Wednesday, October 1, 2025

CANI NON COMMESTIBILI

 


Capitolo I

 

Una foto di scuola

 

 

A partire da una foto di classe in bianconero, ho pensato a dove erano andati a finire i ragazzini che erano stati a scuola con me alle elementari o anche oltre. Un arduo interrogativo tra i tanti che ci si potesse mettere a cercare in qualche modo di risolvere, ma un po’ più antropologico di altri, uno studio forse quasi statistico sul senso della vite e non della vita.

Come se fosse proprio una vite che gira per conficcarsi sempre di più nel legno, metaforicamente spinta da un cacciavitone cosmico, quindi un senso non tanto filosofico, ma quasi fisiologico, di un’umana esistenza. Comprendere la vite degli altri mi serviva per capire meglio la mia e il legno in cui mi si conficcava, volente o nolente, con più o meno entusiasmo.

Il problema iniziale era la distanza di migliaia di chilometri, dato che vivo in Cina ormai da trent’anni, ma c’era ancora un fratello là, in Italia, a Bacchio, comune di Zorca. Una sorella poi non troppo lontana, e quasi definitivamente maremmana. La Maremma aveva affascianto anche me, ma solo dopo essere andato a vivere all’estero, prima non la conoscevo abbastanza.

Almeno potevo dormire a casa sua, di mio fratello Gino, mentre mi perdevo nelle pieghe e forse anche nelle piaghe del passato e dell’antropologia spicciola e piuttosto maccheronica.

L’idea mi piaceva anche perché avrei dovuto fare un po’ come fa un investigatore, andarli a cercare uno per uno e parlare con la gente per chiedere informazioni, poi con loro stessi, se li trovavo.

Il poliziesco, quello buono e purtroppo raro, che forse oggigiorno si chiamerebbe noir, è l’unica inchiesta sull’umanità e sulla relativa vita che mi piace ancora di leggere, perché non si perde nei meandri della filosofia, del senso dell’esistenza, se non in maniera pratica, giornaliera dei piaceri e dei dispiaceri della routine.

Però prima di tutto mi sarei dovuto ricordare dei nomi, tanti o pochi che fossero, magari avrei potuto chiedere ai primi che trovavo.

Il grosso problema erano le mie amate bestiole, avrei dovuto trovare qualcuno per stare con loro, almeno qualcuno per dargli da mangiare e bere.

Gennaro ci era abituato, per anni era restato lì con Giulia, (la cagnetta che poi era morta dopo pochi anni dal mio ritorno) quando io ero in Italia per via di mia madre con l’alzheimer, ma Marina no. L’avevo presa dopo Giulia, per far compagnia a Gennaro e da quel momento non avevo passato più di tre o quattr’ore fuori casa, attualmente aveva due anni e qualcosa.

I due gatti poi, Buccia e Poldo, anche loro avevano passato quel periodo scuro, semi abbandonati per tre anni e mezzo, ma con un paio di persone fidate che venivano a dargli da mangiare e una non troppo falsa sensazione di affetto.

Quelle stesse persone sono state quindi convocate e hanno risposto con il consueto entusiasmo, anche perché li pagavo in euro e tradotti in yen erano soldi utili. Però lo so che lo avrebbero fatto anche per niente, lo hanno già fatto per periodi corti. La gente qua è così simpatica e disponibile che a volte, quando ti aiutano, non sai se lo fanno per il proprio piacere, per la considerazione che provano nei tuoi confronti, o per la loro naturale bontà. Forse un misto delle tre cose, i cui componenti ci sono sempre, ma in percentuali fluttuanti e perlopiù sconosciute.

Non ho comunque avuto il coraggio di guardare gli occhioni di Marina, quando chiudevo il portone, prima di prendere un taxi per l’aeroporto.

Gli occhi dei cani sono laghi lucidi di struggenti riflessi in superficie, profondi di amore incondizionato, che mi commuovono assai, anche solo a pensarci, quando loro non ci sono.

Prima ho detto improbabili, a proposito di quei felloni dei felini, perché io non li volevo, era stata An-Zhan, mia ex moglie, che li aveva voluti e avevo resistito anche un po’, ma poi mi erano fin troppo eccessivamente piaciuti.

Sul taxi speravo che non avrebbero sofferto, già sapendo che invece sì, cercavo di pensare ad altro e così non li ho lasciati con la mente fino all’aeroporto, neanche per un secondo.

Mi ripetevo di farla finita, ma il pensiero umano non conosce la negazione, poi le necessarie pratiche di prima del volo mi hanno assorbito e mi hanno fatto sentire più pimpante e meno triste.

A proposito: una cosa che non mi piace dei cinesi è che mangiano i cani, ma è probabilmente solo una resistenza culturale. Comunque si sbafano anche tanti altri animaletti che a noi non ci piacerebbe nemmeno pensarlo, ma per altri motivi.

Però una cosa che ricordo ai miei guardiani, per scherzo ma sul serio, ogni volta che parto, è che i miei cani non sono commestibili, loro ridono con la faccia, ma gli occhi mi sembrano piuttosto sul perplesso.

Mio fratello Gino si è dimostrato pieno di dubbi sulla mia iniziativa, ma disposto a lasciarmi dormire da lui. Tra le prime cose che ha detto, una mi è rimasta impressa: che ogni volta che mi vede gli occhi mi si sono strettiti. Come due fessure, a forza di stare con i cinesi, secondo lui. Che parlo come un barese che abbia vissuto per anni ad Aosta o a Gorizia, insomma sulle montagne del nord. Secondo me è tutta suggestione, ma non ne sono proprio sicuro.

Gino non mi capisce tanto e io non capisco lui, ma abbiamo sempre un rapporto di sangue che non è poco, il mio fratello e la mia sorella sono le persone che conosco da più tempo e abbiamo tanti ricordi in comune, alcuni anche piuttosto belli.

Tanto per fare un esempio, non ha mai compreso perché io me ne sia andato a vivere in Cina. Se è per quello nemmeno io l’ho capito, ma la vita è così, crediamo di poterla controllare invece no, ci sbagliamo, solo in minima parte e non sappiamo neppure quale.

Forse cercavo riparo dalle persone e i cinesi mi parevano cose di un altro mondo, magari neutri e tutti uguali, forse mi sbagliavo, ma non del tutto.

La logica orientale mischiata con un certo tipo di comunismo mi confonde ulteriormente le idee.

Capitolo II

 

Bravo Gerlando!

 

 

Mi sono stabilito nel seminterrato come le altre volte, non era cambiato molto, ma aveva due cani nuovi e diversi gatti che entravano e uscivano di casa, da un rumoroso sportelletto nella porta. Spesso andavano a mangiare altrove, dai vicini di casa, alcuni anche piuttosto lontani.

Tornando al motivo del mio raccontare, volevo partire dall’inizio, per quanto riguardava la mia ricerca, come una ragionevole logica vorrebbe, ma proprio dall’inizio non era possibile. All’asilo i nomi e i ricordi erano troppo nebulosi, e lo stesso ai primi anni delle elementari, che si accavallavano inoltre con quelli dell’asilo, ho stabilito quindi la quinta elementare come inizio.

Alcuni dei nomi in questione corrispondevano a persone che avevo incontrato di nuovo e anche frequentato un po’, come nel caso di Gerlando, quando me ne venivo a Bacchio.

Sapevo che mi poteva dare indicazioni, lui questa gente del circondario ha continuato a frequentarla per tutti questi anni, per fortuna e poi per i fatti altrui e relativi pettegolezzi ha una ottima memoria, oltre a un vinello bianco fresco che fa personalmente e di solito se lo beve tutto lui, al tavolino sotto il vecchio albero di cachi, lo abbiamo sorseggiato con piacere.

“Se mai leggerò un libro, un giorno, potrebbe essere uno dei tuoi.” Ha detto in quell’occasione. Magari solo per farmi piacere, sfoggiando una frase che ha sentito dire a qualcuno alla televisione.

“Non credo che a sessant’anni inoltrati uno che non ne abbia mai letto uno possa riuscire a farlo.” Ho commentato io distrattamente.

“Non andà dietro alla logica del tu’ cervello - ha replicato lui – quante volte ti ha già fregato?”

“Mai.” Ho mentito io.

“Certo le tu’ storie so’ un po’ difficili, vabbè, in fondo-in fondo chi se ne frega della Cina?

Ma chi cazzo li compra i tuoi libri, me lo spieghi?”

“Boh? I cinesi credo.”

“Però, se da queste tue biscarate niente-niente nascesse un libretto, magari non troppo alto di spessore - non troppo alto di spessore...

E chi lo sa? E chi lo sa?

Non ipotechiamo le ipotesi, sarebbe un’ipotenusa, o un’iperbole; che ne so io?

O no?”

Gerlando ripete le sue frasi più volte, parla spesso con parole che lui stesso non comprende bene, le ha sentite da qualche parte e gli sono piaciute.

 “Prima che tu ti preoccupi invano, qua e in italiano i libri non ci sono.”

“Cioè tu scrivi in cinese?”

“No, scrivo in italiano, poi c’è un traduttore che ovviamente traduce, la copia in italiano ce l’ho io a casa nel computer, ma il libro in questione non viene pubblicato in Italia, né in Europa, diciamo che non esce dal mercato cinese.”

“Nemmeno in internet?”

“In internet c’è, hai voglia te, un numero infinito di copie virtuali, ma solo ed esclusivamente in cinese.”

Per un attimo ha pensato di impararsi il cinese, a giudicare dall’espressione della faccia, la sua mentalità è talmente basata sulla curiosità che non esclude a priori nemmeno le cose più improbabili e stronze. Naturalmente non sono stato a spiegargli che di cinesi ce ne sono anche diversi e non sono difficili oralmente, ma piuttosto ostici, data la nostra cultura occidentale, nella lingua scritta.

Rossiccio di capelli e pieno di lentiggini in faccia, è di famiglia siciliana al 100%, ma è nato qua, in mezzo ai campi di Bacchio e non si è mai mosso. Abita ancora nella casa di pietra e mattoni dove ha passato tutta una vita, si è sposato e ha due figlie grandi, che lavorano nel ramo della gastronomia, se anche l’Eataly di un Farinetti con i baffi si potesse definire tale.

Ha lavorato come meccanico, all’inizio, poi come falegname, ora in giro non ce ne sono rimasti tanti, ma lui è andato in pensione da poco.

Ricordo che suo zio Otello, (che attualmente è un vecchietto un po’ storto, ma abita ancora lì,) tra un rutto e una scorreggia, faceva dei bei mobili, che in piedi disegnava lui stesso, nel garage o rimessa, con il pavimento di terra battuta e il portone sempre aperto, anche con la neve.

Gerlando fa delle cose più semplici, più che altro modifiche e aggiustature di porte, finestre e cose di questo genere.

Mi ha detto che ha visto un film con Sergio Castellitto che va in Cina per lavoro, insomma per insegnargli a quei cazzi di cinesi come si fa un determinato pezzo di metallo, che loro non sanno fare e vorrebbero imparare.

Una volta sul posto la sua è un’esperienza interessante e tutto, pure nel capire che ai cinesi, nel frattempo, di quel pezzo non gliene frega più niente.

Anche se non ha mai letto un libro, di lui mi garba che è veramente e sempre interessato ad ogni argomento possibile. Fin da bambino è stato esageratamente curioso e a modo suo, per certe cose, ha un cervello che funziona.

È praticamente incapace di stare al chiuso, anche con il freddo, la pioggia e con la neve inventa cose da fare fuori e le mette in pratica.

Quello che non mi piace tanto di Gerlando è che a volte ti tempesta di domande, di cui poi non ascolta la risposta, non ce n’è il tempo materiale, che è già partito il prossimo interrogativo in questione.

Se non sei preparato ti mette in difficoltà, ti chiude in un angolo virtuale e lì ti annoda il cervello, ti richiude in un bozzolo, come fa il ragno con le sue vittime. Lo mandi affanculo inutilmente, lui non se ne accorge nemmeno.

Eppure è una di quelle persone che vedo volentieri, quando vengo in Italia, forse perché abbiamo passato tanto tempo insieme da bambini, o perché nonostante tutto ha vissuto meglio di certi pseudo-intellettuali e lo stress, propriamente detto, lui non sa cos’è, eppure sa a menadito come provocarlo al suo prossimo.

Alla fine è più gradevole di tanti altri, se si riesce a interromperlo puntualmente... e più interessante di buona parte di quella gente che ha studiato o avuto una vita più varia o più piena di movimenti cervellotici. Gerlando non ha mai smesso di essere sé stesso e non conosce la falsità. Eventualmente la provoca negli altri, ma non se ne fa una colpa.

Mi ha fatto vedere una delle tante chiesette che ci sono qua per i campi e per i boschi, mi ha spiegato che se avessi delle difficoltà nella vita dovrei venire a pregare qua. Quando sua moglie si è ammalata sembrava che dovesse morire e lui veniva qui, di giorno o notte che fosse, si inginocchiava e diceva una sfilza di orazioni tutti i giorni.

