tirandogli fuori le parole con le pinze non si capisce
lo stesso, forse l'incertezza e la confusione aumentano, per fortuna ci sono
queste email, sennò starei ancora navigando nel burrascoso stretto di Magellano
delle opzioni potenziali e burrascosamente sornione di questo assai prossimo
Capo Horn. Davanti a noi il canale di Beagle è più calmo e meno minaccioso, ma
piuttosto lungo ed enigmatico.
L'agguato ai famigerati Bernascon ha funzionato, sono
riusciti ad acchiapparli, sembra, ma dall'altro lato, la perdita è quel gran
pezzo di fottuto Ludovico. E pare che sia
addirittura il capo dei FDP, o meglio dire lo era.
Loro, i cinesi, sapevano che anche L sarebbe dovuto
intervenire per una operazione importante come questa e la doppia trappola ha
funzionato, sia da una parte che dall'altra.
Sicuramente questo agguato ai Bernascon sarà
insabbiato, a livello di notizie ci si manterrà sulle solite e pratiche fake
news. Diranno che è stato un incidente tragico che ci ha privato della preziosa
vita di questi amatissimi veneti, che davano lavoro a tanta gente, niente
affatto sfruttatori dell'umanità manipolata e ignorante. Vedi quello che dicono
anche lì, se mai diranno qualcosa.
Vogliamo parlare personalmente con Q, se è qui in giro
come dicono, se ho ben capito lui c'era a Pedras Claras, dove è avvenuto anche
uno scontro a fuoco ed è successo quello che è successo, che per ora non si sa
bene, speriamo poi.
Inopinatamente ma non troppo, qua ci si imbatte in
diverse e numerose gite di cinesi, piuttosto somiglianti tra di loro, ma si
possono distinguere dai giapponesi dalla maniera di vestire. I coreani però
sono piuttosto simili. Insomma sono escursioni forse tutte autentiche, meno
una: quale?
Genesio guarda anche lui con gli occhi semichiusi
tutte queste potenziali, ma non necessariamente false comitive, ha detto che
prima non ne aveva mai viste tante in un lasso di tempo così breve. A El
Calafate anche ce ne erano alcune.
Secondo me L si aspettava che potesse andar male, ha
previsto anche l'arrivo imminente del Natale senza di lui.
Queste email che seguiranno ti apriranno magari un
mondo che non credevi possibile, ma esiste e si muove, cerca di farsi largo: la
Fine Della Pazienza.
Insomma, pare che
costoro colpiscano e abbiano già raggiunto grosse personalità, tra le grandi
teste di cazzo del pianeta in questione, c'è l'imbarazzo della scelta, ma di
solito sono difficili da raggiungere. Loro lo hanno fatto con notevole
successo, però sempre o quasi nascosto, oppure forgiato dalle notizie di facile
accesso, che poi sono quelle che gli esseri umani perlopiù vedono e sentono,
nella maggior parte dei casi. Pare però che la gente li appoggi sempre di più,
cercando di andare oltre le fake news che per ovvi motivi li condannano a 360
gradi. Invece hanno ragione e futuramente lo dimostreranno anche ai più
scettici. (Avverbio generosamente suggerito da Cetto la Qualunque, personaggio
che anche Santiago conosce, attraverso Youtube).
“Chi ha rotto le
scatole ai cinesi?”
Il
Black Friday e il Natale ormai sono la stessa cosa, li mantengono separati per
un romantico motivo di tempo associato al lucro. Durante le sante feste, quando
tutti - ma proprio tutti - diventano più buoni, per una strana ma logica
conseguenza, io divento più cattivo. Molto più cattivo.
Se queste mie parole diventeranno pubbliche,
un giorno, significherà che qualcosa è andato storto, che ci siamo sfasciati
contro il muro dell’indifferenza, il che non è troppo difficile a immaginarsi.
Oppure che siamo diventati eroi internazionali, piuttosto, questa è una
guerriglia a tutto campo e ogni cosa può accadere, noi non siamo certo qui per
la gloria.
Il Brasile è una delle nazioni che quasi di nascosto
ci appoggia, oltre che il luogo dove gli FDP sono nati, il posto ideale dove
nascondersi, da sempre, quindi lo abbiamo scelto come sede.
Il termine terrorista è sempre stato usato a
sproposito, ma noi siamo dei veri terroristi, alla fine e/o finalmente. La
favela è il luogo dove l’ingiustizia sociale è più evidente, non ci ho mai
abitato, ma il nostro movimento si può dire che sia nato in una favela
brasiliana, perché è proprio lì che la gente può comprendere al volo
l’ipocrisia dell’epoca moderna, della civiltà occidentale, di un mondo dove le
cose brutte si nascondono e quelle apparentemente belle invece si sbandierano.
Spesso è proprio la rabbia che ci viene fuori
prepotente, ma ci hanno insegnato che bisogna contenersi, perdere il controllo
non serve a niente e su questo siamo d’accordo.
Bisogna sfogarsi però, sennò s’impazzisce, quindi ho
capito un’altra cosa, che la rabbia si può controllare e anche sfogare, basta
non perdere la visione d’assieme, un disegno generale con una prospettiva
razionale, un obbiettivo anche pazzo da raggiungere. Non so perché ma sento il
bisogno di giustificarmi, eppure so che chi ci stima non ne ha bisogno, che a
chi ci odia le mie spiegazioni non serviranno certo a cambiare idea. Forse ho
solo bisogno di convincere me stesso, chi lo sa?
La nostra rabbia contro il mondo, la società, la
politica, le banche, le multinazionali, il WTO e via discorrendo, quella rabbia
fredda e controllata ha deciso per noi, in fondo e i soldi di K ce lo hanno
permesso, o meglio, quelli di suo padre, insieme ai miei, che sono pochi, ma
tutti collaboriamo nel limite dei mezzi che abbiamo a disposizione.
28 dicembre 2023
Carissimo Commissario
Maigret,
Sinceramente, non so che dirti. A volte le
cose di cui mi parli paiono così assurde che mi viene da pensare a un
fantasmagorico scherzo del nostro Ludovico.
Se però mi soffermo un attimo a pensare, vedo che i fatti sono
plausibili e lì vado in confusione. Quali sono i rischi che noi corriamo? Mi
sembrano parecchi, soprattutto tu.
Quanto alle notizie sui Bernascon, in Brasile
non dicono niente di diverso da quello che dicono in Italia, lo avrai visto
anche tu in internet, usando quasi le stesse parole tradotte, cioè che Alberto
è morto in un incidente di caccia. Si accenna di passaggio alle immense
proprietà immobiliari e alle tenute agricole in Patagonia, quasi un milione di
ettari.
Chi per ora è tranquillo, è il tuo personale
zoo: cani e gatti sono rifocillati a dovere. In ogni caso ci tornerò per tenere
sotto controllo la situazione. Ho notato negli occhi, soprattutto dei cani, un
certo velo di tristezza, dovuto certamente alla tua assenza. Quando mi hanno
visto mi sono corsi incontro festanti, forse con la speranza che tu fossi con
me. Accorgendosi che ero solo, sono tornati mestamente al loro posto. Ma per il
resto, ripeto, tutto bene.
Gli italiani all’estero: a volte li giudico
insopportabili. La cosa ganza è che lo dico a te, che lo sei. Dovrei dire il
famoso “niente di personale”, ma so che hai gli stessi miei pensieri. È
insopportabile l’improvviso nazionalismo che in Italia poi non hanno per
niente, salvo per rari e brevi sprazzi. Raro e breve nazionalismo che,
confesso, una volta ho avuto anch’io.
Eravamo sulla Lagoa Rodrigo de Freitas,
chiaramente a Rio, Helena ed io per cenare. Il posto scelto aveva nel suo menù
nomi che a me suonavano strani. Helena mi disse che erano di varie cucine
internazionali. Uno di questi, kibe, attirò la mia attenzione e le
domandai che cosa era. Lei strabuzzò gli occhi e guardandomi inorridita gridò
uno spaventoso e divertente al tempo stesso “NON HAI MAI MANGIATO UN KIBE??????”.
Dopo che raddoppiò la domanda con un “ma allora cosa mangi?”, mi venne fuori
quello spirito nazionalista di cui sopra e che non avevo mai avuto. Mi aveva
fatto sentire come se non aver mai mangiato un kibe fosse il peggiore
dei peccati, per cui guardandola negli occhi, le risposi: “io abito in un Paese
che ha la migliore cucina al mondo. Non ho bisogno delle altre”. Appena finita
la frase, mi pentii di averla detta,
soprattutto per il tono di superiorità che avevo usato.
In altre occasioni questo orrendo nazionalismo
mi viene nel pensiero, ma fortunatamente almeno per ora non l’ho espresso
oralmente. Ho un altro tipo di nazionalismo, il “toscanismo”. Una volta dissi a
un collega – italiano pure lui, ma non toscano – che se la Toscana fosse stata
ancora indipendente, niente e nessuno mi avrebbe tolto da là. Beh, un po’
esagerato ma lo dissi. E di quello non me ne sono pentito, eheheh.
La scorsa settimana sono andato alla festa
per il diploma di mia nipote. Quella che qui si chiama formatura e che
in Italia non esiste, almeno alla fine delle scuole elementari e medie (uso la
vecchia nomenclatura, così noi ci si intende) che qui è l’ensino fundamental.
I rappresentanti delle classi hanno letto un loro discorso di saluto. Mi sono
impressionato, perché la loro lettura era velocissima: a volte ho avuto anche
difficoltà nel capire. Me ne sono compiaciuto, visto che dimostrava che la scuola era servita. Ma,
allo stesso tempo, era una lettura senza ritmo. È la rappresentazione pratica
di come è la vita attuale: veloce e piatta.
Oggi è tutto rapido, tutto di corsa, tutto
fatto per essere visto, mangiato, digerito e, permettimi, cacato allo stesso
momento. Senza dover pensare, senza poter gustare le infinite sfaccettature
della vita. Che per noi di una certa età è diventata incolore, senza cadenza:
per loro, i ragazzi, è l’unica che hanno visto, l’unica conosciuta. Il mondo
fatto di montagne, di valli, colline, scogliere… no, non c’è più. Il mondo è
un’unica infinita pianura che si può percorre in pochissimo tempo, che non ti dà
il piacere dell’attesa della scoperta, del sapere cosa c’è oltre quel colle, il
piacere del pensare e di riflettere.
Ho notato questo anche nei telefilm
polizieschi. Di norma adesso durano circa tre quarti d’ora e non c’è tempo per
farne una critica, per vedere se il racconto è attendibile, realistico. Una
volta duravano di più e alla fine potevi anche dire che un determinato episodio
era una cretinata. Avevi più tempo per analizzarlo, utilizzando lo spirito
critico che il tempo ti dava. Siamo nell’era del tutto e subito, più veloce
meglio è, dell’accettare senza pensare. Magari sono io che sono un po’ troppo
pessimista. O forse anch’io dovrei far parte dei FDP di Ludovico. No, troppo
pigro per esserlo.
Siamo alla fine dell’anno, carissimo. Sta
arrivando il famigerato “ultimo dell’anno”, giorno che m’è garbato da piccino,
perché era l’unico in cui si poteva “fare mezzanotte”. Poi, crescendo, il “fare
mezzanotte” non è stata più un’esclusiva del 31 dicembre e quindi l’interesse
si è perso. Anzi, ti dirò la verità: non lo sopporto. “Cosa fai per l’ultimo
dell’anno?” è una domanda a cui rispondo “alle 10 (di sera, ovviamente) dormo”.
Non è vero, ma è per far capire che non m’interessa.
Me ne ricordo uno in particolare, quello del
passaggio tra il 2001 ed il 2002, quello dell’Euro, per intenderci. Erano tutti
contenti o quasi del cambiamento della moneta. Nel “quasi” c’ero io ed infatti
quella notte bevvi un pochino di più. L’unica volta che mi sono ubriacato,
anche se non fino ad estreme conseguenze. Vedevo, e vedo, l’Unione Europea come
una buona cosa sulla carta, ma che si basa sull’economia e non sulle persone.
