Sunday, March 14, 2021

STORIA DELLA BRUTTEZZA


 

Mentre nel mondo impazza la pandemia del Coronavirus ce ne stiamo qui a casa mia, per meglio dire nostra, la casa materna. L’edificio è antico, ma rimesso a nuovo da poco, i muri sono larghi quasi un metro, le finestre a vetri doppi e il riscaldamento funziona bene. Fuori oggi è freddo e siamo in osservazione frammentaria e distratta dalla finestra della camera di mamma. In alcuni casi le immagini non ci arrivano nemmeno al cervello, ma lo attraversano piacevolmente. Sonnecchiamo, leggiamo un po', ci facciamo un caffè, ci facciamo due caffè, e poi tre, dopo perdiamo il conto. 

Ecco che chiama di nuovo, gli anziani, specie quando sono malati di senilità, ritornano all'infanzia, come i bambini, la prima parola in caso di bisogno, anche solo immaginario, è quella: “Mamma... mamma...”

Facciamo a turno ad andare a vedere, ma io ci vado meno. È strano trovarsi a fare da madre a mia madre, ma la mamma vera qui è mia moglie Lorena, (per tutti e due,) e non è neanche italiana, cioè solo di origine, ma di nazionalità venezuelana. A volte mamma Nora fa le bizze, oppure necessita solo di calore umano, non sa dirci cosa vuole, le parole e di conseguenza anche le frasi che dice non hanno senso, almeno per noi. Lorena le chiede cosa le fa male, se poi le fa realmente male qualcosa o sta solo commentando quello che vede alla televisione senza audio, o una scena del passato che si è immaginata, o cos'altro noi non riusciamo a figurarci, ma il suo sguardo spesso è perso nel vuoto, ci guarda ma non sempre ci vede. Oltretutto passa a occhi chiusi la maggior parte del giorno.

Mia moglie le fa la solita lista orale delle possibili magagne. Senza risultato. La mette un po' più stesa sul seggiolone polifunzionale, un po' di acqua gel, sembra stare meglio e si riaddormenta. Mentre dorme ogni tanto una bella bestemmia, riferita a non so cosa, di solito un dio boia, due dio cani, tre o quattro dio maiali. Anche le parolacce fioccano tra le poche frasi comprensibili che ancora dice, forse non per caso, ma prima della malattia, da quando la conosco, non ne ha dette mai.

Non ci possiamo muovere da qui e allora navigo spesso e quasi d’inerzia ho scoperto un canale di notizie alternative, su internet, ogni tanto c’è un telegiornale letto con sottofondo di musica, ci sono testimonianze sparse, il canale si chiama EnneEffe, NF, cioè NOTIZIE FALSE e parla di tutto, soprattutto di quello che gli altri non dicono. Con sottofondo di Nuclear Burn dei Brand X ho letto per primo questo testo.

 

 

 

Il Feroce Salatino

 

 

Dentro ogni persona anziana c'è una persona più giovane che si sta chiedendo cosa diavolo sia successo.”


                                               Sir Terry Pratchett

 

 

“Ostento una certa padronanza nel linguaggio, vesto con ricercatezza di dettagli, sfoggio calzature ispirate alla forma dei piedi, mi nutro con prodotti naturali, bestemmio in modo classico. Sono sceso sul pianeta sbagliato, chi me l’ha fatto fare non lo so. Me ne rendo conto quando penso che andare in giro con una macchina enorme e lussuosa, tipo queste dove la gente ci si pavoneggia, per me sarebbe motivo di vergogna. Non solo da questo, mi viene da pensare di essere l’uomo sbagliato al momento peggio ancora, ma in generale dalla tendenza fondamentale della mia vita che è di frenare dove tutti accelerano, di essere abitualmente modesto e quasi di nascondermi, quando tutti si vogliono mettere in mostra e fare i protagonisti. Sono un bastiano abbastanza contrario e in più non ci tengo nemmeno a farlo sapere in giro. Non voglio assolutamente dare importanza all’apparenza, perché quella inganna, ed è proprio ingannare che troppa gente vorrebbe, mostrare quello che non è, fingere di avere quello che non ha e per cosa poi? Pare che anche andare in vacanza sia un accumulo fine a sé stesso di inutili ci sono stato/a. Una volta si spedivano più cartoline, ora c’è il social network, che mi fa diventare anche più asociale. Non posso fare a meno di notare che di questa gente moderna non sono le cose cattive che danno i brividi, in fondo simili e ripetute anche in altre epoche, ma sono quelle buone, quelle almeno comunemente considerate positive. Per fortuna ci sono ancora tante persone piacevoli e simpatiche, se ne stanno nascoste in questo mare di insensibili nei confronti degli altri, ma anche troppo sensibili verso sé stessi. Si finisce per assorbire e copiare modi di essere che non ci appartengono, che ci fanno sentire simili anche se non lo siamo, la compagnia non è come l’aria, non se ne ha così tanto bisogno, la nostra anima respira molto meglio da soli, se il nostro obbiettivo non è riuscire a ignorare quello che il nostro cervello e il nostro corpo ci vorrebbero suggerire.”

 

Gli amici lo frequentano abitualmente ma irregolarmente, vogliono evitare l’assuefazione, sono loro che lo vanno a trovare. Gli piace che arrivino senza annunciarsi prima, che gli facciano delle improvvisate, anche solo per pochi minuti, se passano di lì per caso. Sono tutte persone molto differenti tra di loro e anche da lui, ma in comune hanno tutti qualcosa, cercano di andare oltre le apparenze. Da tanti, di quelli che lo conoscono superficialmente, il presidente è considerato uno snob, insomma uno che si fa i fatti suoi. Si dice che sia una specie di consumista alla sua maniera, uno che non se ne rende conto, forse perché passa più tempo a cercare i libri che a leggerli, anche in internet, ma soprattutto nelle librerie che vendono l’usato, è lì che gli garba di più. Fa la spesa alla Coop e prende libri in prestito, dona i suoi che ha già letto. Arriva in bicicletta, quasi come un re norvegese, poca gente lo riconosce, non è un tipo da dare interviste alla TV, concede poco o niente anche ai giornali. Su Facebook ha uno pseudonimo: Dottor Pasquano, anche dopo che il personaggio è morto quasi all’unisono insieme all’attore siciliano. Litiga soprattutto con quelli che parlano male di un autore o di un libro, il suo principio inespresso è che se qualcuno o qualcosa non gli piace è stupido e controproducente mettersi a denigrarlo proprio con qualcuno che invece lo apprezza. Altrove la gente se è di un parere contrario a qualsiasi cosa, o a qualunque altra persona, non ci tiene così tanto a farlo sapere in giro. Forse in Italia la gente si sente più viva, magari più intelligente, se ama e se odia con tutta la sua forza, per partito preso, senza alcun motivo valido se non per simpatia e antipatia. Si parla anche troppo di comportamento assertivo, senza poterlo applicare che in teoria.

 

Proprio perché i sentimenti e i bisogni sono un fatto personale, non andrebbero mai giustificati, allo stesso modo in cui non sentiamo di dover giustificare il colore dei nostri capelli. Se una nostra scelta ha lo scopo di promuovere il nostro benessere e non danneggia nessuno, non andrebbe giustificata in alcun modo. Nel momento in cui lo facciamo, stiamo implicitamente ammettendo che forse nemmeno noi la riteniamo così giusta: giustificarsi è come scusarsi e chi si scusa, in genere, è perché si sente colpevole. Un messaggio assertivo dovrebbe essere quindi semplice, diretto, conciso, non difensivo e sempre centrato sui propri bisogni ed emozioni.

 

Si notano però numerose false persone assertive, quelle che vogliono mostrare di essere aperti e cordiali, agili di mente e pronti all’azione per una giusta causa, basta non toccarle nell’orgoglio o peggio ancora nel portafoglio.

 

“Mi piacciono i polizieschi perché penso che uno nella vita dovrebbe quotidianamente analizzare i fatti e i controfatti per scoprire se lui stesso non è il colpevole. Si dovrebbe arrestare sia la tendenza che l’eventuale responsabile di rovinare la sua vita, che magari è l’unica a disposizione, non escludendo a priori una potenziale reincarnazione, ma cercando di indagare prima, per scoprire se ci sarà, dopo o no. Se potessi, io vorrei fare qualche modifica, qua sulla terra, per esempio la gente legge poco, ma quel poco è dedicato a personaggi famosi per altri motivi, spesso incompetenti anche nel loro stesso ramo, ma che si sentono in dovere di scrivere, come Veltroni, dei libri che se li avesse firmati qualcun altro dal nome sconosciuto, riceverebbero solo pernacchie.

