Capitolo I
Una foto di scuola
A partire da una
foto di classe in bianconero, ho pensato a dove erano andati a finire i
ragazzini che erano stati a scuola con me alle elementari o anche oltre. Un
arduo interrogativo tra i tanti che ci si potesse mettere a cercare in qualche
modo di risolvere, ma un po’ più antropologico di altri, uno studio forse quasi
statistico sul senso della vite e non della vita.
Come se fosse proprio una vite che gira per conficcarsi sempre di più nel legno, metaforicamente spinta da un cacciavitone cosmico, quindi un senso non tanto filosofico, ma quasi fisiologico, di un’umana esistenza. Comprendere la vite degli altri mi serviva per capire meglio la mia e il legno in cui mi si conficcava, volente o nolente, con più o meno entusiasmo.
Il problema iniziale era la distanza di migliaia di chilometri, dato che vivo in Cina ormai da trent’anni, ma c’era ancora un fratello là, in Italia, a Bacchio, comune di Zorca. Una sorella poi non troppo lontana, e quasi definitivamente maremmana. La Maremma aveva affascianto anche me, ma solo dopo essere andato a vivere all’estero, prima non la conoscevo abbastanza.
Almeno potevo
dormire a casa sua, di mio fratello Gino, mentre mi perdevo nelle pieghe e
forse anche nelle piaghe del passato e dell’antropologia spicciola e piuttosto
maccheronica.
L’idea mi
piaceva anche perché avrei dovuto fare un po’ come fa un investigatore, andarli
a cercare uno per uno e parlare con la gente per chiedere informazioni, poi con
loro stessi, se li trovavo.
Il poliziesco,
quello buono e purtroppo raro, che forse oggigiorno si chiamerebbe noir, è l’unica inchiesta sull’umanità e
sulla relativa vita che mi piace ancora di leggere, perché non si perde nei
meandri della filosofia, del senso dell’esistenza, se non in maniera pratica,
giornaliera dei piaceri e dei dispiaceri della routine.
Però prima di
tutto mi sarei dovuto ricordare dei nomi, tanti o pochi che fossero, magari
avrei potuto chiedere ai primi che trovavo.
Il grosso
problema erano le mie amate bestiole, avrei dovuto trovare qualcuno per stare
con loro, almeno qualcuno per dargli da mangiare e bere.
Gennaro ci era
abituato, per anni era restato lì con Giulia, (la cagnetta che poi era morta
dopo pochi anni dal mio ritorno) quando io ero in Italia per via di mia madre
con l’alzheimer, ma Marina no. L’avevo presa dopo Giulia, per far compagnia a Gennaro
e da quel momento non avevo passato più di tre o quattr’ore fuori casa,
attualmente aveva due anni e qualcosa.
I due gatti poi,
Buccia e Poldo, anche loro avevano passato quel periodo scuro, semi abbandonati
per tre anni e mezzo, ma con un paio di persone fidate che venivano a dargli da
mangiare e una non troppo falsa sensazione di affetto.
Quelle stesse
persone sono state quindi convocate e hanno risposto con il consueto
entusiasmo, anche perché li pagavo in euro e tradotti in yen erano soldi utili.
Però lo so che lo avrebbero fatto anche per niente, lo hanno già fatto per
periodi corti. La gente qua è così simpatica e disponibile che a volte, quando
ti aiutano, non sai se lo fanno per il proprio piacere, per la considerazione
che provano nei tuoi confronti, o per la loro naturale bontà. Forse un misto
delle tre cose, i cui componenti ci sono sempre, ma in percentuali fluttuanti e
perlopiù sconosciute.
Non ho comunque
avuto il coraggio di guardare gli occhioni di Marina, quando chiudevo il
portone, prima di prendere un taxi per l’aeroporto.
Gli occhi dei
cani sono laghi lucidi di struggenti riflessi in superficie, profondi di amore
incondizionato, che mi commuovono assai, anche solo a pensarci, quando loro non
ci sono.
Prima ho detto
improbabili, a proposito di quei felloni dei felini, perché io non li volevo, era
stata An-Zhan, mia ex moglie, che li aveva voluti e avevo resistito anche un
po’, ma poi mi erano fin troppo eccessivamente piaciuti.
Sul taxi speravo che non avrebbero sofferto, già sapendo che invece sì, cercavo di pensare ad altro e così non li ho lasciati con la mente fino all’aeroporto, neanche per un secondo.
Mi ripetevo di
farla finita, ma il pensiero umano non conosce la negazione, poi le necessarie
pratiche di prima del volo mi hanno assorbito e mi hanno fatto sentire più
pimpante e meno triste.
A proposito: una cosa che non mi piace dei cinesi è che mangiano i cani, ma
è probabilmente solo una resistenza culturale. Comunque si sbafano anche tanti
altri animaletti che a noi non ci piacerebbe nemmeno pensarlo, ma per altri
motivi.
Però una cosa che ricordo ai miei guardiani, per scherzo ma sul serio, ogni
volta che parto, è che i miei cani non sono commestibili, loro ridono con la
faccia, ma gli occhi mi sembrano piuttosto sul perplesso.
Mio fratello
Gino si è dimostrato pieno di dubbi sulla mia iniziativa, ma disposto a
lasciarmi dormire da lui. Tra le prime cose che ha detto, una mi è rimasta
impressa: che ogni volta che mi vede gli occhi mi si sono strettiti. Come due
fessure, a forza di stare con i cinesi, secondo lui. Che parlo come un barese
che abbia vissuto per anni ad Aosta o a Gorizia, insomma sulle montagne del
nord. Secondo me è tutta suggestione, ma non ne sono proprio sicuro.
Gino non mi
capisce tanto e io non capisco lui, ma abbiamo sempre un rapporto di sangue che
non è poco, il mio fratello e la mia sorella sono le persone che conosco da più
tempo e abbiamo tanti ricordi in comune, alcuni anche piuttosto belli.
Tanto per fare
un esempio, non ha mai compreso perché io me ne sia andato a vivere in Cina. Se
è per quello nemmeno io l’ho capito, ma la vita è così, crediamo di poterla
controllare invece no, ci sbagliamo, solo in minima parte e non sappiamo
neppure quale.
Forse cercavo
riparo dalle persone e i cinesi mi parevano cose di un altro mondo, magari
neutri e tutti uguali, forse mi sbagliavo, ma non del tutto.
La logica
orientale mischiata con un certo tipo di comunismo mi confonde ulteriormente le
idee.
Capitolo II
Bravo Gerlando!
Mi sono
stabilito nel seminterrato come le altre volte, non era cambiato molto, ma
aveva due cani nuovi e diversi gatti che entravano e uscivano di casa, da un
rumoroso sportelletto nella porta. Spesso andavano a mangiare altrove, dai
vicini di casa, alcuni anche piuttosto lontani.
Tornando al
motivo del mio raccontare, volevo partire dall’inizio, per quanto riguardava la
mia ricerca, come una ragionevole logica vorrebbe, ma proprio dall’inizio non
era possibile. All’asilo i nomi e i ricordi erano troppo nebulosi, e lo stesso
ai primi anni delle elementari, che si accavallavano inoltre con quelli
dell’asilo, ho stabilito quindi la quinta elementare come inizio.
Alcuni dei nomi
in questione corrispondevano a persone che avevo incontrato di nuovo e anche
frequentato un po’, come nel caso di Gerlando, quando me ne venivo a Bacchio.
Sapevo che mi
poteva dare indicazioni, lui questa gente del circondario ha continuato a
frequentarla per tutti questi anni, per fortuna e poi per i fatti altrui e
relativi pettegolezzi ha una ottima memoria, oltre a un vinello bianco fresco
che fa personalmente e di solito se lo beve tutto lui, al tavolino sotto il
vecchio albero di cachi, lo abbiamo sorseggiato con piacere.
“Se mai leggerò
un libro, un giorno, potrebbe essere uno dei tuoi.” Ha detto in
quell’occasione. Magari solo per farmi piacere, sfoggiando una frase che ha
sentito dire a qualcuno alla televisione.
“Non credo che a
sessant’anni inoltrati uno che non ne abbia mai letto uno possa riuscire a
farlo.” Ho commentato io distrattamente.
“Non andà dietro
alla logica del tu’ cervello - ha replicato lui – quante volte ti ha già
fregato?”
“Mai.” Ho
mentito io.
“Certo le tu’
storie so’ un po’ difficili, vabbè, in fondo-in fondo chi se ne frega della
Cina?
Ma chi cazzo li
compra i tuoi libri, me lo spieghi?”
“Boh? I cinesi
credo.”
“Però, se da
queste tue biscarate niente-niente nascesse un libretto, magari non troppo alto
di spessore - non troppo alto di spessore...
E chi lo sa? E
chi lo sa?
Non ipotechiamo
le ipotesi, sarebbe un’ipotenusa, o un’iperbole; che ne so io?
O no?”
Gerlando ripete
le sue frasi più volte, parla spesso con parole che lui stesso non comprende
bene, le ha sentite da qualche parte e gli sono piaciute.
“Prima che tu ti preoccupi invano, qua e in
italiano i libri non ci sono.”
“Cioè tu scrivi
in cinese?”
“No, scrivo in
italiano, poi c’è un traduttore che ovviamente traduce, la copia in italiano ce
l’ho io a casa nel computer, ma il libro in questione non viene pubblicato in
Italia, né in Europa, diciamo che non esce dal mercato cinese.”
“Nemmeno in
internet?”
“In internet
c’è, hai voglia te, un numero infinito di copie virtuali, ma solo ed
esclusivamente in cinese.”
Per un attimo ha
pensato di impararsi il cinese, a giudicare dall’espressione della faccia, la
sua mentalità è talmente basata sulla curiosità che non esclude a priori
nemmeno le cose più improbabili e stronze. Naturalmente non sono stato a
spiegargli che di cinesi ce ne sono anche diversi e non sono difficili
oralmente, ma piuttosto ostici, data la nostra cultura occidentale, nella
lingua scritta.
Rossiccio di
capelli e pieno di lentiggini in faccia, è di famiglia siciliana al 100%, ma è
nato qua, in mezzo ai campi di Bacchio e non si è mai mosso. Abita ancora nella
casa di pietra e mattoni dove ha passato tutta una vita, si è sposato e ha due
figlie grandi, che lavorano nel ramo della gastronomia, se anche l’Eataly di un
Farinetti con i baffi si potesse definire tale.
Ha lavorato come
meccanico, all’inizio, poi come falegname, ora in giro non ce ne sono rimasti
tanti, ma lui è andato in pensione da poco.
Ricordo che suo
zio Otello, (che attualmente è un vecchietto un po’ storto, ma abita ancora
lì,) tra un rutto e una scorreggia, faceva dei bei mobili, che in piedi
disegnava lui stesso, nel garage o rimessa, con il pavimento di terra battuta e
il portone sempre aperto, anche con la neve.
Gerlando fa
delle cose più semplici, più che altro modifiche e aggiustature di porte,
finestre e cose di questo genere.
Mi ha detto che
ha visto un film con Sergio Castellitto che va in Cina per lavoro, insomma per insegnargli
a quei cazzi di cinesi come si fa un determinato pezzo di metallo, che loro non
sanno fare e vorrebbero imparare.
Una volta sul
posto la sua è un’esperienza interessante e tutto, pure nel capire che ai
cinesi, nel frattempo, di quel pezzo non gliene frega più niente.
Anche se non ha
mai letto un libro, di lui mi garba che è veramente e sempre interessato ad
ogni argomento possibile. Fin da bambino è stato esageratamente curioso e a
modo suo, per certe cose, ha un cervello che funziona.
È praticamente
incapace di stare al chiuso, anche con il freddo, la pioggia e con la neve
inventa cose da fare fuori e le mette in pratica.
Quello che non
mi piace tanto di Gerlando è che a volte ti tempesta di domande, di cui poi non
ascolta la risposta, non ce n’è il tempo materiale, che è già partito il
prossimo interrogativo in questione.
Se non sei
preparato ti mette in difficoltà, ti chiude in un angolo virtuale e lì ti
annoda il cervello, ti richiude in un bozzolo, come fa il ragno con le sue
vittime. Lo mandi affanculo inutilmente, lui non se ne accorge nemmeno.
Eppure è una di
quelle persone che vedo volentieri, quando vengo in Italia, forse perché
abbiamo passato tanto tempo insieme da bambini, o perché nonostante tutto ha
vissuto meglio di certi pseudo-intellettuali e lo stress, propriamente detto,
lui non sa cos’è, eppure sa a menadito come provocarlo al suo prossimo.
Alla fine è più
gradevole di tanti altri, se si riesce a interromperlo puntualmente... e più
interessante di buona parte di quella gente che ha studiato o avuto una vita
più varia o più piena di movimenti cervellotici. Gerlando non ha mai smesso di
essere sé stesso e non conosce la falsità. Eventualmente la provoca negli
altri, ma non se ne fa una colpa.
Mi ha fatto
vedere una delle tante chiesette che ci sono qua per i campi e per i boschi, mi
ha spiegato che se avessi delle difficoltà nella vita dovrei venire a pregare
qua. Quando sua moglie si è ammalata sembrava che dovesse morire e lui veniva
qui, di giorno o notte che fosse, si inginocchiava e diceva una sfilza di
orazioni tutti i giorni.