Non è un caso che prima si chiamasse Comunità ECONOMICA Europea. Con un gruppo
di amici, quella notte andammo in un luogo adatto per vedere i fuochi d’artificio
e a mezzanotte, quando cominciarono, feci una specie di comizio contro la nuova
moneta di cui ricordo, causa le bevute precedenti, solo l’inizio: “Cosa cazzo
festeggiate??”.
Sarà che gli FDP sono nati in quel periodo,
come forza di resistenza al potere delle banche, dell’ipocrita unione di
persone che invece è un unione (e neanche tanto) di capitali? Ma senti te come
viene a galla questa organizzazione misteriosa. Non è che Ludovico mi ci avrà
iscritto senza che io lo sappia?...ehehehe… Pensando alla persona che è, non mi
sorprenderebbe.
Che sia o che non sia, amico Alfredo, ti
faccio gli auguri per un 2024 pieno di sorprese, cosa di cui sono sicuro.
Bisognerà vedere se sono positive o negative. E sta’ attento, mi raccomando.
Anzi, STIAMO attenti.
Marcello
P.S. : tu cerchi il
freschetto nel sud del continente, ma ieri era più freddo nella nostra Serra
che a Ushuaia.
01/01/2024
Caro Marcello
speravo
che qui il Natale e l'ultimo dell'anno fossero diversi, invece no, vanno dietro
ai gusti dei turisti.
Ti
prego di andare a parlare con le donne di Ludovico, se ancora non lo hai fatto,
magari telefonagli prima e passagli tutte queste notizie che ti ho mandato e
quelle che ti sto mandando. Credo che sia quello che Ludovico vuole o voleva,
per alcuni giorni io non sarò più raggiungibile, ma fai capo a Genesio, con il
sistema nuovo sulla cassa delle bozze di Zetamail del nostro amico.
Volevo
spedire a casa Santiago, ma non c'è stato verso, sta comunicando con i suoi in
una specie di codice che non ha voluto spiegare nemmeno a me, non si sa mai, ha
detto e ha riso, forse l'unica volta che ha riso.
Stanotte,
in Brasile si direbbe piuttosto de madrugada, Genesio seduto davanti al fuoco, in un momento di calma,
mi ha spiegato alcune cose, almeno questa è stata la mia approssimativa
traduzione dallo spagnolo-argentino:
"Se
vedi uccidere un uomo tutto sembra più chiaro, ma quelli là non lo fanno
apertamente, fingono di essere dei benefattori, ma con il loro comportamento
uccidono, o li fanno vivere oppressi, senza dignità, che forse è anche peggio.
Proprio per questo, ma non solo per questo, costoro non meritano pietà.
Nella
maggior parte degli omicidi c’è una necessità, un impulso più forte rispetto
agli altri crimini; se non fosse così, nessuno avrebbe un motivo per uccidere.
Se ci fossero state alternative. La necessità. Il dolore, la determinazione e
l’assoluta necessità. Le cose stanno proprio così. Il dolore. La
determinazione. La necessità.
Tu
forse non capisci, appartieni a un mondo un po' più fortunato del nostro, ma
noi che abbiamo passato quello che è successo qua, non tanti anni fa, la morte
la conosciamo e anche le torture e anche l'umiliazione, tutto fuso insieme a
fare un blocco unico di dolore, che si è trasformato con il tempo in
un'incapacità di sopportare le ingiustizie, ora che possiamo fare qualcosa e
allora lo facciamo."
E Santiago qui ha dimostrato di capirlo meglio,
secondo me, è anche abbastanza logico, Né io né te abbiamo passato questi guai
che gli argentini conoscono abbastanza bene. È vero che noi abbiamo avuto la
guerra, ma loro la guerra ce l'hanno avuta contro loro stessi, dentro la
propria patria, che secondo me proprio per questo e quello che è successo, in
misura e intensità minore, anche da noi durante il fascismo, è un concetto di
manipolazione, in altre parole una stronzata immane.
Q sta per Quiroga, ed è disposto a incontrarmi, ma
vive in un luogo molto lontano dalle città, per arrivarci non ci sono strade.
Genesio dice che è l'unico che lui conosca che è in grado di dirmi che cosa è
successo e se veramente L è stato preso, se è morto o se è vivo, insomma,
quello che devo sapere ora è questo. Prima di tornare a casa devo sincerarmi di
cosa è accaduto, sennò anche il mio viaggio, il mio venire qua, non avrebbe
avuto alcun senso.
Mentre mi preparo per partire penso ai disegni
dell’esistenza. Collegamenti nascosti, coreografie e altri fenomeni simili… determinanti ma impensabili, solo
con il senno di poi si vedono questi fili che uniscono e separano la vita della
gente, dai fenomeni che non sappiamo spiegarci ma esistono.
Io per esempio, che le notizie di facile accesso le
evito, li conoscevo già, cioè ne avevo sentito parlare di questi FDP, li
confondevo con i NO SUV, ora so che erano la stessa cosa. Comunque avevo il
dubbio che esistessero, oppure che fossero diversi da come mi sembravano, cioè
qualcosa di buono e di giusto. Ogni tanto se gli articoli mainstream ti
snobbano, alternativamente cercano di minimizzarti e di demonizzarti, vuol dire
che potresti essere nel giusto, non sempre, non necessariamente, ma a volte sì.
Se tutti parlano bene di te, di sicuro sei uno
stronzo, come le Acciughe per esempio, tutti a dire che era un movimento
spontaneo, quindi era facile pensare il contrario da subito.
Nate magicamente
chissà come e appena raggiunta una certa popolarità per prima cosa sono andate
a trovare i Bernascon, nell'occhio del ciclone per via del crollo del ponte
Miccoli, e si sono fatti fotografare insieme, è stata la loro fine, appena
uscite dal guscio.
Per farvi capire qualcosa di più su di noi, per passar
questa notizie alle mie donne, qui un resoconto di alcune delle tante cose da
sapere:
N (direzione generale e moglie del defunto fondatore
E)
Purtroppo nella storia del mondo di grandi uomini ce
ne sono sempre stati pochi, non sto parlando di ciccioni, che quelli sono
numerosi. Un grande uomo era il mio ex marito E, piuttosto magro, un altro è
stato Ghandi, secco come un chiodo, ma oltremodo consistente.
Un’ironia che il primo pratico, ma anche simbolico,
atto del nostro sodalizio è stata l’esecuzione dei capi dei tre comandi dei
trafficanti di Rio de Janeiro, che avevano ammazzato E, mentre ci preparavamo
ancora a entrare in azione.
Il bandito è un traditore naturale, ogni sottocapo
vuole diventare capo e così via, è stato relativamente facile e a buon mercato.
Dopo ecco il deputato brasiliano Sandro Vaia,
suggerito e poi documentato da I e B, scappato negli USA dopo che uno dei suoi
grattacieli, costruiti con sabbia di mare e materiale scadente era caduto e la
gente superstite, oltre alla vita dei familiari, aveva perso anche la sua casa
senza speranza di potersela vedere risarcita.
Non era stato difficile assoldare un professionista e
metterlo sulle tracce dello schifoso. Naturalmente poi iniziammo anche a fare
la propaganda sui giornali e su internet, chiamammo il nostro gruppo la Fine
della Pazienza. Noi naturalmente miravamo molto più in alto, perché Vaia era un
pesce piccolo, era stato cassato dal parlamento e se ne era dovuto andare dal
Brasile, era solo un simbolo del passato, anche se piuttosto recente.
I (addetto agli
addetti e agli addendi)
Da solo non avrei potuto far niente, se non altro
perché non ho soldi e per fare quello che volevo fare ci vogliono i soldi,
oltre che coraggio e determinazione.
Il sistema t’incatena al denaro e anche quando ti
ribelli al sistema stesso, non per caso, quello ancora ti controlla, in qualche
maniera, attraverso quei meccanismi di cui l’uomo è schiavo se non da sempre o
quasi, è incredibile come è difficile fare qualcosa di differente.
Quando è morta mia madre, per un’infezione
all’ospedale S.Marta, mi sono trovato pronto all’azione e B mi ha portato qua
da loro.
Tra di noi c’è anche IV, un vecchio indio di quasi
ottant’anni, una specie di filosofo tranquillo e incazzato allo stesso tempo,
che ha vissuto come un eremita fino a non molto tempo fa. Direi che nella vita
si cambia e parecchio, almeno all’esterno, nelle nostre manifestazioni, voglio
dire, anche se dentro di noi siamo sempre gli stessi.
Una volta non capivo che cosa pretendevano fare i
terroristi, per me erano solo dei matti da manicomio, anche se dal fuori forse
è quello che tanti pensano di noi, ma per fortuna non tutti. Insomma poi ho
capito che il mondo ti porta a certe scelte drastiche, non sono tutte inevitabili,
ma solo possibili e logiche, credo che sia questione di temperamento.
Avete fatto caso che i terroristi ammazzano sempre
innocenti che non hanno niente a che fare col problema che si vuole combattere?
R mi ha fatto notare che tante volte applicano il terrore per arrivare
esattamente al contrario di quello che dicono. Spesso vogliono ottenere sdegno
e reazioni del consenso pubblico, spostare il suffragio universale nella
direzione desiderata. I terroristi veri dovrebbero agire diversamente: perché non
colpire i potenti, invece, chi veramente ha le mani in pasta?
È un successo che esista già una rete asociale in
concorrenza con noi, il terrorismo sta subendo una fottuta evoluzione
dialettica, finalmente si è capito chi e cosa bisogna colpire, se vogliamo dei
risultati utili a tutti. Il gruppo degli Amici dei Nemici, nato nell'estremo
oriente e sviluppatosi in Australia, Cina, Giappone e Filippine emula le nostre
epiche gesta, con efficacia esemplare e relativa ottima organizzazione. Non è
escluso nemmeno che un giorno ci si possa unire, ma forse è meglio, almeno per
ora, agire separatamente e in concorrenza, per raggiungere più qualità e
quantità negli interventi.
R (artigliere capo degli FDP)
Niente più del silenzio spaventa gli esseri umani,
perché da quello si possono immaginare infiniti pericoli in agguato e la
vigliaccheria spesso per noi non è altro che l’incapacità di arrestare la corsa
dell’immaginazione.
Passiamo la vita intera a cercare
di capire quello che ci circonda, leggendo, documentandoci sulle cose del
mondo, fino al punto in cui ci rendiamo conto che abbiamo finalmente un’idea
approssimativa e generale sufficiente. La gioventù ci ha già abbandonati da
tempo e quel temperamento esplosivo di una volta è diventato assai più
riflessivo, raggiunta e passata la cosiddetta mezza età e quella necessaria
distanza che ci permette di vedere le cose con una invidiabile visione
d’assieme, è vero che ora il tempo passa troppo rapidamente, è una
caratteristica della vecchiaia. Ma ora non abbiamo più dubbi a rispetto di come
funziona il mondo.
Chi difende gli altri impara - anche senza volerlo -
il miglior sistema per farli fuori. Credo che la mia esperienza professionale
sia stata utilissima al gruppo, ma ho dovuto studiare cose alle quali non avevo
nemmeno mai pensato. Se ci si addentra in un campo qualsiasi si vede che la
complicazione aumenta, ma i risultati sono direttamente proporzionali alla
competenza, oltre che alla freddezza e alla determinazione, nel nostro caso.
Da qualche anno mi sono reso conto che si parla di
terrorismo a sproposito, nel mondo, spesso sono gli stati stessi, spinti da
grossi privilegiati alla ricerca di ulteriori vantaggi, che intraprendono il
vero terrorismo, quello che non si vede ma che si sente sulla pelle di milioni
di persone, quelli che hanno votato per certi politici che fanno esattamente il
contrario di quello che dicono. In sostanza tutti vogliono i privilegi giacché
ai diritti non ci crede più nessuno. Però questo significa prendersi quello che
è degli altri.
Ci fermammo per qualche mese, anche perché il nostro
uomo che aveva ucciso Vaia aveva venduto la sua intervista ai giornali e ci
venne paura che potessero risalire a noi.