Quei pochi libri letti vengono divorati la sera a letto da gente stanca e sdraiata, dopo una giornata dura e stressante, invece dovrebbero essere centellinati la mattina e il pomeriggio, allora sì che li potrebbero apprezzare meglio, purtroppo tutti hanno da fare e se non lo facessero non avrebbero da mangiare. Siamo condannati a rincorrerci la coda da sempre. Sulla terra non c’è riposo. Lo stesso romanzo si presenta in maniera diametralmente opposta se affrontato in condizioni d’intendere e di volere, la differenza può essere da uno a dieci, dallo schifo all’euforia. Il libro sarebbe una maniera come un’altra di rilassarsi, anche una passeggiata può avere la stessa funzione. Inoltre il turismo di massa ha sconvolto un po’ la bellezza di andare in un bel luogo, di mare o di montagna e di starci un po’ in pace, dove arrivano regolarmente le turme ululanti non è più possibile.”

 

Fa parte del movimento NO SUV, pare che sia un dirigente importante, ma che cosa fa il movimento non si sa, ci sono varie ipotesi. Vive a S.Genesio, a poche centinaia di metri da Pioppeta.

Una volta il presidente ha detto che i criticoni per partito preso e i ruffiani nati da noi sommano quasi il totale della popolazione, secondo lui l’italiano deve sempre e comunque esagerare e già che c’è esagera anche lui. È dell’idea che la violenza verbale attenui quella fisica, in Italia c’è sempre stata meno violenza materiale, o forse solo una volta. Magari è colpa degli stranieri, si dice, ora ce ne sono tanti, anzi troppi. Sono stranieri poveri e la violenza è aumentata, soprattutto contro le donne.

Il presidente ha viaggiato assai anche prima di farlo per lavoro. Dice che non ha mai conosciuto un popolo così polemico e amante della discussione fine a sé stessa, avvocati del diavolo a oltranza, anche a costo di scontrarsi col diavolo in persona, non lo riconoscono nemmeno, ma ci discutono di tutto e gli vorrebbero insegnare perfino come si fa a stare all’inferno.

Il presidente ama molto gli animali, ma non gli piace per niente quando li vogliono umanizzare per forza mettendogli dei cappottini colorati o li addestrano a fare cose idiote.

 

“Da bambino non ho avuto eccessivi cani perché mio padre non voleva. Il primo fu Dick, un bastardo, come si diceva a quei tempi, in cui non bisognava ancora arrufianarsi con le parole, sporco e simpatico trovato per strada. Probabilmente era stato sperso e la mia famiglia anche fece lo stesso, dopo pochi giorni, l’ho saputo da poco, già da vecchietto. Dicevano che puzzava, ma non sarebbe bastato un bagno? Dopo diversi anni in cui siamo rimasti senza, fu adottato il primo Blacky, donato a mio padre da qualcuno, dove lavorava. Era nero e anche lui non di razza pura, poi quasi completamente oscurato nella nostra memoria dalla maggior personalità e simpatia del secondo Blacky, molto simile al primo, almeno fisicamente, preso al canile da mio padre a dispetto delle sue convinzioni precedenti. Per anni aveva detto e ridetto che se prendevamo un cane se ne andava via lui e sebbene non ci paresse proprio una cattiva idea, forse per motivi di praticità, non si passò mai alla pratica. Successivamente lui cambiò idea, perché noi figli non gli stavamo fornendo quei nipoti di cui avrebbe avuto bisogno per fare il nonno.

E poi perché i cani si devono sempre chiamare con nomi inglesi? Magari perché sono più corti, o forse perché si vedono troppi film americani. Non mi garba tutta questa assurda moda, i miei cani hanno avuto tutti nomi italiani e corti. Alfio è stato il primo, un pastore tedesco che gli mancava la parola, tanto era intelligente. Altra moda senza senso, molto meglio che non parlino, almeno loro, che a parlare ci pensa la gente e di gente che parla ce n’è già anche troppa. Quello che apprezzo nei cani è proprio il silenzio, il loro sguardo pieno di entusiasmo bambino, quel loro respiro forte, ma che infonde tranquillità, mi rassicurano e mi tranquillizzano, è bello dormire insieme a loro davanti alla televisione senza volume e una fioca abat-jour accesa.”

 

Appena può torna a Dolceacqua, in provincia di Imperia. Lì lo conoscono tutti e lo stimano, anche se non tutti capiscono perché un uomo di potere non lo usa il suo, perché uno come lui non sia ancora neanche un po’ ricco e inoltre così modesto e umile. Il vecchio appartamento dei genitori morti, dove lui è nato e cresciuto, viene spolverato e pulito da una donna di servizio ogni settimana.

Dolceacqua è un tipico borgo medievale della val Nervia, lungo il torrente omonimo. La parte più antica del borgo, posta ai piedi del monte Rebuffao, è dominata dal castello dei Doria e viene chiamata dagli abitanti Terra (Téra nel dialetto locale). Quella più moderna, chiamata il Borgo, si allunga sulla riva opposta, ai lati della strada che sale la valle. Il clima è mite di tipo mesomediterraneo subumido. Nella stazione meteorologica di Dolceacqua-Borgonuovo (rete ARPA Liguria) si registrano infatti una temperatura media nel mese di gennaio di +7,6 °C e una nel mese di luglio di +22,3 °C; le precipitazioni che sono moderate (circa 750 mm/annui) si hanno mediamente per 55 giorni/anno.

 

“I personaggi tipici non dicono troppo sulla gente di un paese, perché si assomigliano tra di loro, con quelli di altri paesi, sono manovrati dalla televisione e troppo evidenti per essere utili… sono gli atipici che forniscono, a chi la sa leggere, un’idea più esatta, eppure approssimativa, di come è un mondo di persone tutte diverse tra di loro, in continua evoluzione, un insieme di esagerazioni semplici e complesse.

Esistono essenzialmente due tipi di persone: quelli che vogliono la qualità e quelli che invece preferiscono la quantità, che sono poi i più numerosi, non per caso. I secondi vogliono fare tutto alla svelta e vivono in ansia perenne di produrre e immagazzinare quelli che per loro sono i beni, ma non se li godono mai, perché hanno il cervello e il cuore sbilanciati in avanti, su un futuro che non arriva mai a diventare presente. I primi invece amano la calma e si vorrebbero godere quel poco che hanno e che gli basterebbe se non ci fossero quegli altri a scassare attorno. Vogliono meno ma meglio, però sono la minoranza e quindi in democrazia non hanno mai ragione.”

 

Una volta il presidente Tino Sala ha detto che non è che uno debba pensare sempre e costantemente all’etica nella vita, ma anche non pensarci mai è sbagliato. Ci sono due tipi di persone: quelli che credono sempre che la situazione in cui si stanno comportando male sia un’eccezione, e quelli che invece hanno un codice, una linea di comportamento non rigorosa ma coerente, con sé stessi e con gli altri, in ogni tipo di situazione.

 

“Il primo difetto che salta agli occhi in tanti film e in alcuni romanzi, è l’inguaribile tratto manicheistico dell’autore. I personaggi della vita vera non sono mai così completamente buoni o cattivi. Le due componenti base, del bene e del male, sono immancabilmente mischiate e oltre a questo la falsità imposta da ogni tipo di società simula e dissimula con una certa efficacia cosa ci sia sotto certi atteggiamenti e ruffianate, per nascondere istinti e tendenze che fanno parte dell’uomo come individuo, o inteso come membro di una qualsiasi comunità."

 

Ai più pare un po’ troppo rigido, il presidente, ma quasi nessuno ne sa la storia, a livello generale si direbbe che le storie siano passate un po’ di moda, non c’è così tanto tempo per conoscerle, sono troppe e complicate, alla gente basta e avanza quella propria. Lui ne approfitta per mantenersi in attività, pure se è passato di moda, ma per fortuna o per sfortuna non se ne sono accorti, o forse non gliene frega niente.

In alcune cose però risulta all’avanguardia. Nella sua impresa ha pubblicato diverse statistiche che hanno dimostrato l’importanza di investire sulla qualità della work life balance, ovvero l’equilibrio tra lavoro e vita privata. A livello pratico lo ha dimostrato l’azienda informatica svedese Filimundus  all’avanguardia nella sperimentazione.

L’amministratore delegato Linus Feldt ha deciso di ridurre la giornata lavorativa da otto a sei ore, senza però ridurre stipendi o benefit. I dipendenti hanno ricevuto la stessa paga mensile lavorando il 25% in meno del tempo, con risultati molto positivi. Anche se la produttività non ha subito variazioni, i dipendenti si sono detti più felici, concentrati ed efficaci nelle loro attività, mentre le assenze per malattia sono diminuite del 25%. L’idea che ridurre le ore lavorative migliori la qualità della vita e delle prestazioni dei dipendenti è ormai confermata da decine di diversi studi. Molti di questi sono riuniti nel libro dello scrittore Morten Hansen intitolato Great at Work, in cui l’autore evidenzia e prova l’efficacia di concentrare il lavoro in un lasso minore di tempo.

 

“Le mode scivolano sulla superficie, cosa rimane sotto e viene fuori dalla storia, sono le fasi in cui l’uomo, in perenne lotta per la sopravvivenza, ma anche contro sé stesso, riesce a scindere il piacere dal dovere, la routine dalla soddisfazione, il culo dalle quarant’ore.