E ha funzionato.
Sua moglie era
grassoccia e ora è magra con tanti puntini sulla faccia che si vedono solo da
vicino, o forse sono solo minuscole piaghe della pelle. Quando è arrivata non
l’ho nemmeno riconosciuta, ma lei non ci ha fatto caso, deve esserci abituata.
Ecco un’altra
cosa che io non sono mai stato curioso di sapere, di che malattia ha avuto la
gente, di cosa soffre e di cosa muore. Non glielo chiedo nemmeno, tanto per
queste cose non c’ho memoria, se mi dicono un nome di qualcosa ecco che me lo
scordo subito e la prossima volta che ne sento parlare è come se fosse automaticamente la prima.
Comunque in
questa meravigliosa mattinata di giugno abbiamo fatto insieme un pro-memoria
scritto su taccuino dei compagni di classe.
In quinta
Gerlando non c’era più, era stato bocciato in quarta, ma la gente di qua lui la
conosce bene, sa tutto di tutti. Chi non sa chi è, perché è arrivato da poco,
ed è solo una breve questione di tempo, ora che è pensionato attacca discorso
con tutti, ma anche prima era uguale, il tempo e il modo lo trovava.
Grande
frequentatore di vari bar, non disdegna la discussione sportiva, all’occorrenza
anche urlata, come ai vecchi tempi. Una volta era tifoso del Milan, poi ha
iniziato a stare per il Torino, mi sono sempre dimenticato di chiedergli
perché.
La mia domanda
standard, alla fine ideale dell’intervista, era il senso della vita, alla quale
Gerlando non ha risposto direttamente né indirettamente, come la maggior parte
degli individui non era preparato a farlo.
Però ho capito
che lui, essendo nato e cresciuto in campagna, gioiva dei piacere piccoli e
quotidiani, e amava incondizionatamente la natura.
Da bambino era
molto più pestifero e rompiscatole, da adulto e vecchietto era certo diventato
piuttosto saggio e mi pareva avesse dei valori autentici e stabili. Lo ho
sommariamente soppesato e considerato parecchio positivo. Certo posso
sbagliare, ma ho un certo istinto della ragione.
Capitolo III
Il pensionato Checco
Il pensionato è
uno stadio della vita a cui non avevo mai pensato un giorno di appartenere, la
corsa forsennata di un essere umano, prima di arrivarci, non permette eccessive
pause, ma mi incuriosiva, quando vedevo degli anziani disorientati che non
sapevano come usare tutto quel tempo libero.
Da bambini il
tempo non bastava mai e per anni, se non decenni, la vita è sempre avara di
ideali spazi liberi da percorrere, si ha sempre così tanto da fare, sui binari
del già vissuto da qualcun altro, che quando improvvisamente tutto davanti ci
appare vuoto, logicamente ci fa impressione.
I binari del
pensionato poi sono ancora più stretti e portano sempre nei soliti posti, i
limiti che abbiamo sono ancora maggiori perché abbiamo meno forza e meno
resistenza.
Sono sempre
rimasto affascinato dalle famiglie, ma quelle degli altri, perché la mia mi
faceva soffrire e basta, almeno questo mi pareva.
La famiglia, in
un modo o nell'altro, in maniera anche discontinua, mi è sempre sembrata un
assurdo. Costringe la gente a fare quello che non vuole, anche di più del
consueto esterno alle famiglie, per periodi più o meno prolungati. Finché uno
scappa, trova un amante o due, da' di fuori di matto. Insomma ci sembra
evidente che la stessa coppia, anche senza figli, nei tempi moderni, appaia
sempre di più difficile a durare.
Mettiamoci anche
il fatto che il nostro periodo di transizione, come tutti quelli dietro o
davanti, per ognuno e da sempre, ma un po' di più perché ora noi lo
attraversiamo in prima persona, ci faccia trovare in ritardo su tutto.
A cominciare da
ogni attuale forma di arte, ma anche della comicità popolare o dei film di
tanti tipi che vengono fatti.
Se io prima
pensavo di aver sbagliato pianeta, ora ne sono sempre più convinto e non so
neppure quale sarebbe stato quello giusto e se sia mai esistito.
Insomma la
società, di cui sento da sempre parlare dagli altri, che non ho mai capito in
cosa consiste e se io in un modo o nell'altro ne faccia parte o no, sta
cambiando più o meno costantemente e a me non piaceva neanche prima,
figuriamoci ora.
I desideri
comuni, gli obbiettivi e perfino i sogni della gente non solo non li condivido,
ma mi fa perfino soffire quando penso che fino a una certa età, non so neppure
quando ho smesso, mi ci sono rapportato anche io. Non capisco se non mi piacciono perché non mi
sono riusciti, o se non mi sono riusciti perché non mi piacevano.
La stessa
maniera di scherzare, tornando sempre sui luoghi comuni e stereotipi triti e
ritriti, mi fa tristezza, vedere che un tempo sia i film che le scenette
comiche mi piacevano e ora non li sopporto più, nella maggior parte dei casi.
Forse ero solo
innamorato della mia ex moglie, ma andare a vivere in Cina è stata anche una
fuga.
Mi rendo conto
che in Cina io sono sempre stato curioso di capire e di integrarmi alla loro
cultura, ma non mi ci sono mai completamente immedesimato, rimanendo in
contatto attraverso film, foto, filmati e poi negli ultimi anni in internet con
l’Italia e l’esistenza del paese in cui sono nato e cresciuto.
Gli esseri umani
però mi fanno ancora curiosità, specialmente gli italiani, riescono sempre a
sorprendermi, non necessariamente in maniera positiva.
Un mio sardo
conoscente, scrittore non professionista anche lui, mi chiese perché nei miei
racconti e romanzi parlavo sempre e solo degli esseri umani.
Lui aveva appena
pubblicato un romanzo in cui parlava esclusivamente di animali, rigorosamente
non domestici, ma suo malgrado non avevano certo la maniera di pensare diversa
dagli uomini e questo a lui non glielo ho mai detto.
Tornando alle
interviste ai compagni di scuola Gerlando mi ha portato facilmente da Checco,
originariamente Francesco, che abitava attualmente a meno di cinquanta metri da
lui.
Avevamo fatto le
scuole insieme, non solo le elementari ma anche le medie, poi lo avevo
ritrovato al liceo. Insomma ero più amico di lui che di Gerlando, anche se
erano anni che non lo vedevo e abitava da poco vicino al siciliano.
Anche lui era
uno di quelli che non aveva mai aperto un libro, appena finito le scuole, ma il
liceo lo aveva finito ed era figlio di liberi professionisti, aveva avuto
addirittura una fidanzata norvegese e aveva viaggiato abbastanza.
È stato contento
di vedermi e mi ha detto una cosa alla quale non avevo mai pensato, cioè che io
ero stato il suo primo amico, forse perché io invece ne avevo avuti altri
prima.
Poi mi ha
sorpreso con un altra verità divertente:
“Mio fratello
c’ha una moglie che non gli rompe i coglioni.” Mi ha detto a voce bassa, perché
la sua di moglie non lo sentisse, dalla stanza vicina, sottintendendo evidentemente che era un fatto
sorprendente giacché le mogli questo fanno di solito – come tutti ben sanno - e
se ne trovi una che non lo fa è una preziosa eccezione e degna di essere
raccontata agli amici.
Mi ha raccontato
la sua vita fino a quel momento, esprimendosi bene e in maniera assai
razionale, mi sono ricordato che a scuola lui era molto meglio di me e studiava
perfino, cosa che io non ho mai fatto.
Checco era stato
abbastanza fortunato dal punto di vista finanziario, visto che io genitori gli
avevano lasciato un bel gruzzolo, ma aveva lavorato fino a poco prima come
professore di ginnastica.
Era un buon sciatore
e la sua passione maggiore era quella di andare a fare delle settimane bianche
che a volte diventavano perfino mesi.
Una persona
razionale e sempre di buonumore, che aveva vissuto un’esistenza piuttosto
interessante, ma che non si era mai fermato troppo a pensare al senso della
vita, e questo era un fatto positivo.
Con lui e tanti
coetanei che ho ritrovato sia nella realtà dei fatti che nei pensieri a
ritroso, condivido una significativa mancanza di ambizione che se può essere
anche giudicata negativa da altri esseri umani, per me rimane una cosa bella e
che non vorrei assolutamente cambiare.
Era stato lui
che mi aveva fatto sentire per primo brani di musica pop, della quale in
seguito mi ero appassionato anche più di lui. Aveva un fratello più grande che
era stato medico, ora in pensione, che non mi era tanto simpatico per poco che
lo avessi frequentato.
Anche Checco non
aveva figli e sembrava una persona sensibile, ma che aveva capito al più presto
che invece di scavare, come me, nella psiche umana e disumana, era meglio
rimanere sulla buccia, pur non essendo un superficiale, conversava con gli
altri magari di cose non troppo fondamentali come lo sport.
Era un grande
tifoso della Juventus, come io ero stato e forse lo ero diventato perché da lui
influenzato, ma ora me ne fregavo.
Per Checco il senso della vita era stare bene, non ha detto avere soldi,
perché quelli ce li aveva e non aveva dovuto sforzarsi per averli, ma
sicuramente apprezzava quella sicurezza che gli aveva permesso di lavorare poco
e di godersi la neve e le sciate, di comprarsi un vecchio fienile già
ristrutturato e di strutturarlo di nuovo, secondo i gusti della moglie.
Una cosa che mi
parve buffa era che lui ed Emanuele, altro ex compagno di classe che avrei
visitato, erano convinti che i tifosi dell’Inter, eterna rivale della Juve,
fossero tutti malati mentali inguaribili. Assolutamente tutti si rifacevano a
modelli comuni di gente rozza e incapace di guardare in faccia la realtà,
speravo solo quella calcistica, ma lui ci ha tenuto a puntualizzare che anche
in quell’altra più ampia e importante erano gretti e senza speranza, che le due
cose non si potevano scindere, era proprio uno stile di vita.
La sera mi ha
invitato a cena, io ho portato una bottiglia di Bolgheri, consigliatomi dal proprietario
dell’alimentari di Bacchi, conosciuto di recente. Ce la siamo bevuta subito
mangiando e la cena era ottima, sua moglie mi pareva affabile e cucinava bene.
C’era anche
Emanuele, intervenuto a sorpresa, altro compagno interessante del liceo e delle
medie, che abitava più vicino alla città e alla sua maniera un quasi
intellettuale, sebbene di lavoro avesse fatto il rappresentante di industrie
alimentari.
La parte dopo il
lauto pasto e alla seconda bottiglia di vino, stavolta un prezioso Segale,
prodotto in uno scosceso podere collinare lì vicino, l'abbiamo dedicata alla
formale intervista, davanti alla TV che trasmetteva una partita di calcio
registrata, degli ultimi mondiali ai quali l'Italia aveva partecipato, dopo
invece ci ha rinunciato per due volte, riuscendo in ultima sede a essere
eliminata dalla fortissima Macedonia Nord.
Il dibattito è
partito da quella discussione sul motivo per cui l'Italia, una volta glorioso squadrone, era diventata una
squadretta e loro, specialmente Checco, non credevano affatto che fosse perché
nel campionato italiano non ci fossero quasi più giocatori peninsulari, come a
me pareva piuttosto evidente.
Il mio
obbiettivo era, senza stare a specificarlo a loro, sapere come se la passavano
e come era stata la loro vita.
Per certe cose
mi parevano acuti osservatori, per altre invece ottusi e fanatici, come forse
ero anch'io, senza rendermene conto mentre tentavo di fare l'antropologo
dilettante senza averne le basi scientifiche.
Anche Emanuele
era uno senza problemi di soldi, già dal fatto che andava alle partite
all'estero della Juventus diceva che ci volevano dei soldi per farlo, il suo
lavoro di rappresentante doveva avergli fruttato bene, ma la sua famiglia non
era tanto benestante quanto quella di Checco.
Ricordai che al
liceo erano nell'ultima fila di banchi, i tre centrali e con loro c'era anche
Pietro, che erano inseparabili anche nel tempo libero, ma ora lui faceva un
altro tipo di vita, un pendolare di lusso, e con loro non si incontrava più.
Avrei dovuto
visitarlo e mi informai con loro come avrei potuto trovarlo, era da qualche
anno che non lo vedevo, ma tramite anche altri amici e conoscenti sapevo più o
meno quello che faceva.
Emanuele aveva
sposato una ragazza di Bacchio che avevo conosciuto anch'io, ma non mi era mai
piaciuta, perlomeno molto poco come persona, troppo rigida e limitata di idee,
a mio parere.
Lui infatti
l'aveva lasciata, aveva cominciato a tradirla con una inglese, già da tempo e
Checco mi aveva raccontato che tutte le sere andava a telefonarle inventando
che doveva fare un giro a piedi per poter dormire meglio.
Emanuele parlava
bene l'inglese e aveva parenti a Ipswich dove andava spesso in vacanza, forse
lei l'aveva conosciuta là.