E ha  funzionato.

Sua moglie era grassoccia e ora è magra con tanti puntini sulla faccia che si vedono solo da vicino, o forse sono solo minuscole piaghe della pelle. Quando è arrivata non l’ho nemmeno riconosciuta, ma lei non ci ha fatto caso, deve esserci abituata.

Ecco un’altra cosa che io non sono mai stato curioso di sapere, di che malattia ha avuto la gente, di cosa soffre e di cosa muore. Non glielo chiedo nemmeno, tanto per queste cose non c’ho memoria, se mi dicono un nome di qualcosa ecco che me lo scordo subito e la prossima volta che ne sento parlare è come se  fosse automaticamente la prima.

Comunque in questa meravigliosa mattinata di giugno abbiamo fatto insieme un pro-memoria scritto su taccuino dei compagni di classe.

In quinta Gerlando non c’era più, era stato bocciato in quarta, ma la gente di qua lui la conosce bene, sa tutto di tutti. Chi non sa chi è, perché è arrivato da poco, ed è solo una breve questione di tempo, ora che è pensionato attacca discorso con tutti, ma anche prima era uguale, il tempo e il modo lo trovava.

Grande frequentatore di vari bar, non disdegna la discussione sportiva, all’occorrenza anche urlata, come ai vecchi tempi. Una volta era tifoso del Milan, poi ha iniziato a stare per il Torino, mi sono sempre dimenticato di chiedergli perché.

La mia domanda standard, alla fine ideale dell’intervista, era il senso della vita, alla quale Gerlando non ha risposto direttamente né indirettamente, come la maggior parte degli individui non era preparato a farlo.

Però ho capito che lui, essendo nato e cresciuto in campagna, gioiva dei piacere piccoli e quotidiani, e amava incondizionatamente la natura.

Da bambino era molto più pestifero e rompiscatole, da adulto e vecchietto era certo diventato piuttosto saggio e mi pareva avesse dei valori autentici e stabili. Lo ho sommariamente soppesato e considerato parecchio positivo. Certo posso sbagliare, ma ho un certo istinto della ragione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo III

 

Il pensionato Checco

 

 

Il pensionato è uno stadio della vita a cui non avevo mai pensato un giorno di appartenere, la corsa forsennata di un essere umano, prima di arrivarci, non permette eccessive pause, ma mi incuriosiva, quando vedevo degli anziani disorientati che non sapevano come usare tutto quel tempo libero.

Da bambini il tempo non bastava mai e per anni, se non decenni, la vita è sempre avara di ideali spazi liberi da percorrere, si ha sempre così tanto da fare, sui binari del già vissuto da qualcun altro, che quando improvvisamente tutto davanti ci appare vuoto, logicamente ci fa impressione.

I binari del pensionato poi sono ancora più stretti e portano sempre nei soliti posti, i limiti che abbiamo sono ancora maggiori perché abbiamo meno forza e meno resistenza.

Sono sempre rimasto affascinato dalle famiglie, ma quelle degli altri, perché la mia mi faceva soffrire e basta, almeno questo mi pareva.

La famiglia, in un modo o nell'altro, in maniera anche discontinua, mi è sempre sembrata un assurdo. Costringe la gente a fare quello che non vuole, anche di più del consueto esterno alle famiglie, per periodi più o meno prolungati. Finché uno scappa, trova un amante o due, da' di fuori di matto. Insomma ci sembra evidente che la stessa coppia, anche senza figli, nei tempi moderni, appaia sempre di più difficile a durare.

Mettiamoci anche il fatto che il nostro periodo di transizione, come tutti quelli dietro o davanti, per ognuno e da sempre, ma un po' di più perché ora noi lo attraversiamo in prima persona, ci faccia trovare in ritardo su tutto.

A cominciare da ogni attuale forma di arte, ma anche della comicità popolare o dei film di tanti tipi che vengono fatti.

Se io prima pensavo di aver sbagliato pianeta, ora ne sono sempre più convinto e non so neppure quale sarebbe stato quello giusto e se sia mai esistito.

Insomma la società, di cui sento da sempre parlare dagli altri, che non ho mai capito in cosa consiste e se io in un modo o nell'altro ne faccia parte o no, sta cambiando più o meno costantemente e a me non piaceva neanche prima, figuriamoci ora.

I desideri comuni, gli obbiettivi e perfino i sogni della gente non solo non li condivido, ma mi fa perfino soffire quando penso che fino a una certa età, non so neppure quando ho smesso, mi ci sono rapportato anche io.  Non capisco se non mi piacciono perché non mi sono riusciti, o se non mi sono riusciti perché non mi piacevano.

La stessa maniera di scherzare, tornando sempre sui luoghi comuni e stereotipi triti e ritriti, mi fa tristezza, vedere che un tempo sia i film che le scenette comiche mi piacevano e ora non li sopporto più, nella maggior parte dei casi.

Forse ero solo innamorato della mia ex moglie, ma andare a vivere in Cina è stata anche una fuga.

Mi rendo conto che in Cina io sono sempre stato curioso di capire e di integrarmi alla loro cultura, ma non mi ci sono mai completamente immedesimato, rimanendo in contatto attraverso film, foto, filmati e poi negli ultimi anni in internet con l’Italia e l’esistenza del paese in cui sono nato e cresciuto.

Gli esseri umani però mi fanno ancora curiosità, specialmente gli italiani, riescono sempre a sorprendermi, non necessariamente in maniera positiva.

Un mio sardo conoscente, scrittore non professionista anche lui, mi chiese perché nei miei racconti e romanzi parlavo sempre e solo degli esseri umani.

Lui aveva appena pubblicato un romanzo in cui parlava esclusivamente di animali, rigorosamente non domestici, ma suo malgrado non avevano certo la maniera di pensare diversa dagli uomini e questo a lui non glielo ho mai detto.

Tornando alle interviste ai compagni di scuola Gerlando mi ha portato facilmente da Checco, originariamente Francesco, che abitava attualmente a meno di cinquanta metri da lui.

Avevamo fatto le scuole insieme, non solo le elementari ma anche le medie, poi lo avevo ritrovato al liceo. Insomma ero più amico di lui che di Gerlando, anche se erano anni che non lo vedevo e abitava da poco vicino al siciliano.

Anche lui era uno di quelli che non aveva mai aperto un libro, appena finito le scuole, ma il liceo lo aveva finito ed era figlio di liberi professionisti, aveva avuto addirittura una fidanzata norvegese e aveva viaggiato abbastanza.

È stato contento di vedermi e mi ha detto una cosa alla quale non avevo mai pensato, cioè che io ero stato il suo primo amico, forse perché io invece ne avevo avuti altri prima.

Poi mi ha sorpreso con un altra verità divertente:

“Mio fratello c’ha una moglie che non gli rompe i coglioni.” Mi ha detto a voce bassa, perché la sua di moglie non lo sentisse, dalla stanza vicina,  sottintendendo evidentemente che era un fatto sorprendente giacché le mogli questo fanno di solito – come tutti ben sanno - e se ne trovi una che non lo fa è una preziosa eccezione e degna di essere raccontata agli amici.

Mi ha raccontato la sua vita fino a quel momento, esprimendosi bene e in maniera assai razionale, mi sono ricordato che a scuola lui era molto meglio di me e studiava perfino, cosa che io non ho mai fatto.

Checco era stato abbastanza fortunato dal punto di vista finanziario, visto che io genitori gli avevano lasciato un bel gruzzolo, ma aveva lavorato fino a poco prima come professore di ginnastica.

Era un buon sciatore e la sua passione maggiore era quella di andare a fare delle settimane bianche che a volte diventavano perfino mesi.

Una persona razionale e sempre di buonumore, che aveva vissuto un’esistenza piuttosto interessante, ma che non si era mai fermato troppo a pensare al senso della vita, e questo era un fatto positivo.

Con lui e tanti coetanei che ho ritrovato sia nella realtà dei fatti che nei pensieri a ritroso, condivido una significativa mancanza di ambizione che se può essere anche giudicata negativa da altri esseri umani, per me rimane una cosa bella e che non vorrei assolutamente cambiare.

Era stato lui che mi aveva fatto sentire per primo brani di musica pop, della quale in seguito mi ero appassionato anche più di lui. Aveva un fratello più grande che era stato medico, ora in pensione, che non mi era tanto simpatico per poco che lo avessi frequentato.

Anche Checco non aveva figli e sembrava una persona sensibile, ma che aveva capito al più presto che invece di scavare, come me, nella psiche umana e disumana, era meglio rimanere sulla buccia, pur non essendo un superficiale, conversava con gli altri magari di cose non troppo fondamentali come lo sport.

Era un grande tifoso della Juventus, come io ero stato e forse lo ero diventato perché da lui influenzato, ma ora me ne fregavo.

Per Checco il senso della vita era stare bene, non ha detto avere soldi, perché quelli ce li aveva e non aveva dovuto sforzarsi per averli, ma sicuramente apprezzava quella sicurezza che gli aveva permesso di lavorare poco e di godersi la neve e le sciate, di comprarsi un vecchio fienile già ristrutturato e di strutturarlo di nuovo, secondo i gusti della moglie.

Una cosa che mi parve buffa era che lui ed Emanuele, altro ex compagno di classe che avrei visitato, erano convinti che i tifosi dell’Inter, eterna rivale della Juve, fossero tutti malati mentali inguaribili. Assolutamente tutti si rifacevano a modelli comuni di gente rozza e incapace di guardare in faccia la realtà, speravo solo quella calcistica, ma lui ci ha tenuto a puntualizzare che anche in quell’altra più ampia e importante erano gretti e senza speranza, che le due cose non si potevano scindere, era proprio uno stile di vita.

La sera mi ha invitato a cena, io ho portato una bottiglia di Bolgheri, consigliatomi dal proprietario dell’alimentari di Bacchi, conosciuto di recente. Ce la siamo bevuta subito mangiando e la cena era ottima, sua moglie mi pareva affabile e cucinava bene.

C’era anche Emanuele, intervenuto a sorpresa, altro compagno interessante del liceo e delle medie, che abitava più vicino alla città e alla sua maniera un quasi intellettuale, sebbene di lavoro avesse fatto il rappresentante di industrie alimentari.   

La parte dopo il lauto pasto e alla seconda bottiglia di vino, stavolta un prezioso Segale, prodotto in uno scosceso podere collinare lì vicino, l'abbiamo dedicata alla formale intervista, davanti alla TV che trasmetteva una partita di calcio registrata, degli ultimi mondiali ai quali l'Italia aveva partecipato, dopo invece ci ha rinunciato per due volte, riuscendo in ultima sede a essere eliminata dalla fortissima Macedonia Nord.

Il dibattito è partito da quella discussione sul motivo per cui l'Italia, una volta  glorioso squadrone, era diventata una squadretta e loro, specialmente Checco, non credevano affatto che fosse perché nel campionato italiano non ci fossero quasi più giocatori peninsulari, come a me pareva piuttosto evidente.

Il mio obbiettivo era, senza stare a specificarlo a loro, sapere come se la passavano e come era stata la loro vita.

Per certe cose mi parevano acuti osservatori, per altre invece ottusi e fanatici, come forse ero anch'io, senza rendermene conto mentre tentavo di fare l'antropologo dilettante senza averne le basi scientifiche.

Anche Emanuele era uno senza problemi di soldi, già dal fatto che andava alle partite all'estero della Juventus diceva che ci volevano dei soldi per farlo, il suo lavoro di rappresentante doveva avergli fruttato bene, ma la sua famiglia non era tanto benestante quanto quella di Checco.

Ricordai che al liceo erano nell'ultima fila di banchi, i tre centrali e con loro c'era anche Pietro, che erano inseparabili anche nel tempo libero, ma ora lui faceva un altro tipo di vita, un pendolare di lusso, e con loro non si incontrava più.

Avrei dovuto visitarlo e mi informai con loro come avrei potuto trovarlo, era da qualche anno che non lo vedevo, ma tramite anche altri amici e conoscenti sapevo più o meno quello che faceva.

Emanuele aveva sposato una ragazza di Bacchio che avevo conosciuto anch'io, ma non mi era mai piaciuta, perlomeno molto poco come persona, troppo rigida e limitata di idee, a mio parere.

Lui infatti l'aveva lasciata, aveva cominciato a tradirla con una inglese, già da tempo e Checco mi aveva raccontato che tutte le sere andava a telefonarle inventando che doveva fare un giro a piedi per poter dormire meglio.

Emanuele parlava bene l'inglese e aveva parenti a Ipswich dove andava spesso in vacanza, forse lei l'aveva conosciuta là.