Vivere è facile in fondo, ma vivere bene non lo è affatto, difficile è essere corretti con sé stessi e poi con gli altri, anche sapendo cosa è giusto e cosa è sbagliato, applicarlo non è per niente semplice. In più la gente attorno non lo sa e soprattutto non lo vuol sapere. Cercare di essere relativamente liberi e rispettare l’altrui potenziale libertà, essere rigorosi, certo, ma non su tutto il fronte, sulle cose fondamentali e poi anche non troppo, saper distinguere e separare… e nonostante gli sforzi vedere intorno la maggioranza che fa di ogni erba un fascio, che quasi tutti se ne fregano…”

 

Di che cosa è presidente il presidente?

Oltre al movimento NO SUV, cosa degli ultimi anni, il suo lavoro è stato anche una sua personale invenzione, a livello di sistematico import-export di persone, aiuta gli italiani ad andarsene all’estero, per cominciare una nuova vita, lateralmente aiuta gli stranieri a venire in Italia, sempre con lo stesso ammirevole proposito. Non guadagna tanto, i suoi collaboratori nemmeno, però questa prospettiva delle nuove vite gli fa bene, forse anche a loro.

Il presidente Valentino Sala, Tino per gli amici, detto anche il Feroce Salatino dai suoi collaboratori per via delle multe pesanti a chi sgarra nei suoi uffici, dei suoi cazziatoni sempre a sfondo filosofico, a causa della sua eccessiva onestà. Supplica poi di non andare a dire in giro che non ha soldi, che è incorruttibile, che è un anacronistico uomo tutto di un pezzo, magari non ci crederebbero, ma è sempre meglio evitare guai. Vive da solo, in maniera spartana, quasi tutto quello che guadagna lo devolve in beneficenza. Sulle pareti antica carta da parati di tonalità pastello scolorito verdastre, meno che in bagno e in cucina. Ama la gastronomia più semplice dei piatti di pesce, con aglio, prezzemolo, basilico e olio, che mette in pratica ogni tanto con discreti risultati. Ha un gatto e una cagnolina, due pesci rossi. In maniera piuttosto discontinua scrive racconti e storie per bambini, che gli vengono ancora più saltuariamente pubblicati, con lo pseudonimo Piero Dardanelli. Dipinge paesaggi, compone al pianoforte e alla chitarra. Ha più volte accennato al normale eppure totale dimenticarsi dell’esistenza di tutto il resto che c’è fuori, una volta chiusa la porta del suo modesto appartamento. Qualcuno gli ha detto che avrebbe potuto essere un eremita, un frate o un artista, se avesse voluto, oppure se avesse avuto un po’ più di tempo, chi lo sa? Magari qualche neurone in meno massacrato dall’altrui incompetenza. Lui non sa se crederci, ma tiene sempre presente che la relazione tra la vita e l’arte spesso sfugge alla logica dei lettori, o del pubblico in generale. La consapevolezza del lettore medio è che non c’è un effettivo bisogno di muovere le labbra mentre si scorrono le frasi, ma non molto oltre. Questo non gli impedisce di criticare, spesso in maniera poco costruttiva, chi si sforza di fargli imparare qualcosa, anche se lui non vuole.

 

“Lo so che devo morire, lo capisco anche dal fatto che sempre più spesso ho la sensazione di essere connesso direttamente con la natura, per alcuni lunghi attimi, ogni giorno, sento fluire il sangue e il respiro soffia all’unisono con quello del mondo. Certo con la vecchiaia mi sento più vicino alle piante, alla terra, in definitiva alla vita e alla morte. Questa forte ma sottile sensazione può mi può venire in ogni momento, ma raramente in una sala d’aspetto di dentista, al supermercato o in un aeroporto. Guardo un albero che si piega al soffiare del vento, in relativo silenzio ammiro il respirare dei pesci rossi che nuotano senza fretta nell’acquario. Guardando alla Tv senza volume un documentario sulle scimmie della foresta amazzonica, leggendo un libro che mi dice cose su cui rifletto e poi parto per altri ragionamenti concatenati, visioni connesse o concentriche tra di loro, mi perdo in un altopiano di erba e cespugli nella nebbia appena mossa da una brezza leggera. In fondo sensazioni che non hanno nome specifico, almeno che io sappia riconoscere, tranne la mia profonda respirazione. Mi piace il silenzio, sia per rigenerare l’anima che per immaginarci dentro scenari che non fanno chiasso inutile. Il mondo è diventato troppo rumoroso. La morte ha il suo fascino, la vedo come un bel riposo finale, dopo una vita più movimentata e caotica di quello che avremmo voluto.”

 Il presidente era una persona d’intuito eccezionale, di sensibilità pura e inesauribile, sparisce per una bizzarra combinazione proprio il giorno in cui muore ucciso, a poche centinaia di metri da lui, il pittore Orazio Buonasera.

 

Oggi mia madre è abbastanza lucida, forse troppo, il medico le ha tolto un farmaco, il Destezil, che la rincretiniva assai, per vedere se senza non si incasina piuttosto il cervello e allora bisogna ridarglielo. Non il cervello, che purtroppo quello non si può più, solo il farmaco.

Una malata di alzheimer, specie del tipo agitato come lei, deve vivere costantemente sotto l'effetto di varie medicine che curino le ripetute reazioni psicotiche, che si manifestano con le parolacce verso i programmi televisivi e fin qui avrebbe anche ragione, però anche rivolte alle persone che sono lì per aiutarla o agli oggetti in generale, in ogni tipo di situazione in maniera disordinata e discontinua, nel suo caso. Negli altri casi non lo sappiamo e confesso che non sono nemmeno troppo curioso, per me questa realtà è già un pozzo senza fondo. Un giorno sembra star meglio, poi si torna a qualcosa di già visto e passato, poi un peggioramento, dopo un miglioramento, ma più piccolo, coscienza e incoscienza mischiate, poi separate, senza spazio né tempo, senza alcun ordine comprensibile, almeno per noi. I farmaci servono per non farla star male, cioè in quello stato di ansia esagerata e continua, ma soprattutto senza alcun motivo.

I due cani entrano ed escono sporcando il pavimento e facendo più rumore possibile, abbiamo fatto fare uno di quei buchi apposta nella porta, ma era una botta tremenda quando lo sportello si chiudeva, così dobbiamo sempre tenere accostata la porta di dietro alla casa. Dobbiamo lavare per terra tre o quattro volte al giorno.

Ogni tanto entro su NOTIZIE RIGOROSAMENTE FALSE e mi ascolto o leggo qualcosa, i comunicati di solito vanno con sottofondo di musica strumentale di Harold Budd e c’è una voce che legge le notizie.

 

 

“Chi ha rotto le scatole cinesi?” (dice una voce profonda) Comunicato Toscana Nord delle 11 e 30)

 

Agli inizi del 2020 la rivoluzione a livello mondiale sembra già matura, lo scontento è generalizzato e a 360 gradi, eppure tanta gente ancora spera che le cose possano cambiare da sole. A qualcosa bisogna credere, a qualunque cosa. E qualcosa succede, ma non a livello di movimenti collettivi, piuttosto sono i singoli che hanno deciso di passare all’azione. Con l’aumentare fisiologico del consenso mondiale per i cosiddetti e numerosi gruppi asociali, automaticamente si è creata una concorrenza tra di loro. I nomi sono tanti, gli obbiettivi simili, eppure la competizione anche qui si prende il lusso di far perdere tempo a tutti, soprattutto di far confondere le idee che sono già sufficientemente intrecciate e ostacolate dalle notizie false. Sotto i gruppi asociali si nascondono i nuclei pseudo-terroristici che vogliono salvare il mondo dagli esseri umani disonesti e incompetenti, che sono tanti e a vari livelli e non è affatto facile, per ovvi motivi, i soliti. Due di questi gruppi, forse i più potenti e determinati, hanno scelto la toscana nord-occidentale come basi ideali, in campagna, a poche centinaia di metri l’uno dall’altro. Uno in provincia di Pisa e l’altra di Lucca, nel mezzo il solito confine simbolico. Da Pioppeta a S.Genesio, per strana combinazione, si tirano a sorte le vittime da giustiziare. Invece due vittime di uno dei due gruppi, i NO SUV, intanto ci colgono di sorpresa. Un anziano viene ucciso, un pittore che, non si sa perché o percome, aveva in casa quadri preziosi e una collezione di bottiglie di vino incrostate e dalle etichette illeggibili, vino invecchiato e probabilmente proveniente da cantine francesi e italiane. Intanto scompare il presidente dell’import-export di persone, Valentino Sala, personaggio misterioso secondo i più, ma sembra anche che fosse un dirigente dei NO SUV.