Ogni tanto gli
facevo domande sul suo lavoro, ma ne parlava malvolentieri, cambiava sempre
argomento. Sono riuscito a capire che trai suoi prodotti c'erano le patatine
San Carlo e che con il tempo era diventato un capo area, il che significava che
non doveva più andare in giro a vendere, ma che ci faceva andare i suoi
sottoposti, se ben avevo inteso, lui rimaneva in ufficio, o a casa a coordinare
le attività dei più giovani.
Essendo sempre
stato un pessimo venditore io mi chiedevo come facevano gli altri a diventarlo
e a riuscirci, ne ero curioso e pensavo che prima di tutto bisognava essere bugiardi. Lui non
mi sembrava un mentitore come tanti altri, a parlarci ora però, e ricollegando
quello che di lui avevo capito prima, non mi pareva proprio il tipo
dell'imbonitore, eppure lo era stato e con buoni risultati, era logico credere.
Aveva un figlio
grande, che Checco mi fece notare subito, era pelato come lui, sottintendendo
la palese somiglianza con il padre.
I due si
prendevano in giro spesso e credo con argomenti più che collaudati.
Una cosa che
venne fuori e mi risultò incomprensibile, perciò interessante, che Emanuele era
stato, con il figlio, già sposato e padre di figli, alla corrida di Pamplona
dove la gente per strada si diverte a farsi rincorrere ed eventualmente
incornare dai tori.
Il gusto per il
pericolo, l'adrenalina che scorreva selvaggia dentro di loro, spingeva questa
gente a fare cose che io non avrei mai fatto e allora era proprio quello che mi
affascinava.
A volte avevo
pensato di essere un vigliacco, eppure avevo fatto cose che gli altri
ammiravano per la dose di coraggio richiesta, per esempio da chi fa dei grandi
cambiamenti nella sua routine, in maniera da allontanarsene e dimenticarsela,
oppure a guardarla con il necessario distacco per comprenderla.
Tutto sommato
ero uno al quale, non diversamente dagli altri, mi facevano paura cose che loro
non temevano e viceversa. Insomma a mio vedere i pericoli non me li cercavo e
facevo quello che mi piaceva, quando vedevo che era necessario cambiare, non
esitavo a sovvertire l'ordine della mia vita.
Non capivo
quelli che dicevano che non avrebbero cambiato una virgola del loro passato, io
lo avrei fatto volentieri invece, anzi: se avessi potuto, anche tornare
indietro e cambiare più volte, come in quel film americano, ultimamente copiato
da Antonio Albanese, in cui il personaggio principale è condannato a vivere e
rivivere lo stesso giorno all’infinito, finché impara - a forza di botte - a
essere un uomo migliore.
Emanuele a
differenza di Checco era uno che leggeva assai, qualche titolo corrispondeva ai
miei preferiti, ma la maggior parte invece no. Per prima cosa per lui gli
inglesi erano eccezionali, esempi da copiare, io non ero d’accordo, ma lo
ascoltavo con piacere, sapeva tante cose e perlopiù ragionava bene.
Per Emanuele il senso della vite era quello che gli permetteva di vivere
e apprezzare le soddisfazioni della sua esistenza.
Come i nove scudetti consecutivi della Juventus? Gli avevo chiesto, ma
lui aveva riso e sicuramente aveva tante passioni e interessi in più, tra cui
avevo notato che faceva sfoggio di cultura e di intelligenza, ma era una
persona assai complessa e piuttosto positiva, abbastanza simile a me per alcune
cose.
Mi ricordai che il secondo giorno di scuola ci avevo fatto a botte, lo
avevo preso a cartellate, perché mi prendeva in giro, avendoci un apparecchio
per i denti che ogni volta che aprivo la bocca per parlare faceva pessima
mostra di un ferretto orizzontale molto poco estetico, almeno per un essere
umano già dotato di una certa timidezza, di orecchie leggermente a sventola e di
magari provvisori, ma piuttosto invadenti foruncoli adolescenziali.
Intanto l'Italia
aveva segnato, ma sapevamo già che la partita com l'Inghilterra l'avrebbe poi
vinta, ma avrebbe perso le altre due con Costarica e Uruguay e sarebbe stata
eliminata al primo turno dai mondiali brasiliani del 2014.
Alla fine della
terza bottiglia andammo a casa e a letto, ma prima di lavarmi i denti mi segnai
le notizie ottenute, perché bevendo e andando a dormire, poi ci si dimentica
facilmente.
Ero soddisfatto
perché avevo ottenuto già tre interviste in tre giorni, ma sapevo che le
prossime vittime sarebbero state più difficili da trovarsi e da guadagnarsele,
dovendo addirittura fare dei viaggetti per andare a trovare i vecchi compagni
di scuola sparsi per il mondo.
La mattina dopo
mi misi subito in contatto con Pietro, che però era a Milano, faceva la spola
per via della sua impresa che garantiva sicurezza sul lavoro e sarei stato
curioso di sapere cosa faceva e come. Oltretutto si era sposato con una
milanese e avevano due figlie già grandi.
Checco mi aveva
anticipato che aveva fatto causa addirittura al padre di lei e aveva vinto un
congruo risarcimento. Aveva comprato una corte intera di abitazioni contadine
della quale la sua casetta, dove era nato e cresciuto, aveva fatto parte a suo
tempo.
Suo padre era
morto, un gigante buono e sudatissimo d'estate, sua madre era stata malata ma
ora stava meglio.
La sua
abitazione di Botte, vicino a Bacchio, era là ma avevo già capito che non
voleva che la conoscessi, aveva preferito un incontro su terreno neutro o a
casa mia.
Ai tempi che ci
eravamo frequentati la sua macchina era sempre dal meccanico o senza benzina,
non si poteva mai usare. Pietro era sempre stato un manipolatore naturale, con
l'età poteva essere solo peggiorato.
Ci trovammo in
un bar a S.Maccione, non c'era nessun altro e la signora si assentava nel retro
per trascinare e sbatacchiare oggetti non ben identificati, la musica leggera e toscana di Pupo ci faceva da
sottofondo.
Pietro era
diventato pelato anche lui, pochi ciuffetti gli spuntavano vicino alle
orecchie.
Era un buon
lettore, ma si basava sui bestseller del momento e questo non mi pareva molto
positivo.
Non era affatto cambiato, prepotente e affezionato solo a quello che gli
importava a lui e il resto non aveva possibilità di attirare la sua attenzione.
Più che un uomo una macchina da guerra, che per le vacanze pigliava la
macchina e andava a caso cercando di cacciarsi in più guai possibili, solo per
il gusto di constatare che sapeva sempre tirarsene fuori. Pare che la moglie
anche apprezzasse questo tipo di attività che quando uno tornava a casa e
riprendeva il lavoro era più stressato di prima, secondo me, ma non secondo
loro.
Di soldi ne aveva fatti assai, era ambizioso lui e differiva dalla
maggior parte dei miei amici bacchesi, di Zorca e zone limitrofe.
Il senso della vita lui lo aveva identificato bene: soldi e sicurezza
conseguente, il piacere di sentirsi al di sopra degli altri, neanche a dirlo
aveva un SUV gigantesco che pareva un carro armato e lassù dal finestrino gli
altri gli parevano formichine.
Con il sopraggiungere di una certa qual saggezza, dovuta più che altro
alla vetusta età, negli ultimi anni mi sono sentito sempre più contrario
all'intraprendere varie azioni in contemporanea, sia per l'esperienza mia che
di amici, conoscenti e personaggi limitrofi.
Però il fatto che alcuni compagni di scuola si erano spostati verso la
Maremma mi aveva ispirato a intraprendere un gradevole viaggetto.
È stato Pietro a dirmelo, personalmente non
capiva perché, ma ne aveva preso atto, diversi nostri amici e compagni di
disavventure scolastiche si erano trasferiti: uno a Sovana, un altro a Sorano e
una ragazza a Orvieto, che anche se non fa parte della sopracitata Maremma, ne è al confine e appartiene
senz'altro alla bellissima zona del tufo, che da abitante italiano e toscano
sorprendentemente non avevo mai conosciuto e solo dopo da turista visitante
avevo assai apprezzato. Diversi tipi di stranieri anche me ne avevano cantato
le lodi e anche i cinesi, quei pochi con cui avevo un dialogo, ne sapevano più
di me.
Mio fratello lo frequentavo di rado, quando avevo da fare era libero lui
e viceversa, ma il viaggio in Maremma lo avrei potuto fare con lui, anche a
Gino piacevano le cose antiche e la Maremma, quei borghi sulle punte delle
colline, il mare senza turisti, le camminate per i sentieri, frequentare
ristorantini tipici, fare migliaia di foto eccetera.
Tutto questo lo ispirava abbastanza, in più aveva una macchina enorme
che potevano caricare di tutto ciò che sarebbe servito. Gino è riuscito a
prendere una settimana di ferie e siamo partiti.
Capitolo IV
In viaggio
Si può dire che io la Toscana l’ho conosciuta meglio da quando abito in
Cina. Nel senso che da turista ho potuto visitare tutte quelle zone che da
abitante non avevo mai visto, troppo impegnato con altre cose, che non
immaginavo nemmeno che ci fosse tanta bellezza qui vicino, o forse non ero in
grado di poterla apprezzare ancora, non lo so.
Comunque la cosiddetta zona del tufo non l'avevo mai sentita nominare e
quando me la sono trovata davanti non mi pareva possibile.
Non sono il
primo a scoprire la bellezza della Tuscia che inizia magari dalla grande
varietà del suo paesaggio, ma la parte sud, quella al confine con il Lazio è la
più bella e la sua gente anche è più serena e gradevole.
Non che noi del
nord siamo più malvagi, forse solo più nervosi, chiusi, meno amichevoli. Penso
dipenda anche dal punto di vista geografico, qui i paesaggi sono mentro
contrastati, meno bui, più aperti, ondulati e gradevoli.
Gino parla meno
di me e ha la tendenza a voler giustificare tutto, a voler trovare del positivo
anche dove il positivo non c'è.
Passano i
paesaggi attorno, anche belli e se io non trovo un argomento da cui partire lui
non dice niente. Guida bene, non si arrabbia per le prepotenze degli altri
automobilisti, come farei io, ma quando a guidare sono io il suo distacco mi
influenza e sono più tranquillo del mio solito.
Su diverse opinioni noi ci troviamo d'accordo,
anche se poi lui vive in maniera molto diversa da me, per quanto logico e
inevitabile, a volte mi sorprendo a volerlo cambiare.
Io e mio
fratello condividiamo alcune passioni tra cui la musica, lui suona la batteria
e io ho suonato per poco tempo le tastiere, ma ascoltiamo musica differente,
anche se i suoi gusti si stanno avvicinando ai miei da qualche anno.
Mi sono
rassegnato a non trovare gente che apprezza quello che piace a me; in quello
che non mi piace invece trovo molte più persone che possano condividere quello
che io ho automaticamente accantonato ed escluso. Ho capito che è molto più
facile perché le cose che non mi garbano sono molte di più.
Forse è normale
che un anziano si trovi a vivere di passato, perché il presente gli offre tante
cose che non capisce più, che non gli possono garbare.
In più, essendo
un PAS, sento troppo quello che mi accade attorno e mi pare di essere aggredito
anche troppo speso da tutta questa mancanza di sensibilità che mi pare cresca
sempre di più
Oltretutto io
sono un teorico piuttosto pratico del linguaggio, non mi piace chi usa le espressioni
già pronte, chi dice cose ovvie, chi vuole essere simpatico a tutti i costi.
Insomma a trovare gente che mi piace ci metto poco, ma poi mi tocca frequentare
di solito invece chi non mi garba, manco a farlo apposta piaccio a chi non mi
piace e viceversa, forse mi sbaglio, non lo so neanch’io.
Naturalmente sto parlando di quando vivevo in Italia, in Cina non
frequento nessuno, ho rapporti occasionali con la gente e ho molto di più a che
fare con vari animali domestici e non.
Secondo la mia esperienza l'italiano è il popolo che crede di più
nell'amicizia, mette in pratica la sua vicinanza mentale e fisica ogni giorno,
ma poi si comporta in maniera spesso infantile con i propri amici, li protegge
quando invece li deve denunciare, fa finta di niente quando gli deve far notare
incongruenze e incoerenze, si dimostra chiuso e geloso quando invece dovrebbe
aprir la propria mente e insomma fa di tutto per arrivar al punto in cui il
temperamento dai due lati decide che è il caso d' ignorarsi, insomma non parlarsi
più nei secoli dei secoli.
Essendo testardo e infantile, permaloso e chiuso, l'italiano è un
bambinone che crede di essere spontaneo e non lo è, un ipocrita che per non
fare fronte ai propri problemi finisce per accantonarne il solo pensiero e
insiste negli errori in maniera ciclica e ottusa, quando la sua intelligenza
non ci arriva il temperamento sornionamente si sostituisce e non ammette mai di
aver torto, nemmeno a sé stesso, anzi principalmente nei confronti di sé
stesso. La mania di persecuzione completa
un desolante quadro.
Il cinese invece sembra un soldatino, ma invece in trenta anni non ho
capito come è, in certe cose è più chiuso; ma nella maggior parte mostra
un'apertura maggiore e più elastica, più efficace insomma.