Ogni tanto gli facevo domande sul suo lavoro, ma ne parlava malvolentieri, cambiava sempre argomento. Sono riuscito a capire che trai suoi prodotti c'erano le patatine San Carlo e che con il tempo era diventato un capo area, il che significava che non doveva più andare in giro a vendere, ma che ci faceva andare i suoi sottoposti, se ben avevo inteso, lui rimaneva in ufficio, o a casa a coordinare le attività dei più giovani.

Essendo sempre stato un pessimo venditore io mi chiedevo come facevano gli altri a diventarlo e a riuscirci, ne ero curioso e pensavo che prima  di tutto bisognava essere bugiardi. Lui non mi sembrava un mentitore come tanti altri, a parlarci ora però, e ricollegando quello che di lui avevo capito prima, non mi pareva proprio il tipo dell'imbonitore, eppure lo era stato e con buoni risultati, era logico credere.

Aveva un figlio grande, che Checco mi fece notare subito, era pelato come lui, sottintendendo la palese somiglianza con il padre.

I due si prendevano in giro spesso e credo con argomenti più che collaudati.

Una cosa che venne fuori e mi risultò incomprensibile, perciò interessante, che Emanuele era stato, con il figlio, già sposato e padre di figli, alla corrida di Pamplona dove la gente per strada si diverte a farsi rincorrere ed eventualmente incornare dai tori.

Il gusto per il pericolo, l'adrenalina che scorreva selvaggia dentro di loro, spingeva questa gente a fare cose che io non avrei mai fatto e allora era proprio quello che mi affascinava.

A volte avevo pensato di essere un vigliacco, eppure avevo fatto cose che gli altri ammiravano per la dose di coraggio richiesta, per esempio da chi fa dei grandi cambiamenti nella sua routine, in maniera da allontanarsene e dimenticarsela, oppure a guardarla con il necessario distacco per comprenderla.

Tutto sommato ero uno al quale, non diversamente dagli altri, mi facevano paura cose che loro non temevano e viceversa. Insomma a mio vedere i pericoli non me li cercavo e facevo quello che mi piaceva, quando vedevo che era necessario cambiare, non esitavo a sovvertire l'ordine della mia vita.

Non capivo quelli che dicevano che non avrebbero cambiato una virgola del loro passato, io lo avrei fatto volentieri invece, anzi: se avessi potuto, anche tornare indietro e cambiare più volte, come in quel film americano, ultimamente copiato da Antonio Albanese, in cui il personaggio principale è condannato a vivere e rivivere lo stesso giorno all’infinito, finché impara - a forza di botte - a essere un uomo migliore.

Emanuele a differenza di Checco era uno che leggeva assai, qualche titolo corrispondeva ai miei preferiti, ma la maggior parte invece no. Per prima cosa per lui gli inglesi erano eccezionali, esempi da copiare, io non ero d’accordo, ma lo ascoltavo con piacere, sapeva tante cose e perlopiù ragionava bene.

Per Emanuele il senso della vite era quello che gli permetteva di vivere e apprezzare le soddisfazioni della sua esistenza.

Come i nove scudetti consecutivi della Juventus? Gli avevo chiesto, ma lui aveva riso e sicuramente aveva tante passioni e interessi in più, tra cui avevo notato che faceva sfoggio di cultura e di intelligenza, ma era una persona assai complessa e piuttosto positiva, abbastanza simile a me per alcune cose.

Mi ricordai che il secondo giorno di scuola ci avevo fatto a botte, lo avevo preso a cartellate, perché mi prendeva in giro, avendoci un apparecchio per i denti che ogni volta che aprivo la bocca per parlare faceva pessima mostra di un ferretto orizzontale molto poco estetico, almeno per un essere umano già dotato di una certa timidezza, di orecchie leggermente a sventola e di magari provvisori, ma piuttosto invadenti foruncoli adolescenziali.

Intanto l'Italia aveva segnato, ma sapevamo già che la partita com l'Inghilterra l'avrebbe poi vinta, ma avrebbe perso le altre due con Costarica e Uruguay e sarebbe stata eliminata al primo turno dai mondiali brasiliani del 2014.

Alla fine della terza bottiglia andammo a casa e a letto, ma prima di lavarmi i denti mi segnai le notizie ottenute, perché bevendo e andando a dormire, poi ci si dimentica facilmente.

Ero soddisfatto perché avevo ottenuto già tre interviste in tre giorni, ma sapevo che le prossime vittime sarebbero state più difficili da trovarsi e da guadagnarsele, dovendo addirittura fare dei viaggetti per andare a trovare i vecchi compagni di scuola sparsi per il mondo.

La mattina dopo mi misi subito in contatto con Pietro, che però era a Milano, faceva la spola per via della sua impresa che garantiva sicurezza sul lavoro e sarei stato curioso di sapere cosa faceva e come. Oltretutto si era sposato con una milanese e avevano due figlie già grandi.

Checco mi aveva anticipato che aveva fatto causa addirittura al padre di lei e aveva vinto un congruo risarcimento. Aveva comprato una corte intera di abitazioni contadine della quale la sua casetta, dove era nato e cresciuto, aveva fatto parte a suo tempo.

Suo padre era morto, un gigante buono e sudatissimo d'estate, sua madre era stata malata ma ora stava meglio.

La sua abitazione di Botte, vicino a Bacchio, era là ma avevo già capito che non voleva che la conoscessi, aveva preferito un incontro su terreno neutro o a casa mia.

Ai tempi che ci eravamo frequentati la sua macchina era sempre dal meccanico o senza benzina, non si poteva mai usare. Pietro era sempre stato un manipolatore naturale, con l'età poteva essere solo peggiorato.

Ci trovammo in un bar a S.Maccione, non c'era nessun altro e la signora si assentava nel retro per trascinare e sbatacchiare oggetti non ben identificati, la musica leggera e toscana di Pupo ci faceva da sottofondo.

Pietro era diventato pelato anche lui, pochi ciuffetti gli spuntavano vicino alle orecchie.

Era un buon lettore, ma si basava sui bestseller del momento e questo non mi pareva molto positivo.

Non era affatto cambiato, prepotente e affezionato solo a quello che gli importava a lui e il resto non aveva possibilità di attirare la sua attenzione.

Più che un uomo una macchina da guerra, che per le vacanze pigliava la macchina e andava a caso cercando di cacciarsi in più guai possibili, solo per il gusto di constatare che sapeva sempre tirarsene fuori. Pare che la moglie anche apprezzasse questo tipo di attività che quando uno tornava a casa e riprendeva il lavoro era più stressato di prima, secondo me, ma non secondo loro.

Di soldi ne aveva fatti assai, era ambizioso lui e differiva dalla maggior parte dei miei amici bacchesi, di Zorca e zone limitrofe.

Il senso della vita lui lo aveva identificato bene: soldi e sicurezza conseguente, il piacere di sentirsi al di sopra degli altri, neanche a dirlo aveva un SUV gigantesco che pareva un carro armato e lassù dal finestrino gli altri gli parevano formichine.

Con il sopraggiungere di una certa qual saggezza, dovuta più che altro alla vetusta età, negli ultimi anni mi sono sentito sempre più contrario all'intraprendere varie azioni in contemporanea, sia per l'esperienza mia che di amici, conoscenti e personaggi limitrofi.

Però il fatto che alcuni compagni di scuola si erano spostati verso la Maremma mi aveva ispirato a intraprendere un gradevole viaggetto.

È stato Pietro a dirmelo, personalmente non capiva perché, ma ne aveva preso atto, diversi nostri amici e compagni di disavventure scolastiche si erano trasferiti: uno a Sovana, un altro a Sorano e una ragazza a Orvieto, che anche se non fa parte della sopracitata Maremma, ne è al confine e appartiene senz'altro alla bellissima zona del tufo, che da abitante italiano e toscano sorprendentemente non avevo mai conosciuto e solo dopo da turista visitante avevo assai apprezzato. Diversi tipi di stranieri anche me ne avevano cantato le lodi e anche i cinesi, quei pochi con cui avevo un dialogo, ne sapevano più di me.

Mio fratello lo frequentavo di rado, quando avevo da fare era libero lui e viceversa, ma il viaggio in Maremma lo avrei potuto fare con lui, anche a Gino piacevano le cose antiche e la Maremma, quei borghi sulle punte delle colline, il mare senza turisti, le camminate per i sentieri, frequentare ristorantini tipici, fare migliaia di foto eccetera.

Tutto questo lo ispirava abbastanza, in più aveva una macchina enorme che potevano caricare di tutto ciò che sarebbe servito. Gino è riuscito a prendere una settimana di ferie e siamo partiti.

 

Capitolo IV

 

In viaggio

 

 

Si può dire che io la Toscana l’ho conosciuta meglio da quando abito in Cina. Nel senso che da turista ho potuto visitare tutte quelle zone che da abitante non avevo mai visto, troppo impegnato con altre cose, che non immaginavo nemmeno che ci fosse tanta bellezza qui vicino, o forse non ero in grado di poterla apprezzare ancora, non lo so.

Comunque la cosiddetta zona del tufo non l'avevo mai sentita nominare e quando me la sono trovata davanti non mi pareva possibile.

Non sono il primo a scoprire la bellezza della Tuscia che inizia magari dalla grande varietà del suo paesaggio, ma la parte sud, quella al confine con il Lazio è la più bella e la sua gente anche è più serena e gradevole.

Non che noi del nord siamo più malvagi, forse solo più nervosi, chiusi, meno amichevoli. Penso dipenda anche dal punto di vista geografico, qui i paesaggi sono mentro contrastati, meno bui, più aperti, ondulati e gradevoli.

Gino parla meno di me e ha la tendenza a voler giustificare tutto, a voler trovare del positivo anche dove il positivo non c'è.

Passano i paesaggi attorno, anche belli e se io non trovo un argomento da cui partire lui non dice niente. Guida bene, non si arrabbia per le prepotenze degli altri automobilisti, come farei io, ma quando a guidare sono io il suo distacco mi influenza e sono più tranquillo del mio solito.

 Su diverse opinioni noi ci troviamo d'accordo, anche se poi lui vive in maniera molto diversa da me, per quanto logico e inevitabile, a volte mi sorprendo a volerlo cambiare.

Io e mio fratello condividiamo alcune passioni tra cui la musica, lui suona la batteria e io ho suonato per poco tempo le tastiere, ma ascoltiamo musica differente, anche se i suoi gusti si stanno avvicinando ai miei da qualche anno.

Mi sono rassegnato a non trovare gente che apprezza quello che piace a me; in quello che non mi piace invece trovo molte più persone che possano condividere quello che io ho automaticamente accantonato ed escluso. Ho capito che è molto più facile perché le cose che non mi garbano sono molte di più.

Forse è normale che un anziano si trovi a vivere di passato, perché il presente gli offre tante cose che non capisce più, che non gli possono garbare.

In più, essendo un PAS, sento troppo quello che mi accade attorno e mi pare di essere aggredito anche troppo speso da tutta questa mancanza di sensibilità che mi pare cresca sempre di più

Oltretutto io sono un teorico piuttosto pratico del linguaggio, non mi piace chi usa le espressioni già pronte, chi dice cose ovvie, chi vuole essere simpatico a tutti i costi. Insomma a trovare gente che mi piace ci metto poco, ma poi mi tocca frequentare di solito invece chi non mi garba, manco a farlo apposta piaccio a chi non mi piace e viceversa, forse mi sbaglio, non lo so neanch’io.

Naturalmente sto parlando di quando vivevo in Italia, in Cina non frequento nessuno, ho rapporti occasionali con la gente e ho molto di più a che fare con vari animali domestici e non.

Secondo la mia esperienza l'italiano è il popolo che crede di più nell'amicizia, mette in pratica la sua vicinanza mentale e fisica ogni giorno, ma poi si comporta in maniera spesso infantile con i propri amici, li protegge quando invece li deve denunciare, fa finta di niente quando gli deve far notare incongruenze e incoerenze, si dimostra chiuso e geloso quando invece dovrebbe aprir la propria mente e insomma fa di tutto per arrivar al punto in cui il temperamento dai due lati decide che è il caso d' ignorarsi, insomma non parlarsi più nei secoli dei secoli.

Essendo testardo e infantile, permaloso e chiuso, l'italiano è un bambinone che crede di essere spontaneo e non lo è, un ipocrita che per non fare fronte ai propri problemi finisce per accantonarne il solo pensiero e insiste negli errori in maniera ciclica e ottusa, quando la sua intelligenza non ci arriva il temperamento sornionamente si sostituisce e non ammette mai di aver torto, nemmeno a sé stesso, anzi principalmente nei confronti di sé stesso. La  mania di persecuzione completa un desolante quadro.

Il cinese invece sembra un soldatino, ma invece in trenta anni non ho capito come è, in certe cose è più chiuso; ma nella maggior parte mostra un'apertura maggiore e più elastica, più efficace insomma.

Discutere di queste cose con mio fratello non si può, perché rifiuta ogni teoria rivoluzionaria e prende ogni mia affermazione come se fosse un’accusa personale.