Meno male che l’avevamo contattato per internet e tra
noi c’erano due hacker colle palle rotanti, gente che aveva le nostre stesse
idee e che ora faceva parte del nostro staff in pianta stabile.
Ora ci stiamo preparando per colpire a livello
ambientalistico quelli che non accettano di dare limiti all’inquinamento,
l’inesorabile distruzione delle condizioni di vita sulla terra è un aspetto
determinante, ormai allacciato e mischiato con altre magagne politiche a
livello internazionale.
Insomma le rivoluzioni ci sono anche state al mondo, e
pure spesso, anche se meno di quante avrebbero dovuto essercene, e comunque
sono servite come simboli magari anche notevoli, ma di poca durata, perché chi
prendeva il potere poi si comportava ugualmente se non peggio, un esempio
recente è stata la Primavera Araba. Comunque le rivolte riuscivano a provocare
del disturbo, dei costi e allora i potenti sono corsi ai ripari.
Ora c’è una rete di menzogne impenetrabile che
manipola tutto e tutti, in maniera sistematica, il consenso viene venduto e
comprato come una merce qualsiasi, ma sempre più preziosa.
E non dimentichiamoci, anche se i professionisti lo
disdegnano, che è difficile sfuggire a un buon cecchino armato di un moderno
fucile col cannocchiale e computer integrato; gli americani ne hanno inventati
e realizzati di quelli che calcolano anche l’incidenza del vento. Come cazzo
fanno le guardie del corpo a proteggere questi potentissimi coglioni, se si
possono ammazzare anche da distanze oltre il chilometro?
Una delle nostre vittime è stata giustiziata da un
pallone aerostatico, tutti l’avevano visto e salutato con la mano, ma nessuno
ha pensato che i colpi erano partiti proprio da lì, ci sono diventati matti e
non c’hanno capito una beneamata.
Non è anche un’ironia che i soldi di K presi dai
genitori, siano proprio quelli a castigare gente come loro, che fabbricano armi
e le vendono in tutto il mondo?
Alla fine tra quello forte e quello intelligente chi
vince? Per molto tempo ho pensato che purtroppo vinceva quello più forte, ora
penso invece che la spunti quello più intelligente, perché la sua mente gli ha
permesso di capire che non è astuto come sembra vivere sulle disgrazie degli
altri e che doveva trasformarsi e diventare anche forte. Insomma lo diceva pure
Darwin, chi sopravvive sarà colui che saprà adattarsi meglio alle situazioni.
Magari uccidere questi simpaticoni non serve a niente,
perché poi ne arrivano altri, a volte sono famiglie con tradizioni secolari,
come nel caso di Whitebread. Forse è una cosa solo simbolica, ma almeno ci si
sfoga un po’, non ci si sente impotenti, non si sta colle mani in mano.
Chissà che poi invece facciamo nascere una moda, che
una volta tanto possa servire a qualcosa di concreto e gli schifosi associati
capiscano finalmente che non vale più la pena di rischiare.
Magari a forza di calci in culo lo capiscono che la
prepotenza è anche un metodo efficace, sì, ma solo finché non trovano qualcuno
più prepotente di loro.
Se la natura ha fatto sviluppare l’umanità in questo
senso, la Fine della Pazienza è ancora solo un virus, spero pericoloso però
come quel casuale asteroide che a un certo punto, per caso o per destino
scritto da chissà chi, mise fine al dominio di 160 milioni di anni dei
dinosauri sulla terra. Intanto azioni e reazioni si sono succedute, non c’è
stato tempo di riflettere che sulle ceneri, sulle rovine fumanti.
Il mondo cambia di continuo, forse lo stesso universo
va di pari passo, eppure hanno velocità differenti, ma quello che conta è
l’uomo, almeno per noi bipedi è che l’uomo si sia dato una formidabile zappata
sui piedi. Magari proviamo a fare qualche passo indietro per capire cosa è
successo, anche se i piedi ci fanno male, proviamoci.
Niente di meglio che una pandemia per colpire
il sistema nei suoi fulcri più solidi e apparentemente sicuri. Il mondo è assai
distratto dal rapporto di perdite giornaliere del Corona Virus, alla fine se
c’è un defunto riccone vecchio e diabolico in mezzo, tra tanti vecchietti
poveri e tranquilli, chi se ne frega?
Il prossimo passo era qualcuno di molto più
importante, molto più attuale, ma già passato oltre il suo periodo d’oro di
danni insistiti al suo paese e di ricchezza disonesta, l’ex presidente del
consiglio italiano Marzio Bottaini. Figurarsi che dopo essere stato condannato
per corruzione, concussione, abusi di potere, vari scandali sessuali e non,
dopo aver tenuto sotto scacco l’Italia per quasi venti anni, dopo essere stato
mandato via dal parlamento, continuava sottobanco a dirigere l’Italia, aveva
ancora diritto al vitalizio e alla scorta pagata dai contribuenti, che invece
lo avrebbero volentieri fatto a pezzettini. Tutto grazie all’appoggio di
quell’altra parte del paese, che lucrava con la disfatta di quella che
chiamavano ancora patria.
Intendiamoci: la nostra idea era piuttosto
internazionale, ci tenevamo a chiarirlo nei nostri comunicati, volevamo e
vogliamo colpire duro ovunque ci fosse del marcio a grandi livelli e c’era
l’imbarazzo della scelta, bastava guardarsi intorno.
Naturalmente uno dei nostri punti forti è avere un
basista o addirittura gruppi che abbiano interesse contrari alla nostra futura
vittima, non necessariamente per amore della libertà, ma a volte solo per
prendere il suo posto. Per questo non dobbiamo mai rivelarci o aprire il nostro
gioco, con nessuno.
La corruzione era il modus operandi di Marzio,
scappato in Francia all’inizio dell’epidemia e noi riuscimmo a farlo
spiaccicare al suolo a Biarritz dopo una caduta da venti piani, con i suoi
stessi metodi, cioè grazie a uno dei suoi uomini della sicurezza, che avremmo
pagato bene, ma riscosse solo la metà, cioè l’acconto, perché fu massacrato dai
suoi colleghi, idioti prezzolati.
Industriale di armi, il padre di K sarebbe stato un
uomo da colpire come tanti altri, ma lui lo voleva fare in maniera
intelligente, senza ammazzarlo o rovinarlo, come certo meritava, piuttosto
eliminando, grazie ai suoi soldi, quelli come lui.
Il prossimo nome era nientemeno che Joachin
Whitebread.
"Per più di un secolo, gli estremisti ideologici
ai due lati opposti dello spettro politico hanno colto al volo incidenti ben
pubblicizzati per attaccare la mia famiglia, per l'influenza eccessiva che
sostengono noi maneggiamo sulle istituzioni politiche ed economiche americane.
Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che lavora contro
l'interesse anche degli Stati Uniti, oltre a quelli di tutti gli altri paesi,
definendo me e la mia famiglia come internazionalisti e di cospirare
con altri nel mondo per costruire una struttura politica ed economica globale
più integrata. Se questa è l'accusa, mi dichiaro colpevole, e sono orgoglioso
di esserlo ".
Ecco cosa ha avuto la faccia tosta di dire in
un’intervista recente. La moneta unica, magari i microchip in un secondo
momento, sono gli obbiettivi, in verità e tutto questo orchestrato a forza di
crisi globali, al costo di tante vite distrutte di persone economicamente insignificanti.
Whitebread si era ritagliato su misura e a pieno
diritto il suo posto nell’olimpo degli idioti di famiglia ricca e rapace
particolarmente arrogante, non solo per quelli che lo conoscevano personalmente
o per averci avuto disgraziatamente a che fare.
Tutti sanno che lo squalo ha cinque marce in avanti,
ma sta quasi sempre in quinta. Non ha la marcia indietro, forse per un difetto
di fabbricazione. Joachin non conosce la possibilità di tornare indietro sulle
sue pinne, se glielo dicessero non ci crederebbe nemmeno che c’è qualcuno che
lo fa. Per lui essere odiato è qualcosa che lo fa sentire importante, insomma
che la sua vita sia servita a qualcosa, per rendersi immortale, che diamine, un
po’ come essere molto amato per altre persone.
Una volta dei falsi terroristi italiani
dicevano colpirne uno per educarne cento, qui la dimensione è molto
maggiore, la ripercussione sarebbe stata una Tsunami, se ci fossimo riusciti.
Certo, ma non era facile, riuscire a raggiungere uno che da sempre è stato oggetto
di odio, aveva una notevole esperienza nel difendersi, mentre attaccava il
mondo con delle altre armi più ipocrite e nascoste, gestendo il consenso
insieme ad altri figli di puttana del genere.
Dopo Bottaini e alcune altre teste parziali e fottute
dall’avidità, la stampa di tutto il mondo si era accanita contro di noi, lo
stesso Milo Mörbach, già nella nostra lista, acerrimo nemico di Marzio, ma
molto più ricco e potente, proprietario di testate giornalistiche e di reti
televisive in lingua inglese tra le più importanti e numerose del mondo.
K ha detto:
“Ora tutti i giovinotti più importanti stanno pensando
che potrebbe toccare a loro, chi lo sa, magari la prossima volta, se non è oggi
sarà un domani, i nostri comunicati sono vaghi ma precisi, per chi ci vuole
intendere, e noi andiamo in crescendo, loro stanno perdendo punti, per la prima
volta nella storia.”
Whitebread bisognava colpirlo nel suo relax quando non
ci pensava neanche, infiltrare un uomo tra i suoi era possibile, ma ci voleva
tempo, pensammo allora al vecchio e caro fucile col cannocchiale, ma la
mongolfiera non andava bene, la sua villa era circondata da un parco, c’erano
troppi alberi, la vegetazione era fitta. Il banchiere aveva una specie di
castello finto antico, nel Vermont, faceva spesso passeggiate nel parco, magari
parlando col cellulare tutto il tempo.
A K allora venne l’idea dell’esplosivo dentro il
cellulare, ce ne entrava poco, se usava il vivavoce non andava bene, doveva
scoppiare mentre lo teneva accostato all’orecchio, per farlo senza uccidere
altre persone vicine era necessario vederlo e il parco era l’ideale, anche se
tra un ramo e l’altro. Riuscimmo ad arrivarci attraverso la cameriera, ce lo
fece avere di notte, lui lo lasciava sempre nel suo studio, in un cassetto
chiuso a chiave. Con il cannocchiale lo seguimmo a stento finché iniziando una
conversazione tra le tante, la testa gli esplose. I suoi uomini cercarono il
punto da dove fosse partita la fucilata ma non lo trovarono, perché non
esisteva, c’era solo un potente telecomando.
Il nostro intervento in Cina non ha sortito
effetto, ma due FDP locali sono spariti e erano loro che cercavano di
infiltrarsi a Wuhan. Questo significa che avevano qualcosa da scoprire che non
volevano fosse scoperto.
Insomma avevamo notizie che i contenitori di
questi virus che erano stati prodotti per la distruzione di massa dai cinesi
erano stati rotti di proposito da un potere infiltrato probabilmente straniero,
forse americani.
Chi ha rotto le scatole cinesi?
Secondo molti studi, la maggior parte dei
coronavirus che infettano l’uomo provengono dagli animali, incluso il virus che
ha causato l’epidemia di SARS nel 2002. I "colpevoli" più probabili
sono considerati i pipistrelli poiché ospitano un virus geneticamente correlato
al SARS-CoV-2. Tuttavia, la distanza genetica tra il coronavirus dei
pipistrelli e quello umano suggerisce che il virus sia arrivato agli esseri
umani tramite un "ospite intermedio", come un pangolino, un visone o
uno zibetto.
Tra omissioni e conflitti, arrivare alla
verità sul virus che sta dietro la peggiore pandemia del XXI secolo potrebbe
essere quasi impossibile. Il consenso tra i virologi in Svizzera tende
verso la trasmissione da animale a uomo (o "spillover", il salto di
specie), ma c'è chi pensa che la teoria dell'incidente di laboratorio debba
essere presa più seriamente.