Discutere di queste cose con mio fratello non si può, perché rifiuta
ogni teoria rivoluzionaria e prende ogni mia affermazione come se fosse
un’accusa personale.
A pranzo ci siamo fermati in un ristorante che avevo visitato altre
volte, dal grande parcheggio coperto di ghiaino e subito sopra di camion.
Si è mangiato bene e rustico, c'erano un enorme griglia con sotto le
braci dove arrostivano un po' di tutto, pesce, carne e verdura, c'erano anche i
peperoni che mi piacerebbero assai ma non li digerisco più.
Accanto a noi tavolate di gente semplice, grandi botti da cui spillavano
quartini, mezzi litri e litri di vino rosso e bianco. La spesa poi è stata più
che onesta e noi fratelli siamo tutti e tre un po' tirati di manica, oltre che
tendenti all'autismo. Penso che ci abbia influenzato mio padre, a cui piaceva
stare da solo e negli ultimi anni di vita comprava un sacco di roba nei negozi
di cineserie, roba che spesso non serviva a nessuno, ma lui si giustificava
dicendo che costava poco.
Non credevo che i ristoranti sulle arterie principali italiane, quelli
frequentati dai camionisti, esistessero ancora. Forse ce ne sono meno, ma ci si
mangia bene, si spende il giusto e sono sempre pieni.
Capitolo V
Nel sud della Toscana
A Sovana abbiamo trovato Carlo, che non si ricordava di me, lavorava in
un ristorante dove ho mangiato discretamente. Zoppicava, era quasi pelato e
aveva una barba incolta.
Quando gli ho chiesto se era proprio lui, e ci avevo parlato per
telefono il giorno prima, abbiamo tutti e due avuto un momento di smarrimento.
Ma lui era conciato male e mi sono chiesto fino a che punto lo fossi anch'io.
Alle quindici e trenta aveva la pausa ed è uscito, ci ha portato a casa
sua, ci siamo bevuti un caffè e ci ha raccontato che aveva tentato di
suicidarsi, quando presi i soldi dai suoi clienti per pagare le tasse, li aveva
persi giocando a carte. Aveva bevuto la varichina ma lo avevano salvato.
In precedenza aveva distrutto il suo matrimonio e sembrava si stesse
confessando con noi che non si ricordava assolutamente chi fossi e mio fratello
non lo aveva proprio mai visto.
Ho cercato di interromperlo raccontando le mie disgrazie, avevo
intenzione di tralasciare le cose belle, ma era solo un'intenzione, non me lo
ha lasciato fare.
Il senso della vite per lui era stato al contrario, ma non mi è sembrato
il caso di chiederglielo.
In seguito Gerlando mi ha spiegato che prima dei fatti in questione
Carlo aveva avuto diversi lavori e tante partecipazioni in giro, che dicevano
scherzosamente che a Zorca lui possedeva l'1% di tutto quello che c'era. Era
stato anche socio di un ristorante e forse per quello che ora, a qualche
centinaio di chilometri da casa faceva il cameriere zoppo, all’occorrenza
aiutava anche un po’ in cucina. Lo avevano preso lì amici di lunga data, che
secondo Gerlando erano anche loro anime dannate.
Pare che lei
fosse dipendente da farmaci e lui un drogato di droga propriamente detta, ma
Gerlando non sapeva quale.
Carlo aveva
fatto il rappresentante, il commercialista e altri mestieri, a suo tempo e ora
era lì a piangere sul passato e sul presente, certo anche sul futuro.
Alle diciotto
rientrava al lavoro e salutandolo mi sono chiesto come un essere umano può
andare avanti in quelle condizioni. Non ho trovato risposta. Forse il suicidio
richiede anche del coraggio e lui ci aveva pure provato, ma era stato imbranato
anche in quello. Non lo so, ma è impossibile capire come vede le cose della
vita un individuo, anche se te lo spiega non s’intende lo stesso.
Mio fratello mi
ha chiesto chi me lo faceva fare di soffrire così per gli altri e io gli ho
detto che noi persone sensibili lo facciamo senza soffrire tanto quanto gli
altri penserebbero.
Quando gli parlo
di noi sensibili, mi pare che la prenda come un rimprovero a lui che invece non
lo è, ma spesso è piuttosto un rimpianto
forse di chi vorrebbe esserlo un po’ meno.
Comunque poi ho
detto, più a me stesso che a lui, che i prossimi sarebbero stati più allegri.
La seguente ragazza attempata invece non c’era più, al suo posto il marito,
che l’aveva lasciato e per non incontrarlo più, nemmeno per caso, era andata in
Cina.
Tale Elenora
Bazzani, compagna delle elementari anche di Checco e Gerlando, di cui ero stato
mezzo innamorato a suo tempo, non lo sapevo, ma tanto la superficie della
nazione in questione era piuttosto vasta e non parliamo di quanto fittamente
abitata.
Lei aveva inventato, senza rendersene conto, il perché... seguito dai
puntini-puntini, che non spiegava mai, poiché pensava che non ce ne fosse
bisogno, ai puntini non seguiva niente e la gente a volte si sentiva un po'
come coloro che hanno degli interrogativi irrisolti, cosa non troppo rara al
giorno d'oggi, ma ovviamente anche nella notte dei tempi in cui le radici
volenti o nolenti affondavano, in quel noto ramo degli sterotipi ripetuti a
pappagallo, ma non solo e pure da altri pennuti come la gazza.
Al logico e conseguente formular della domanda, lei non rispondeva
alcunché, sia perché non intendeva che fosse a lei rivolta, sia anche poiché il
suo cervello andava sempre di fretta e le era già partito per un altro viaggio,
per un luogo fisico o metaforico, per intendersi: tipo coacervo di situazioni
intrecciate, comunque e di sicuro piuttosto lontane da lì.
La ragazzetta andava già oltre il normale e per questo mi era sempre
piaciuta, sebbene solo dopo, molto tempo dopo, avessi capito il perché.
Figurarsi attualmente, come dovrebbe essere, di semplice inerzia, diventata.
Ho giurato a me stesso che una volta tornato in Cina la sarei andata a
trovare, tanto sono sempre stato uno spergiuro naturale e disinvolto.
Non era bella Eleonora, ma nemmeno brutta, era forse quella faccetta che a
volte pareva inespressiva, altre volte anche troppo, che mi aveva conquistato e
non era facile perché...
L’ex marito ha detto che intanto ci potevo fare una video-conferenza,
magari le avrebbe fatto piacere e mi ha dato il suo numero di telefono, che
anche lui aveva avuto da un’amica, ma non le aveva mai telefonato.
Chi parla di più sono quelli che hanno meno da dire e oltretutto si
ripetono e non sono capaci di ascoltare, mi è venuto in mente.
Il marito di Elenora, vabbè: il suo ex, parlava tanto ma senza fretta,
né eccessiva prepotenza, forse era stato quello il problema, ma aveva anche
tante cose interessanti da dire, debita eccezione alla regola, si vedeva che
era una persona sensibile anche lui, disgraziato o forse no, il suo mondo anche
senza Eleonora era pieno di roba, di interessi, di passioni, insomma di motivi
per cui vivere.
Ho colto l’occasione per chiedergli il senso della vite e lui mi ha
comunicato la sua voglia di spingerla avanti, una curiosità sana direi, non
solo antropologica, gli piacevano anche la musica, il cinema, le nuvole, gli
animali e le piante, le stesse rocce e i sassi, l’acqua e il vento. Insomma
come a me, ma in maniera ovviamente diversa.
Si chiamava Dino e quelle che diceva non erano affatto delle cazzate. Ci
è venuto dietro anche per strada, che doveva andare a fare la spesa e portare
giù la spazzatura, gli abbiamo offerto un caffè, lui ha pagato l’acqua
minerale. Magari gli siamo rimasti simpatici, anche lui a me, a mio fratello
forse no, a lui gli ci vuole più tempo per farsi un’idea.
Mia sorella Aldina vive a Saturnia, la siamo andati a trovare, come
d’accordo, ma la sorpresa è stata che lei aveva intenzione di unirsi a noi per
quei pochi giorni che saremmo rimasti in zona.
Il marito pelato e i giganteschi figli evidentemente non erano
d’accordo, ma lì chi comandava era lei e per farli stare zitti gli ha preparato
delle mastodontiche teglie di lasagne messe nel congelatore, quattro barattoli
di sughi pronti da mettere sulla pasta.
Ho capito da tempo che i miei due più attempati consanguinei non mi
comprendono, però mi trovano divertente, insomma una specie di barbuto filosofo
contemporaneo, anche se alla filosofia ci pensano più loro di me e la barba me
l’ero tagliata da tempo. In quei giorni avevo baffi e pizzetto, che loro
trovavano buffissimi, a volte mi guardavano e ridevano, non avevo bisogno di
dire niente, la mia facciaccia gli bastava per essere di buonumore.
Ho subito colto l’occasione per fare un videoconferenza con Eleonora,
avendola avvisata in precedenza per whatsapp, pensando di fare il collegamento
da un cybercafè, ma visto che il marito di Alda aveva un bel computerone
superaccessoriato e inattivo...
Non senza difficoltà, pur non essendo a casa mia, ho mandato tutti via e
ho trovato Eleonora subito in linea, ma molto cambiata, assai più lenta e
saggia, insomma meno elettrica, forse un po’ triste, ma anche capace di scoppi
di allegria improvvisi.
Per prima cosa mi ha detto che il suo nuovo accompagnatore, un raro
cinese alto un metro e ottanta, le traduce in inglese parti dei miei
librettini, lui ci ride assai e lei un po' meno.
Comunque le piacciono.
Sapeva che io vivevo in Cina ma lei è un po' lontana da me, è dall'altra
parte di un territorio tozzo ma esteso, considerato poi che ci sono zone
desertiche dove non vive nessuno. Eleonora ha approfittato del collegamento
della sua ditta con la Cina ed è venuta qua... cioè là, mi ha spiegato anche di
cosa si tratta, ma sono quelle cose che mi sfuggono tanto che non riesco
nemmeno ad ascoltare quando me le dicono.
Comunque roba metalmeccanica, credo.
Allora ne ho subito approfittato e le ho chiesto a bruciapelo del senso
della vite, lei mi ha risposto che è una questione di dadi. Io le ho espresso
il mio pensiero al riguardo, che la vita per me è autofilettante e il legno è
la metaforica dura scorza dell'esistenza.
Ma lei non era d'accordo.
Si deve forare quella superficie lì, che è dura ma poco spessa e
dall'altra parte ci si mette un bel dado. Nel suo caso un marito, per me una
moglie.
E quando i dadi non corrispondono all'aspettativa e non sono
all'altezza?
Non c'è problema, i dadi si cambiano, secondo la sua personale
esperienza se ne possono avvitare anche due o tre. Dipende dalle esigenze, le
sue sono abbastanza cospicue, ma suo marito, quello che noi abbiamo conosciuto,
ci ha pure provato, ma non è mai riuscito ad accettarlo. Per questo si sono
lasciati.
Che cosa ne pensavo?
Le ho detto che non lo sapevo, che in teoria l'amore
libero era bello, ma qua sulla
terra è sempre stato un po' complicato.
Dopo un po' mi
sono reso conto che quell’Eleonora lì era interessante ai vecchi tempi, ma una
sessantacinquenne che vuole avere più dadi e un senso della vite oltre la
scorza nell'esistenza, non mi piaceva più tanto, come tanti anni prima, quando
io non capivo me stesso e tanto meno lei.
La sua idea
della Cina era simile alla mia però, ha detto che ci si trovava bene, ma secondo
lei i cinesi erano di un altro pianeta, piovuti chissà come sul mondo e
comunque migliori degli europei, secondo lei, anche se non capiva bene come, né
quanto. Eleonora viveva in quella città costruita in quella gola, sulle due
rive del fiume, ma con le pareti delle montagne a picco e poco spazio per
costruire e per spostarsi con eventuali strade.
- Io sarei
dell'idea che la gente potesse fare quello che vuole, ha detto poi in macchina
mia sorella , però succede sempre che si deve fare quello che non si vuole, a
partire dal lavoro, ma anche in famiglia, la società pare non sia mai
interessata a chiedere alla gente cosa vorrebbe, piuttosto è importante cosa
deve fare, e poi per il bene di chi?
Di tutto e di
tutti meno che della gente, propriamente detta.
- Vuoi dire il
popolo? I poveri? - Ha chiesto Gino.
- Non
necessariamente, noi poveri non siamo eppure viviamo poco come vorremmo, per
esempio, il qui presente fratello minore, che ha sempre fatto quello che
voleva, si è trovato una nicchia in cui vive indisturbato, guadagna quanto gli
basta e non ha figli e famiglia, soprattutto, questo è quello che gli ha
permesso di farlo, secondo me.
- Per conto mio,
io sto bene – Ha commentato mio fratello, mentre io li lasciavo parlare, visto
che il senso della vite consiste proprio in quello e non avevo bisogno di
puntualizzare niente sul mio conto e sul conto di nessun altro.
- Non è vero –
Ha detto Alda – Diciamo che sei un tipo paziente, ma sopportare il tuo lavoro e
tua moglie non so chi altro ci riuscirebbe.