A pranzo ci siamo fermati in un ristorante che avevo visitato altre volte, dal grande parcheggio coperto di ghiaino e subito sopra di camion.

Si è mangiato bene e rustico, c'erano un enorme griglia con sotto le braci dove arrostivano un po' di tutto, pesce, carne e verdura, c'erano anche i peperoni che mi piacerebbero assai ma non li digerisco più.

Accanto a noi tavolate di gente semplice, grandi botti da cui spillavano quartini, mezzi litri e litri di vino rosso e bianco. La spesa poi è stata più che onesta e noi fratelli siamo tutti e tre un po' tirati di manica, oltre che tendenti all'autismo. Penso che ci abbia influenzato mio padre, a cui piaceva stare da solo e negli ultimi anni di vita comprava un sacco di roba nei negozi di cineserie, roba che spesso non serviva a nessuno, ma lui si giustificava dicendo che costava poco.

Non credevo che i ristoranti sulle arterie principali italiane, quelli frequentati dai camionisti, esistessero ancora. Forse ce ne sono meno, ma ci si mangia bene, si spende il giusto e sono sempre pieni.

 

Capitolo V

 

Nel sud della Toscana

 

 

A Sovana abbiamo trovato Carlo, che non si ricordava di me, lavorava in un ristorante dove ho mangiato discretamente. Zoppicava, era quasi pelato e aveva una barba incolta.

Quando gli ho chiesto se era proprio lui, e ci avevo parlato per telefono il giorno prima, abbiamo tutti e due avuto un momento di smarrimento. Ma lui era conciato male e mi sono chiesto fino a che punto lo fossi anch'io.

Alle quindici e trenta aveva la pausa ed è uscito, ci ha portato a casa sua, ci siamo bevuti un caffè e ci ha raccontato che aveva tentato di suicidarsi, quando presi i soldi dai suoi clienti per pagare le tasse, li aveva persi giocando a carte. Aveva bevuto la varichina ma lo avevano salvato.

In precedenza aveva distrutto il suo matrimonio e sembrava si stesse confessando con noi che non si ricordava assolutamente chi fossi e mio fratello non lo aveva proprio mai visto.

Ho cercato di interromperlo raccontando le mie disgrazie, avevo intenzione di tralasciare le cose belle, ma era solo un'intenzione, non me lo ha lasciato fare.

Il senso della vite per lui era stato al contrario, ma non mi è sembrato il caso di chiederglielo.

In seguito Gerlando mi ha spiegato che prima dei fatti in questione Carlo aveva avuto diversi lavori e tante partecipazioni in giro, che dicevano scherzosamente che a Zorca lui possedeva l'1% di tutto quello che c'era. Era stato anche socio di un ristorante e forse per quello che ora, a qualche centinaio di chilometri da casa faceva il cameriere zoppo, all’occorrenza aiutava anche un po’ in cucina. Lo avevano preso lì amici di lunga data, che secondo Gerlando erano anche loro anime dannate.

Pare che lei fosse dipendente da farmaci e lui un drogato di droga propriamente detta, ma Gerlando non sapeva quale.

Carlo aveva fatto il rappresentante, il commercialista e altri mestieri, a suo tempo e ora era lì a piangere sul passato e sul presente, certo anche sul futuro.

Alle diciotto rientrava al lavoro e salutandolo mi sono chiesto come un essere umano può andare avanti in quelle condizioni. Non ho trovato risposta. Forse il suicidio richiede anche del coraggio e lui ci aveva pure provato, ma era stato imbranato anche in quello. Non lo so, ma è impossibile capire come vede le cose della vita un individuo, anche se te lo spiega non s’intende lo stesso.

Mio fratello mi ha chiesto chi me lo faceva fare di soffrire così per gli altri e io gli ho detto che noi persone sensibili lo facciamo senza soffrire tanto quanto gli altri penserebbero.

Quando gli parlo di noi sensibili, mi pare che la prenda come un rimprovero a lui che invece non lo è,  ma spesso è piuttosto un rimpianto forse di chi vorrebbe esserlo un po’ meno.

Comunque poi ho detto, più a me stesso che a lui, che i prossimi sarebbero stati più allegri.

La seguente ragazza attempata invece non c’era più, al suo posto il marito, che l’aveva lasciato e per non incontrarlo più, nemmeno per caso, era andata in Cina.

Tale Elenora Bazzani, compagna delle elementari anche di Checco e Gerlando, di cui ero stato mezzo innamorato a suo tempo, non lo sapevo, ma tanto la superficie della nazione in questione era piuttosto vasta e non parliamo di quanto fittamente abitata.

Lei aveva inventato, senza rendersene conto, il perché... seguito dai puntini-puntini, che non spiegava mai, poiché pensava che non ce ne fosse bisogno, ai puntini non seguiva niente e la gente a volte si sentiva un po' come coloro che hanno degli interrogativi irrisolti, cosa non troppo rara al giorno d'oggi, ma ovviamente anche nella notte dei tempi in cui le radici volenti o nolenti affondavano, in quel noto ramo degli sterotipi ripetuti a pappagallo, ma non solo e pure da altri pennuti come la gazza.

Al logico e conseguente formular della domanda, lei non rispondeva alcunché, sia perché non intendeva che fosse a lei rivolta, sia anche poiché il suo cervello andava sempre di fretta e le era già partito per un altro viaggio, per un luogo fisico o metaforico, per intendersi: tipo coacervo di situazioni intrecciate, comunque e di sicuro piuttosto lontane da lì.

La ragazzetta andava già oltre il normale e per questo mi era sempre piaciuta, sebbene solo dopo, molto tempo dopo, avessi capito il perché. Figurarsi attualmente, come dovrebbe essere, di semplice inerzia, diventata.

Ho giurato a me stesso che una volta tornato in Cina la sarei andata a trovare, tanto sono sempre stato uno spergiuro naturale e disinvolto.

Non era bella Eleonora, ma nemmeno brutta, era forse quella faccetta che a volte pareva inespressiva, altre volte anche troppo, che mi aveva conquistato e non era facile perché...

L’ex marito ha detto che intanto ci potevo fare una video-conferenza, magari le avrebbe fatto piacere e mi ha dato il suo numero di telefono, che anche lui aveva avuto da un’amica, ma non le aveva mai telefonato.

Chi parla di più sono quelli che hanno meno da dire e oltretutto si ripetono e non sono capaci di ascoltare, mi è venuto in mente.

Il marito di Elenora, vabbè: il suo ex, parlava tanto ma senza fretta, né eccessiva prepotenza, forse era stato quello il problema, ma aveva anche tante cose interessanti da dire, debita eccezione alla regola, si vedeva che era una persona sensibile anche lui, disgraziato o forse no, il suo mondo anche senza Eleonora era pieno di roba, di interessi, di passioni, insomma di motivi per cui vivere.

Ho colto l’occasione per chiedergli il senso della vite e lui mi ha comunicato la sua voglia di spingerla avanti, una curiosità sana direi, non solo antropologica, gli piacevano anche la musica, il cinema, le nuvole, gli animali e le piante, le stesse rocce e i sassi, l’acqua e il vento. Insomma come a me, ma in maniera ovviamente diversa.

Si chiamava Dino e quelle che diceva non erano affatto delle cazzate. Ci è venuto dietro anche per strada, che doveva andare a fare la spesa e portare giù la spazzatura, gli abbiamo offerto un caffè, lui ha pagato l’acqua minerale. Magari gli siamo rimasti simpatici, anche lui a me, a mio fratello forse no, a lui gli ci vuole più tempo per farsi un’idea.

Mia sorella Aldina vive a Saturnia, la siamo andati a trovare, come d’accordo, ma la sorpresa è stata che lei aveva intenzione di unirsi a noi per quei pochi giorni che saremmo rimasti in zona.

Il marito pelato e i giganteschi figli evidentemente non erano d’accordo, ma lì chi comandava era lei e per farli stare zitti gli ha preparato delle mastodontiche teglie di lasagne messe nel congelatore, quattro barattoli di sughi pronti da mettere sulla pasta.

Ho capito da tempo che i miei due più attempati consanguinei non mi comprendono, però mi trovano divertente, insomma una specie di barbuto filosofo contemporaneo, anche se alla filosofia ci pensano più loro di me e la barba me l’ero tagliata da tempo. In quei giorni avevo baffi e pizzetto, che loro trovavano buffissimi, a volte mi guardavano e ridevano, non avevo bisogno di dire niente, la mia facciaccia gli bastava per essere di buonumore.

Ho subito colto l’occasione per fare un videoconferenza con Eleonora, avendola avvisata in precedenza per whatsapp, pensando di fare il collegamento da un cybercafè, ma visto che il marito di Alda aveva un bel computerone superaccessoriato e inattivo...

Non senza difficoltà, pur non essendo a casa mia, ho mandato tutti via e ho trovato Eleonora subito in linea, ma molto cambiata, assai più lenta e saggia, insomma meno elettrica, forse un po’ triste, ma anche capace di scoppi di allegria improvvisi.

Per prima cosa mi ha detto che il suo nuovo accompagnatore, un raro cinese alto un metro e ottanta, le traduce in inglese parti dei miei librettini, lui ci ride assai e lei un po' meno.

Comunque le piacciono.

Sapeva che io vivevo in Cina ma lei è un po' lontana da me, è dall'altra parte di un territorio tozzo ma esteso, considerato poi che ci sono zone desertiche dove non vive nessuno. Eleonora ha approfittato del collegamento della sua ditta con la Cina ed è venuta qua... cioè là, mi ha spiegato anche di cosa si tratta, ma sono quelle cose che mi sfuggono tanto che non riesco nemmeno ad ascoltare quando me le dicono.

Comunque roba metalmeccanica, credo.

Allora ne ho subito approfittato e le ho chiesto a bruciapelo del senso della vite, lei mi ha risposto che è una questione di dadi. Io le ho espresso il mio pensiero al riguardo, che la vita per me è autofilettante e il legno è la metaforica dura scorza dell'esistenza.

Ma lei non era d'accordo.

Si deve forare quella superficie lì, che è dura ma poco spessa e dall'altra parte ci si mette un bel dado. Nel suo caso un marito, per me una moglie.

E quando i dadi non corrispondono all'aspettativa e non sono all'altezza?

Non c'è problema, i dadi si cambiano, secondo la sua personale esperienza se ne possono avvitare anche due o tre. Dipende dalle esigenze, le sue sono abbastanza cospicue, ma suo marito, quello che noi abbiamo conosciuto, ci ha pure provato, ma non è mai riuscito ad accettarlo. Per questo si sono lasciati.

Che cosa ne pensavo?

Le ho detto che non lo sapevo, che in teoria l'amore

libero era bello, ma qua sulla terra è sempre stato un po' complicato.

Dopo un po' mi sono reso conto che quell’Eleonora lì era interessante ai vecchi tempi, ma una sessantacinquenne che vuole avere più dadi e un senso della vite oltre la scorza nell'esistenza, non mi piaceva più tanto, come tanti anni prima, quando io non capivo me stesso e tanto meno lei.

La sua idea della Cina era simile alla mia però, ha detto che ci si trovava bene, ma secondo lei i cinesi erano di un altro pianeta, piovuti chissà come sul mondo e comunque migliori degli europei, secondo lei, anche se non capiva bene come, né quanto. Eleonora viveva in quella città costruita in quella gola, sulle due rive del fiume, ma con le pareti delle montagne a picco e poco spazio per costruire e per spostarsi con eventuali strade.

- Io sarei dell'idea che la gente potesse fare quello che vuole, ha detto poi in macchina mia sorella , però succede sempre che si deve fare quello che non si vuole, a partire dal lavoro, ma anche in famiglia, la società pare non sia mai interessata a chiedere alla gente cosa vorrebbe, piuttosto è importante cosa deve fare, e poi per il bene di chi?

Di tutto e di tutti meno che della gente, propriamente detta.

- Vuoi dire il popolo? I poveri? - Ha chiesto Gino.

- Non necessariamente, noi poveri non siamo eppure viviamo poco come vorremmo, per esempio, il qui presente fratello minore, che ha sempre fatto quello che voleva, si è trovato una nicchia in cui vive indisturbato, guadagna quanto gli basta e non ha figli e famiglia, soprattutto, questo è quello che gli ha permesso di farlo, secondo me.

- Per conto mio, io sto bene – Ha commentato mio fratello, mentre io li lasciavo parlare, visto che il senso della vite consiste proprio in quello e non avevo bisogno di puntualizzare niente sul mio conto e sul conto di nessun altro.

- Non è vero – Ha detto Alda – Diciamo che sei un tipo paziente, ma sopportare il tuo lavoro e tua moglie non so chi altro ci riuscirebbe.

- Il mio lavoro non è malaccio tutto sommato, c’è di peggio, e ci sono migliaia di persone che lo fanno, e poi Zina ha tanti difetti, ma anche tanti pregi.