"In questo momento sembra che sia più
importante trovare un colpevole piuttosto che scoprire la verità", dice
Isabella Eckerle, virologa e direttrice del Centro per le malattie virali
emergenti presso l’ospedale universitario di Ginevra.Anche un altro rinomato
virologo svizzero, Didier Trono del Politecnico Federale di Losanna (EPFL),
crede che la questione sia diventata più politica che scientifica. Trono è
pessimista rispetto alla possibilità che si riesca a capire cosa sia successo
realmente, nonostante ciò sia importante per la prevenzione e la gestione delle
pandemie future."Dobbiamo essere preparati a non avere una risposta
definitiva a causa delle difficoltà scientifiche e delle implicazioni politiche,
ma in questa fase la probabilità di una trasmissione da animale a uomo rimane
alta", dice.
La ricerca delle origini della Covid-19 è
irta di complessità e controversie. La Cina non è mai stata del tutto
cooperativa e trasparente e finora ha sempre negato l'accesso a dati e campioni
completi, come ha affermato il direttore generale dell'OMS Tedros Adhanom
Ghebreyesus in una rara
critica pubblica alla Cina. Secondo Tedros, la
mancanza di trasparenza di Pechino ha ostacolato l'OMS, che ha inviato un
gruppo di ricercatori e ricercatrici indipendenti a Wuhan a gennaio e febbraio
per svolgere indagini approfondite. Ma il gruppo ha trascorso i primi 14 giorni
in quarantena discutendo con gli esperti cinesi via video chat, secondo il
resoconto della missione dell'OMS. Questo ha lasciato solo altre due settimane
per le ricerche sul campo, che sono state tutte pre-pianificate per poter
assicurare il distanziamento e il monitoraggio delle condizioni di salute.
Alla fine, nonostante la difficile
collaborazione con il governo cinese, l'OMS ha respinto l'ipotesi
dell'incidente di laboratorio nel suo Studio Globale sulle origini del
SARS covid, etichettandola come "estremamente improbabile" sulla base
di dati incompleti.
Tedros ha in seguito
riconosciuto che la teoria dell'incidente di laboratorio era stata esclusa
prematuramente, e Peter Ben Embarek, lo scienziato danese che ha guidato
l’indagine scientifica dell'OMS in Cina, ha recentemente
ammesso che i funzionari cinesi hanno fatto
pressione sul suo team affinché si lasciasse cadere l’ipotesi.
"Uno dei principi
della nostra vita è l'effetto Dunning-Kruger.
L'effetto è così: "Le persone che sono
poco qualificate prendono conclusioni sbagliate e falliscono decisioni, ma non
sono in grado di rendersi conto dei propri errori a causa della loro bassa
qualificazione. "
L'incomprensione degli errori porta alla
fiducia nella propria rettezza, e quindi ad aumentare la fiducia nelle proprie
decisioni e in se stessi, e alla consapevolezza del proprio vantaggio.
Così l'effetto Dunning-Krueger è un paradosso
psicologico che spesso incontriamo nella vita: le persone meno competenti si
considerano professionisti, e le persone più competenti tendono a dubitare di
se stesse e delle proprie capacità.
Più basso è il livello di competenza -
maggiore sicurezza in se stessi.
Il punto di partenza della loro ricerca
Dunning e Krueger hanno nominato le famose citazioni di Charles Darwin
"L'ignoranza produce più spesso fiducia che conoscenza" e Bertrand
Russell: "Una delle caratteristiche sgradevoli del nostro tempo è che chi
si sente sicuro di sé è stupido, e chi ha immaginazione e comprensione è pieno
di dubbio e indecisione. "
L'incompetenza e la disonestà spesso vanno a
braccetto, qualche volta una è per giustificare l'altra, succede anche che
siano alternate, complementari o supplementari, e quando si parla di migliaia
di morti e di rallentamento di grandi economie le responsabilità nessuno le
vuole, eppure ci sono, nascoste, ma ci sono sempre.
3 gennaio 2024
Genesio,
mi presento, anche se probabilmente Alfredo
ti avrà già parlato di me: mi chiamo Marcello e sono amico, appunto, di Alfredo
e di Ludovico.
È stato proprio Alfredo a dirmi di mettermi
in contatto con te. Chiaramente sono a conoscenza della sparizione di Ludovico
e, più o meno, della situazione in cui lui si trova. O meglio, voi vi trovate.
O forse: noi ci troviamo.
Siccome la vicenda mi è ancora abbastanza
nebulosa, potresti illuminarmi un po’? Altrimenti non so se, come e quando
muovermi. E muovermi per fare cosa?
Aspetto con fiducia le
tue delucidazioni.
Marcello
3 gennaio 2024
Marcello
mi
pare che il tuo tono sia un po' troppo scherzoso
data
la situazione
lo
so che sei riluttante a parteciparvi
e
la nostra è una guerra sotterranea
ma
pur sempre una guerra con morti e dispersi
non
credo che tu corra pericolo
Alfredo se ne è andato sulle montagne
a incontrare Q
tra di noi ogni comunicazione è sospesa
solo ordini di combattimento
ma anche quelli ora tacciono
capisco la voglia di saperne di più
ma per noi la segretezza
è l'unica maniera per andare avanti
e poi volendo
di quello che è successo
io so poco o niente
ogni novità in arrivo ti sarà comunicata
al più presto
Genesio
Porto Alegre 10
gennaio 2024
I giorni passano e nessuna notizia dal
fronte, intanto Marcello ha fatto contatto telefonico con le donne di Ludovico
e insieme a sua moglie le va a trovare, una alla volta, almeno questa è
l'intenzione, ma giunti alla prima casa le trova tutte e due là.
Le due signore che hanno ricevuto le notizie
da Alfredo prima e da Marcello poi, attraverso gli e-mail scritti da Ludovico
in precedenza.
Anche Aurora, la moglie di Marcello partecipa
al dialogo tra i quattro che naturalmente, data la situazione tragica e
inusuale, hanno delle logiche difficoltà sia di concetto che di espressione.
Si presentano con un certo imbarazzo, oltre a
non conoscersi la situazione è di quel tipo che nella vita non si sono ancora
mai provate.
Seduti in giardino a casa di Dianora, sono le
tre di un giorno ventoso e abbastanza fresco considerata l'epoca. Bevono un tè
alla pesca freddo e casalingo, sul tavolo c'è una serie di vassoietti con
biscottini di vario tipo. Dopo i soliti convenevoli sul tempo e sull'estate un
po' atipica appena iniziata, comincia lei stessa a dire:
Dianora: "Quelle che ci avete mandato
sono cose assurde, molte per noi - donne di casa - anche incomprensibili, io ho
parlato anche con mia sorella a Buenos Aires, lei non mi ha confermato né
smentito, tipico di Amparo, poi ora anche mio nipote Santiago è sparito insieme
ad Alfredo...
Thais: "Pare impossibile che noi dopo
tanti anni di convivenza non abbiamo capito niente di tutto questo, certo che i
soldi di Ludovico erano un po' troppi per essere un professore di lingue
straniere...
Dianora:
"Eh, ma quello non c'entra niente, pensi che un terrorista abbia un
buono stipendio? Non mi risulta, a quanto ho capito sono loro che sborsano
soldi per finanziare le loro... imprese...
o come diavolo vogliamo chiamarle, non lo so...
Marcello: “Sì, me lo
immagino cosa provate. Oltre la situazione privata, dico… la famiglia
allargata, per intenderci; insomma, la situazione è particolarmente ingarbugliata.
Quando Alfredo me ne ha parlato, pensavo ad uno scherzo di Ludovico. E,
sinceramente, è così assurda e credibile al tempo stesso, che anch’io sono
sconcertato. Ed io so queste cose da più tempo di voi.”
Dianora: "Noi lo
sappiamo da anni di noi due, voglio dire: in maniera reciproca, con lui ne
abbiamo anche parlato, Ludovico vuole tutto e tutto insieme, ha sempre detto
che il tempo è poco e bisogna approfittarne prima che sia troppo tardi..."
Thais: "E ora si
capisce anche meglio il perché..."
Aurora: “Anche a me
sembra impossibile. Ludovico coinvolto in casi del genere. Non è che lo conosca
benissimo, ma avrei pensato a tutto meno che a un affare del genere. Poi quando
Marcello mi ha detto che anche Alfredo, seppur in maniera differente, ne era
coinvolto, all’inizio gli ho detto pure di tagliare i ponti con tutti. Se ciò
fosse stato tutto vero, sarebbe stato troppo pericoloso. Invece,
fortunatamente, la situazione è più tranquilla di quello che sembra.”
Marcello: “A dir la
verità, anch’io ad un certo punto ho pensato di non farmi coinvolgere. Ma c’è
sempre il tarlo che mi martella, quello dello scherzo. Però, oh… questa è la
situazione. Ormai è tardi per far finta che non mi riguardi. Sono anche in
contatto con Genesio, vostro cognato. Ma anche da lui, come vedete, non ho
notizie chiarificatrici. Però mi ha detto di stare tranquillo e gli credo.”
Aurora: “Guardate: io
che sono una persona molto ansiosa… e anche Marcello lo è, beh all’inizio non
ci dormivo neanche. Poi le ultime notizie mi hanno confortata.”
Marcello: “Sì, state
tranquille, dai. Se Genesio mi ha detto così, è perché la situazione è
migliorata. Probabimente Ludovico era più in pericolo quando era qui.”
Dianora: "Uno che
sparisce per tutto questo tempo non lo fa certo per fare uno scherzo, anche un
pazzo si diverte con cose più tangibili e concrete. Strano che tutti pensino
che Ludovico sia uno scherzoso, mi è capitato spesso di sentirlo dire o
pensare, è vero che lui scherza con le parole, ma nei fatti è anche troppo
serio, sempre preoccupato con non si sa cosa e pieno di temperamento che a
spaccare tutto ci mette un secondo e poi non ti spiega nemmeno perché."
Thais: "Come un
mezzo pazzo che si controlla, ma ogni tanto sbrocca! E poi da quelle email non
ci sono tante speranze, lui dice che se lo hanno preso ormai non c'è
scampo."
Dianora: "E poi
ora Alfredo che scompare insieme a Santiago, vi pare normale?"
Thais: "Semmai
quello che dicono potrebbe non essere la verità. Ho pensato anche a questo.
Però se uno dice una bugia, anche grossa, è per nascondere una cosa grave, che
non può confessare, ma più grave di questa io non so come immaginarmela."
Dianora: "Genesio
sa molto più di quello che dice, anche mia sorella sicuramente è al corrente di
tante piccole cose che non vuole dirmi. Mariopio o Mario Pio separato, quello
sì che ha la bocca cucita."
Marcello: "Ma è
vero che è un Massone? Ci ha proposto di entrare anche a noi due!"
Thais: "Nooo, ma
quando mai?! Diceva sempre che non li sopportava, li avrebbe messi tutti al
muro, che erano uno dei cancri del mondo civilizzato, che quelli sono peggio
dei mafiosi!!"
Dianora: "Che
rappresentano la prepotenza ipocrita nell'era del consenso, per
l'appunto."
Marcello: "Allora
ci ha preso in giro, sia me che Alfredo!"
Dianora: "Lo fa
per testare la gente, per capire un po' come la pensano, e se voi avete
rifiutato avete guadagnato dei grassi punti nella sua considerazione!"
Aurora: "Confesso
che la sua considerazione mi lascia piuttosto indifferente. Piuttosto io mi
chiedo e vi chiedo: in tutti questi anni voi non vi siete accorte di niente?
Uno che si fa due famiglie a poche centinaia di metri, uno che va via per
settimane, anche se telefona tutte le sere, è strano, o no? Uno che fa il
professore, ma è pieno di soldi. Uno che non vi dava mai spiegazioni, sempre e
solo che era in giro per affari, non si sapeva nemmeno se era a Tokio o a
Gramado. Un marito, secondo me, va lasciato con il guinzaglio corto, sennò sai
quante ne combina?"
Dianora: "È
quello che dice anche mia sorella, ma lo conosce poco e di sfuggita. Ludovico
lo prendi così o niente, ti manda affanculo, ti dice che hai ragione, sì, ma
che lui è così e non ci pensa nemmeno a cambiare. La libertà personale prima di
tutto! All'inizio abbiamo litigato furiosamente, l'ho abbandonato una ventina
di volte, ogni volta ero sempre più indignata. Ma poi ho capito che se me lo
volevo tenere vicino dovevo lasciarlo fare come voleva, non è vero Thais?"