- Il mio lavoro non
è malaccio tutto sommato, c’è di peggio, e ci sono migliaia di persone che lo
fanno, e poi Zina ha tanti difetti, ma anche tanti pregi.
- I difetti li
conosco bene, ma i pregi dopo tanti anni non li ho ancora notati.
Dopo mezz'ora su
questo tono siamo arrivati a Orvieto e lì ci attendeva il nostro prossimo
incontro. Eravamo in anticipo e allora siamo andati al pozzo di S.Patrizio che
non ci eravamo mai stati, io e Gino, invece Alda lo conosceva già.
Quei due da
adulti non andavano d'accordo, ma nemmeno da piccoli, la mia indifferenza li
faceva inasprire, secondo Delfo, marito di mia sorella, invece Zina diceva che
io li calmavo.
Una tendenza
dell’italiano attuale, forse anche di quello del passato, è dover esprimere
sempre e comunque la sua opinione, anche quando non è richiesta, anche e
soprattutto quando non ha elementi per poter giudicare la situazione, anche e
specialmente quando gli altri possono offendersene e lui poi non ci guadagna
che dei vaffanculi.
Il cinese al
contrario si esprime solo quando è necessario o non ne può fare a meno, ma
anche così con molta diplomazia e facendo attenzione a non offendere nessuno.
Capitolo VI
Orvieto
Lo storico pozzo di San Patrizio è una struttura costruita
da Antonio da Sangallo il Giovane a Orvieto tra il 1527 e il 1537 per volere del papa
Clemente VII, reduce dal Sacco
di Roma e desideroso di tutelarsi
nell'eventualità che la città in cui si era ritirato fosse assediata. Pertanto
fu progettato proprio per fornire acqua in caso di calamità o assedio. Durante
le assenze di Antonio da Sangallo l'esecuzione veniva seguita da Giovanni
Battista da Cortona; le parti decorative sono di Simone
Mosca. I lavori furono conclusi durante il papato di Paolo III Farnese (1534-1549).
Struttura
L'accesso al pozzo, capolavoro di ingegneria, è garantito da due rampe elicoidali a senso unico, completamente autonome e servite da due diverse porte,
che consentivano di trasportare con i muli l'acqua estratta senza ostacolarsi e
senza dover ricorrere all'unica via che saliva al paese dal fondovalle.
Il pozzo è profondo 54 metri ed è stato realizzato scavando nel tufo
dell'altopiano su cui sorge Orvieto, una pietra abbastanza dura, ma che dopo
vari secoli sta risentendo degli scarichi fognari.
Ha forma cilindrica a base circolare con diametro di 13 m.
Gli scalini sono 248, i finestroni che vi danno luce sono 72[2].
Le due scale sono collegate da un ponte tuttora praticabile.
Sul fondo del pozzo il livello dell'acqua si mantiene costante grazie ad
una sorgente naturale che rifornisce la cavità e un emissario che fa defluire
l'acqua in eccesso.
La parte esterna è costituita da una struttura cilindrica bassa. È decorata
con i gigli farnesiani del pontefice Paolo
III e ha due ingressi diametralmente opposti.
Sull'ingresso del pozzo la scritta "quod natura munimento inviderat
industria adiecit" ("ciò che non aveva dato la natura, procurò
l'industria") celebra l'ingegno umano come abile mezzo in grado di
sopperire alle carenze della natura.
Papa Clemente VII incaricò Benvenuto
Cellini di coniare una moneta in onore della
costruzione del pozzo. Su di essa è incisa la frase "UT BIBAT
POPULUS" ("perché il popolo beva") ed è raffigurato Mosè che con
un bastone trafigge una roccia, dalla quale sgorga l'acqua di fronte agli ebrei
in fuga, mentre uno di essi vi attinge con una conchiglia. Questa preziosa
moneta è oggi conservata nei Musei
Vaticani.
Forse per l'aura di sacro e di magico che accompagna le cavità profonde, o
per pura imitazione di modelli cinematografici, i turisti moderni vi gettano
monetine con la speranza di tornarvi.
Inizialmente il pozzo era detto "Pozzo della Rocca" in
riferimento alla rocca o "Fortezza
dell'Albornoz" situata vicino, al servizio della
quale il pozzo stesso era stato costruito. È solo in età ottocentesca che
assunse l'attuale nome "Pozzo di San Patrizio", datogli dai
frati del convento dei Servi che si ispirarono alla nota leggenda del
santo irlandese.
Si credeva infatti che in Irlanda, in corrispondenza di una grotta senza fondo, situata sull'isolotto
di Station island nel Lough
Derg, si potesse raggiungere l'aldilà. La caverna simboleggiava la porta di
accesso al Purgatorio, e solo dopo aver affrontato una serie di terribili prove
per purificarsi dai propri peccati si raggiungeva la fine della grotta che
rappresentava l'ingresso in Paradiso. È proprio nei pressi di questa cavità
che San
Patrizio amava ritirarsi in preghiera. La caverna
per questo ottenne l'appellativo di "Purgatorio di San Patrizio", ed il pozzo prese il nome del santo proprio perché fu utilizzato
anch'esso come luogo di espiazione dei peccati e richiamava la discesa nelle
profondità della caverna irlandese.
Pozzo di San Patrizio è anche un'espressione utilizzata per riferirsi
ad una riserva misteriosa e sconfinata di ricchezze. Secondo altri, con
l'espressione "è come il pozzo di San Patrizio" si intende qualcosa
in cui si buttano risorse ed energie, ma inutilmente, perché non si riempie mai
e non si riesce a trovarne la fine.
Il pozzo era
assai interessante, ma quando ne siamo usciti, dato che il cellulare là dentro
non funzionava, ci sono arrivati diversi messaggi di Marco Antonio, il nostro
prossimo intervistato, che diceva che non poteva all'orario prefissato, ma se
per noi andava bene ci saremmo trovati al ristorante da Maurizio, nel centro di
Orvieto alle ore venti.
Mia sorella e
mio fratello si sono beccati per qualche ora, tra un aperitivo e una
fotografia, una camminata e una sosta sugli scalini di una chiesa. Alle otto si
erano stancati e sono voluti andare a riposarsi al Bed and Breakfast Da Tullio
Grilli. Al ristorante ci sono andato da solo, gli ho promesso di portargli dei
crostini e una bottiglia di vino bianco.
Orvieto è una
bella cittadina costruita su un ampio torrione di tufo, ma il turismo l’ha
rovinata un po' , come spesso succede, dall'ultima volta che c'ero stato, forse
dieci anni prima.
Da Maurizio ci avevo già mangiato e bene
assai, la gestione non so se era la stessa, ma non ci ho trovato cambiamenti,
anche i prezzi si erano mantenuti equi.
Marco Antonio me
lo ricordavo bene, ci eravamo frequentati anche da adolescenti, era un
giovinottone di famiglia ricca, suo padre vendeva camion e aveva una bellissima
villa in campagna, con la piscina e un ampio parco ben tenuto, con alberi
secolari.
A Zorca e nelle
vicinanze ci sono tante e belle ville rinascimentali, in diverse di queste
avevo lavorato a suo tempo come giardiniere.
Marco Antonio
era ancora un bel Marcantonio, anche se aveva i capelli bianchi, ma un po'
troppo facilone, ricordo che suo fratello più grande cercava di fargli capire
invano che il mondo non era affatto ai suoi piedi, come lui pensava.
Si era sposato
con una ragazza un po' corpulenta ma belloccia, che avevo conosciuto a suo
tempo, anche lei era un po' vuota, priva di interessi, come lui un po'
indifferente. Comunque non erano antipatici, ma forse lui più di lei con una
certa aria di superiorità che poteva anche essere irritante.
Una mia
innamorata dell'epoca, ragazza piuttosto intelligente che era caduta poi nel
labirinto della droga, mi aveva fatto
notare che Marco Antonio non ti guardava mai negli occhi. Ancora, specialmente
quando parlava, il suo sguardo si rivolgeva sempre altrove.
Mi ha sorpreso e
mi ha fatto piacere che mi chiedesse di me, di cosa facevo, cosa avevo fatto,
cosa progettavo per il futuro eccetera. In seguito mi è venuto il dubbio che
era per non parlare di sé, non perché avesse qualcosa da nascondere, ma la sua
vita magari gli pareva noiosa e ripetitiva.
In seguito
Gerlando mi ha detto che suo padre era fallito, quando Marco Antonio aveva una
ventina d'anni ed erano improvvisamente diventati se non poveri quasi. La villa
non ce l'aveva più, suo fratello era morto, poi suo padre e sua madre.
Attualmente faceva il commercialista, credo che non se la passasse male a
livello di soldi.
Tra le frasi
anche divertenti, parlando dei vecchi tempi, ogni tanto Marco Antonio diventava
umile, poi ritornava al suo personaggio principale, le due tendenze si
mischiavano e si miscelavano.
Intravedevo una
certa ammirazione nei miei confronti, una certa simpatia che avevo notato anche
ai vecchi tempi, forse perché riuscivo a sorprenderlo, magari come i miei
fratelli mi trovava buffo e imprevedibile, in un certo senso ero il contrario
di lui.
M’incuriosisce
da un punto di vista puramente antropologico, quel comportamento di alcuni che
stimano persone completamente differenti da loro e fanno di tutto per
allontanarsene nella pratica quotidiana, invece di prendere ispirazione e di
mettere in pratica qualcosa di simile. Come se il pensare, il dire e il fare
fossero azioni che non si integrano mai, che non possano assolutamente andare
di pari passo.
Mi ricordo che
giocava bene assai a pallacanestro, essendo alto e robusto, come me a scuola
non andava tanto bene.
Aveva la
tendenza a prendere in giro gli altri, come se lui fosse dall'alto
irraggiungibile a giudicarli, ma solo in loro assenza, non apertamente, cosa
abbastanza comune nelle piccole città un po’ snob come Zorca.
Era ancora una
buona forchetta, ma beveva poco rispetto ad altri del nostro gruppo di
giovinastri di classe media-alta che bazzicavamo le pizzerie il sabato sera.
Frequentava ancora Bartolomeo, al quale dopo certe malcelate manipolazioni in
quei frangenti pagavamo noi la cena. Il quale in una certa epoca voleva venire
in Cina da me, sperando che lo avrei aiutato per iniziare una nuova vita, ma io
declinai subito ogni possibile sua speranza.
Mi ha dato anche
il suo numero di telefono, ora viveva a Tolona, una cittadina sul litorale, con
una spiaggia frequentata principalmente dalle famiglie. Ma i ruffiani e gli
opportunisti per me sono un pianeta a parte, sempre quello dei falsi che non
sanno nemmeno di esserlo. Da una parte sarei spinto ad intervistare anche lui,
ma dall’altra so già tutto quello che mi dirà per cui è sempre colpa degli
altri, e i suoi errori di percorso li nega e li chiama sfortune.
Il senso della vite per Marcantonio erano i soldi, l'agiatezza, la
sicurezza finanziaria e un buon conto in banca. Non lo diceva a piene lettere,
ma si intravedeva tra le righe una vuotezza di ideali per cui tutto il resto
era noioso e inutile.
Mi ha dato
numeri di telefono di altri due compagni di classe.
Il giorno seguente volevo visitare un po' i
dintorni di Orvieto, magari i famosi sotterranei, ma una giornata di insistente
pioggia ci ha convinti a fare qualcosa di insensato, da un certo punto di vista
logico: mettersi in viaggio verso Bagnaia, che essendo in provincia di Viterbo
e molto prossima al capoluogo, ospitava il nostro prossimo incontro.
Capitolo VII
Bagnaia
I miei consaguinei avevano stabilito che se
raggiungevamo la nostra meta, nonostante la forte e insistente pioggia, poi ci
riposavamo e potevamo incontrare l'ultimo dei miei ex compagni di classe che
abitavano nei dintorni.
I chilometri non erano tantissimi, ma le strade
tortuose, dal parabrezza e dai finestrini in frequenti e torrenziali frangenti
non si vedeva niente di niente.
Rischiando la vita o cose limitrofe, dopo un
tempo debito siamo riusciti, guidando a turno, ad arrivare a Bagnaia.
Un piccolo albergo che faceva bed &
breakfast ci ha accolti in una momentanea schiarita, dopo il riposo ci siamo
preparati per la sera, Delio ci aveva dato appuntamento nel ristorante più
conosciuto in zona e mentre uscivamo ha ricominciato a piovere.
Abbiamo posteggiato la macchina nella piazza
principale, sotto tre ombrelli di tipo e colore diversi, siamo scesi nella
parte vecchia del paese, veramente pittoresca e scura, con un giro di stradine
che portava inesorabilmente di nuovo alla piazza di prima. Il ristorante non lo
avevamo visto, forse aveva l'insegna spenta, ma ora c'era e aveva l'insegna
accesa.
Delio era già seduto in una sala enorme e senza
nessun altro che un cameriere, laggiù lontano che apparecchiava le decine di
tavoli. Fuori era piuttosto freddo ma là
dentro c’era un tepore ospitale.
Il mio ex compagno era di origine laziale e di
Orte, per la precisione, ma a quei tempi remoti la sua famiglia si era spostata
a Zorca, per motivi di lavoro. Dopo essere andato in pensione lui era voluto
tornare qua. Non era stato colpito dalla legge Fornero solo perché era un
medico e aveva deciso di smettere prima dell'età pensionabile, visto che non ne
poteva più.