- I difetti li conosco bene, ma i pregi dopo tanti anni non li ho ancora notati.

Dopo mezz'ora su questo tono siamo arrivati a Orvieto e lì ci attendeva il nostro prossimo incontro. Eravamo in anticipo e allora siamo andati al pozzo di S.Patrizio che non ci eravamo mai stati, io e Gino, invece Alda lo conosceva già.

Quei due da adulti non andavano d'accordo, ma nemmeno da piccoli, la mia indifferenza li faceva inasprire, secondo Delfo, marito di mia sorella, invece Zina diceva che io li calmavo.

Una tendenza dell’italiano attuale, forse anche di quello del passato, è dover esprimere sempre e comunque la sua opinione, anche quando non è richiesta, anche e soprattutto quando non ha elementi per poter giudicare la situazione, anche e specialmente quando gli altri possono offendersene e lui poi non ci guadagna che dei vaffanculi.

Il cinese al contrario si esprime solo quando è necessario o non ne può fare a meno, ma anche così con molta diplomazia e facendo attenzione a non offendere nessuno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo VI

 

Orvieto

 

Lo storico pozzo di San Patrizio è una struttura costruita da Antonio da Sangallo il Giovane a Orvieto tra il 1527 e il 1537 per volere del papa Clemente VII, reduce dal Sacco di Roma e desideroso di tutelarsi nell'eventualità che la città in cui si era ritirato fosse assediata. Pertanto fu progettato proprio per fornire acqua in caso di calamità o assedio. Durante le assenze di Antonio da Sangallo l'esecuzione veniva seguita da Giovanni Battista da Cortona; le parti decorative sono di Simone Mosca. I lavori furono conclusi durante il papato di Paolo III Farnese (1534-1549).

Struttura

L'accesso al pozzo, capolavoro di ingegneria, è garantito da due rampe elicoidali a senso unico, completamente autonome e servite da due diverse porte, che consentivano di trasportare con i muli l'acqua estratta senza ostacolarsi e senza dover ricorrere all'unica via che saliva al paese dal fondovalle.

Il pozzo è profondo 54 metri ed è stato realizzato scavando nel tufo dell'altopiano su cui sorge Orvieto, una pietra abbastanza dura, ma che dopo vari secoli sta risentendo degli scarichi fognari.

Ha forma cilindrica a base circolare con diametro di 13 m.

Gli scalini sono 248, i finestroni che vi danno luce sono 72[2].

Le due scale sono collegate da un ponte tuttora praticabile.

Sul fondo del pozzo il livello dell'acqua si mantiene costante grazie ad una sorgente naturale che rifornisce la cavità e un emissario che fa defluire l'acqua in eccesso.

La parte esterna è costituita da una struttura cilindrica bassa. È decorata con i gigli farnesiani del pontefice Paolo III e ha due ingressi diametralmente opposti.

Sull'ingresso del pozzo la scritta "quod natura munimento inviderat industria adiecit" ("ciò che non aveva dato la natura, procurò l'industria") celebra l'ingegno umano come abile mezzo in grado di sopperire alle carenze della natura.

Papa Clemente VII incaricò Benvenuto Cellini di coniare una moneta in onore della costruzione del pozzo. Su di essa è incisa la frase "UT BIBAT POPULUS" ("perché il popolo beva") ed è raffigurato Mosè che con un bastone trafigge una roccia, dalla quale sgorga l'acqua di fronte agli ebrei in fuga, mentre uno di essi vi attinge con una conchiglia. Questa preziosa moneta è oggi conservata nei Musei Vaticani.

Forse per l'aura di sacro e di magico che accompagna le cavità profonde, o per pura imitazione di modelli cinematografici, i turisti moderni vi gettano monetine con la speranza di tornarvi.

Inizialmente il pozzo era detto "Pozzo della Rocca" in riferimento alla rocca o "Fortezza dell'Albornoz" situata vicino, al servizio della quale il pozzo stesso era stato costruito. È solo in età ottocentesca che assunse l'attuale nome "Pozzo di San Patrizio", datogli dai frati del convento dei Servi che si ispirarono alla nota leggenda del santo irlandese.

Si credeva infatti che in Irlanda, in corrispondenza di una grotta senza fondo, situata sull'isolotto di Station island nel Lough Derg, si potesse raggiungere l'aldilà. La caverna simboleggiava la porta di accesso al Purgatorio, e solo dopo aver affrontato una serie di terribili prove per purificarsi dai propri peccati si raggiungeva la fine della grotta che rappresentava l'ingresso in Paradiso. È proprio nei pressi di questa cavità che San Patrizio amava ritirarsi in preghiera. La caverna per questo ottenne l'appellativo di "Purgatorio di San Patrizio", ed il pozzo prese il nome del santo proprio perché fu utilizzato anch'esso come luogo di espiazione dei peccati e richiamava la discesa nelle profondità della caverna irlandese.

Pozzo di San Patrizio è anche un'espressione utilizzata per riferirsi ad una riserva misteriosa e sconfinata di ricchezze. Secondo altri, con l'espressione "è come il pozzo di San Patrizio" si intende qualcosa in cui si buttano risorse ed energie, ma inutilmente, perché non si riempie mai e non si riesce a trovarne la fine.

 

 

Il pozzo era assai interessante, ma quando ne siamo usciti, dato che il cellulare là dentro non funzionava, ci sono arrivati diversi messaggi di Marco Antonio, il nostro prossimo intervistato, che diceva che non poteva all'orario prefissato, ma se per noi andava bene ci saremmo trovati al ristorante da Maurizio, nel centro di Orvieto alle ore venti.

Mia sorella e mio fratello si sono beccati per qualche ora, tra un aperitivo e una fotografia, una camminata e una sosta sugli scalini di una chiesa. Alle otto si erano stancati e sono voluti andare a riposarsi al Bed and Breakfast Da Tullio Grilli. Al ristorante ci sono andato da solo, gli ho promesso di portargli dei crostini e una bottiglia di vino bianco.

Orvieto è una bella cittadina costruita su un ampio torrione di tufo, ma il turismo l’ha rovinata un po' , come spesso succede, dall'ultima volta che c'ero stato, forse dieci anni prima.

 Da Maurizio ci avevo già mangiato e bene assai, la gestione non so se era la stessa, ma non ci ho trovato cambiamenti, anche i prezzi si erano mantenuti equi.

Marco Antonio me lo ricordavo bene, ci eravamo frequentati anche da adolescenti, era un giovinottone di famiglia ricca, suo padre vendeva camion e aveva una bellissima villa in campagna, con la piscina e un ampio parco ben tenuto, con alberi secolari.

A Zorca e nelle vicinanze ci sono tante e belle ville rinascimentali, in diverse di queste avevo lavorato a suo tempo come giardiniere.

Marco Antonio era ancora un bel Marcantonio, anche se aveva i capelli bianchi, ma un po' troppo facilone, ricordo che suo fratello più grande cercava di fargli capire invano che il mondo non era affatto ai suoi piedi, come lui pensava.

Si era sposato con una ragazza un po' corpulenta ma belloccia, che avevo conosciuto a suo tempo, anche lei era un po' vuota, priva di interessi, come lui un po' indifferente. Comunque non erano antipatici, ma forse lui più di lei con una certa aria di superiorità che poteva anche essere irritante.

Una mia innamorata dell'epoca, ragazza piuttosto intelligente che era caduta poi nel labirinto della droga,  mi aveva fatto notare che Marco Antonio non ti guardava mai negli occhi. Ancora, specialmente quando parlava, il suo sguardo si rivolgeva sempre altrove.

Mi ha sorpreso e mi ha fatto piacere che mi chiedesse di me, di cosa facevo, cosa avevo fatto, cosa progettavo per il futuro eccetera. In seguito mi è venuto il dubbio che era per non parlare di sé, non perché avesse qualcosa da nascondere, ma la sua vita magari gli pareva noiosa e ripetitiva.

In seguito Gerlando mi ha detto che suo padre era fallito, quando Marco Antonio aveva una ventina d'anni ed erano improvvisamente diventati se non poveri quasi. La villa non ce l'aveva più, suo fratello era morto, poi suo padre e sua madre. Attualmente faceva il commercialista, credo che non se la passasse male a livello di soldi.

Tra le frasi anche divertenti, parlando dei vecchi tempi, ogni tanto Marco Antonio diventava umile, poi ritornava al suo personaggio principale, le due tendenze si mischiavano e si miscelavano.

Intravedevo una certa ammirazione nei miei confronti, una certa simpatia che avevo notato anche ai vecchi tempi, forse perché riuscivo a sorprenderlo, magari come i miei fratelli mi trovava buffo e imprevedibile, in un certo senso ero il contrario di lui.

M’incuriosisce da un punto di vista puramente antropologico, quel comportamento di alcuni che stimano persone completamente differenti da loro e fanno di tutto per allontanarsene nella pratica quotidiana, invece di prendere ispirazione e di mettere in pratica qualcosa di simile. Come se il pensare, il dire e il fare fossero azioni che non si integrano mai, che non possano assolutamente andare di pari passo.

Mi ricordo che giocava bene assai a pallacanestro, essendo alto e robusto, come me a scuola non andava tanto bene.

Aveva la tendenza a prendere in giro gli altri, come se lui fosse dall'alto irraggiungibile a giudicarli, ma solo in loro assenza, non apertamente, cosa abbastanza comune nelle piccole città un po’ snob come Zorca.

Era ancora una buona forchetta, ma beveva poco rispetto ad altri del nostro gruppo di giovinastri di classe media-alta che bazzicavamo le pizzerie il sabato sera. Frequentava ancora Bartolomeo, al quale dopo certe malcelate manipolazioni in quei frangenti pagavamo noi la cena. Il quale in una certa epoca voleva venire in Cina da me, sperando che lo avrei aiutato per iniziare una nuova vita, ma io declinai subito ogni possibile sua speranza.

Mi ha dato anche il suo numero di telefono, ora viveva a Tolona, una cittadina sul litorale, con una spiaggia frequentata principalmente dalle famiglie. Ma i ruffiani e gli opportunisti per me sono un pianeta a parte, sempre quello dei falsi che non sanno nemmeno di esserlo. Da una parte sarei spinto ad intervistare anche lui, ma dall’altra so già tutto quello che mi dirà per cui è sempre colpa degli altri, e i suoi errori di percorso li nega e li chiama sfortune.

Il senso della vite per Marcantonio erano i soldi, l'agiatezza, la sicurezza finanziaria e un buon conto in banca. Non lo diceva a piene lettere, ma si intravedeva tra le righe una vuotezza di ideali per cui tutto il resto era noioso e inutile.

Mi ha dato numeri di telefono di altri due compagni di classe.

Il giorno seguente volevo visitare un po' i dintorni di Orvieto, magari i famosi sotterranei, ma una giornata di insistente pioggia ci ha convinti a fare qualcosa di insensato, da un certo punto di vista logico: mettersi in viaggio verso Bagnaia, che essendo in provincia di Viterbo e molto prossima al capoluogo, ospitava il nostro prossimo incontro.

 

 

 

Capitolo VII

 

Bagnaia

 

I miei consaguinei avevano stabilito che se raggiungevamo la nostra meta, nonostante la forte e insistente pioggia, poi ci riposavamo e potevamo incontrare l'ultimo dei miei ex compagni di classe che abitavano nei dintorni.

I chilometri non erano tantissimi, ma le strade tortuose, dal parabrezza e dai finestrini in frequenti e torrenziali frangenti non si vedeva niente di niente.

Rischiando la vita o cose limitrofe, dopo un tempo debito siamo riusciti, guidando a turno, ad arrivare a Bagnaia.

Un piccolo albergo che faceva bed & breakfast ci ha accolti in una momentanea schiarita, dopo il riposo ci siamo preparati per la sera, Delio ci aveva dato appuntamento nel ristorante più conosciuto in zona e mentre uscivamo ha ricominciato a piovere.

Abbiamo posteggiato la macchina nella piazza principale, sotto tre ombrelli di tipo e colore diversi, siamo scesi nella parte vecchia del paese, veramente pittoresca e scura, con un giro di stradine che portava inesorabilmente di nuovo alla piazza di prima. Il ristorante non lo avevamo visto, forse aveva l'insegna spenta, ma ora c'era e aveva l'insegna accesa.

Delio era già seduto in una sala enorme e senza nessun altro che un cameriere, laggiù lontano che apparecchiava le decine di tavoli.  Fuori era piuttosto freddo ma là dentro c’era un tepore ospitale.

Il mio ex compagno era di origine laziale e di Orte, per la precisione, ma a quei tempi remoti la sua famiglia si era spostata a Zorca, per motivi di lavoro. Dopo essere andato in pensione lui era voluto tornare qua. Non era stato colpito dalla legge Fornero solo perché era un medico e aveva deciso di smettere prima dell'età pensionabile, visto che non ne poteva più.