Thais: "Infatti,
anche per me è stato così, e se tornassi indietro cercherei di risparmiare il
tempo delle litigate e dei lasciarsi e riprendersi, alla fine non si tratta di
una situazione comune, ma nemmeno lui è un uomo comune.
Forse voi non lo
sapete, ma quell'ometto parla correttamente dodici lingue, dorme tre ore per
notte, se uno gli fa uno sgarbo, per
esempio nel traffico, lui non ci pensa un secondo, scende dalla macchina e gli
va a dare un cazzotto. Un nostro vicino prepotente, che credeva di essere il
padrone del mondo perché era più grosso e muscoloso, lo ha quasi ammazzato di
botte.
A vederlo così non
sembra, ma la forza gliela da' l'aver ragione e la sua storia personale, forse.
Non lo so io, ma al
suo avvocato, che dicono che sia uno dei migliori di Porto Alegre, spesso è lui
che gli insegna le leggi come sono e il salario alla fine del mese glielo paga,
non è che si rifiuti, ma in base a quello che ha fatto e lo decide lui quanto
dargli.
Chi lo ferma uno così?
Ma se è un caterpillar!"
Marcello: "E i
figli che dicono?"
Dianora: "Niente,
se non vogliono un calcio nel sedere."
Aurora: "Forse
bisognerebbe preoccuparsi per quei poveri cinesi allora."
Ridono tutti.
Marcello si è portato
anche dei fogli con le notizie date da Alfredo, che non sono certo
eccessivamente chiarificatrici, ma le donne queste non le hanno ricevute. Ogni
tanto torna fuori con la storia dello scherzo, ma sembra non ci creda neanche
lui, lo fa quando non sa più cosa dire, è una situazione rognosa nella quale si
è trovato suo malgrado, senza possibilità di scelta.
Per fortuna le donne
hanno due conti in banca separati, i soldi sono quelli di Ludovico, ma per
fortuna loro vi hanno accesso e non si litigheranno, e comunque sembrano andare
piuttosto d'accordo.
Per le proprietà, lui
diceva che ne aveva sparse per il mondo, ma per dividerle ed ereditarle
dovrebbero avere una prova della sua morte, tutto è comunque in mano
dell'avvocato. Sono entrambe convinte che non ci siano altre donne o figli
nascosti, su quello lui diceva sempre la verità, perfino in maniera brutalmente
sincera.
11 gennaio 2024
Genesio,
sono andato a trovare le donne ed erano
giustamente preoccupate. Abbiamo cercato, mia moglie ed io, di rassicurarle e
credo che perlomeno un poco ci siamo riusciti.
Carissimo, non ti crucciare per il modo in
cui ti scrivo. Non mi conosci, ti capisco. Ludovico non avrebbe avuto nulla di
ridire, perché lui sa come sono ed è uno studioso di lingue e di popoli.
Nel primo caso, sa che quando la situazione è
tesa tendo a sdrammatizzare, così come quando il clima è festoso, tendo a
rimanere sulle mie. Quindi è un atteggiamento soggettivo.
Nel secondo caso, che in realtà si somma al
primo: se l’italiano in generale è ironico, il toscano lo è ancora di più.
Ironico e bastian contrario, concentrato nella formula “è tutto sbagliato, è
tutto da rifare” resa nota dal grande ciclista Gino Bartali.
Spesso ci esprimiamo con antifrasi: per
esempio, in una giornata bollente diciamo “che freschetto che c’è oggi”, per
sottolineare ironicamente il contrario di quello che stiamo dicendo,
confermando allo stesso tempo la realtà.
Siccome a te di tutto ciò, visto il
frangente, non te ne frega giustamente un cazzo, ti lascio con la speranza di
avere al più presto notizie positive.
Marcello.
14 gennaio 2024
Caro Marcello
attraverso Amparo, la sorella di Dianora a
Buenos Aires, nel quartiere della Boca, anch'io ho parlato con le due signore.
Più che rassicurate sono persone abituate al peggio e rassegnate, con uno come
Ludovico ci si deve adattare sempre, perché lui va per la sua strada e non lo
ferma nessuno, se non a fucilate. Hanno i soldi per poter vivere senza di lui e
questo è già qualcosa, e poi i relativi figli già grandi che le possono
aiutare.
Quanto a sdrammatizzare, se tu vivessi una
vita sempre in tensione come la nostra, ti renderesti conto che è un lusso che
gente come noi, che fa una specie di lotta armata per i propri principi, non si
può permettere, anche perché la vita stessa è drammatica, anche se uno decide
di tapparsi il naso e far finta che tutto vada bene, non è mai veramente così,
se uno guarda in faccia la realtà. Noi ridiamo e scherziamo su altre cose, in
altri momenti, quando tutto è scuro e il peggio sembra venire, siamo più seri e
concentrati su quello che si deve fare, sulla maniera migliore, o a volte anche
solo meno peggiore di comportarsi. Quindi sdrammatizzare non fa parte del
nostro mondo, non ci facciamo inutili illusioni e non vogliamo farne nemmeno
agli altri.
Q, L, Alfredo e
Santiago non si sa dove siano, la turbolenza ha scosso pericolosamente i nostri
canali abituali d'informazioni riservate, ma ho avuto la notizia di corridoio,
ancora da comprovarne autenticità e fondamento, che siano tutti vivi, ma non
siano già più qui in Argentina. Informazione vera o falsa, parziale o totale io
l'ho già passata a Thais e Dianora, con il beneficio dell'inventario,
naturalmente.
15 gennaio 2024
Grazie delle informazioni, Genesio:
chiaramente, avendone altre e senza mettere in pericolo te e tutti quanti, ti
prego di scrivermi.
Per quanto riguarda il resto, effettivamente
non faccio parte del vostro gruppo e quindi non posso nemmeno immaginare le
varie situazioni in cui vi trovate.
A presto con notizie
positive, spero!
Marcello
Marcello, rattristato
dall’assenza dell’amico e, soprattutto, di sue notizie, inizia a scrivergli
lettere al solito indirizzo segreto, dove probabilmente non le può ricevere,
solo per alleviare questa dolorosa situazione.
16 gennaio 2024
Caro Alfredo,
ti scrivo senza scriverti. Cioè, sto
scrivendo solo per me stesso con l’illusione di dirigermi a te. A parte
l’angoscia della mancanza di una qualsiasi informazione certa (le poche che ho
me le ha date Genesio), è la nostalgia dei nostri scambi di opinioni, visioni
del mondo, anche e soprattutto delle cazzate – che poi cazzate non erano – che
commentavamo e che mi servivano come
sfogo, che mi spinge a fare ciò.
Genesio è un tipo tosto, mi pare: molto
concentrato sulla situazione (e vorrei vedere, con tutto quel che rischia!):
sai come sono fatto, cerco sempre di sdrammatizzare e per queso mi ha fatto un
semi-cazziatone. Ho capito che non c’è da sdrammatizzare, ma a me questa cosa
non va giù. Sai che tendenzialmente sono un pacifista: non sopporto che due
conoscenti litighino tra loro, figuriamoci quando si parla di morti.
No, anche se intendo la motivazione, io non
potrei mai far parte di organizzazioni tipo la FDP. Ripeto, capisco che il
mondo sta andando in una direzione totalmente sbagliata, ma non c’era un altro
modo per girare il volante? Poi a volte penso che vedo tutto sbagliato perché
sto invecchiando ed allora arriva quello che in Brasile è chiamato saudosismo.
Mah, non so.
Con lui, con Genesio, intendo, ho parlato un
po’ anche di “toscanità”. Figuriamoci se a lui in questo momento interessa: ma
a te sì. Ha un senso di parlare di “toscanità”, noi che ci stiamo
amichevolmente sulle palle se già
abitiamo a tre chilometri di distanza? Sì, quando siamo fuori ci sentiamo tutti
toscani, ma quando siamo là ognuno è differente e sicuramente migliore
dell’altro.
Tu, per esempio, sei un
ligure-apuano...rs...rs… (questi “rs” li ho imparati da dei brasiliani,
all’inizio non capivo che volevano rappresentare una risata). Ed i
liguri-apuani sono arrivati perlomeno fino alle colline ad ovest di Pescia. Qui
sembra abbiano combattuto contro i romani, i quali, vincendo, dedicarono il
luogo a Marte, il loro dio della guerra. Da “Ad Martis” deriverebbe l’odierno
nome di quella zona, Marzalla.
Ma questa è solo una supposizione. Noi non
sappiamo con certezza quello che è successo da pochi anni (anzi, quello che sta
accadendo adesso: gli FDP ne sono una prova), figuriamoci i fatti di più di
duemila anni fa.
Guarda come gli FDP tornano sempre: ma quando
saranno nati? E ci sarà stato un evento preciso che ha fatto scattare questa
molla? A volte ci sono momenti in cui leggi una notizia e ti rendi conto che il
mondo sta cambiando. Per esempio, mi ricordo che pochi minuti dopo la caduta
del Concorde, il 25 luglio 2000, una delle prime notizie che il Televideo (lo
sai cosa è? È quella specie di giornale sfogliabile che si legge nella televisione, non so se esiste
ancora) dette, fu che le azioni della Air France e della British Airways
crollarono a causa dell’incidente. Pensai: ma come, invece di occuparsi delle
vittime, degli eventuali superstiti, ecc. , ci si preoccupa dei soldi che
stanno perdendo gli investitori? Non mi tornava.
Per alleggerire un po’ la cosa (ed è per
questo che ti sto scrivendo questa lettera fittizia), un altro momento che mi
colpì riguarda il calcio. Da bambino e fino a pochi anni fa, guardavo tutte le
partite possibili. Piano piano questo interesse è diminuito, sia perché sono
cambiato io, sia perché è cambiato questo sport. Anni fa mi ricordo che durante
una sostituzione apparve in tv la scheda di colui che fu sostituito. Goal?
Passaggi effettuati? Passaggi sbagliati? Numero di cross? Falli fatti? Falli
subiti? No. Chilometri percorsi. Io pensavo di assistere a una partita di
calcio, non a una maratona!
Insomma, il mondo cambia ed è stato sempre
così. La differenza attuale è la velocità. Troppa, almeno per me.
Marcello
P.S. : il nome FDP
inizia a farsi sentire nei notiziari.
10 maggio 2024
Ti scrivo questa breve lettera per informarti
che sto momentaneamente abitando a casa tua. Saprai sicuramente cosa sta
succedendo a Porto Alegre e non solo. Aurora ed io siamo dovuti letteralmente fuggire
dal nostro edificio prima che l’acqua (che poi è tutto meno che acqua) lo
isolasse.
Indipendentemente se tu mi leggerai o no, non
potrai tornare qua visto che la città è praticamente isolata. Ma se per qualche
miracolo ci riesci, entrando in casa non ti spaventare: a metterla a soqquadro
non sono stati i ladri, ma noi.
Sperando che tutto (ma proprio tutto) si
risolva nel minor tempo possibile.
Marcello
31 ottobre 2024
Alfredo,
torno a (non) scriverti dopo mesi alquanto
pesanti. Mesi in cui gli FDP stanno sempre più prendendo spazio nei media e
soprattutto nelle reti sociali. Mi sembra che se ne parli più qui in Brasile
che in Italia, ma forse perché ci abito e quindi sono più aggiornato sulle
notizie locali.
Dopo l’acqua, abbiamo il fuoco. O meglio, le
sue conseguenze. Infatti i cieli di mezzo Sudamerica sono invasi dal fumo degli
incendi in Amazzonia, Bolivia e Paraguay. Chiaramente Porto Alegre rientra in
questo “mezzo” e l’aria s’è fatta irrespirabile.
Se ti non-scrivo è perché ho bisogno di
leggerezza, quindi non mi soffermo sul come e perché di questi fenomeni
atmosferici, pur se il tema ambientalista stava iniziando ad essere considerato
anche dagli FDP: ma in questo momento cerco di non pensarci.