Di soldi non ne aveva tantissimi, ma visto che
era da solo poteva adattarsi ad una vita modesta.
Era amico del proprietario, un signore piuttosto
attempato ma molto simpatico che si è seduto con noi, ci ha parlato della
partita che la Roma aveva vinto la sera prima, contro tutti i pronostici, sul
Manchester City.
Ci ha avvisato che lì si mangiava bene, i prezzi
erano giusti, ma la cucina era un po’ pesantuccia, come del resto usava da
quelle parti. Gli abbiamo chiesto chiarimenti su alcuni piatti, ma lui si è sorpreso
addirittura che ci fossero delle cose del genere nel menù, ci ha domandato se
avevamo letto proprio ammodo. Lui non aveva portato gli occhiali, se li era
dimenticati e non sapeva nemmeno dove, si è scusato e ci ha chiamato il
caposala, cameriere e forse anche cuoco, visto che non c’era nessun altro e la
cucina aveva ancora la luce spenta.
Il quale assomigliava assai a quello che forse
era il padre, ci ha spiegato bene assai i componenti e la preparazione di ogni
piatto, ma alla fine ha detto che era meglio optare per le pizze. Visto che il
forno era già acceso e per noi che non eravamo abituati, erano le cose migliori
per poi andare a letto e dormire lieti e soddisfatti come fagioli in un
baccello.
Delio era una persona calma, sorridente e di
contenuto, ci ha raccontato con una sintesi esemplare la sua vita, prima e dopo
il nostro comune periodo scolastico.
Buona forchetta e ottimo bicchiere, ci siamo
scolati un bel po’ di birra alla spina. Le pizze erano buonissime, specialmente
quella bianca con tartufo e speck.
Dopo ci ha portati, sotto quattro ombrelli di
taglia e provenienze differenti, a fare un giro per il paese, veramente rustico
e affascinante e per il giorno dopo ci ha raccomandato la visita alla villa
locale, famosa per i suoi giardini progettati da quello che a suo tempo aveva
disegnato quelli di Villa Farnese a Caprarola.
Anche se noi l’avevamo già vista, nella parte più
antica a Delio è partita inavvertitamente una sonora scorreggia e una signora
dalla finestra lo ha chiamato porco, ma lui si è prontamente scusato, anche con
noi, e ci ha confessato che la sua vita, come del resto la sua stessa
alimentazione ultimamente erano state un po’ troppo turbolente.
Dopo abbiamo fatto una capatina in una specie di
birreria sulla strada per Viterbo... no, ora che ci penso eravamo già a
Ronciglione. Dopo qualche birra i miei consanguinei se ne sono andati a letto.
Invece noi siamo andati in un altro localino che
conosceva lui sul lago di Vico. Non c’era quasi nessuno, ma Delio ha detto che
era presto, dopo si animava, verso mezzanotte.
Capitolo VIII
Delio, le scritte sui muri e il lago di Vico
Lì la conversazione con Delio è diventata un po’
troppo a cascata, forse era ubriaco, non che io non lo fossi... ma era lui che
parlava e io ascoltavo, distratto ma non troppo, insomma a un certo punto ha
detto:
- Una volta erano due gruppi separati, si
distinguevano bene.
- Eh?
- Un "circonventore" è una persona che inganna o raggira
qualcuno con artifici, lusinghe o sfruttando le sue debolezze (come bisogni,
passioni o inesperienza) per trarne un profitto o per ottenere un determinato
risultato, no?
- In che senso?
- Nel senso che non si sa più chi è l’autore
della circonvenzione d’incapace e chi sarebbe l’incapace, si sono mischiati,
chi è più stupido e sprovveduto e chi crede di essere intelligente a ingannare
gli altri e automaticamente a darsi ripetutamente e forse indirettamente ma
sempre più indubbiamente la zappa sui piedi?
- Chi?
- Straccio che dice a cencio, tutti si accusano
a vicenda di essere stupidi, o ignoranti, insomma di non aver capito, di
informarsi prima di aprire la bocca... una volta si capiva meglio chi mentiva,
o chi aveva effettivamente ragione, tutto è diventato troppo confuso, non ci si
capisce più niente. Sembra impossibile che gli individui siano diventati
circonventori e incapaci allo stesso tempo!
- Stai parlando delle fake news?
- Anche, ma è l’uomo moderno in senso generale
che mente a sé stesso, è un autosabotaggio continuo...
- Inteso come singolo individuo o come umanità?
- Tutti e due, a turno e poi mischiati.
- Effettivamente...
- Hai visto il caso di un attivista di destra
americano ucciso da uno che era ancora più di destra e che volevano farlo
passare per un omicidio di sinistra?
- Sì, mi pare di aver letto di qualcosa del
genere.
- E come lo definiresti?
- Straccio che dice a cencio?
- Esattamente! Se le due parti la smettessero di
accusarsi a vicenda di accusarsi a vicenda e voler fare di ogni cosa che
succeda una propaganda piuttosto forzata... spesso basata su notizie false, se pensassero a quali sono i veri problemi...
Gli ho chiesto se frequentava quel locale, ha detto di sì, che era
alternativo abbestia. Poi mi ha
portato al gabinetto, ne avevo bisogno anch’io come lui, mentre effettuavamo
lato a lato, mi ha fatto vedere che sul muro del pisciatoio c’era uno specchio
che rifletteva una poesia stampata sulla parete opposta, ma al contrario,
quindi sullo specchio si leggeva bene, era di Stefano Benni e non la conoscevo,
il giorno dopo me la sono andata a cercare in internet.
Lamento del mercante d’armi
Ho venduto un
pezzo di cannone
poi le ruote e
un altro pezzo di cannone
la culatta e
l’otturatore
il mirino e un
altro pezzo di cannone
e altri tre
pezzi di cannone
e adesso c’è uno
in televisione
che dice che mi
spara col mio cannone
chi lo sapeva
che coi pezzi di cannone
avrebbe fatto un
cannone?
Se lo avessi
saputo
mica avrei
accettato l’ordinazione.
Ho venduto cento
elicotteri
con relativo
armamento
e un sistema
puntamento missili
e un sistema
anti-sistema di puntamento
adesso
l’elicottero è lì che spia
come un falco
sopra casa mia.
Se lo avessi
saputo cosa voleva fare
non gli avrei
venduto la testata nucleare
era così
distinto, un vero signore
chi poteva
sapere che era un dittatore?
Se avessi saputo
che un cliente
può diventare un
nemico
della mia patria
dell’Occidente
vi giuro gente
lo giuro sui
figli
lo giuro su Gesù
gli avrei fatto
pagare
il cinquanta per
cento in più.
Da qui si vede
la mia buona
fede.
Poi mi sono accorto che quel locale era un dedalo di corridoi, quasi un
labirinto, alcune pareti erano foderate di specchi che riflettevano quello che
c’era scritto alla rovescia sul rispettivo muro di fronte. Proverbi, pezzi di
testi famosi o meno, poesie, aneddoti e frasi fondamentali, alcuni con il nome
dell’autore ed altri senza:
Per ottenere l’impossibile si deve tentare l’assurdo;
guardare dove tutti hanno già guardato,
ma vedere quello che nessuno ha visto
James Patrick
March
Una delle cose
fondamentali della vita è la dignità.
Non bisogna mai
perderla.
Per non perderla
basta non averla”
(Marcello
Marchesi)
Mi
sono perso nelle scritte e non ascoltavo più nemmeno Delio, che non per questo insignificante
dettaglio abbia smesso di parlare.
Quando
siamo andati a letto, dopo una bella pisciata sulla riva del lago, le cose
scritte sui muri me le ero segnate nel cervello e sono andato a cercarle il
giorno dopo in internet.
Una
era un post di Facebook di un certo Rinaldi.
SECEDA
DOLOMITI, GAZA PALESTINA, SUDAN. Che cosa hanno in comune queste quattro foto?
Secondo me, tanto. Ci raccontano almeno le prime tre, come avviene la comunicazione
attraverso i social media, cosa percepiamo della realtà che ci circonda, in
definitiva cosa esiste intorno a noi. Non credo sia una forzatura affermare che
i social stanno condizionando pesantemente non solo la modalità di comunicare,
ma anche i contenuti del nostro pensiero. Sembra che se non passa di lì un
fatto, questo non esista. Entrando nel merito, le prime due ci indicano come
una foto diventata “iconica” perché presente sui desktop dei computer di mezzo
mondo, e , poi, rilanciata in migliaia di post su FB e su Instagram, abbia
determinato poi la volontà di migliaia e migliaia di persone di andare a
visitare quel luogo creando non pochi problemi in ordine alla corretta gestione
di questi imprevisti visitatori. In pratica, per questi neofiti della montagna,
neofiti delle Dolomiti e della Val Gardena in particolare, l’unico obiettivo
valido era di andare a vedere il luogo per loro diventato “Iconico”, il Seceda.
Se fino allo scorso anno ogni mattina salivano sulla funivia per andare a visitarlo
100-200 persone, improvvisamente sono diventate migliaia. Questo ci dice tanto,
secondo me. Sicuramente, siamo in presenza di un bellissimo posto; però, nelle
Dolomiti troviamo tanti altri luoghi altrettanto belli e così facilmente
accessibili. Per non parlare, poi, di tutto l’arco alpino.Eppure, queste
migliaia di persone si sono presentate lì, senza l’abbigliamento necessario,
senza aver approfondito nulla di tutto quello che avevano intorno anche in
termini di alternative, per evitare ore di fila per accedere alla funivia.
Dovevano andare lì, sul SECEDA. Tutto il resto, non esisteva, non avevano
alcuna informazione in merito. I social non li avevano edotti. Ed ora passiamo
a Gaza. Cosa dire? Oltre 60mila morti (Fonte Ministero della Salute palestinese)
di cui ca.20mila bambini, ormai fra questi ci sono migliaia di morti per fame o
mentre cercano di approvvigionarsi il cibo. Centinaia di migliaia di sfollati.
Opera di un governo criminale, sotto l’ala protettiva degli Stati Uniti. Sui
social abbondano post che descrivono le situazioni e le efferatezze di Bibi. I
post spesso sono di influencer che rafforzano le proprie posizioni così come
prevede l’algoritmo, polarizzano ancor di più il “dibattito” che su FB non
esiste. Il meccanismo è semplice: qualcuno guadagna migliaia di follower e di
like dicendo quello che io mi aspetto che dica, non introduce elementi critici
che gli farebbero perdere consenso. Ribadisce e rafforza le mie posizioni;
quindi, dalla polarizzazione, si passa spesso alla radicalizzazione politica,
fenomeno così evidente in tutta Europa e negli Stati Uniti. La quarta foto,
invece, è della guerra che dall’ aprile 2023 insanguina il Sudan: secondo le
Nazioni Unite, 150mila morti, di cui migliaia bambini, morti per fame. Oltre 10
milioni di profughi! Qui, però, non possiamo schierarci con nessuno e
soprattutto contro nessuno. Nessun influencer rilancia i fatti. Sui social
questa guerra non esiste. Non esiste uno scontro tra fazioni politiche
facilmente individuabili, non c’è il Grande Satana, l’ Occidente, origine di
tutti i mali. Purtroppo, e’ solo una questione umanitaria, molto cruda, di una
guerra atroce, morti violente, morti per fame, profughi, che non esistono. Non
ci possiamo creare delle fazioni contrapposte! Non esiste il bene, riconoscibile,
contro il male altrettanto facilmente riconoscibile. Non ci sono migliaia di
post che rafforzano la mia posizione! C’è solo una questione umanitaria che non
interessa a nessuno e di cui milioni di persone non sanno neanche l’esistenza
(vedi foto del Seceda). Noi siamo immersi in questo mondo comunicativo, veloce
e superficiale, dove i fatti “fluiscono” come i post di FB, dove non si
approfondisce più nulla. In questo mondo della comunicazione, i social hanno
tanto successo perché evidentemente rispondono ad un bisogno reale dell’Uomo,
di sentirsi parte di un Tutto, di avere un ruolo, di non essere passivo, di
poter dire la propria, anche se non sa niente di Dolomiti, di Ucraina, di
Palestina, anche se fino a ieri non sapeva cosa fosse un Kibbutz o il Patto
Molotov-Ribbentrop, gli accordi di Camp David oppure quelli di Oslo oppure cosa
è il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, In questa “ Società degli Uguali” dove
non è richiesta nessuna competenza ed anzi non viene riconosciuta nessuna
autorevolezza, siamo tutti alla pari. I social sono il luogo della NON
conoscenza, dove si può dire tutto ed il contrario di tutto. Il luogo dove oggi
si formano le coscienze politiche. Il luogo dove si polarizzano e si
radicalizzano. L’unica strada possibile è sapere che quello non è il luogo
della costruzione, del dialogo, della soluzione dei problemi. La CONOSCENZA è
il primo antidoto al conflitto, la base per la soluzione dei problemi. Il mio
post vuole essere solo un INVITO alla conoscenza che non si può raggiungere leggendo
post o condividendoli.