 

 

 

Pittore ti voglio parlare

 

 

La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza

                                                Pier Paolo Pasolini

 

A qualcuno potrà anche sembrare strano, ma a Pioppeta l'albero più raro a trovarsi è il pioppo, che essendo una tipica pianta da pianura qui si troverebbe in difficoltà. Però se il nostro paesino ha questo nome deve esserci almeno un motivo valido, solo che noi non lo sappiamo. Magari ci sono stati dei cambiamenti climatici, può essere che il suolo si sia incurvato in un secondo momento, forse i pioppi hanno cambiato le loro abitudini, oppure un misto delle varie cose, o anche nessuna delle tre. La vegetazione è comunque rigogliosa, se ci si accontentasse dei lecci e delle acacie, delle querce o dei castagni, o altre frondose varietà, qui se ne possono trovare. Per quanto riguarda i pini non saprei dire se li stanno abbattendo per anticipare le malattie e sfruttarne il legname o se stanno cadendo da soli, è un massacro sistematico da circa una decina d’anni.

Una volta, non troppo tempo fa, qua c'erano tre mulini funzionanti: il mulin di sotto, quello di mezzo e quello di cima. I vecchi edifici di pietra ci sono ancora, volendo c’è anche l’acqua, ma non ci sono più le ruote di legno e le relative farinose aziende. Le macine magari erano troppo pesanti da portar via e sono ancora dentro nascoste, ma di sicuro non macinano più.

Al mulin di sotto, che era il più grande, sulla strada principale che porta al mare, ora c’è un bar. C’è stata anche un’agraria, anni fa, ma poi ha chiuso perché qua in giro non ci sono più contadini. Nel mulin di mezzo, che dei tre era il più romantico a vedersi, abitano due nuclei separati, pare che siano solo tre persone in tutto. Da qualche anno al mulin di cima abita invece un vecchio pittore, tale Orazio Buonasera, lo chiamano tutti Mulin di Cima e dicono anche che è un tipo stravagante. La signora che ci stava prima è morta, era sua zia.

Da quando avevo scoperto quella lunga strada sterrata che s'incuneava in mezzo a quelle alte colline, abbastanza spesso arrivavo in macchina e posteggiavo nella piazzola vicino al canneto, a lato del mulino, dopo il lavatoio di pietra. Di solito Orazio era lì intorno a dipingere, se non pioveva. Io facevo la mia camminata nei boschi, ritornavo dopo un’ora e mezzo circa, lui era sempre lì, seduto o in piedi, il cavalletto girato dalla stessa parte. Ora non posso più fare la mia camminata in quella zona, non solo per colpa sua, ho dovuto cambiare itinerario anche se quello mi piaceva assai.

Le prime volte il Buonasera si è limitato a scrutarmi in silenzio, attraverso gli spessi fondi di bottiglia dei suoi occhiali, fischiettando. Le seconde mi ha salutato con ampi semicerchi della mano senza pennello, la destra. Per tutte le terze volte ha accompagnato il solito gesto con saluti generici e cordiali tipo buon pomeriggio o buona passeggiata. Solo alle quarte, forse dopo un mese o due, ha cominciato a lanciarmi frasi ambigue, con la faccia seria ma non troppo, con i suoi bianchissimi capelli lunghi al vento: “Attento alle multe!” Oppure “Viva la biodiversità!” O altre cose delle quali io naturalmente non capivo l'attinenza alla situazione, ma lo salutavo lo stesso con la mano, gridandogli buon pomeriggio, salve o ciao.

Quando finalmente mi sono accostato a lui, avevo già notato che dipingeva con la sinistra e che sulla tela appariva sempre qualcosa che non aveva niente a che fare con il panorama di fronte al cavalletto, che poteva essere di volta in volta la nostra affascinante Certosa, o il bosco che saliva la ripida collina, o la vallata che si apriva e scorreva in leggera discesa verso la pianura. Più avanti ho anche notato che non appariva mai lì fuori con una tela nuova, erano forse sempre state cominciate e portate a buon punto in casa? Poi che erano dipinti a tinta unita anche il retro e i lati delle tele.

Orazio si è presentato macchiandomi la mano di verde e di marrone e mi ha spiegato che era bello per lui rendersi partecipe che esisteva ancora qualcuno che non aveva il suvve, uno che arrivava in macchina senza la musica a tutto volume, viaggiando senza fretta, che non fumava guidando e che non doveva parlare continuamente al telefonino, nemmeno dopo, camminando, magari non ce lo aveva neppure. L'ho tranquillizzato dicendogli che l'avevo lasciato a casa, che lo usavo piuttosto saltuariamente e lui mi ha stretto di nuovo energicamente la mano sporca e ha detto che se veramente ci riuscivo, a non esserne schiavo, ero l'unico che lui conoscesse. L'intenzione s'intende già dal gesto, ha dichiarato, lo aveva capito subito che ero una persona valida, uno che aveva ancora dei valori ben attualizzati nella vita, che a volte consistevano nel non seguire sempre e comunque le mode, insomma una rarità. Ne era contento. Ha aggiunto che al mondo si finisce sempre per essere schiavi di qualcuno o di qualcosa, proprio da quello si determina il grado d’efficacia di una persona. Imporre alla propria vita il nostro personale ritmo non era facile, tutto congiurava contro, eppure era la maniera meno scomoda di vivere. Per esempio lui aveva scelto la pittura, la libertà e la solitudine. Ha confessato, senza la minima tristezza, che purtroppo lui aveva esagerato con queste tre cose, a volte se ne pentiva anche, ma quando si guardava attorno vedeva che gli altri stavano molto, ma molto peggio. Non mi ha chiesto di cosa o di chi io fossi schiavo, come mi aspettavo che facesse e mi fregò per la prima volta. Fino a quel momento io avevo parlato poco, ma credo che lui volesse presentarsi per bene, prima di lasciarmi dire chi fossi io, magari in un certo senso lo sapeva già, per quello che gli serviva mi aveva sufficientemente inquadrato. Non mi ha chiesto che lavoro facessi, se ero in pensione, se fossi sposato oppure no, non mi domandò se avevo figli e che cosa ne pensassi della globalizzazione sfuggita al controllo dell'uomo (e forse anche della donna) e mi aveva fregato già per un certo numero di volte da mettere in conto per il futuro, se ce ne fosse mai stato bisogno.

Davanti a noi c'era uno scorcio notevole della Certosa. Dal nostro punto di vista, a quattrocento metri circa dal mulino, in diagonale oltre la fila delle casettine delle celle dei frati, poi tra enormi cedri del libano, si vedevano la chiesa principale e alcuni edifici antichi e abbastanza alti, più in basso, dentro l'ampia recinzione in leggera pendenza: stalle, pecore e verdi pascoli.

Sulla sua tela invece c'era una bizzarra natura morta: un cocomero e una triglia, su un piano che poteva essere un tavolo marrone scuro, dietro uno sfondo a piccoli esagoni, cioè a nido d'ape, solo che era viola. Il cocomero era aperto, la triglia no, anzi, da come era messa, si capiva che era ancora viva. Orazio Buonasera ha detto che era quasi finito, c'era già la firma, Good Evening, forse perché aveva vissuto per trent'anni a Londra, mi ha spiegato. Ho pensato che il dipinto fosse brutto, a mio parere sgradevole, le figure erano poco definite e la scelta dei colori non molto azzeccata, non combinavano per niente. Non sono mai stato un amante delle nature morte, di qualsiasi tipo, mi sono giustificato con me stesso. Orazio aveva capito dalle mie frasi di tiepida ammirazione che ero rimasto leggermente deluso e allora mi ha spiegato che lo faceva perché lui vedeva quei dipinti in maniera diversa da chi ci vedeva ancora bene. Mi ha proposto di venire dentro al mulino, cioè alla sua casa, per farmi dare un’occhiata rapida alle foto dei suoi quadri di quando dipingeva sul serio, anni prima, in Inghilterra, mentre ora ci vedeva poco e lo faceva quasi per scherzo, per passare il tempo, i suoi quadri non se li comprava più nessuno e avevano anche ragione. Ma io volevo andarmene, mi sono scusato ma ero sudato e mi stavo freddando, non volevo ammalarmi, gli ho detto che li avrei visti volentieri un'altra volta, magari. Avevo già girato le spalle e mi dirigevo verso la mia Peugeot, quando lui mi ha chiesto se avevo mai visto quel film di Pupi Avati in cui l'autista del signore benestante era diventato cieco e non avevano avuto il coraggio di licenziarlo, dopo tanti anni di servizio. Senza aspettare che gli dicessi di sì o di no, si è sbrigato a dirmi che guidava un po' a tatto, certo non così bene come prima, si ricordava ancora le strade, ma a volte sbatacchiava un po' la carrozzeria. Come lui, quello che faceva era perché aveva mandato a memoria come si doveva fare, ma la sua vista era troppo indebolita.

A casa, con calma, rividi dentro di me le tragicomiche scene del film, gli occhi storti dell'autista cieco somigliavano un po' a quelli di Orazio.

La gente in genere m'intristiva e mi annoiava con le solite lamentele sulla loro vita e sulla società malata, lui invece pareva pieno di entusiasmo come un bambino, ma aveva anche una specie di saggezza da ottantenne assai lucido ed esperiente. In meno di cinque minuti mi aveva fatto fare delle risate non indifferenti.

La volta seguente, due giorni dopo, mi ero preparato per raccogliere l'invito del pittore, sono arrivato lì in anticipo ma lui non c'era, ho fatto la mia camminata, ma anche al ritorno non l'ho visto, eppure c'era il sole e la giornata era assai piacevole.