Insomma, questi semafori portoalegrensi. A
parte il fatto che qualche semaforo ha davanti a sé un bel ramo che non fa
vedere se è rosso o verde fino a pochissimi metri dal crocevia, ma perché qui
ce ne sono alcuni messi DOPO l’incrocio? Io, almeno a livello personale, in
Italia li ho sempre trovati prima, più o meno dove ci si ferma con la macchina:
eccetto quelli di vecchio stampo, in blocco unico sospeso tramite cavi sopra
l’incrocio e che oggi sono quasi scomparsi.
Sta di fatto che quando sono in macchina – e
questo succedeva soprattutto all’inizio della mia vita brasiliana – e trovo un
semaforo rosso, d’istinto mi viene da fermarmici quasi accanto, ma alcuni di
essi, come ti dicevo, sono dopo l’incrocio. Te lo immagini che incidenti
provocherei? In conclusione: il semaforo brasiliano non ti permette
distrazioni! Poi, sul fatto di essere rispettato, quello è un altro paio di
maniche.
Ma chi soffre di più è il pedone. Non tutti
gli impianti sono provvisti di segnaletica apposita per chi cammina, per cui
uno deve vedere il colore che hanno gli automobilisti, pensare al contrario (se
loro hanno verde, io ho rosso), cosa che istintivamente non viene, e poi
comportarsi di conseguenza. Anche se la regola principale è: passo quando
posso.
La mia prima esperienza di attraversamento
pedonale fu chiaramente a Rio. Ora ci rido, ma al momento pensai che il lavoro
più difficile del mondo fosse il pedone nella città carioca (italiani, carioca
vuol dire della città di Rio de Janeiro, non vuol dire brasiliano in
generale!!). Era una via molto larga, Norberto ed io stavamo a destra
dell’enorme gruppo che, con il verde, la stava attraversando. Arrivati più o
meno a metà, iniziò a lampeggiare il rosso, equivalente al nostro giallo.
Norberto mi pregò di velocizzare il passo, perché il primo mezzo che sarebbe
partito con il suo verde e che si trovava chiaramente subito alla nostra
destra, non si sarebbe minimamente preoccupato se noi fossimo ancora nel mezzo
alla via.
Ora, il mezzo in questione era un autobus, e
Norberto mi disse più o meno così: “Vedi quell’autobus? Se non corri, ti viene
addosso.” Lui corse, così come tutto il resto del grande gruppo di pedoni.
Tutti meno io, perché non era possibile, per me, che un mezzo pubblico non
aspettasse che un pedone potesse percorrere il resto dei metri che lo
separavano del marciapiede. Mentre elaboravo ciò, ecco che sento un gran rumore
di motore e, girandomi, vidi l’autobus venirmi contro. Il resto dei famosi
metri che mi separavano dal marciapiede furono percorsi a velocità della luce.
Da quel giorno, oltre che a spicciarmi, imparai ad attraversare le vie, quando
possibile, al CENTRO del gruppo dei pedoni. In caso di incidente,
egoisticamente sarei stato protetto dalle persone che mi corcondavano.
Sarà che gli FDP hanno un piano per
proteggere i pedoni? Te lo chiedo perché tanto non leggerai e non sei Genesio.
Se facessi a lui tale domanda, mi farebbe un nuovo cazziatone per non prendere
sul serio la situazione. Ma, Alfredo, ho bisogno di scherzare un po’.
Sperando sempre di ricevere tue notizie,
anche se questa aspettativa si fa ogni giorno più fievole e, come si scrive
nelle lettere commerciali, ti saluto cordialmente.
Marcello
20 gennaio 2025
Alfredo,
allegria e tristezza sono gli opposti
sentimenti che provo nello scriverti in questo tuo lungo periodo di assenza.
Non volevo farlo, tuttavia mi trovo in un luogo probabilmente a te caro: le
mura di Lucca. Ho sentito una specie di richiamo proveniente da una delle
panchine da cui si può ammirare l’interno della città. Mi ci sono seduto e mi è
venuta voglia di comunicare con te. Comunicare cosa? Niente. Dall’ultima volta
che sono tornato in Italia è cambiato poco. Sono aumentate le buche nelle
strade, ecco. Fino ad alcuni anni fa, la differenza della qualità delle vie tra
il Brasile e l’Italia era evidente. Oggi non più: sarebbe stato bello dirti che
non c’è più molta differenza perché il Brasile è migliorato, ma purtroppo è
l’Italia che è peggiorata.
La giornata qui è splendente, ma dentro mi
sento un po’ cupo. Speravo, nello scriverti, che mi animassi un po’, invece
proprio no, non ci riesco. Parlando di strade e quindi di macchine, qui sono
più colorate che in Brasile. È buffo, perché quando mi trasferii, poco più di
20 anni fa, era il contrario. In Italia macchine prevalentemente grigie,
bianche o nere, mentre in Brasile c’era più varietà. Le cose si sono ribaltate
e la colpa è anche mia: le due macchine brasiliane che ho avuto sono state una
nera e una bianca. Insomma, mi lamento e poi mi accorgo che io contribuisco a
fornirne la ragione.
Ma passiamo a cose più importanti: gli FDP.
Se ne parla anche qui, anche con una certa frequenza. Sono attaccati un po’ da tutti gli schieramenti
politici, con eccezione degli estremi, di destra e di sinistra (e forse anche
di centro). Ciò fa aumentare i miei dubbi su come si muova il gruppo, visto il
mio modo di pensare. Certo è che il mondo così com’è non va. O va verso
l’autodistruzione. Mamma mia che pessimismo, eh, Alfredo?
Inizia a fare freschetto, pur senza
esagerare: gli ultimi inverni qua sono diventati degli autunni. Anni fa, di
questi tempi, sulle Alpi Apuane non si riusciva a distinguere il bianco del
marmo da quello della neve. Ora questo dubbio non c’è più.
Un abbraccio dalla tua
città,
Marcello
10 giugno 2025
Dipende
Da che dipende
Da che punto guardi il mondo
Tutto dipende
Così, caro Alf, cantavano gli Jarabe de Palo
nel 1998. E “dipende” è una risposta che do spesso agli studenti: sul
significato delle parole, sul loro uso, sui fatti storici. Mi ricordo un’alunna
che mi faceva le domande e lei stessa, dopo varie lezioni che avevamo fatto, si
rispondeva: dipende. Il semestre successivo lei ebbe un altro insegnante che
seguiva letteralmente il libro, per cui per lui non dipendeva niente: il libro
era la verità assoluta. La mia ex alunna ebbe uno shock, ma si rese veramente
conto che tutto nella vita “dipende”.
Mi è venuto in mente questo, perché ieri sono
andato ad una mostra sensoriale, mi sembra che la chiamino così: non solo la
vista, dunque, ma per essere veramente compresa va fatto uso anche degli altri
quattro sensi. In realtà tre, il gusto non era contemplato.
Nell’ultima stanza era rappresentato un
cuore. Non un cuore vero, ma quello classico dei disegni e delle carte da
gioco. Formato da strisce verticali rosse intervallate da strisce nere più
piccole, era proiettato su una parete scura. Se dopo circa cinque minuti mi
fossero venuti a prendere e mi avessero portato in un tribunale per riferire,
sotto giuramento, quello che avevo visto, avrei detto quello che ti ho scritto:
un cuore proiettato su una parete.
Ma dopo quei cinque minuti, in quella stanza,
arriva un bambino che semplicemente “sfonda” la parete dove era proiettata
l’immagine. E lì cambia la prospettiva, cambia la visione del tutto. Mi
accorgo, infatti, che il cuore non è una proiezione, ma è formato da tanti tubi
al neon rossi di varia lunghezza per crearne la forma, messi al centro della
stanza. La “parete” della proiezione non esisteva, ero io che l’avevo
costruita, essendo, in realtà, cinque metri dietro questa opera tridimensionale.
Insomma, se io riesco ad ingannare me stesso,
posso essere ingannato da chiunque, soprattutto con le nuove tecnologie a
disposizione. E quell’ “io”, siamo “noi’, siamo “tutti”. Ed allora mi domando:
chi sono veramente gli FDP? E tu, sei stato da loro sequestrato? O ucciso
perché sapevi troppo? O fai addirittura parte dell’organizzazione?
È con queste domande che finisco questo mio
ultimo scritto. Ultimo, perché a differenza dei nostri primi scambi di email
che erano fondamentalmente allegri e spensierati, adesso quando scrivo vengo
avvolto in una profonda tristezza, una tristezza che “não tem fim”: così
concludo con una citazione del mio maggiore – e inconsapevole – professore di
portoghese, Vinicius de Moraes.
Marcello
QUALCHE TEMPO DOPO
Seguono due anni quasi esatti dai fatti della
Patagonia. Fatti avvenuti e importanti, anche a livello di storia e di
conseguenze passate e future, ma di sicuro si sa solo che i Bernascon hanno
perso la loro punta di diamante, prontamente rimpiazzato.
Aurora al mercato pubblico di Porto Alegre
incontra Ludovico a braccetto con Dianora, dopo lo stupore, i saluti, le
congratulazioni e gli abbracci è quasi ovvio che Ludovico non spieghi affatto a
suo tempo cosa sia successo, al massimo dice cosa sta facendo attualmente, ma
per larghi e sommi capi.
L- Non mi dire che non hai ancora sentito
parlare del Cucù!
A- No, cosa sarebbe?
L- Ma come? Il Cucù! Andiamo! Ma se ne parla
il mondo intero!
A- Porto Alegre è rimasto sempre un po'
tagliato fuori, lo sapete anche voi.
L- E certo, questa è sempre stata la sua
maggiore virtù. Porto Alegre è il culo
del mondo! Siamo diventati pelati a forza di saperlo. Questo lo sappiamo a
memoria.
A- ...ma sarebbe qualcosa a che fare con
quello che è successo in Patagonia?
L- Infatti quello è stato il big bang
, cioè i cinesi erano con noi, non contro, solo che voi non lo sapevate.
A- Bene e allora?
L- Allora spazzato il capofamiglia Bernascon
insieme, siamo partiti per questa nuova e incredibile avventura!
A- Se me la vuoi dire va bene, sennò io c'ho
da fare la spesa, c’ho gente a cena stasera.
L- Certo, sediamoci qui dal gelataio più
gelatoso del mondo.
A- E Alfredo e il nipote di Dianora, come si
chiamava?
L- Santiago. Santiago e Alfredo sono con noi,
devi sapere che i cinesi hanno appoggiato gli FDP, non solo, li hanno
istituzionalizzati. Avrete certo sentito parlare dei nostri successi, bene i
soldi e l'appoggio verso il mondo ce l'hanno dato loro, il QQ, che noi
chiamiamo Cu-Cu tra di noi italo-brasiliani del ramo, è stato il passo
seguente.
Che poi significa Qualità e Quantità, in
poche parole siamo diventati gli arbitri indiscussi del mondo: commercio,
ecologia, giustizia, guerre... una maniera nuova per abolire la politica a
livello internazionale, stiamo cercando di farlo diventare una cosa sempre più
attuabile e applicabile anche a livello statale e regionale...
A- Ma dove?
L- Solo sulle terre emerse, niente di che.
A- Ah...
L- Il gelato lo paghiamo noi, era buono
assai, se Marcello poi vuole parlare con Alfredo, ecco il suo biglietto da
visita con il suo Itacamail di Pechino.
A- Marcello vorrà sicuramente vederti, abiti
sempre al solito posto?
L- Sì, cioè no, tra due ore partiamo, viene
anche Thais, ma l'email è la stessa, quella vecchia.
A- Ma dove andate?
L- In Cina no? Capirai: il Cucù ci chiama.
A- Ma chi gli ha dato questo nome scemo?
L- Ahahahah! Siamo stati noi, io e Alfredo,
ma solo nel nostro incrocio linguistico italo-brasiliano si ottiene il doppio
senso e gli altri non capiscono perché (ci e ne) ridiamo tanto! Si lavora
parecchio, non si guadagna nulla, ma in compenso ci si diverte assai.