L’altro anche era di Facebook, ma
parlava dei cinesi in maniera interessante:
Oltre le difficoltà linguistiche
Sono
un popolo che comunica con te in qualsiasi modo, anche a gesti se serve. Non si
tirano indietro, vogliono conoscerti. E se tu gli fai qualche domanda,
sono emozionati nel vedere che ti interessi alla loro cultura.
Sono curiosi, staranno ad ascoltare qualsiasi cosa gli raccontiate e vi faranno
anche domande strane come “esistono le carote in Italia?”. Quando gli direte
che siete italiani, poi, vedrete la loro espressione! La verità è che pochi di
loro sanno veramente dove si trova, sanno però che è una terra lontana e
affascinante, e come dargli torto?
La
Cina è il paese dove mentre cerchi di capire la cartina arriva una famiglia che
ti accompagna in giro per la città e a fine giornata ti invita a cena a casa
loro pur avendo evidenti problemi di comunicazione. Perché a cosa serve
parlare, quando ci si può scambiare dei sorrisi così grandi? Dove se dimentichi
lo zaino da qualche parte ti inseguono di corsa per restituirtelo.
La
Cina è il paese dove le signore anziane sull’autobus si alzano per lasciarti il
loro posto anche se hai vent’anni, dove gli altri passeggeri ti indicano un
posto libero, ti fanno segno di stare attento a picchiare la testa.
La
Cina è il paese dove puoi fermarti a parlare con signore anzianissime di
una minoranza le cui donne non tagliano mai i capelli, farti spiegare la loro
cultura e mostrare come se li arrotolano sulla testa. “Siamo brutte, abbiamo i
capelli bianchi ora”, invece erano radiose.
La
Cina è quel paese dove ti basta farfugliare un ni hao per
essere accolto a braccia aperte. Dove quando non capisci a che fermata devi
scendere, la signora a cui hai chiesto indicazioni chiede a tutto il resto del
pullman per essere sicura di indicarti quella giusta, e se finisce lontano da
te te lo urla a squarciagola dal fondo dell’autobus che devi scendere proprio
lì.
Un’amore
in comune: il cibo
Se
c’è un luogo in cui capire meglio la cultura cinese è – insieme ai parchi pubblici –
il treno, ancora meglio se il treno lento e
notturno che prendono tutti quelli che non hanno
abbastanza soldi per prendere il treno veloce. Proprio sui treni mi è capitato
moltissime volte che sul treno le persone mi abbiano offerto la frutta che
si erano portati per il viaggio.
Ho
visto un uomo fissarmi come sempre fanno quando non sono abituati a vedere
occidentali. Ecco – penso – un altro. Poi mi giro, mi sorride e mi porge un
pezzo del pomelo che stava mangiando. “Sai come si mangia?”, mi chiede. Faccio
di no con la testa e mi mostra come fa, poi mi porge un altro pezzo.
Quando
i miei genitori sono venuti a trovarmi in Cina, appena arrivati hanno preso un
taxi dall’aeroporto all’albergo dove alloggiavano. Non parlando cinese, hanno
avuto un po’ di difficoltà, ma alla fine il taxista gli ha regalato delle
pesche, per simpatia.
I
cinesi cercheranno sempre di farti assaggiare qualsiasi cosa: per loro, la
cucina (o la frutta) cinese è sempre la più buona.
Una
volta ho visto salire sull’autobus una signora che aveva appena comprato al
mercato una specie di pagnotta. Dopo mesi e mesi di ciotole di riso, ho
iniziato a fissarla chiedendomi se fosse vero o se avessi le allucinazioni. Lei
mi ha vista, ne ha strappato un pezzo e sorridendo me lo ha porto. Quando
le ho detto che era buono, me ne ha dato un altro pezzo ancora più grosso.
Questa
è la Cina che non ti aspetti.
I
cinesi sono tante cose, sono anche tanti e sicuramente ci sono persone che non
rientrano in nessuna delle categorie sopra citate, ma altrettanto sicuramente
sono un popolo dal cuore grande, genuino.
Un
popolo a cui va data una possibilità, andando oltre dei semplici stereotipi,
andando oltre quello che crediamo di sapere per sentito dire, andando sempre
oltre.
Con
l’internet di oggi si vive l’ieri come se fosse un domani, mi spiego meglio:
attraverso il computer e i film, le serie televisive, i documentari i video di
youtube e la musica, dalla Cina ho l’occasione di rivivere il mio passato
italiano attraverso i ricordi, per fortuna che ho una memoria che funziona
abbastanza, almeno sui momenti e le circostanze, le situazioni in questione nel
tempo e nello spazio.
Con Delio siamo diventati amici a distanza,
dalla Cina gli scrivo spesso e lui mi risponde da Soriano sul Cimino con
lettere di decine di pagine elettroniche, io sono più stringato, ma la nostra
conversazione è interessante, credo per entrambi.
A scuola non ci siamo mai notati, nel senso
che eravamo giovani in formazione e magari tutti e due timidi, anche se in
maniera diversa.
Capitolo IX
Capodimonte e Plinio
Il nostro
prossimo contatto, ultimo prima di tornare a casa è stato Plinio, uno
psicologo, che ha intervistato me, invece che io lui come mi ero prefissato.
A Capodimonte, sul
lago di Bolsena, paese bello nelle cartoline, ma piuttosto scialbo al suo
interno, ci siamo incontrati in presenza della sua cagnetta Matilde al
guinzaglio e abbiamo passeggiato un po’.
Stimolato o
forzato dalle sue domande, non saprei dire in che misura, sono partito
piuttosto sul largo:
- Non credo che
sia una cosa positiva, ma in Cina una sola fabbrica senza lavoro umano, produce
1440 automobili ogni 24 ore, vale a dire una al minuto.
Nella Mongolia
Interna, la Cina ha lanciato la più grande flotta al mondo di camion minerari
elettrici senza conducente.
A Napoli in
alcune cose sono associati alla Camorra in altre sono in concorrenza.
A Prato pare che
ci siano cinesi immortali, se andiamo a controllare la verità è che quando uno
muore un altro automaticamente prende il suo documento italiano.
Prima di partire
per la Cina l’Italia era già piena di cinesi. Più evidenti tra tutti i bar, di
tutta la penisola, erano stati attaccati e conquistati.
Mi erano
piuttosto simpatici, forse perché non li capivo bene e la cosa era reciproca,
non ce ne facevamo comunque una colpa.
Plinio annuiva e
mi domandava quasi con noncuranza, in maniera che io non potessi rifiutarmi e
alle mie questioni rispondeva stringatamente, perlopiù eludendo i punti chiave.
- Ricordo un
dialogo più recente, la penultima volta che sono rimpatriato, nel bar di
Bacchio con una nuova barista, alla quale avevo chiesto un pezzo salato
vegetariano e lei che non aveva capito, aveva risposto:
“Sono tutti
italiani!”
Ho riso, avevo
capito che spiegarsi era difficile, e forse la barista era appena arrivata
dall’estremo oriente. Ho dunque accettato e mangiato, non senza difficoltà
digestive, l’unico che conteneva della carne e precisamente della salsiccia,
veramente gustoso, ma piuttosto pesante la mattina per un sessantenne.
I cinesi mi
chiamano lo scrittore pazzo che viene da
lontano che suona più o meno
così: Láizì yuǎnfāng de fēngkuáng zuòjiā. (來自遠方的瘋狂作家)
Diciamo che il libro comico, o anche solo di
un certo buonumore, non fa parte della loro cultura, quindi è un fenomeno di
nicchia, non so se più o meno di quello che sarebbe stato in Italia.
Di buono c’è che
sono tanti, alcuni direbbero troppi, insomma una piccola parte dei cinesi
esistenti mi permette di vivere divertendosi con i miei libriccini. Si
divertono assai soprattutto a leggere come gli europei considerano i cinesi;
forse anche a riflettere su come loro ci considerano.
Una delle scene
più buffe per loro è quella del camorrista napoletano che dice a un altro
camorrista napoletano ma più giovane:
“I cinesi sono
come bambini: se gli dici che a Napoli il bianco si dice nero loro ci credono e
lo mettono subito in pratica.”
Per loro non
sembrano opposti, il bianco e il nero. Tanto per dire che i colori sono belli e
importanti, ma non in concorrenza tra di loro. Diversi da noi nel paradigma di
integrazione, lo preferiscono al nostro di individualità.
Personalmente ho
sempre avuto più affinità e abilità con le parole e le frasi, meno con i numeri
e le varie operazioni, algoritmi, equazioni e sistemi su tutto.
Anche le parole
però si sommano e si sottraggono, si dividono e si moltiplicano, per le cui
radici quadrate e cubiche ho qualche difficoltà, meglio quelle tonde o
sferiche.
La radice della
parola altro non è se non un’origine, i vocaboli hanno tutti una provenienza
certificabile, eppure non da me, ma se anche non la conosco talvolta me la
invento. Succede più spesso di quanto si possa pensare e comunque non è che ci
si pensi tanto.
Non ho mai
capito se sono un tipo tendente al curioso o no. Magari in alcune cose sì, ma in altre assai meno, come per
esempio con la gente. Non voglio farmi gli affari altrui, ma mi chiedo spesso
come vivono i colleghi di esistenza che incontro sul mio cammino terreno,
uomini e donne, giovani o vecchi.
Perfino i
cinesi, tanto per fare un esempio, che sono esseri umani anche loro, ma a me
sembrano praticamente degli extraterrestri.
Poi non gli
domando niente, forse perché so che a me non piacerebbe se a chiedermi qualcosa
fossero loro e poi sia con il Mandarino che con il Cantonese non mi sento
ancora tanto a mio agio.
Non sono lingue
difficili, come sono universalmente considerate, per lo più a torto, ma sono
suoni che per noi occidentali sono difficilmente pronunciabili e poi se le devi
scrivere è un altro discorso a parte, lasciamo perdere.
Tornando a me,
sono considerato complicato, anche da me stesso, e qui siamo tutti d’accordo.
Sono uno aperto
e chiuso allo stesso tempo, serio e scherzoso, fanatico e menefreghista,
pignolo e approssimativo, stupido e arguto. Potrei continuare e finirei per
annoiarmi della mia stessa complessa personalità.
Dentro di me ho
tante di quelle contraddizioni, che anche un semplice inventario delle voci
principali sarebbe proibitivo, anche per una mente allenata alle mille
parentesi.
Quando mi sono
trovato a perdere mia moglie, nel senso che mi aveva lasciato lei e aveva anche
fatto bene, purtroppo era la seconda, e di sicuro l’ultima.
Figli non ne
avevo, ma due consistenti cani e due improbabili gatti.
Soldi sì, quelli
dell’eredità, ma senza esagerare.
Ma la vera
confessione è stata questa, poco prima di lasciarci:
- Le scomuniche erano state il tema della mia
vita, e che questo tema, a ogni cambiamento radicale, tornava a farsi sentire
con una puntualità svizzera. Potevo pure autodenunciarmi. Forse era colpa mia.
Forse ero io che facevo scappare tutte le persone. Alcune coscientemente, visto
che non mi garbavano, alcune nella completa indifferenza e altre contro la mia
volontà, almeno in apparenza, quelle che mi piacevano.
Plinio è stato sposato due volte, ha lasciato qualche
figlio in giro, ma non ha specificato quanti, né dove. Ora vive da solo, cioè
con Matilde, sembra molto allegro e affabile, ma sul suo sguardo rimbalzano le
saette.
Tra le poche cose che ha detto c’è stata
questa, che mi è garbata abbastanza:
- I cani hanno la loro maniera di esprimersi,
notoriamente non parlano, come pure gli altri animali, ma ho ragione di credere
che a volte gli piacerebbe poterlo fare, se non altro per mandare affanculo
proprio noi, i cosiddetti esseri umani, per così dire troppo disumani con loro,
e pure con noi stessi, su questo siamo d'accordo.
Capitolo X
Introducendo PAS
Per un europeo e
italiano, anche se piuttosto atipico, la vita in Cina sembra quella di un altro
pianeta, ma poi ci si abitua e i pianeti sulla terra sembrano in seguito vari e
ben distinti.
La televisione
l’ho bandita da anni, ma i film li guardo spesso scaricati in internet, serie
televisive anche vecchissime, ascolto le canzoni e tutto quello che permette al
passato di non passare mai del tutto.
Per il tipo di
vita che abbiamo fatto in famiglia tutti noi quattro figli siamo più o meno
autistici, forse da soli ci sentiamo meglio, pur cercando a volte
affannosamente la compagnia.
Una cosa che mi
ha sempre dato fastidio erano i miei amici o conoscenti che in presenza di una
ragazza diventavano diversi, parlavano di più, facevano i prepotenti, volevano
farsi vedere in una maniera differente da come erano di solito, mentre io
apprezzavo specialmente chi era sempre sé stesso, nel bene e nel male.
Da ragazzi la
bellezza fisica ci attrae di più che da anziani, come sono ora, in Italia -
specialmente a quei tempi - si vedeva nella donna qualcosa di angelico, che poi
nei fatti non è così e quando ci se ne accorge magari la nostra maniera di fare
è già troppo indirizzata da questo particolare punto di vista.