Di soldi non ne aveva tantissimi, ma visto che era da solo poteva adattarsi ad una vita modesta.

Era amico del proprietario, un signore piuttosto attempato ma molto simpatico che si è seduto con noi, ci ha parlato della partita che la Roma aveva vinto la sera prima, contro tutti i pronostici, sul Manchester City.

Ci ha avvisato che lì si mangiava bene, i prezzi erano giusti, ma la cucina era un po’ pesantuccia, come del resto usava da quelle parti. Gli abbiamo chiesto chiarimenti su alcuni piatti, ma lui si è sorpreso addirittura che ci fossero delle cose del genere nel menù, ci ha domandato se avevamo letto proprio ammodo. Lui non aveva portato gli occhiali, se li era dimenticati e non sapeva nemmeno dove, si è scusato e ci ha chiamato il caposala, cameriere e forse anche cuoco, visto che non c’era nessun altro e la cucina aveva ancora la luce spenta.

Il quale assomigliava assai a quello che forse era il padre, ci ha spiegato bene assai i componenti e la preparazione di ogni piatto, ma alla fine ha detto che era meglio optare per le pizze. Visto che il forno era già acceso e per noi che non eravamo abituati, erano le cose migliori per poi andare a letto e dormire lieti e soddisfatti come fagioli in un baccello.

Delio era una persona calma, sorridente e di contenuto, ci ha raccontato con una sintesi esemplare la sua vita, prima e dopo il nostro comune periodo scolastico.

Buona forchetta e ottimo bicchiere, ci siamo scolati un bel po’ di birra alla spina. Le pizze erano buonissime, specialmente quella bianca con tartufo e speck.

Dopo ci ha portati, sotto quattro ombrelli di taglia e provenienze differenti, a fare un giro per il paese, veramente rustico e affascinante e per il giorno dopo ci ha raccomandato la visita alla villa locale, famosa per i suoi giardini progettati da quello che a suo tempo aveva disegnato quelli di Villa Farnese a Caprarola.

Anche se noi l’avevamo già vista, nella parte più antica a Delio è partita inavvertitamente una sonora scorreggia e una signora dalla finestra lo ha chiamato porco, ma lui si è prontamente scusato, anche con noi, e ci ha confessato che la sua vita, come del resto la sua stessa alimentazione ultimamente erano state un po’ troppo turbolente.

Dopo abbiamo fatto una capatina in una specie di birreria sulla strada per Viterbo... no, ora che ci penso eravamo già a Ronciglione. Dopo qualche birra i miei consanguinei se ne sono andati a letto.

Invece noi siamo andati in un altro localino che conosceva lui sul lago di Vico. Non c’era quasi nessuno, ma Delio ha detto che era presto, dopo si animava, verso mezzanotte.

 

 

Capitolo VIII

 

Delio, le scritte sui muri e il lago di Vico

 

Lì la conversazione con Delio è diventata un po’ troppo a cascata, forse era ubriaco, non che io non lo fossi... ma era lui che parlava e io ascoltavo, distratto ma non troppo, insomma a un certo punto ha detto:

- Una volta erano due gruppi separati, si distinguevano bene.

- Eh?

- Un "circonventore" è una persona che inganna o raggira qualcuno con artifici, lusinghe o sfruttando le sue debolezze (come bisogni, passioni o inesperienza) per trarne un profitto o per ottenere un determinato risultato, no?

- In che senso?

- Nel senso che non si sa più chi è l’autore della circonvenzione d’incapace e chi sarebbe l’incapace, si sono mischiati, chi è più stupido e sprovveduto e chi crede di essere intelligente a ingannare gli altri e automaticamente a darsi ripetutamente e forse indirettamente ma sempre più indubbiamente la zappa sui piedi?

- Chi?

- Straccio che dice a cencio, tutti si accusano a vicenda di essere stupidi, o ignoranti, insomma di non aver capito, di informarsi prima di aprire la bocca... una volta si capiva meglio chi mentiva, o chi aveva effettivamente ragione, tutto è diventato troppo confuso, non ci si capisce più niente. Sembra impossibile che gli individui siano diventati circonventori e incapaci allo stesso tempo!

- Stai parlando delle fake news?

- Anche, ma è l’uomo moderno in senso generale che mente a sé stesso, è un autosabotaggio continuo...

- Inteso come singolo individuo o come umanità?

- Tutti e due, a turno e poi mischiati.

- Effettivamente...

- Hai visto il caso di un attivista di destra americano ucciso da uno che era ancora più di destra e che volevano farlo passare per un omicidio di sinistra?

- Sì, mi pare di aver letto di qualcosa del genere.

- E come lo definiresti?

- Straccio che dice a cencio?

- Esattamente! Se le due parti la smettessero di accusarsi a vicenda di accusarsi a vicenda e voler fare di ogni cosa che succeda una propaganda piuttosto forzata... spesso basata su notizie false, se pensassero a quali sono i veri problemi...

Gli ho chiesto se frequentava quel locale, ha detto di sì, che era alternativo abbestia. Poi mi ha portato al gabinetto, ne avevo bisogno anch’io come lui, mentre effettuavamo lato a lato, mi ha fatto vedere che sul muro del pisciatoio c’era uno specchio che rifletteva una poesia stampata sulla parete opposta, ma al contrario, quindi sullo specchio si leggeva bene, era di Stefano Benni e non la conoscevo, il giorno dopo me la sono andata a cercare in internet.

 

 

Lamento del mercante d’armi

 

Ho venduto un pezzo di cannone

poi le ruote e un altro pezzo di cannone

la culatta e l’otturatore

il mirino e un altro pezzo di cannone

e altri tre pezzi di cannone

e adesso c’è uno in televisione

che dice che mi spara col mio cannone

chi lo sapeva che coi pezzi di cannone

avrebbe fatto un cannone?

Se lo avessi saputo

mica avrei accettato l’ordinazione.

Ho venduto cento elicotteri

con relativo armamento

e un sistema puntamento missili

e un sistema anti-sistema di puntamento

adesso l’elicottero è lì che spia

come un falco sopra casa mia.

Se lo avessi saputo cosa voleva fare

non gli avrei venduto la testata nucleare

era così distinto, un vero signore

chi poteva sapere che era un dittatore?

Se avessi saputo che un cliente

può diventare un nemico

della mia patria

dell’Occidente

vi giuro gente

lo giuro sui figli

lo giuro su Gesù

gli avrei fatto pagare

il cinquanta per cento in più.

Da qui si vede

la mia buona fede.

Poi mi sono accorto che quel locale era un dedalo di corridoi, quasi un labirinto, alcune pareti erano foderate di specchi che riflettevano quello che c’era scritto alla rovescia sul rispettivo muro di fronte. Proverbi, pezzi di testi famosi o meno, poesie, aneddoti e frasi fondamentali, alcuni con il nome dell’autore ed altri senza:

 

Per ottenere l’impossibile si deve tentare l’assurdo;

guardare dove tutti hanno già guardato,

ma vedere quello che nessuno ha visto

James Patrick March

 

 

Una delle cose fondamentali della vita è la dignità.

Non bisogna mai perderla.

Per non perderla basta non averla”

(Marcello Marchesi)

 

Mi sono perso nelle scritte e non ascoltavo più nemmeno Delio, che non per questo insignificante dettaglio abbia smesso di parlare.

Quando siamo andati a letto, dopo una bella pisciata sulla riva del lago, le cose scritte sui muri me le ero segnate nel cervello e sono andato a cercarle il giorno dopo in internet.

Una era un post di Facebook di un certo Rinaldi.

 

 

SECEDA DOLOMITI, GAZA PALESTINA, SUDAN. Che cosa hanno in comune queste quattro foto? Secondo me, tanto. Ci raccontano almeno le prime tre, come avviene la comunicazione attraverso i social media, cosa percepiamo della realtà che ci circonda, in definitiva cosa esiste intorno a noi. Non credo sia una forzatura affermare che i social stanno condizionando pesantemente non solo la modalità di comunicare, ma anche i contenuti del nostro pensiero. Sembra che se non passa di lì un fatto, questo non esista. Entrando nel merito, le prime due ci indicano come una foto diventata “iconica” perché presente sui desktop dei computer di mezzo mondo, e , poi, rilanciata in migliaia di post su FB e su Instagram, abbia determinato poi la volontà di migliaia e migliaia di persone di andare a visitare quel luogo creando non pochi problemi in ordine alla corretta gestione di questi imprevisti visitatori. In pratica, per questi neofiti della montagna, neofiti delle Dolomiti e della Val Gardena in particolare, l’unico obiettivo valido era di andare a vedere il luogo per loro diventato “Iconico”, il Seceda. Se fino allo scorso anno ogni mattina salivano sulla funivia per andare a visitarlo 100-200 persone, improvvisamente sono diventate migliaia. Questo ci dice tanto, secondo me. Sicuramente, siamo in presenza di un bellissimo posto; però, nelle Dolomiti troviamo tanti altri luoghi altrettanto belli e così facilmente accessibili. Per non parlare, poi, di tutto l’arco alpino.Eppure, queste migliaia di persone si sono presentate lì, senza l’abbigliamento necessario, senza aver approfondito nulla di tutto quello che avevano intorno anche in termini di alternative, per evitare ore di fila per accedere alla funivia. Dovevano andare lì, sul SECEDA. Tutto il resto, non esisteva, non avevano alcuna informazione in merito. I social non li avevano edotti. Ed ora passiamo a Gaza. Cosa dire? Oltre 60mila morti (Fonte Ministero della Salute palestinese) di cui ca.20mila bambini, ormai fra questi ci sono migliaia di morti per fame o mentre cercano di approvvigionarsi il cibo. Centinaia di migliaia di sfollati. Opera di un governo criminale, sotto l’ala protettiva degli Stati Uniti. Sui social abbondano post che descrivono le situazioni e le efferatezze di Bibi. I post spesso sono di influencer che rafforzano le proprie posizioni così come prevede l’algoritmo, polarizzano ancor di più il “dibattito” che su FB non esiste. Il meccanismo è semplice: qualcuno guadagna migliaia di follower e di like dicendo quello che io mi aspetto che dica, non introduce elementi critici che gli farebbero perdere consenso. Ribadisce e rafforza le mie posizioni; quindi, dalla polarizzazione, si passa spesso alla radicalizzazione politica, fenomeno così evidente in tutta Europa e negli Stati Uniti. La quarta foto, invece, è della guerra che dall’ aprile 2023 insanguina il Sudan: secondo le Nazioni Unite, 150mila morti, di cui migliaia bambini, morti per fame. Oltre 10 milioni di profughi! Qui, però, non possiamo schierarci con nessuno e soprattutto contro nessuno. Nessun influencer rilancia i fatti. Sui social questa guerra non esiste. Non esiste uno scontro tra fazioni politiche facilmente individuabili, non c’è il Grande Satana, l’ Occidente, origine di tutti i mali. Purtroppo, e’ solo una questione umanitaria, molto cruda, di una guerra atroce, morti violente, morti per fame, profughi, che non esistono. Non ci possiamo creare delle fazioni contrapposte! Non esiste il bene, riconoscibile, contro il male altrettanto facilmente riconoscibile. Non ci sono migliaia di post che rafforzano la mia posizione! C’è solo una questione umanitaria che non interessa a nessuno e di cui milioni di persone non sanno neanche l’esistenza (vedi foto del Seceda). Noi siamo immersi in questo mondo comunicativo, veloce e superficiale, dove i fatti “fluiscono” come i post di FB, dove non si approfondisce più nulla. In questo mondo della comunicazione, i social hanno tanto successo perché evidentemente rispondono ad un bisogno reale dell’Uomo, di sentirsi parte di un Tutto, di avere un ruolo, di non essere passivo, di poter dire la propria, anche se non sa niente di Dolomiti, di Ucraina, di Palestina, anche se fino a ieri non sapeva cosa fosse un Kibbutz o il Patto Molotov-Ribbentrop, gli accordi di Camp David oppure quelli di Oslo oppure cosa è il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, In questa “ Società degli Uguali” dove non è richiesta nessuna competenza ed anzi non viene riconosciuta nessuna autorevolezza, siamo tutti alla pari. I social sono il luogo della NON conoscenza, dove si può dire tutto ed il contrario di tutto. Il luogo dove oggi si formano le coscienze politiche. Il luogo dove si polarizzano e si radicalizzano. L’unica strada possibile è sapere che quello non è il luogo della costruzione, del dialogo, della soluzione dei problemi. La CONOSCENZA è il primo antidoto al conflitto, la base per la soluzione dei problemi. Il mio post vuole essere solo un INVITO alla conoscenza che non si può raggiungere leggendo post o condividendoli.

L’altro anche era di Facebook, ma parlava dei cinesi in maniera interessante:


Oltre le difficoltà linguistiche

 

Sono un popolo che comunica con te in qualsiasi modo, anche a gesti se serve. Non si tirano indietro, vogliono conoscerti. E se tu gli fai qualche domanda, sono emozionati nel vedere che ti interessi alla loro cultura.