A- Ma perché non ci avete fatto sapere niente
per tutto questo tempo?
L - Prego? Guarda che noi non potevamo
gridare ai quattro venti del nostro piano, anzi nemmeno ora, voi non andate a
chiaccherarne in giro, mi raccomando! E poi noi abbiamo mandato notizie a
Genesio...
A - Genesio? Proprio a Genesio? Figurati! Ci
ha detto che eravate vivi e per il come e il dove bisognava fidarsi. A quello a
tirargli fuori una notizia nemmeno con le pinze.
POCHE ORE DOPO
La videoconferenza Itacamail è facile da
usarsi e difficilmente rintracciabile
dagli hacker, un'invenzione degli scienziati FDP. Alfredo si mette in contatto
con Marcello dopo due anni.
A - Scusa se ti chiamo solo ora, ma ormai
siamo diventati una celebrità, anche se in tutta segretezza e con nomi falsi,
il Cucù come saprai è ormai è l'organo più importante del mondo e noi due,
Ludovico ed io, siamo i più alti in grado e non abbiamo tempo nemmeno per
andare al cesso.
M- Guadagnerete un sacco di soldi!
A- Nulla virgola zero, solo vitto e alloggio.
M- Incredibile. Ma a chi è venuta questa idea
del Cucù?
A- Allora l'idea originale era di Edmilson
detto E, fondatore defunto degli FDP ma chi l'ha portata avanti sono stati
Ludovico e Nadine, detta N, moglie e
vedova di Edmilson, capi degli FDP e ha anche la pensata che il capo non possa
essere uno solo ma due, come siamo ora noi.
Ludovico e Alfredo, ci
voleva però una grande nazione ad appoggiarci e la Cina è stata la prima,
seguita nell'ordine temporale da Brasile, Argentina, Canada e Australia. Ora ci
riconoscono e ci appoggiano tutti meno la Cina nazionalista e Israele, ma è
solo questione di tempo.
L'organo decide sulle controversie, ma
stabilisce a livello internazionale salari minimi, controlli sulle nascite,
tasse e sull'ecologia prima di tutto. Nel giro di due anni siamo già migliaia e
seminati dappertutto.
M- Ma allora l'affare della Patagonia era
solo uno stratagemma e i cinesi erano con voi?
A-Sì, è stato il primo atto di collaborazione
e sodalizio.
M- E Ludovico perché
ha scelto te e non me, per esempio?
A- Intanto te sei sposato, poi politicamente
e socialmente sei sempre stato molto meno indignato di me, altre cose poi ci
sarebbero, piccoli particolari, ma per noi importanti. Insomma mi ha testato
per anni, senza che me ne accorgessi, chiedendomi pareri e ha controllato tutta la mia storia personale nei
dettagli.
M- E i cinesi si sono fidati subito e ad
occhi chiusi di voi?
A- Da anni Ludovico e Nadine mandavano i
documenti e i programmi a tutti i governi, li hanno convinti a fucilate,
attentati, bombe e a metaforici calci negli stinchi insomma. Sono stati
convincenti e ora noi siamo qua. Ottenuto l'appoggio politico in varie nazioni
anche gli oppositori ferrei e ostinati, come Crump negli Usa, sono stati fatti
fuori attraverso le elezioni.
M-
Allora i fantomatici signori Schiappacasse e Holzenbein di origine
italiana e tedesca, siete voi allora?
A- Sì, non andiamo alla TV, non ci possono riprendere
per sicurezza e i nomi falsi sono stati scelti da Nadine per gli stessi motivi.
M- Ma perché Nadine non si è autonominata
capo con Ludovico, invece di te?
A- Ma è stata lei che non ha voluto, non se
la sente più, è stanca, preferisce stare dietro alle quinte. Quindi hanno
scelto insieme un sostituto, in base a una serie di requisiti fondamentali,
tutto questo anni prima di arrivare a me.
M- Cioè?
A- Ottima vista, odorato, gusto, tatto considerata anche l'età e poi l'indignazione
contro l'ingiustizia da sempre. Ho partecipato a una sola dimostrazione di
sinistra, all'età di 25 anni, ho votato per la sinistra, finché mi sono accorto
che non serviva granché e con il tempo pure peggiorava.
Non avevo mai partecipato attivamente alla
politica, quindi, non ero possidente o ricco, avevo fatto una serie di mestieri
umili come manovale e giardiniere. Senza famiglia, né parenti prossimi, appena
oltre i sessanta anni di età, ma con buona salute fisica e mentale,
naturalmente una persona di cultura, ma senza esagerare.
M- Però anche K sarebbe stato un candidato,
per quello che ho capito.
A- Kappa è uomo di azione e meno di pensiero.
Lui è capo delle forze armate. Da quando sono entrato io non ci sono stati più
tante esecuzioni, ma l'esercito è importante, anche solo simbolicamente, anche
solo per chi vuole fare il furbo dentro gli stessi FDP.
M- E non c'è stato nessuno degli FDP che arrivato al potere ha fatto le stesse cose
degli oppressori?
A- Non guadagnando soldi, automaticamente i
peggiori si sono già auto-esclusi, comunque qualcuno ci ha anche provato, ma il
sistema era solido già in partenza, perché quelli sono stati subito denunciati
e sostituiti. Esattamente come prima, ma al contrario: se non eri corrotto e
connivente andavi contro tutti gli altri, nessuno ci poteva riuscire a essere
onesto e senza macchia.
M- Però quello che non mi torna è che
dovunque i proprietari delle sedie, non importa per quale partito, scranne ben
attaccate al loro culo e ai privilegi, insieme agli oligarchi presenti ovunque,
si sono fatti da parte senza colpo ferire?
A - Ma se ne hanno ammazzati a centinaia!
Quelli che erano rimasti, logicamente avevano paura e poi, vedendo la mal
parata, sempre meno si sono opposti, ma piuttosto nascosti.
M - E i giornalisti?
A - Beh, con l'esecuzione di Bottaini e di
Mombach, grandi infinocchiatori di sprovveduti, ignoranti, complici e corrotti,
anche i giornalisti hanno iniziato a voltar faccia. Insomma gli FDP da minaccia
terroristica in poco tempo hai visto che sono diventati i salvatori? Quelli che
non solo hanno portato una certa giustizia sulla terra, come regola e non come
eccezione, ma hanno sradicato i sistemi politici preesistenti, da tempo senza
più alcun senso razionale.
M - Ma allora le due mogli erano d'accordo
con Ludovico e sapevano tutto?
A - Infatti, praticamente l'attentato ai
Bernascon era come sigillo della loro intesa e io sarei arrivato a mettere la
marca da bollo, come puntualmente sono arrivato e poi Ludovico contava anche
sul fatto che io non avevo famiglia, interessi importanti, insomma ero perfetto
e basta.
M - E la casa e i cani?
A - Mah, ci hanno pensato Thais e Dianora, i
cani li hanno presi loro e la casa venduta, ma questo lo sai già.
M- Infatti, lo so, ma tutto quello che c'era
dentro, i tuoi ricordi, le foto, i libri...
A- Erano quelli che mi facevano sentire
vecchio, le donne hanno messo tutto dentro delle casse, ma non so se ho ancora
voglia di metterci le mani.
M- Insomma hai chiuso di brutto con il
passato.
A- Forse ho messo una pausa su tutte quelle
cose che mi appesantivano, non lo so, i cani mi mancano, so che mi piacerebbe
averli qui, ma non si può, nei grandi terreni delle due famiglie di Ludovico
credo che staranno meglio che con me, un sacco di spazio a disposizione e due
signore amanti degli animali, guarda con Ludovico come sono state amorevoli e
comprensive, con una bestiaccia come lui...
M- Ahahahah. Ecco, è vero. E Santiago?
A- Santiago era un imprevisto, ma anche lui è
stato contento di partecipare e lo stesso è la sua famiglia.
M- Anche loro erano d’accordo?
A- E certo, tutti congiuravano contro di noi,
ci hanno preso per il culo ammodo.
M- Ma Santiago allora
lavora con voi?
A- Santiago? Vuoi dire il nostro gioiellino?
Il luminoso futuro degli FDP? Beh, non figura, ma è dappertutto, si sta facendo
le ossa insomma, il ragazzo è un uomo ormai e c’ha le palle quadrate, qualcuno
che le telecamere vorrebbero intensamente riprendere, ma non possono, tra non
molto vedrai apparire un nuovo nome falso, tipo il giovane Werther o il medio
Montalbano, insomma qualcosa del genere.
M- Ma allora hai visto che alla fine avevo
ragione io?
A- In che senso?
M- Che era tutto uno scherzo di Ludovico, ve
lo dicevo e ve lo ridicevo, ma voi niente!
A - Sì, vabbè era uno scherzo, ma piuttosto
serio e non ci ha riso nessuno.
M- Ci sto ridendo io ora. Vabbè, ora rido ma
ho passato dei momenti di grande tristezza, quando sei sparito non sapevamo più
che pensare, Genesio diceva che eravate vivi ma lontani, Mariopio che eravate
lontani ma vivi, quei due te li raccomando, sembrano nati per fare le spie. Il
fatto che non arrivasse mai uno straccio di notizia con qualche particolare
concreto dentro ci facevano automaticamente pensare al peggio. Non so perché,
ma quando c'è un vuoto ci appare sempre minaccioso, forse perché a noi esseri
umani - quando non si capisce qualcosa - la mancanza di una spiegazione ci fa
una fottuta paura, dobbiamo almeno avere l'illusione di sapere le cose,
riempire ogni casella, avere delle risposte - anche false - ma che siano
definitive, da non doverci più tornare sopra. L'interrogativo ci spaventa,
allora è meglio un esclamativo, falso o no, non importa...
A - Ecco dove nascono le fake news, e il sensazionalismo, magari.
M - Magari, però te mi sembravi pigro e senza
particolari voglie, anche apatico, per certe cose, forse la maggior parte di
quelle attive... e ti sei buttato in questa avventura senza pensarci un
secondo?
A - Prima di tutto ci credevo e questo è
importante. Altruista in teoria, ma in pratica solitario ed egoista sono sempre
stato, ma poi, rimanendo solo e non per caso, lo sono diventato anche di più.
Quando ero sposato, a volte, visto che non riuscivo a rendere contenta mia
moglie, mi sentivo inutile. Ultimamente, visto che mi annoiavo un po' , mi
sentivo anche poco utile a me stesso.
Ecco una soluzione ai miei problemi,
improvvisa e inaspettata, ma non per questo meno interessante.
DOPO ALCUNI GIORNI
Attraverso Itacamail Marcello richiama
Alfredo, mettere su di nuovo una conversazione come prima non si può, ma anche
lui pensa spesso ai destini dell'umanità e non riesce a credere che tutto
quello che sembra essere vero, lo sia veramente, e poi in che modo?
M - A proposito, come è stato il vostro
incontro in Patagonia?
A - Una meraviglia, me lo sono trovato
davanti nel bosco d'improvviso, mi sono preso un mezzo infarto.
M - E allora che ti ha detto?
A - Niente mi ha fatto cenno di seguirlo, era
insieme a Quiroga, tutti e due armati di fucile e in mimetica.
M - Ma te in quel momento come ti sei
sentito, contento che fosse vivo, arrabbiato per averti fatto fare quella
scarpinata, insomma... come?
A - La scarpinata quella era stata dura, il
sentiero era pieno di sassi, sono caduto varie volte, dopo cinque ore di su e
giù ero distrutto e speravo di poter mangiare qualcosa.
M - Insomma che cosa vi siete detti?
A - All'inizio quasi niente, almeno io, poi
gli ho chiesto che cosa era successo e lui con il suo entusiasmo mi ha preso
alla larga, ma mi ha contagiato quasi subito, davanti a uno spiedo di qualche
animale che non ho mai saputo cos'era, ma che non me lo abbiano rivelato mi fa
pensare al peggio... e un po' di vino, in una mezza grotta nascosta, abbastanza
ospitale, arredata di tronchi e pietra, mi ha rivelato il suo piano.