Per una settimana non l'ho più incontrato, ho pensato che gli fosse successo qualcosa. Invece poi l'ho ritrovato vispo e frizzante, sotto un largo cappello di paglia colorata di rosso, che dipingeva di faccia al bosco in salita, di fianco alla fila di alberi di cachi, che così alti e carichi non ne avevo mai visti. Un genere diverso, stava terminando un'immagine estiva di gente di colore che ballava in riva al mare, di notte, vestiti svolazzanti colorati vivacemente, intorno a un grande fuoco. Anche questo era quasi finito e già firmato Good Evening. Mi piaceva certo più dell'altro, ma ho pensato che se me lo avesse regalato difficilmente gli avrei trovato una parete che ci combinasse. Non che io m'intenda di pittura moderna, sono completamente istintivo, un quadro mi piace o non mi piace, non so nemmeno spiegarmi il perché, deve essere una questione di atmosfera, di emozioni ricevute o meno.

Orazio non si era dimenticato del suo invito a entrare in casa a vedere i suoi quadri di una volta. In mezzo a una vaga conversazione che dal tempo atmosferico era sfociata nell'arte figurativa, mentre rimetteva sotto una tettoia fatiscente quadro e cavalletto, colori e pennelli, gli ho chiesto perché per una settimana non era stato fuori a dipingere. Lui ha riso, come se gli avesse fatto piacere che glielo avessi domandato, poi ha detto che lo faceva esclusivamente quando era di buonumore e non mi ha dato altra spiegazione, non ho domandato oltre.

Nel mulino non c'ero mai entrato, ma più volte ne avevo sentito la curiosità. Dalle sue larghe e scortecciate pareti, misto di mattoni e pietre, si capiva che era antico e diverse famiglie certo ci avevano vissuto. Era un vasto caseggiato asimmetrico su tre piani, che non badava molto all'estetica, essendo il primo un seminterrato dove c'era probabilmente una cantina e i soffitti degli altri due erano assai alti, come usava un tempo, che la gente preferiva respirare un po' meglio. In alto, dal lato della strada c'era pure un'altana, dove si vedevano spesso i panni ad asciugare.

In più l'edificio risuonava dell'acqua che lo attraversava ancora scrosciando. Avevo notato in precedenza che una gora stretta in pietre e muratura correva da tempo immemorabile e per almeno un chilometro prima del mulino, in mezzo al bosco, portandogli acqua dalla collina che era quasi una montagna, almeno per la ripidità dei suoi declivi.

Le finestre in fondo illuminavano solo se stesse, lo stanzone era praticamente al buio, o forse era solo l'effetto ai miei occhi che venivano da fuori. Accanto alla porta uno scolorito calendario di Frate Indovino era di dodici anni prima, con sopra illeggibili annotazioni a penna. Intanto il Buonasera parlava della sua unica figlia che era rimasta a Londra e che doveva tornare, ma invece non tornava mai, lui non stava più nella sua vecchia pelle incartapecorita dalla voglia di abbracciarla, erano cinque anni che non la vedeva e lei gli scriveva ancora delle lunghe lettere di carta piene di particolari, lui gli rispondeva con altrettante, ma più corte, che scrivere non gli piaceva, ma ci metteva dentro foto dei quadri che dipingeva e poi piangevano tutti e due, ma di nascosto, senza confessarselo. Orazio ha acceso finalmente la luce, quando si è accorto che sbattevo da tutte le parti, da solo non ne aveva bisogno, ci vedeva molto poco e magari la luce gli dava anche noia. Alle pareti non c’era neanche un quadro, come invece mi ero immaginato, solo scaffali di legno con sopra gli oggetti più impensabili. Un vaso sanitario, grosse latte vuote di tonno e aringhe, bottiglie vuote e più raramente piene, falcetti, palette, secchielli di ferro, cappelli di paglia, insomma la maggioranza erano cose tipicamente campagnole, polverose e intoccate da chissà quando. Erano dieci anni che viveva lì, ma mi ha detto che aveva lasciato tutto com’era prima, quando era morta la sua cara zia Bettina, sorella di suo padre Tonio. L’odore era di legno e di polvere stagionata, ho starnutito più volte e lui ridacchiava contento. Non doveva portare spesso ospiti là nel suo antro e ne era forse anche orgoglioso, di tutto quel passato profumato o puzzolente in maniera romantica, quello di sua zia e di quanti altri sommato al suo più recente. Gli ho domandato di sua moglie e mi ha raccontato che era colombiana e di colore, che era andata a Cartagena per rivedere la sua famiglia, tanti anni prima che non sapeva nemmeno quanti, lui c'era rimasto male, sorrideva malinconico, anche perché lei gli aveva scritto appena un paio di volte, diceva che ritornava ma non è tornata più. La vita è così, diceva, la vita è proprio così, ripeteva, ma non diceva come, era sottinteso. Magari era ancora viva, ma non ci credeva, le piaceva troppo la coca. Sua figlia era evidentemente mulatta, molto bella. Beh, più che bella era simpatica e intelligente, ridacchiava, dipingeva anche lei e suonava il pianoforte in un gruppo jazz. A proposito di Londra mi ha detto che il suo più grande amico era inglese e viveva lì vicino. Tale Bruno Cavendish, antiquario ed esperto d’arte, un uomo di grande compagnia e solidarietà, buona forchetta e ancora miglior bicchiere. Unico difetto le sue scorregge, troppo muscolari, secondo Orazio, piuttosto forti, dovute all’alimentazione.

Avevo già notato che la sua abilità era di raccontare le cose più buffe in grande serietà, di ridacchiare divertito sulle tragedie, di presentarti i fatti più intimi come se non lo riguardassero troppo direttamente, piuttosto come inevitabili parti del libro della vita di chiunque, di conseguenza anche suoi.

Sapeva lasciare delle pause tra una cosa e quell’altra, in cui tu potevi tranquillamente commentare o stare zitto, anche cambiare bruscamente argomento, ma di certo non ti sentivi forzato a mostrare una qualche reazione, o dover per forza dire qualcosa a riguardo.

Alla fine dei quadri non se ne è parlato neanche, in compenso ci siamo scolati un paio di bottiglie di vino francese, almeno così ha detto lui. Le etichette erano così vecchie e incallite, di funghi, incrostazioni e agenti atmosferici vari e difficilmente riconoscibili che non si leggevano nemmeno, ma erano due nettari non indifferenti. Ho avuto modo di notare che le bottiglie piene sugli scaffali erano poche, ma si distinguevano dalle altre, molto numerose, che erano in piedi, giacché piuttosto ben sdraiate con il collo leggermente sollevato. Quando sono riuscito ad andarmene via, barcollando un poco, erano passate quasi cinque ore. Mulin di Cima non ha insistito affinché restassi ancora un poco, ma mi ha dato una bottiglia da portare a casa e non ha voluto sentire ragioni, che non rompessi tanto i coglioni e me la bevessi alla sua salute, che lui di salute ne aveva proprio bisogno. Mi ha raccomandato di non agitarla troppo che era piuttosto vecchiotta e di lasciarla riposare qualche ora in una caraffa, prima di versarmene il primo calice, cosa che lui stesso regolarmente si dimenticava di fare, ma il vino buono e vecchio bisognava farlo respirare.

In occasione del nostro seguente incontro la cornice era assai piovigginosa, sono entrato dalla porta aperta e ho sentito una musica, l'ho chiamato più volte, lui debolmente rispondeva, sembrava lontano. Sono entrato pure in una grande sala piena di grandi scaffali carichi di decine delle sue tele dipinte e firmate Good Evening, certo la più pulita e ordinata della casa. Per qualche minuto ho girato le stanze e non lo trovavo, alla fine sono arrivato sull'altana, era là che dipingeva tra le due file di panni ad asciugare. Orazio ascoltava con un mangiadischi colorato a fiorellini una vecchia incisione di Fausto Leali. Senza neanche salutarmi mi ha spiegato che Kim, sua figlia, era mulatta, ma assai più nera che bianca, con dei labbroni e tutto, capelli riccioluti e via. Mi ha fatto vedere un enorme e assai scalcinato album fotografico, dove però apparivano solo prati, mucche, cavalli, capre e lui stesso qualche anno prima, probabilmente in Inghilterra, i capelli ancora brizzolati, la barba sale e pepe, però con più sale che pepe. Nessuna traccia di sua figlia, insomma, che fin da piccola pare che fosse affezionata a questa canzone:

 

Pittore ti voglio parlare

mentre dipingi un altare.

Io sono un povero negro

e d'una cosa ti prego.

Pur se la Vergine è bianca

fammi un angelo negro.

Tutti i bimbi vanno in cielo

anche se son solo negri.

Lo so, dipingi con amor.

Perché disprezzi il mio color?

Se vede bimbi negri

Iddio sorride a loro.

Non sono che un povero negro

ma nel Signore io credo

e so che tiene d'accanto

anche i negri che hanno pianto.

Lo so, dipingi con amor.