Ultimamente sono
entrato in contatto, attraverso Facebook, con una donna che ho conosciuto tanti
anni fa, anche se non ci avevo quasi mai parlato.
È stata la
ragazza di due miei amici, uno alla volta naturalmente e forse non erano
veramente miei amici, come credevo. Anche l’amicizia con il tempo mi si è ridimensionata,
non mi faccio illusioni, cerco di mantenere i sentimenti senza volermi
ingannare.
Lei era bella e
ambita insomma, faceva colpo a quei tempi. Ha più o meno la mia stessa età,
forse un po’ più giovane. All’epoca dovevamo avere poco più di venti anni.
Comunque nonostante la mia personalità insignificante all’epoca, la mia
timidezza esagerata, lei si ricordava di me.
Mi ha spiegato
che recentemente aveva scoperto, suo malgrado, di essere una PAS, cioè una
Persona Altamente Sensibile. Era entrata nell’argomento per raccontarmi dei
suoi guai e delle sue crisi, dovuti proprio a quel determinato tipo di
personalità.
Le persone
altamente sensibili (PAS) sono una fascia di individui che possiedono
una sensibilità più accentuata rispetto alla media della popolazione.
Questa caratteristica, implica una maggiore profondità di elaborazione delle
informazioni sensoriali, emotive e sociali.
Essere altamente sensibili non è una patologia ma un
tratto della personalità che può influenzare vari aspetti della vita
quotidiana.
Chi sono le
persone altamente sensibili?
Tra le caratteristiche delle persone altamente sensibili
c’è una percezione accentuata degli stimoli esterni e interni. Tali
stimoli possono essere fisici come suoni, luci e odori, oppure emotivi, come i
sentimenti degli altri e le dinamiche sociali.
Le PAS tendono a riflettere profondamente sulle loro
esperienze e a provare emozioni in modo più intenso e duraturo.
La sensibilità accentuata è un tratto comune, ereditabile
e conservato evolutivamente, che descrive le differenze interindividuali nella
sensibilità agli stimoli ambientali sia negativi che positivi.
Una branca che
non sapevo nemmeno esistesse e anche se sono contrario a molti tipi di forzato
ridurre tutto e tutti in categorie, questa qua per ovvi motivi mi ha intrigato
e sono andato a documentarmi.
Lo sospettavo
dal primo momento, ma ho cercato di non farmi influenzare: anche io faccio
parte di questa fascia di individui che danno estrema importanza a tutto quello
che succede intorno a loro, che se ne fanno influenzare a volte eccessivamente,
che inevitabilmente durante la loro esistenza soffrono più del dovuto, ma
gioiscono anche intensamente di cose che per gli altri sono insignificanti.
Tutto questo ha
determinato una vita da ribelle a ogni convenzione e un’attenzione estrema a
ogni più piccola frazione di esistenza, non solo mia ma anche altrui.
Non tutti i
timidi sono PAS, ho motivo di credere, ma io mi sono reso conto abbastanza
presto di questo mio problematico rapporto con gli altri, per questo ho cercato
di sforzarmi sempre di stare in mezzo alla gente, in maniera anche esagerata.
La teoria della
sensibilità ambientale
Per sopravvivere e prosperare sul pianeta terra, è
essenziale che tutti gli organismi utilizzino le risorse ambientali, come il
cibo e il supporto sociale. Gli animali e gli esseri umani sono programmati per
percepire, elaborare, reagire e adattarsi a specifici elementi sociali e fisici
dell'ambiente, sia positivi che negativi, al fine di potersi riprodurre e mantenere
in vita la specie.
È interessante notare che esistono sostanziali differenze
interindividuali nella sensibilità e nella reattività all'ambiente, sia negli
animali che negli esseri umani. Alcuni sono molto più sensibili e reattivi
rispetto ad altri, in quanto il metodo di processamento
dell’informazione passa attraverso differenti correlati
neurobiologici.
Tra le popolazioni, si osserva un continuum che
va da una bassa a un'alta sensibilità all'ambiente. Negli ultimi anni, la
Sensory Processing Sensitivity, che descrive le differenze interindividuali
nella sensibilità alle esperienze, e che è iniziata come un argomento poco
conosciuto 20 anni fa, è diventata una componente molto discussa
della teoria della sensibilità ambientale.
“Sensibilità ambientale” è un termine ombrello per le
teorie che spiegano le differenze individuali nella capacità di registrare ed
elaborare gli stimoli ambientali Insomma gli individui differiscono nella
loro sensibilità sia ad ambienti ostili che di comfort. Quindi i PAS
presentano una maggiore profondità nell'elaborazione delle informazioni,
una aumentata reattività emotiva e una maggiore consapevolezza delle
sottigliezze ambientali, una determinata facilità di sovrastimolazione.
Gli adulti con alta sensibilità ambientale che hanno
riportato un'infanzia infelice avevano punteggi più alti in emotività negativa
e introversione sociale, mentre gli adulti con alta sensibilità che hanno
riportato un'infanzia felice non differivano molto dalla popolazione più ampia
di adulti non altamente sensibili in questi tratti.
La ricerca di
Elaine Aron
Il concetto di alta sensibilità è stato
ampiamente esplorato dalla psicologa americana Elaine Aron, che ha identificato
quattro caratteristiche principali delle persone altamente sensibili:
profondità di elaborazione, sovrastimolazione, reattività emotiva ed empatia,
sensibilità alle sottigliezze.
Queste caratteristiche rendono le persone altamente
sensibili particolarmente attente ai dettagli e ai cambiamenti
nell'ambiente circostante, ma possono anche causare stress e
affaticamento in situazioni di sovraccarico sensoriale.
Nel questionario che generalmente viene somministrato
alle persone che hanno un sospetto di PAS, vi sono domande relative la
reattività alla caffeina, alle stimolazioni luminose, la tolleranza al rumore e
allo stress percepito relativo le aspettative e le richieste altrui.
Si nota come l’ansia possa essere un sintomo con una certa dimensione e peso
emotivo nella vita di queste persone.
Risorse e
fattori di rischio psicologici delle persone altamente sensibili
Le persone altamente sensibili possono godere
di numerose risorse psicologiche, come una grande capacità di empatia, una
ricca vita interiore e un'attenzione ai dettagli che può portare a un'elevata
creatività.
Malgrado tutto, queste qualità possono anche comportare
alcuni fattori di rischio. Le PAS sono più suscettibili allo stress, all'ansia e alla depressione, soprattutto quando
sono esposte a situazioni di conflitto o ambienti sovrastimolanti.
Nel momento in cui l’ambiente richiede lo svolgimento di
più compiti alla volta, la persona altamente sensibile potrebbe avere un
vissuto altamente stressante in quanto la sua capacità di rielaborazione
richiede un tempo maggiore.
Persone
altamente sensibili e amore
Nel contesto delle relazioni affettive, le persone altamente
sensibili possono vivere esperienze molto intense e profonde. Possono
essere partner attenti e premurosi, capaci di comprendere i bisogni emotivi
degli altri.
Tuttavia, questa stessa sensibilità può renderli
vulnerabili a ferite emotive e difficoltà nel gestire i conflitti. Le persone
altamente sensibili infatti processano le emozioni in profondità e spesso sono
molto disponibili con gli altri, mettendo in questo modo le loro esigenze in
secondo piano.
Forse a un certo
punto sono stato troppo insistente, nella mia solitudine magari mi attacco alle
poche possibilità che mi capitano di poter conversare piacevolmente con
qualcuno, ma non volevo che pensasse che avessi seconde intenzioni, anche
perché io vivo a migliaia di chilometri di distanza.
E poi alla mia
età non cerco più nessuno per tentare un’improbabile relazione intima. Non è
per calcolo, è proprio una cosa che sento naturale, essere me stesso è una roba
che non voglio cambiare proprio in vecchiaia.
Persone
altamente sensibili e narcisisti
Un'altra dinamica interessante riguarda l'interazione tra
persone altamente sensibili e individui con personalità
narcisistica. Le PAS, per la
loro naturale inclinazione all'empatia e al supporto, possono essere attratte
da persone narcisiste, che tendono a manipolare e a sfruttare gli altri per
soddisfare i propri bisogni.
Questa combinazione può risultare particolarmente
problematica, poiché la PAS potrebbe ritrovarsi in una relazione disfunzionale
e sentirsi costantemente inadeguata o sfruttata. Il narcisista riesce a
manipolare piuttosto facilmente una persona altamente sensibile e, finché vi è
un equilibrio nella relazione, entrambe possono godere di alcuni vantaggi
psicologici.
Nel momento in cui la personalità narcisista eccede nelle
richieste di attenzione, egocentrismo e autoreferenzialità, vi è uno
sbilanciamento nella coppia e la persona sensibile rischia di soccombere a tali
stimoli.
Esiste una
terapia per le persone altamente sensibili?
Non esiste una terapia specifica esclusivamente per le
persone altamente sensibili, ma diversi approcci terapeutici integrati possono
essere utili per gestire l'ipersensibilità e migliorare la qualità della
vita.
La terapia cognitivo-comportamentale può
aiutare le PAS a riconoscere e modificare i pensieri negativi e le reazioni
emotive disfunzionali. Può essere poi utilizzata la tecnica della mindfulness, in quanto permette di sviluppare una
maggiore consapevolezza e accettazione delle proprie emozioni, riducendo così
lo stress e l'ansia.
Persone
altamente sensibili: consigli per gestire l’ipersensibilità
Le persone altamente sensibili possono adottare diverse
strategie per gestire la loro ipersensibilità e migliorare il loro benessere.
Il primo passo è quello di riconoscere e accettare la propria
sensibilità come una risorsa e non come una fragilità.
Avere uno spazio domestico tranquillo o un luogo sicuro
dove poter decomprimere lo stress diventa fondamentale, in quanto
l’accumulo degli stimoli porta le PAS a stati ansiosi o depressivi. All’interno
di questo spazio si possono praticare tecniche di rilassamento come yoga,
mindfulness e tecniche di respirazione.
È necessario poi imparare a dire di no e a
proteggere il proprio spazio personale per evitare il sovraccarico emotivo. Nel
delimitare i confini è inoltre funzionale imparare a chiedere
aiuto creando una rete di supporto intorno a sé.
Libri e film
sulle persone altamente sensibili
La letteratura e il cinema hanno spesso esplorato il tema
dell'alta sensibilità, offrendo spunti di riflessione e rappresentazioni
accurate di questa caratteristica. Tra i libri più significativi, si possono
citare The Highly Sensitive Person di Elaine Aron, che è una guida
fondamentale per comprendere e accettare l'alta sensibilità. Quiet: the
power of introverts in a world that can't stop talking di Susan Cain,
sebbene focalizzato sugli introversi, offre molti spunti rilevanti anche per le
PAS. Infine, il libro di Rolf Sellin “Le persone sensibili hanno una
marcia in più: Trasformare l'ipersensibilità da svantaggio a
vantaggio” offre una nuova lettura dell’ipersensibilità, focalizzandosi
sui possibili aspetti positivi che ne derivano.
Il cinema offre film come Il favoloso mondo di
Amélie, dove vengono rappresentati personaggi con tratti di alta
sensibilità, evidenziando sia le loro sfide che le loro meravigliose capacità
di percezione ed empatia.
In comune con
Amelie io ho passato molto tempo da solo da piccolo, per giocare con altri
bambini ho dovuto aspettare che il mio fratellino nascesse e poi crescesse. I
miei primi compagni di giochi sono arrivati piuttosto tardi, questo può aver
influito, secondo me.
Altri film come Inside Out esplorano la
complessità delle emozioni umane, offrendo un ritratto suggestivo di come le
persone altamente sensibili possono vivere le loro esperienze interiori.
Essere una persona altamente sensibile comporta sfide
uniche, ma anche una ricchezza di esperienze emotive e
percettive. Comprendere e accettare questa caratteristica può portare
a una vita più autentica e soddisfacente, arricchita dalla consapevolezza
di sé e dalle profonde connessioni con gli altri.
Conseguenza personale per me, magari non condivisa da tutti i PAS, la
scomunica ad amici o innamorate che sono stati bocciati, per un motivo o per
l’altro, e messi da parte senza tanti complimenti.
Il fatto è che io fatico molto per abituarmi a qualcuno più vicino, ma
dopo, passato un inconscio periodo di prova che può essere abbastanza lungo e
non privo di intensi piaceri, poi mi ci sento molto attaccato, anche quando
dopo averlo riprovato/a in maniera definitiva e inappellabile lo/la allontano,
ci rimango legato affettivamente e per sempre. Se e quando rifiutato io stesso
dagli altri, essendo piuttosto rompiscatole, poi mi ci sento legato lo stesso,
anche se forse in maniera diversa, ugualmente intensa.
https://www.unobravo.com/post/persone-altamente-sensibili-pas
I cinesi la bestemmia non la capiscono
tanto bene e il vaffanculo non si può tradurre letteralmente, ma che vuol dire?
Anche i tedeschi dicono verpisst dich,
che significa pisciati addosso, però il senso è quello.
Purtroppo i cinesi
in vacanza in giro per il mondo non mi sembrano essere l’esempio più virtuoso
ma sono certa che dopo un viaggio nel loro paese potrò ricredermi.
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