Un colpo al cerchio e uno alla botte, mi ha
convinto che la mia vita era noiosa e inutile, lui sapeva benissimo che io lo
sapevo già e non ha fatto molta fatica, mi ha detto che la potevo realizzare
meglio, insomma qualche annetto lo potevo ancora vivere e con un entusiasmo
maggiore...
Dopo due giorni eravamo a Pechino. Insomma
che i cinesi non erano i nemici, ma piuttosto erano il nostro trampolino
gigante, me lo ha detto già sull'aereo, era riuscito a farmici montare senza
sapere dove andavamo e perché, ti rendi conto?
M - Ma allora la storia delle scatole rotte
ai cinesi come è andata?
A - Insomma i cinesi pare che stessero
facendo, oppure no, una ricerca sulle armi di distruzione di massa, alla fine
del 2020. I virus però sono stati (senza volontà cinese) diffusi in loco, da
probabile sabotaggio americano, dato che gli stessi USA hanno più volte
avvertito, che certe porcherie solo loro hanno diritto di farle. Vedi guerra in
Iraq per esempio, dove le armi di distruzione di massa sono state il pretesto
per la guerra e non sono state mai trovate, come volevasi dimostrare.
Sono stati loro quindi che hanno rotto le
cosiddette scatole cinesi, poi è venuta fuori la pandemia che ha ucciso anche
tanti cittadini USA, ma era la solita battaglia del bene contro il male, ci
vuole del sacrificio ed è normale, gli americani lo sanno più o meno da sempre.
A una cosa però è servita tutta questa
ingiustizia camuffata da incidente, la Cina ha deciso di appoggiare gli FDP,
cioè dopo tutta questa storia, hanno capito di quanto erano stati stronzi loro
e pure di quanto stupido fosse il dannato sistema, (costituito fondamentalmente
dalle sistematiche stronzate,) che ora finalmente, e a ragion veduta, sta
cambiando radicalmente.
M - Ma è possibile che vi facciano decidere
sulle sorti dell'umanità senza interferire?
A - A interferire ci provano ancora, e non
solo i cinesi, se è per quello, ma ormai siamo tanti e siamo dappertutto. Le
ribellioni sono informazioni utili, che vanno poi sul loro libro nero, queste
sono cose che poi capiscono, piano-piano, che non gli faranno comodo.
M - Insomma siete una dittatura.
A - Beh, la democrazia ha fallito, anche
perché era solo una finzione, parliamoci chiaro: noi siamo una dittatura
democratica, se proprio si devono usare parole del passato, ma sono due
vocaboli che mi piacciono poco, anche se per motivi differenti.
M - Usando parole moderne invece?
A - Non ce ne sono, siamo nascosti ancora,
agiamo nella penombra. Vogliamo portare dei fatti prima delle frasi
fondamentali, questo è uno dei nostri motti interni, una volta si faceva il
contrario e non è servito a tanto, mi pare, se non a peggiorare la sensazione
tra la gente di essere costantemente presi in giro.
M - E poi i giornali perché non ne parlano?
Io del Cucù non ne avevo mai sentito parlare.
A - Forse non hai insistito nel cercare,
magari perché non conoscevi la nuova definizione. Qualità e Quantità, il QQ è
un organo pubblico e globale, cosa veramente fa e come, beh... questo lo già è
meno, e non per caso.
Siamo dentro anche dei giornali noi, invece
di dare fake news si omettono certi aspetti anche importanti, che i potenti
possano ancora fare la figura di chi decide le cose, si prendono perfino il
merito a volte, pensa un po' alla sottile ironia delle cose, sebbene prima
siano contrarissimi.
A noi non ce ne importa, del merito, ma loro
a volte cominciano a crederci, insomma, che fare del bene sia un bene anche per
loro.
M - Ma omettere in un certo senso è già una
falsa notizia, o sbaglio?
A - Sì, il marcio sistema precedente se ne è
beneficiato per decenni, mischiando le notizie vere con le false, un metodo
americano che ha funzionato puntualmente. Ora ce ne serviamo anche noi, però a
fin di bene.
M - Ah... e quel discorso dei microchip e
della moneta unica, il denaro solo virtuale?
A - No, l'idea è contraria ai nostri principi,
sempre stata campata per aria e prematura, forse un giorno quando onestà e
integrazione saranno molto più completi. Ora è troppo presto e sarebbe una
bandiera che funzionerebbe al contrario, una propaganda da gangsters!
M - Ecco, mi pareva anche a me.
A - No, bisogna fare dei passi significativi
e anche simbolici prima, e forse dopo, compiute e navigate queste misure, non
sarà nemmeno necessario, ma occupiamoci prima di cosa è più urgente e
fondamentale, ci sono tante cose da fare. Speriamo non troppe.
M - Sarebbe bello se riuscissi a crederci,
che tutto questo stia veramente accadendo, ma non riesco a figurarmelo. Ma è
veramente possibile?
A - Le cose non sono così difficili, guarda,
basta volere veramente quello che si dice e si pensa, e non mirare al vantaggio
personale, o solo di una cerchia di parenti o amici. Anche i ricchi e i super
potenti possono lentamente cominciare ad accontentarsi di 50 se non possono
avere più 500, tanto per fare un esempio scemo ma calzante. Anche loro possono
abituarsi come la rana e l'acqua calda, un principio che funziona sempre.
M - E come vengono scelti i vostri
collaboratori?
A - A questo lavoriamo costantemente, limando
i requisiti e i valori sani da proteggere, in fondo ora la tecnologia permette
di conoscere il percorso storico di una famiglia, o di una persona. Ora le
notizie sono più disponibili di una volta, in una rete di informazioni che sta
diventando sempre più capillare, rispetto a un tempo. Le informazioni sono
totalmente FDP e NO SUV, anche se sono nomi che non si usano più, sui giornali
e nei telegiornali, ma non ci sono che piccoli tipi di fuochi di ribellione,
sempre più rari.
M - È
una specie di comunismo o no?
A - Forse sì, ma un po' più intelligente, mi
pare, almeno lo spero. L'idea è anche non diventare fanatici, come è sempre
successo, sviluppare e mantenere sempre un senso critico.
M - Insomma più diritti e meno privilegi per
tutti.
A - Questa è l'idea base, ma visto che te ne
sei rimasto fuori per questi due anni, la stampa e la televisione hanno quasi
taciuto, non ti sembra che qualcosa stia cambiando?
M -
Sì, è vero c'è un bel venticello di primavera, anche ora in piena
estate.
A - Meno male.
M - Ma questo non significa che l'autunno e
l'inverno non torneranno!
A - No, infatti, però c'è una fiducia che
cresce, anche questo è importante, prima, solo due anni fa, si andava verso il
baratro e la speranza andava scemando giorno per giorno, spero che la gente si
ricordi anche di questo.
M - La gente ha la memoria corta, lo sai
anche te.
A - È vero e può anche essere che qualcosa
vada storto, succederà senz'altro, se non è oggi sarà un domani. Ma noi del
Cucù pensiamo anche a questo, c'è un consiglio di 400 persone che lavora a un
piano psicologico e sociale...
M - E
dov'è questo mostro nascosto?
A - Ognuno a casa sua. Le riunioni sono in
videoconferenza ogni lunedì, a livello di gruppi per continente, il primo del
mese a livello mondiale.
M - Madonna mia... ma dimmi una cosa: tu e
Ludovico avete le stesse funzioni?
A - Sì, dipende un po' dalle esigenze
contingenti, ma il vero capo è lui e in confidenza direi che se deve portare
qualche cambiamento importante prima ne parla con Nadine, che dietro a tutto il
meccanismo c'è ancora lei. Un cervello multifunzionale e silenzioso, ma quando
parla poi ti massacra. A difesa delle donne e dei loro diritti poi non ti
mettere contro di lei, e c'ha ragione, ma a volte ce lo deve ricordare a
mazzate. Specialmente a Ludovico, quello è maschilista per ragioni anche
storiche-geografiche, essendo argentino e lei glielo ricorda spesso.
M - Insomma una specie di matriarcato!
A - Sì, se devi dare un nome a tutto, e se
questo ti può aiutare... e se non me lo hai chiesto prima, te lo dico ora, io
sono il terzo in ordine d'importanza e Santiago il quarto, ma non per molto,
tra poco saremo tre al vertice, le sue
capacità e responsabilità stanno crescendo e io e Ludovico siamo sempre più
provati dalle fatiche erculee sopportate con entusiasmo, ma sempre pesanti
quelle erano e sono.
M - Ma te e Ludovico non litigate mai?
A - Un giorno sì e uno no, raramente è pure
successo che abbiamo passato una settimana intera senza prenderci per i
capelli, magari eravamo lontani e pensavamo materialmente ad altre cose, ma
visto che ormai siamo pressoché pelati... beh... è logico, siamo più stanchi,
appagati e disposti alla conversazione pacifica, alla sana evoluzione
dialettica e allora sono Santiago e Nadine che s'incazzano con noi, ci prendono
anche un po' per il culo... a dir la verità.
Ci vuole pazienza. L'oggi non è ancora
spuntato e poveraccetti noi siamo già l'ieri.
M - Insomma, correggimi se sbaglio, voi siete
una dittatura nascosta all'ombra dell'ex comunismo cinese, diciamo piuttosto
magnanima e democratica. Anche se qui la parola democrazia, come sempre, è da
mettere tra virgolette, spesso per causa delle notizie parziali e delle
omissioni di cose fondamentali. Pure voi credete al bastone e alla carota,
allora!
A - Sì.
Non ci facciamo illusioni, il popolo non sarà tanto maturo da
accettarci, almeno per un bel po'.
M - Quindi in un ipotetico futuro diventerà
tutto pubblico.
A - Non si sa ancora quando, ma il piano è
questo.
M - E se non succedesse mai?
A - Le cose non sono affatto automatiche
Marcè, famo a capisse: il
vantaggio personale è ancora più importante della coscienza politica di
integrazione. È normale e logico, per quanto pure sia un'imbecillità, ma tutto
marciava in quella direzione. Se prima il sistema ti portava quasi
automaticamente alla disonestà, in nome di un cazzo di privilegio, ora si sta
marciando verso un'idea di giustizia meno ipocrita e le leggi nuove vanno verso
un discorso di pace e di distribuzione
dei capitali, con un occhio sempre verso la decrescita e l'ecologia. Il ritocco
dei salari è costante e scientifico, rispetto anche al costo della vita, ai
valori diversi delle monete in corso nelle tante nazioni.
La gente, un buon numero degli umani resi
ancora più ciechi dagli ultimi anni di disinformazione e di lavaggio del
cervello, sono ancora in assoluto contro la violenza, dicono che niente giustifica
quello che è stato fatto. Una vita umana non si toglie in nessun caso. Ma
nemmeno se quello che ha fatto e sta facendo è disumano?
M - Forse una volta la pensavo anch'io così,
confesso.
A - Qualche volta, anni fa, avevo dei dubbi,
ma Ludovico me li ha levati tutti. Come fai a convincere certi individui a
comportarsi per benino, se non a schioppettate? Se hai in mano delle notizie
che non sono false come al solito, sai che non ci sono dubbi, bisogna
eliminarli. E la loro fine sarà di esempio agli altri, che solo allora
inizieranno a cambiare.
M - Ma non subito.
A - No, non proprio subito, ma ci vorrà meno
tempo di quello che si potrebbe pensare.
M - Perché?
A - Perché la gente non sa cosa è giusto o
sbagliato, cosa è bene o cosa è male, imita quello che fanno gli altri. Se il
sistema comincia a ingranare, la gente prima si sorprende, poi rimane indecisa,
dopo si compiace. Copia l'altra gente, fisiologicamente e per lo stesso motivo
per cui prima tutto stava degenerando, se la tendenza s'inverte vedi che
succede il contrario.
Pensa ai cristiani perseguitati e ammazzati
con piacere dai romani, persino usati come sanguinoso spettacolo nei colossei
dell'impero.
È bastato che uno a caso, che quello si
convertisse per tirarsi dietro tutti gli altri! Va bene che era l'imperatore,
ma vedi che la democrazia alla fine porta gli imbecilli, manovrati dai
delinquenti, a governare sugli altri.
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