Perché disprezzi il mio color?

Se vede bimbi negri

Iddio sorride a loro.

 

Asciugandosi le lacrime mi ha spiegato che Angeli negri era un brano musicale adattato in italiano da Gian Carlo Testoni. Sorrideva a me, ma piangeva rivolto al resto del mondo, per via della sua ingiustizia atavica ma pur sempre attuale, un mondo bellissimo ma anche piuttosto triste. Si trattava di una cover di Angelitos negros, canzone di Pedro Infante del 1948, tratta dal film omonimo, i cui versi erano del poeta e politico venezuelano Andrés Eloy Blanco, già interpretato da Antonio Machin, cantante iberocubano, e ripreso poi da Don Marino Barreto Junior nel 1959. Una prima versione italiana era stata incisa da Luciano Tajoli già nel 1950 col titolo "Angeli neri", che si rivelò un enorme successo, poi più recentemente da Fausto Leali, si fa per dire, eravamo ancora nel 1968.

Tra una notizia e l'altra mi ha chiesto se avevo portato su un bicchiere, ha scosso la testa disapprovandomi quando ha visto che non ce l’avevo e ha detto che allora dovevamo assolutamente andare giù, al che gli ho detto che quel giorno non volevo bere, se mai fosse possibile. Senza nemmeno ascoltare le assurdità che gli stavo dicendo, mi ha chiesto che fine avesse fatto la sua dannata bottiglia, quella che mi aveva regalato. Stavamo scendendo già la prima rampa di scale nella semioscurità fredda della casa. Ho creduto che di vino in casa non ne avesse più, mi sono giustificato dicendo che non l'avevo ancora bevuta, ma che mi ripromettevo di farlo alla prima occasione. Intanto mi aveva condotto in una stanza buia. Una specie di pratica cantina, proprio vicino alla sua camera da letto. Le relative quattro rastrelliere erano punteggiate di bottiglie di vino polverose, incrostate e probabilmente antiche, ne ha presa una, a me è sembrato a caso. Intanto Fausto Leali continuava a cantare Angeli Neri dall’altana, e lo ha fatto per tutto il tempo che siamo rimasti giù a sbevazzare. Ho notato che Mulino era assai malinconico dal fatto che sorrideva e faceva pause più lunghe tra le sue frasi di argomenti differenti, ma che a spirale tornavano sempre sullo stesso, ha sentito passare un'automobile e allora è partito. Quando era nostalgico parlava dei SUV e delle loro necessarie implicazioni sociologiche.

“Non è affatto detto che chi guida un suvve sia più stronzo degli altri, no, no, ma una differenza a suo favore ce l'ha, lui vuole farlo sapere, mostra già a tutti la sua prepotenza.

Non ho potuto fare a meno di notare un’esagerata tendenza a credere di doversi difendere, nell’italiano moderno più che in altri popoli o nazioni, anche e soprattutto quando non ce n’è bisogno, una propensione media alla difesa superflua che si trasforma, senza che ci se ne accorga, e sfocia facilmente nell’aggressione gratuita e continuata.

Il suvve è una dimostrazione spicciola di questa gente infima che nel terrore di essere prevaricata passa direttamente alla prevaricazione e non solo non se ne accorge, ma se tu glielo facessi umilmente notare ci dovresti anche inevitabilmente litigare. Vogliono dimostrare di essere grandi e ricchi, ma la loro casa a volte è senza finestre e più piccola della loro automobile… e la loro mente allora? È così piccola e subdola che assomiglia a una supposta.

Prendi Bruno: è piuttosto ricco, ma non lo sa nessuno, cammina a piedi o in bicicletta, la sua vecchia Prinz è in garage e la usa una volta al mese di media, quando andiamo insieme a fare la spesa, quella si mette ancora in moto solo perché è tedesca e testarda ed è per questo che lui l’ha scelta.”

Cercavo una scusa più che plausibile per andare a fare la mia camminata, ma mi seccava lasciarlo lì da solo. Dopo un bicchiere o due di quello che mi pareva stavolta vino italiano di gran classe, forse un Amarone, per fortuna è arrivato Bruno e Orazio ha smesso all’istante di essere malinconico e ha cominciato a chiedergli di non so quali quadri. Se ne sono andati di là e parlavano di Signorini, Lama, Lamberti, Lace e altri pittori italiani, a mezza bocca ci accostavano anche centinaia di migliaia di euro come se fossero castagne secche. Li ho lasciati anche perché non riuscivo proprio ad agganciarmi ai loro discorsi e ho notato che probabilmente li disturbavo.

Qui dovrei magari specificare che negli ultimi anni ero rimasto piuttosto deluso dalle persone che conoscevo da tempo e - pur se in maniera differente - anche da quelle che avevo conosciuto più recentemente. Il mondo moderno mi pareva fosse riuscito solo a peggiorare quello di una volta, invece di averlo migliorato come dicevano. Più o meno inconsciamente tendevo a evitare di approfondire ogni persona nuova che venivo a incontrare, per non esserne di nuovo irrimediabilmente deluso. Eppure quel vecchio dai lunghi capelli bianchi e dagli occhi storti m'incuriosiva in maniera positiva, come se mi riportasse indietro nel tempo, come se riempisse almeno in parte tutta la mia sconfinata voglia di passato.

Ho incontrato Bruno per caso il giorno dopo, sulla porta del Mulin di Mezzo stava uscendo in bici, come sempre elegante e non aveva un capello fuori posto. Mi ha chiamato dentro e mi ha offerto un caffè. Bruno è l’opposto di Orazio, eppure sono grandi amici. Di padre inglese e madre italiana e di Pioppeta, ha comprato il mulino dove vive e ne ha affittato una parte a una coppia tedesca. L’interno della sua abitazione è sobrio ma accogliente, luminoso con le pareti bianche, estremamente essenziale e arredato con mobili antichi scuri, pochissimi quadri e quasi senza soprammobili, niente televisione.

Mi ha detto che Orazio è fin troppo sincero con sé stesso e con la gente, mente solo quando si parla di sua figlia, cioè invece di dire come è, racconta come lui avrebbe voluto che fosse. Kim non è esattamente una musicista, è vero che sa dipingere, suonare bene il piano e cantare anche, ma è piuttosto la donna di colore più accreditata nella politica laburista inglese. È a disposizione del cellulare 24 ore su 24 e naturalmente ha un SUV, è sposata con due figli, è una consumista incallita e non ha mai un secondo libero per sé stessa, figuriamoci per la sua famiglia. La settimana in cui Orazio è rimasto in casa senza dipingere è stata perché lei non è potuta venire a trovarlo come aveva promesso. 

“Nella vita niente va come avevamo pensato, quando succede è per poco tempo, poi diverge sempre dalla nostra immaginazione, dai nostri progetti…” Ha detto, scuotendo la testa. “Solo che Orazio ha difficoltà ad accettare questi normali cambiamenti di programma, che la figlia abbia scelto una strada che a lui non piace, la fottuta politica, che non abbia tempo di venire un paio di giorni a visitarlo, ormai da quasi dieci anni.”

Mi ha parlato del suo mestiere di mercante di arte, che ha lasciato tutti i parenti a Coventry e che non ne sentiva la minima mancanza, che ha conosciuto la moglie di Orazio a Londra, che era una prostituta e poi di conseguenza ha incontrato lui e si sono trovati subito bene, soprattutto a livello filosofico, ma anche si capiscono bene nel divertimento, nell’apprezzare le cose belle della vita.

Orazio gli aveva trovato il mulino da comprare e glielo ha comunicato per lettera, lui è sceso dall’Inghilterra e ha concluso l’affare.

Mi ha mostrato foto dei quadri del suo amico Good Evening quando era in auge ed erano veramente belli, oltre che costosi e riconosciuti un po’ in tutto il mondo. Ne aveva dipinti una trentina in tutto e li aveva venduti tutti. Si trattava di paesaggi un po’ elettrici di luci e turbolenze quasi marziane e misti di rovine di muri e colonne antiche in mezzo alla natura, con divinità boschive ingenue ma anche un po’ minacciose, poca gente propriamente detta, in ombra, vista da lontano, o di spalle. Alcuni li avevano paragonati a qualcosa di Leonor Carrington, con le dovute proporzioni, secondo me si notava la ricerca dello scarso contrasto nei colori, nelle atmosfere più a pastello sfumato. Erano dipinti un po’ stravaganti insomma, affascinanti come era Orazio, un vecchio simpatico e amabile, alla sua maniera, ma forse molto diverso dagli esseri umani che girano per il mondo.

Un giorno o l’altro, secondo Bruno, non era nemmeno escluso che avrebbe preso un fucile e avrebbe cominciato a sparare al primo SUV di passaggio. Abbiamo riso di questa sua fissazione, e Bruno ha detto che ce l’aveva specialmente con quelli bianchi con la base nera. Non aveva tutti i torti secondo lui, ma bisognava magari considerarlo come un simbolo, di quello che lui odia negli esseri umani, a cominciare dalla politica.