Sono curiosi, staranno ad ascoltare qualsiasi cosa gli raccontiate e vi faranno anche domande strane come “esistono le carote in Italia?”. Quando gli direte che siete italiani, poi, vedrete la loro espressione! La verità è che pochi di loro sanno veramente dove si trova, sanno però che è una terra lontana e affascinante, e come dargli torto?

La Cina è il paese dove mentre cerchi di capire la cartina arriva una famiglia che ti accompagna in giro per la città e a fine giornata ti invita a cena a casa loro pur avendo evidenti problemi di comunicazione. Perché a cosa serve parlare, quando ci si può scambiare dei sorrisi così grandi? Dove se dimentichi lo zaino da qualche parte ti inseguono di corsa per restituirtelo.

La Cina è il paese dove le signore anziane sull’autobus si alzano per lasciarti il loro posto anche se hai vent’anni, dove gli altri passeggeri ti indicano un posto libero, ti fanno segno di stare attento a picchiare la testa.

La Cina è il paese dove puoi fermarti a parlare con signore anzianissime di una minoranza le cui donne non tagliano mai i capelli, farti spiegare la loro cultura e mostrare come se li arrotolano sulla testa. “Siamo brutte, abbiamo i capelli bianchi ora”, invece erano radiose.

La Cina è quel paese dove ti basta farfugliare un ni hao per essere accolto a braccia aperte. Dove quando non capisci a che fermata devi scendere, la signora a cui hai chiesto indicazioni chiede a tutto il resto del pullman per essere sicura di indicarti quella giusta, e se finisce lontano da te te lo urla a squarciagola dal fondo dell’autobus che devi scendere proprio lì.

Un’amore in comune: il cibo

Se c’è un luogo in cui capire meglio la cultura cinese è – insieme ai parchi pubblici – il treno, ancora meglio se il treno lento e notturno che prendono tutti quelli che non hanno abbastanza soldi per prendere il treno veloce. Proprio sui treni mi è capitato moltissime volte che sul treno le persone mi abbiano offerto la frutta che si erano portati per il viaggio.

Ho visto un uomo fissarmi come sempre fanno quando non sono abituati a vedere occidentali. Ecco – penso – un altro. Poi mi giro, mi sorride e mi porge un pezzo del pomelo che stava mangiando. “Sai come si mangia?”, mi chiede. Faccio di no con la testa e mi mostra come fa, poi mi porge un altro pezzo.

Quando i miei genitori sono venuti a trovarmi in Cina, appena arrivati hanno preso un taxi dall’aeroporto all’albergo dove alloggiavano. Non parlando cinese, hanno avuto un po’ di difficoltà, ma alla fine il taxista gli ha regalato delle pesche, per simpatia.

I cinesi cercheranno sempre di farti assaggiare qualsiasi cosa: per loro, la cucina (o la frutta) cinese è sempre la più buona.

Una volta ho visto salire sull’autobus una signora che aveva appena comprato al mercato una specie di pagnotta. Dopo mesi e mesi di ciotole di riso, ho iniziato a fissarla chiedendomi se fosse vero o se avessi le allucinazioni. Lei mi ha vista, ne ha strappato un pezzo e  sorridendo me lo ha porto. Quando le ho detto che era buono, me ne ha dato un altro pezzo ancora più grosso.

Questa è la Cina che non ti aspetti.

I cinesi sono tante cose, sono anche tanti e sicuramente ci sono persone che non rientrano in nessuna delle categorie sopra citate, ma altrettanto sicuramente sono un popolo dal cuore grande, genuino.

Un popolo a cui va data una possibilità, andando oltre dei semplici stereotipi, andando oltre quello che crediamo di sapere per sentito dire, andando sempre oltre.

 

Con l’internet di oggi si vive l’ieri come se fosse un domani, mi spiego meglio: attraverso il computer e i film, le serie televisive, i documentari i video di youtube e la musica, dalla Cina ho l’occasione di rivivere il mio passato italiano attraverso i ricordi, per fortuna che ho una memoria che funziona abbastanza, almeno sui momenti e le circostanze, le situazioni in questione nel tempo e nello spazio.

Con Delio siamo diventati amici a distanza, dalla Cina gli scrivo spesso e lui mi risponde da Soriano sul Cimino con lettere di decine di pagine elettroniche, io sono più stringato, ma la nostra conversazione è interessante, credo per entrambi.

A scuola non ci siamo mai notati, nel senso che eravamo giovani in formazione e magari tutti e due timidi, anche se in maniera diversa.

 

 

 

Capitolo IX

 

Capodimonte e Plinio

 

 

Il nostro prossimo contatto, ultimo prima di tornare a casa è stato Plinio, uno psicologo, che ha intervistato me, invece che io lui come mi ero prefissato.

A Capodimonte, sul lago di Bolsena, paese bello nelle cartoline, ma piuttosto scialbo al suo interno, ci siamo incontrati in presenza della sua cagnetta Matilde al guinzaglio e abbiamo passeggiato un po’.

Stimolato o forzato dalle sue domande, non saprei dire in che misura, sono partito piuttosto sul largo:

- Non credo che sia una cosa positiva, ma in Cina una sola fabbrica senza lavoro umano, produce 1440 automobili ogni 24 ore, vale a dire una al minuto.

Nella Mongolia Interna, la Cina ha lanciato la più grande flotta al mondo di camion minerari elettrici senza conducente.

A Napoli in alcune cose sono associati alla Camorra in altre sono in concorrenza.

A Prato pare che ci siano cinesi immortali, se andiamo a controllare la verità è che quando uno muore un altro automaticamente prende il suo documento italiano.

Prima di partire per la Cina l’Italia era già piena di cinesi. Più evidenti tra tutti i bar, di tutta la penisola, erano stati attaccati e conquistati.

Mi erano piuttosto simpatici, forse perché non li capivo bene e la cosa era reciproca, non ce ne facevamo comunque una colpa.

Plinio annuiva e mi domandava quasi con noncuranza, in maniera che io non potessi rifiutarmi e alle mie questioni rispondeva stringatamente, perlopiù eludendo i punti chiave.

- Ricordo un dialogo più recente, la penultima volta che sono rimpatriato, nel bar di Bacchio con una nuova barista, alla quale avevo chiesto un pezzo salato vegetariano e lei che non aveva capito, aveva risposto:

“Sono tutti italiani!”

Ho riso, avevo capito che spiegarsi era difficile, e forse la barista era appena arrivata dall’estremo oriente. Ho dunque accettato e mangiato, non senza difficoltà digestive, l’unico che conteneva della carne e precisamente della salsiccia, veramente gustoso, ma piuttosto pesante la mattina per un sessantenne.

I cinesi mi chiamano lo scrittore pazzo che viene da lontano che suona più o meno così: Láizì yuǎnfāng de fēngkuáng zuòjiā. (來自遠方的瘋狂作家)

 Diciamo che il libro comico, o anche solo di un certo buonumore, non fa parte della loro cultura, quindi è un fenomeno di nicchia, non so se più o meno di quello che sarebbe stato in Italia.

Di buono c’è che sono tanti, alcuni direbbero troppi, insomma una piccola parte dei cinesi esistenti mi permette di vivere divertendosi con i miei libriccini. Si divertono assai soprattutto a leggere come gli europei considerano i cinesi; forse anche a riflettere su come loro ci considerano.

Una delle scene più buffe per loro è quella del camorrista napoletano che dice a un altro camorrista napoletano ma più giovane:

“I cinesi sono come bambini: se gli dici che a Napoli il bianco si dice nero loro ci credono e lo mettono subito in pratica.”

Per loro non sembrano opposti, il bianco e il nero. Tanto per dire che i colori sono belli e importanti, ma non in concorrenza tra di loro. Diversi da noi nel paradigma di integrazione, lo preferiscono al nostro di individualità.

Personalmente ho sempre avuto più affinità e abilità con le parole e le frasi, meno con i numeri e le varie operazioni, algoritmi, equazioni e sistemi su tutto.

Anche le parole però si sommano e si sottraggono, si dividono e si moltiplicano, per le cui radici quadrate e cubiche ho qualche difficoltà, meglio quelle tonde o sferiche.

La radice della parola altro non è se non un’origine, i vocaboli hanno tutti una provenienza certificabile, eppure non da me, ma se anche non la conosco talvolta me la invento. Succede più spesso di quanto si possa pensare e comunque non è che ci si pensi tanto.

Non ho mai capito se sono un tipo tendente al curioso o no. Magari in alcune  cose sì, ma in altre assai meno, come per esempio con la gente. Non voglio farmi gli affari altrui, ma mi chiedo spesso come vivono i colleghi di esistenza che incontro sul mio cammino terreno, uomini e donne, giovani o vecchi.

Perfino i cinesi, tanto per fare un esempio, che sono esseri umani anche loro, ma a me sembrano praticamente degli extraterrestri.

Poi non gli domando niente, forse perché so che a me non piacerebbe se a chiedermi qualcosa fossero loro e poi sia con il Mandarino che con il Cantonese non mi sento ancora tanto a mio agio.

Non sono lingue difficili, come sono universalmente considerate, per lo più a torto, ma sono suoni che per noi occidentali sono difficilmente pronunciabili e poi se le devi scrivere è un altro discorso a parte, lasciamo perdere.

Tornando a me, sono considerato complicato, anche da me stesso, e qui siamo tutti d’accordo.

Sono uno aperto e chiuso allo stesso tempo, serio e scherzoso, fanatico e menefreghista, pignolo e approssimativo, stupido e arguto. Potrei continuare e finirei per annoiarmi della mia stessa complessa personalità.

Dentro di me ho tante di quelle contraddizioni, che anche un semplice inventario delle voci principali sarebbe proibitivo, anche per una mente allenata alle mille parentesi.

Quando mi sono trovato a perdere mia moglie, nel senso che mi aveva lasciato lei e aveva anche fatto bene, purtroppo era la seconda, e di sicuro l’ultima.

Figli non ne avevo, ma due consistenti cani e due improbabili gatti.

Soldi sì, quelli dell’eredità, ma senza esagerare.

Ma la vera confessione è stata questa, poco prima di lasciarci:

- Le scomuniche erano state il tema della mia vita, e che questo tema, a ogni cambiamento radicale, tornava a farsi sentire con una puntualità svizzera. Potevo pure autodenunciarmi. Forse era colpa mia. Forse ero io che facevo scappare tutte le persone. Alcune coscientemente, visto che non mi garbavano, alcune nella completa indifferenza e altre contro la mia volontà, almeno in apparenza, quelle che mi piacevano.

Plinio è stato sposato due volte, ha lasciato qualche figlio in giro, ma non ha specificato quanti, né dove. Ora vive da solo, cioè con Matilde, sembra molto allegro e affabile, ma sul suo sguardo rimbalzano le saette.

Tra le poche cose che ha detto c’è stata questa, che mi è garbata abbastanza:

- I cani hanno la loro maniera di esprimersi, notoriamente non parlano, come pure gli altri animali, ma ho ragione di credere che a volte gli piacerebbe poterlo fare, se non altro per mandare affanculo proprio noi, i cosiddetti esseri umani, per così dire troppo disumani con loro, e pure con noi stessi, su questo siamo d'accordo.

 

 

 

 

Capitolo X

 

Introducendo PAS

 

Per un europeo e italiano, anche se piuttosto atipico, la vita in Cina sembra quella di un altro pianeta, ma poi ci si abitua e i pianeti sulla terra sembrano in seguito vari e ben distinti.

La televisione l’ho bandita da anni, ma i film li guardo spesso scaricati in internet, serie televisive anche vecchissime, ascolto le canzoni e tutto quello che permette al passato di non passare mai del tutto.

Per il tipo di vita che abbiamo fatto in famiglia tutti noi quattro figli siamo più o meno autistici, forse da soli ci sentiamo meglio, pur cercando a volte affannosamente la compagnia.

Una cosa che mi ha sempre dato fastidio erano i miei amici o conoscenti che in presenza di una ragazza diventavano diversi, parlavano di più, facevano i prepotenti, volevano farsi vedere in una maniera differente da come erano di solito, mentre io apprezzavo specialmente chi era sempre sé stesso, nel bene e nel male.

Da ragazzi la bellezza fisica ci attrae di più che da anziani, come sono ora, in Italia - specialmente a quei tempi - si vedeva nella donna qualcosa di angelico, che poi nei fatti non è così e quando ci se ne accorge magari la nostra maniera di fare è già troppo indirizzata da questo particolare punto di vista.

Ultimamente sono entrato in contatto, attraverso Facebook, con una donna che ho conosciuto tanti anni fa, anche se non ci avevo quasi mai parlato.