“All’inizio uno ha un’idea istintiva e ben determinata di come siano il carattere e la relativa indole una persona. Dopo, ragionando, tutto si confonde… conoscendola meglio ci si accorge che non la si conosce per niente. Il fattore umano rende tutto imprevedibile, ci sembra di sapere come siamo, di cosa siamo capaci oppure no, ma non è vero, o almeno mai fino in fondo.”

Qualche giorno dopo sono tornato da Mulin di Cima, nel tardo pomeriggio, dentro era tutto buio e si sentiva una musica di sottofondo, ho immaginato che lui fosse seduto nello stanzone da qualche parte, ho fatto qualche passo e una voce cavernosa, ha dichiarato:

“Ammazzare il tempo è una delle espressioni più idiote, giacché quello poi non muore mai, ritorna e si vendica, ti fa i dispetti. Il tempo non si può forzare più di tanto, se lo conosci e lo apprezzi tu lo accompagni e allora lui accompagna te, quindi dai un ritmo più tuo al mondo, alle cose di tutti i giorni, in definitiva alla tua vita.”

Per colpa di questi due attempati giovinotti, come avevo già accennato, smisi poi definitivamente di fare le mie camminate. Da tutti i giorni ero passato in un secondo momento a una volta sì e una no, poi due no e una sì, poi tre no e una sì, poi una volta alla settimana, fino all’estinzione definitiva di ogni attività fisica che non fosse alzare ripetutamente il gomito. Il vino tra di noi infatti scorreva piuttosto copioso, ma le bottiglie non finivano mai. Pur avendo più volte chiesto da dove venissero, non me ne fu mai rivelata la provenienza, ma ogni volta Bruno ridacchiava come se lo sapesse, ma non poteva dirmelo. E poi perché Orazio pitturava quadri piuttosto brutti che poi venivano messi in una stanza affastellati, senza che ne vendesse nessuno, o senza nemmeno provarci? A parte Bruno e me, quelle pitture nessuno le avrebbe potute mai ammirare, o anche solo poter dire che facevano la loro porzione di schifo, insomma senza alcuna interazione con ulteriori esseri umani. Eppure considerate le idee filosofiche del pittore non c’era nemmeno da stupirsene tanto.

In giro si vendono cose anche più assurde, talvolta anche con prezzi proibitivi, come le “opere” di Mark Rothko, per esempio. Ultimamente un “artista” italiano aveva attaccato una banana a un pannello con il nastro isolante, un'opera d'arte che valeva 120.000 dollari, un altro scemo se l’è mangiata e sopra si sono scritti fiumi d’inchiostro virtuale, si è spaccato il mondo in due, poi in tre e così via. All’esposizione c’era tanta gente che non ci si entrava più. Ecco come va il mondo moderno. Più si è cretini meglio è.

Orazio Buonasera forse non era più un artista di grido, magari era passato di moda, e meno male, direi. Però pur senza dover alzare troppo la voce, era una buona e pacata compagnia, gradevole e poliedrica. Con lui era impossibile annoiarsi, non ti chiedeva niente che tu non volessi raccontare spontaneamente della tua vita o degli affari tuoi. Se avevi voglia di parlare ti lasciava tutto lo spazio possibile, facendoti anche domande pertinenti e riflettendo sulle possibili implicazioni. Se non ne avevi voglia allora parlava lui, ma senza ansia di dire delle cose tanto per riempire tutto quello spazio di tempo, si vedeva che amava anche il silenzio e questo era una cosa che avevamo in comune tutti e tre.

Bruno Cavendish, detto anche Mulin di Mezzo, parlava un po’ meno, ma specie dopo qualche bicchiere, quando apriva bocca lanciava sottili incastri di parole e omissioni, le sue battute con piccole ma eloquenti smorfie di dolore ci prendevano piacevolmente di sorpresa.

Lui e Mulin di Cima si pigliavano spesso reciprocamente in giro, il pittore non mancava mai di commentare i suoi vestiti sobri e raffinati, soprattutto le appena contrastanti cravatte così poco colorate. Bruno invece di Buonasera lo chiamava buonanotte quando aveva bevuto troppo, buon pomeriggio quando si assentava a lungo dalla conversazione, con gli occhi storti che non guardavano più da nessuna parte, lo sguardo perso oltre due orizzonti, buongiorno quando capiva le sue battute in ritardo.

Non sono riuscito a evitare che mi soprannominassero Mulin di Sotto, perché tra di noi ero quello che ci abitava più vicino, un centinaio di metri circa. Senza ridere per niente mi consigliarono addirittura più volte di comprarlo, di andarci ad abitare, anche clandestinamente o di scrivere solo il mio nome su uno dei campanelli del palazzo, perlopiù disabitato, a costo di diventare noiosi e ripetitivi, secondo loro per cementare la nostra amicizia in maniera più totale e completa, insomma per guadagnarsi qualche sano e meritato vaffanculo.

Ogni tanto io, che oltre a parlare poco ero la persona più seria dei tre, per divertirmi lanciavo discussioni socio-filosofiche sulle quali venivano fuori opinioni assai divergenti, come quella volta che dissi che tutte le leggi, (secondo Jeremy Bentham, filosofo e giurista inglese,) erano invenzioni umane imperfette e sempre mutevoli. I due nell’occasione si trovavano diametralmente opposti su questo tema, ma poi anche per fargli dispetto il pittore ha fatto regolarmente sue quelle parole, tirandole fuori spesso a ogni occasione, come se avessero ricalcato esattamente il suo pensiero.

Se Orazio era fisicamente incapace di mentire a sé stesso e di conseguenza agli altri, eccetto quando parlava di sua figlia, Bruno pareva non riuscisse mai a dire la verità completa, almeno in parte doveva romanzare o esagerare ogni più piccola storia, ma solo in queste serate tra amici. Sul suo lavoro e negli incontri testa-testa invece era inappuntabile e rigoroso, ogni notizia era cassazione.

Ricordo l’ultima nostra cena in cui, mangiate tre formidabili pizze con sopra pezzi di pera, noci e aglio, cotte nel forno a legna, facemmo le due a discutere su tutto e su niente, bevendoci un buon numero di bottiglie. La linea di discussione principale era sorta da una frase che io avevo letto su un libro: “Dio guarda alle cose del mondo senza amore né odio per nessuno.” Nessuno di noi era credente, ma non eravamo nelle migliori condizioni per ricordarcelo e ci accapigliammo su tutte le necessarie e relative implicazioni.

Erano gli inizi di dicembre del 2019 e non si sospettava minimamente quello che sarebbe accaduto prima dello scoccare dell’anno nuovo.

Dopo il tramonto dei malviventi notati dal pastore che stava rientrando con le sue pecore, avevano posteggiato la macchina a cento metri dal mulino, poi fatta irruzione dalla porta aperta hanno legato e torturato Orazio fino a farlo morire, probabilmente per farsi dire dove aveva nascosto i suoi quadri, ha dichiarato Bruno alla polizia. A quell’ora lì si può gridare a squarciagola che non sente nessuno. Quei coglioni non erano del ramo, mi ha rivelato poi, sennò si sarebbero accorti che le tele dipinte da Orazio non erano tutte moderne. Il pittore sicuramente gli aveva detto dov’erano i quadri, sorrideva amaramente l’antiquario, giacché non riusciva a mentire nemmeno a sé stesso, ma quando i ladri avevano visto quella montagna di croste avevano perso la già scarsa pazienza e lo avevano ammazzato. Ma di quali quadri si trattava, se sul mercato i suoi erano quotati sottozero? Pare che sotto alcune delle sue tele malamente dipinte, tutte firmate Good Evening, si nascondessero dipinti di pittori italiani famosi tra cui Signorini, Lace eccetera. Su consiglio di Bruno, che era anche il suo esecutore testamentario, li aveva ricoperti e imbrattati, davanti e dietro, con colori speciali che si potevano facilmente togliere con dei solventi adatti.

Bruno era già ricco e sua figlia non aveva più bisogno della sua eredità, meno ancora sua moglie se la meritava, se era ancora viva. Per le sante feste quel babbo natale strabico, tanto per scherzare un po’, mi aveva fatto una bruttissima e una bella sorpresa: aveva lasciato tutto a me.

Orazio Buonasera era uno che conosceva la vita, anche se su certe cose era esagerato, però, manco a dirlo gli assassini, secondo la testimonianza del pastore Venanzio, erano arrivati con un SUV bianco con la parte inferiore nera. Il modello l’aveva riconosciuto subito, perché era uguale al suo, anche se il colore era leggermente differente. Il numero di targa no, non ci aveva pensato a segnarselo.

Bruno ha continuato a venirmi a trovare, ora che abito al Mulin di Cima, la nostra amicizia è continuata come se fossimo ancora in tre e ci siamo scolati insieme già diverse bottiglie di Orazio alla sua memoria.

Sento che il suo fantasma si aggira per le stanze del mulino a contare quante bottiglie mancano e quali quadri io abbia già venduto.