È stata la ragazza di due miei amici, uno alla volta naturalmente e forse non erano veramente miei amici, come credevo. Anche l’amicizia con il tempo mi si è ridimensionata, non mi faccio illusioni, cerco di mantenere i sentimenti senza volermi ingannare.

Lei era bella e ambita insomma, faceva colpo a quei tempi. Ha più o meno la mia stessa età, forse un po’ più giovane. All’epoca dovevamo avere poco più di venti anni. Comunque nonostante la mia personalità insignificante all’epoca, la mia timidezza esagerata, lei si ricordava di me.

Mi ha spiegato che recentemente aveva scoperto, suo malgrado, di essere una PAS, cioè una Persona Altamente Sensibile. Era entrata nell’argomento per raccontarmi dei suoi guai e delle sue crisi, dovuti proprio a quel determinato tipo di personalità.

 

 Le persone altamente sensibili  (PAS) sono una fascia di individui che possiedono una sensibilità più accentuata rispetto alla media della popolazione. Questa caratteristica, implica una maggiore profondità di elaborazione delle informazioni sensoriali, emotive e sociali. 

Essere altamente sensibili non è una patologia ma un tratto della personalità che può influenzare vari aspetti della vita quotidiana.

 

 

 

Chi sono le persone altamente sensibili?

 

Tra le caratteristiche delle persone altamente sensibili c’è una percezione accentuata degli stimoli esterni e interni. Tali stimoli possono essere fisici come suoni, luci e odori, oppure emotivi, come i sentimenti degli altri e le dinamiche sociali. 

Le PAS tendono a riflettere profondamente sulle loro esperienze e a provare emozioni in modo più intenso e duraturo.

La sensibilità accentuata è un tratto comune, ereditabile e conservato evolutivamente, che descrive le differenze interindividuali nella sensibilità agli stimoli ambientali sia negativi che positivi. 

 

 

Una branca che non sapevo nemmeno esistesse e anche se sono contrario a molti tipi di forzato ridurre tutto e tutti in categorie, questa qua per ovvi motivi mi ha intrigato e sono andato a documentarmi.

Lo sospettavo dal primo momento, ma ho cercato di non farmi influenzare: anche io faccio parte di questa fascia di individui che danno estrema importanza a tutto quello che succede intorno a loro, che se ne fanno influenzare a volte eccessivamente, che inevitabilmente durante la loro esistenza soffrono più del dovuto, ma gioiscono anche intensamente di cose che per gli altri sono insignificanti.

Tutto questo ha determinato una vita da ribelle a ogni convenzione e un’attenzione estrema a ogni più piccola frazione di esistenza, non solo mia ma anche altrui.

Non tutti i timidi sono PAS, ho motivo di credere, ma io mi sono reso conto abbastanza presto di questo mio problematico rapporto con gli altri, per questo ho cercato di sforzarmi sempre di stare in mezzo alla gente, in maniera anche esagerata.

 

La teoria della sensibilità ambientale

 

Per sopravvivere e prosperare sul pianeta terra, è essenziale che tutti gli organismi utilizzino le risorse ambientali, come il cibo e il supporto sociale. Gli animali e gli esseri umani sono programmati per percepire, elaborare, reagire e adattarsi a specifici elementi sociali e fisici dell'ambiente, sia positivi che negativi, al fine di potersi riprodurre e mantenere in vita la specie.

È interessante notare che esistono sostanziali differenze interindividuali nella sensibilità e nella reattività all'ambiente, sia negli animali che negli esseri umani. Alcuni sono molto più sensibili e reattivi rispetto ad altri, in quanto il metodo di processamento dell’informazione passa attraverso differenti correlati neurobiologici.

Tra le popolazioni, si osserva un continuum che va da una bassa a un'alta sensibilità all'ambiente. Negli ultimi anni, la Sensory Processing Sensitivity, che descrive le differenze interindividuali nella sensibilità alle esperienze, e che è iniziata come un argomento poco conosciuto 20 anni fa, è diventata una componente molto discussa della teoria della sensibilità ambientale. 

“Sensibilità ambientale” è un termine ombrello per le teorie che spiegano le differenze individuali nella capacità di registrare ed elaborare gli stimoli ambientali Insomma gli individui differiscono nella loro sensibilità sia ad ambienti ostili che di comfort. Quindi i PAS presentano una maggiore profondità nell'elaborazione delle informazioni, una aumentata reattività emotiva e una maggiore consapevolezza delle sottigliezze ambientali, una determinata facilità di sovrastimolazione.

Gli adulti con alta sensibilità ambientale che hanno riportato un'infanzia infelice avevano punteggi più alti in emotività negativa e introversione sociale, mentre gli adulti con alta sensibilità che hanno riportato un'infanzia felice non differivano molto dalla popolazione più ampia di adulti non altamente sensibili in questi tratti. 

 

 

 

La ricerca di Elaine Aron

 

Il concetto di alta sensibilità è stato ampiamente esplorato dalla psicologa americana Elaine Aron, che ha identificato quattro caratteristiche principali delle persone altamente sensibili: profondità di elaborazione, sovrastimolazione, reattività emotiva ed empatia, sensibilità alle sottigliezze. 

Queste caratteristiche rendono le persone altamente sensibili particolarmente attente ai dettagli e ai cambiamenti nell'ambiente circostante, ma possono anche causare stress e affaticamento in situazioni di sovraccarico sensoriale. 

Nel questionario che generalmente viene somministrato alle persone che hanno un sospetto di PAS, vi sono domande relative la reattività alla caffeina, alle stimolazioni luminose, la tolleranza al rumore e allo stress percepito relativo le aspettative e le richieste altrui. 

Si nota come l’ansia possa essere un sintomo con una certa dimensione e peso emotivo nella vita di queste persone.  

 

 

 

Risorse e fattori di rischio psicologici delle persone altamente sensibili

 

Le persone altamente sensibili possono godere di numerose risorse psicologiche, come una grande capacità di empatia, una ricca vita interiore e un'attenzione ai dettagli che può portare a un'elevata creatività. 

Malgrado tutto, queste qualità possono anche comportare alcuni fattori di rischio. Le PAS sono più suscettibili allo stress, all'ansia e alla depressione, soprattutto quando sono esposte a situazioni di conflitto o ambienti sovrastimolanti. 

Nel momento in cui l’ambiente richiede lo svolgimento di più compiti alla volta, la persona altamente sensibile potrebbe avere un vissuto altamente stressante in quanto la sua capacità di rielaborazione richiede un tempo maggiore. 

 

 

Persone altamente sensibili e amore

 

Nel contesto delle relazioni affettive, le persone altamente sensibili possono vivere esperienze molto intense e profonde. Possono essere partner attenti e premurosi, capaci di comprendere i bisogni emotivi degli altri. 

Tuttavia, questa stessa sensibilità può renderli vulnerabili a ferite emotive e difficoltà nel gestire i conflitti. Le persone altamente sensibili infatti processano le emozioni in profondità e spesso sono molto disponibili con gli altri, mettendo in questo modo le loro esigenze in secondo piano.

 

 

Forse a un certo punto sono stato troppo insistente, nella mia solitudine magari mi attacco alle poche possibilità che mi capitano di poter conversare piacevolmente con qualcuno, ma non volevo che pensasse che avessi seconde intenzioni, anche perché io vivo a migliaia di chilometri di distanza.

E poi alla mia età non cerco più nessuno per tentare un’improbabile relazione intima. Non è per calcolo, è proprio una cosa che sento naturale, essere me stesso è una roba che non voglio cambiare proprio in vecchiaia.

 

Persone altamente sensibili e narcisisti

 

Un'altra dinamica interessante riguarda l'interazione tra persone altamente sensibili e individui con personalità narcisistica. Le PAS, per la loro naturale inclinazione all'empatia e al supporto, possono essere attratte da persone narcisiste, che tendono a manipolare e a sfruttare gli altri per soddisfare i propri bisogni. 

Questa combinazione può risultare particolarmente problematica, poiché la PAS potrebbe ritrovarsi in una relazione disfunzionale e sentirsi costantemente inadeguata o sfruttata. Il narcisista riesce a manipolare piuttosto facilmente una persona altamente sensibile e, finché vi è un equilibrio nella relazione, entrambe possono godere di alcuni vantaggi psicologici. 

Nel momento in cui la personalità narcisista eccede nelle richieste di attenzione, egocentrismo e autoreferenzialità, vi è uno sbilanciamento nella coppia e la persona sensibile rischia di soccombere a tali stimoli. 

 

 

Esiste una terapia per le persone altamente sensibili?

 

Non esiste una terapia specifica esclusivamente per le persone altamente sensibili, ma diversi approcci terapeutici integrati possono essere utili per gestire l'ipersensibilità e migliorare la qualità della vita. 

La terapia cognitivo-comportamentale può aiutare le PAS a riconoscere e modificare i pensieri negativi e le reazioni emotive disfunzionali. Può essere poi utilizzata la tecnica della mindfulness, in quanto permette di sviluppare una maggiore consapevolezza e accettazione delle proprie emozioni, riducendo così lo stress e l'ansia.

 

 

 

Persone altamente sensibili: consigli per gestire l’ipersensibilità

 

Le persone altamente sensibili possono adottare diverse strategie per gestire la loro ipersensibilità e migliorare il loro benessere. Il primo passo è quello di riconoscere e accettare la propria sensibilità come una risorsa e non come una fragilità. 

Avere uno spazio domestico tranquillo o un luogo sicuro dove poter decomprimere lo stress diventa fondamentale, in quanto l’accumulo degli stimoli porta le PAS a stati ansiosi o depressivi. All’interno di questo spazio si possono praticare tecniche di rilassamento come yoga, mindfulness e tecniche di respirazione. 

È necessario poi imparare a dire di no e a proteggere il proprio spazio personale per evitare il sovraccarico emotivo. Nel delimitare i confini è inoltre funzionale imparare a chiedere aiuto creando una rete di supporto intorno a sé. 

 

 

Libri e film sulle persone altamente sensibili

 

La letteratura e il cinema hanno spesso esplorato il tema dell'alta sensibilità, offrendo spunti di riflessione e rappresentazioni accurate di questa caratteristica. Tra i libri più significativi, si possono citare The Highly Sensitive Person di Elaine Aron, che è una guida fondamentale per comprendere e accettare l'alta sensibilità. Quiet: the power of introverts in a world that can't stop talking di Susan Cain, sebbene focalizzato sugli introversi, offre molti spunti rilevanti anche per le PAS. Infine, il libro di Rolf Sellin “Le persone sensibili hanno una marcia in più: Trasformare l'ipersensibilità da svantaggio a vantaggio” offre una nuova lettura dell’ipersensibilità, focalizzandosi sui possibili aspetti positivi che ne derivano.

Il cinema offre film come Il favoloso mondo di Amélie, dove vengono rappresentati personaggi con tratti di alta sensibilità, evidenziando sia le loro sfide che le loro meravigliose capacità di percezione ed empatia. 

 

In comune con Amelie io ho passato molto tempo da solo da piccolo, per giocare con altri bambini ho dovuto aspettare che il mio fratellino nascesse e poi crescesse. I miei primi compagni di giochi sono arrivati piuttosto tardi, questo può aver influito, secondo me.

 

 

Altri film come Inside Out  esplorano la complessità delle emozioni umane, offrendo un ritratto suggestivo di come le persone altamente sensibili possono vivere le loro esperienze interiori.

Essere una persona altamente sensibile comporta sfide uniche, ma anche una ricchezza di esperienze emotive e percettive. Comprendere e accettare questa caratteristica può portare a una vita più autentica e soddisfacente, arricchita dalla consapevolezza di sé e dalle profonde connessioni con gli altri.

 

 

 

Conseguenza personale per me, magari non condivisa da tutti i PAS, la scomunica ad amici o innamorate che sono stati bocciati, per un motivo o per l’altro, e messi da parte senza tanti complimenti.

Il fatto è che io fatico molto per abituarmi a qualcuno più vicino, ma dopo, passato un inconscio periodo di prova che può essere abbastanza lungo e non privo di intensi piaceri, poi mi ci sento molto attaccato, anche quando dopo averlo riprovato/a in maniera definitiva e inappellabile lo/la allontano, ci rimango legato affettivamente e per sempre. Se e quando rifiutato io stesso dagli altri, essendo piuttosto rompiscatole, poi mi ci sento legato lo stesso, anche se forse in maniera diversa, ugualmente intensa.

 

https://www.unobravo.com/post/persone-altamente-sensibili-pas

 

 

I cinesi la bestemmia non la capiscono tanto bene e il vaffanculo non si può tradurre letteralmente, ma che vuol dire? Anche i tedeschi dicono verpisst dich, che significa pisciati addosso, però il senso è quello.

Purtroppo i cinesi in vacanza in giro per il mondo non mi sembrano essere l’esempio più virtuoso ma sono certa che dopo un viaggio nel loro paese potrò ricredermi.

 

 

 

 

 

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