Ma a quelli chi glielo aveva detto dei quadri? Come erano venuti a saperlo? Bruno non lo sa, ma da un po’ di tempo gira con una pistola in tasca. Dove era andato a scovare quelle bottiglie e quei quadri? Gli chiedo ogni tanto. Sorry. Quello Bruno non me lo può proprio dire, neanche a me, glielo ha giurato.

Il Cavendish in questione non l’ho proprio mai visto senza cravatta, anche quando ubriaco perso lo porto a casa, per evitargli la camminata notturna, non si è mai tolto niente per respirare meglio, d’agosto suda senza lamentarsi. Nel modo di fare è un perfetto gentiluomo inglese, come quelli dei libri e dei film, anche quando ti manda affanculo prima ti chiede il permesso di farlo. Il Buonasera aveva ragione anche su questo particolare: le sue scorregge sono assai muscolari, piuttosto forti, probabilmente per via dell’alimentazione, ma forse anche dei pregiati liquidi alcolici. Ciò nonostante abbiamo unito le nostre solitudini, senza Orazio è tutto molto più smorto e triste, però. Bruno sta pensando addirittura di sposarsi, alla sua vetusta età, io che sono già separato di divorziare, forse non sarebbero due soluzioni sufficienti a migliorare le cose, però.

Il Buonasera ci manca assai, se ne parla spesso e mai con malinconia, ce lo sogniamo anche, con uno dei suoi camiciotti un po’ pelosi e assai macchiati, con il pennello in mano e nell’altro un calice di vino rosso. Ogni tanto Bruno comincia a parlare come se fosse lui, specie quando usa quella famigerata sigla, che una volta lui pronunciava correttamente:

“…c’è gente insospettabile che non avresti mai detto che potesse comprarsi un suvve, il pastore Venanzio, per esempio. Lo avresti mai detto che uno così si doveva proprio comprare un suvve? Se potessero si comprerebbero dei carrarmati, te lo dico io, magari più scomodi dei suvve, ma con dei cannoni così pratici…”

Con l’eredità di Orazio mi sono trovato automanticamente a diventare un membro dei NO SUV, mi ha spiegato Bruno.

I NO SUV sono un movimento spontaneo, come le Acciughe, come quelle c’è dietro qualcuno che li paga, ma l’intento dovrebbe essere meno strumentale, perché chi tira fuori i soldi fa parte attiva del movimento, speriamo che questo basti. Solo simbolicamente hanno centrato il fuoco del problema del loro mondo ideale su queste automobili enormi e alte, dove dentro c’è sempre una persona sola, inquinano l’aria e stimolano la fuoriscita delle altrui bestemmie. Le Acciughe invece sono andate a trovare la famiglia Benetton, si sono fatte fotografare insieme, mentre i NO SUV progettano di massacrarne qualcuno anche di questa famiglia di ricchi irresponsabili che avevano (ahimè) la responsabilità di fare la fantomatica manutenzione delle autostrade, la mancanza della quale ha provocato il crollo del ponte Morandi a Genova, mentre loro s’intascavano tranquillamente i pedaggi degli automobilisti ignari.

 

Le mie tre sorelle vivono nel nord Italia e non possono, non vogliono e non devono (aggiungo io) lasciare famiglia e lavoro. Noi anche se viviamo a Bruges, e il Belgio è assai più lontano, non abbiamo figli né lavoro fisso, solo due cani e due gatti, ora lasciati alle cure dei vicini di là. Lorena è infermiera e viene pagata con i soldi della famiglia per stare qui, forse ci saremmo stati anche per nulla, ma visto che lei non lavora più, ha un fisiologico bisogno di soldi. Anche questo è un fottuto lavoro, però, l'unica differenza è che se non fosse per mia madre non lo faremmo mai, non così, 24 ore su 24, neanche per tutti i soldi del mondo. Io insegno italiano agli stranieri in internet, con Skype, ho pochi allievi ma alcuni da parecchio tempo.

Ci aiutano i vicini, che poi sono abbastanza lontani, ma rappresentano i terrestri più a portata di mano, fortunatamente gente simpatica e disponibile, qualche volta si fermano anche per fare quattro chiacchiere, ma raramente si arriva a cinque. Ci portano i prodotti dei loro orti, marmellate e conserve, libri usati a valanghe, magari i gusti letterari non coincidono, pretenderemmo troppo.

L'alzheimer è stato il destino di mia madre, come di tanti altri ed essendo Lorena l'unica badante da lei accettata, eccoci qua a disposizione, nella nostra casa di collina quasi montagna, con computer e internet, un cannocchiale che per fortuna il panorama è profondo, largo e interessante.

Siamo a Bagni, appena sopra Bagni di Lucca, nei pressi delle terme, sul ripido versante del monte opposto a noi ci sono poche case, una delle quali si raggiunge solo con una teleferica. Abbiamo visto molti film negli ultimi mesi, forse troppi, la maggior parte polizieschi, magari siamo stati anche influenzati, ma abbiamo deciso di filmare con il cellulare il su e giù di questa gente che va e viene con la teleferica, ma che cosa trasporta? Osservandoli con il binocolo non siamo riusciti a capirlo.

La musica che passa il nostro sito preferito di internet è strumentale e spesso bell’assai. Anche Lorena ha imparato ad apprezzarla e ascoltiamo i sottofondi quasi continuamente a basso volume. Ora c’è Keith Jarrett, Kolln Konzert e quella loro specie di telegiornale della toscana settentrionale.

 

“Chi ha rotto le scatole cinesi?” Comunicato Toscana Nord delle 18 e 30

 

Su internet Ghino Barsali non c’è, ma pare sia lui che abbia ereditato i quadri e le bottiglie, forse c’è anche altro dietro e anche più prezioso. A un primo esame nemmeno il movimento NO SUV compare, nonostante il consenso del mondo in aumento, i gruppi sono ancora guardinghi. Ci sono frasi su pagine di notizie contrastanti, soprattutto in lingua inglese, una dice l’opposto dell’altra, ma gli opposti stavolta sono troppi e piuttosto ramificati. Pare che il loro baricentro ideale, o approssimativa sede originaria, sia stata Pioppeta, paesino toscano, ma attualmente non lo è più, le notizie sono comunque contraddittorie, frammentate e confuse. Nessun giornale importante appare a dire qualcosa e se non ci sono di mezzo loro, da una parte è un bene e da un’altra un male. Quelli ne fanno sempre un motivo strumentale di un partito contro un altro, un sensazionalismo pilotato che c’è sempre qualcuno che ci guadagna sopra e uno che ci perde sotto. Va bene che nessuno crede più alla credibilità, molte altre parole da tempo sono state svuotate del loro significato originale. Finalmente un giornale tedesco dà del pane al rispettivo metaforico pane: ecco il Berliner Morgenpost che denuncia positivamente questo oscuro gruppo terroristico internazionale, responsabile di efferati ma giustificati omicidi, di messaggi contraddittori eppur anche chiari, per chi vuole intendere, attraverso anche altri gruppi che si considerano affini, ma non sempre, forse per depistare indagini, messaggi che il giornale riporta persino con delle fotografie. Sono annunci scritti a mano o stampati, battuti a macchina o semplicemente a penna, in inglese, in tedesco, in francese, in spagnolo. Rivolti in generale agli esseri umani, ma evidentemente non agli italiani. Perché? Si menziona Ghino Barsali, forse autore di alcuni testi e manifesti. Il nome del Barsali è citato spesso, ma con pseudonimi, pare che abbia ereditato, del tutto illegalmente, il tesoro dei Templari da Orazio Buonasera, secondo l’articolo di Christa Koch, polemica giornalista berlinese. In qualche modo erano legati tra di loro, dice, a Bruno Cavendish e ai NO SUV.

 

 

Nato a Navacchio

 

Ma dove va a finire questo mondo? Insomma la civiltà che direzione sta prendendo, forse la civiltà stessa fa parte di un disegno più grosso, di un movimento perpetuo tracciato da non so chi, forse da un Dio, o magari dall’uomo stesso, inteso come umanità. O forse è tutto a caso? Insomma si può ancora scegliere in cosa credere, ma in qualcosa bisognerebbe credere.

 

Ghino Barsali (forse pensionato e magari anche NO SUV)

 

 

Toscana: alle pendici del Monte Pisano, che poi è solo una collina un po' più alta, costeggiando il fiume Serchio, le Apuane a fare da sfondo, seguendo il percorso - ora seminascosto - dell’antico acquedotto, tra antiche e numerose fortezze e torri d'avvistamento, riusciamo a percorrere oggi un facile e affascinante tragitto che unisce e divide le città rivali di Lucca e Pisa. Nel Medioevo però, questo percorso non sarebbe stato così facilmente percorribile perché quelle torri e quelle fortezze, erette a difesa di questo confine, sorvegliavano il fiume e la strada che le affianca, sbarrandola agli eserciti nemici e poi sul cammino avremmo dovuto attraversare una frontiera tra due libere e orgogliose città spesso in guerra tra loro. Lucca, ricca città mercantile grazie ai commerci di tessuti con il Nord Europa e Pisa, potente Repubblica Marinara, da sempre in lotta per diritti commerciali, per il controllo del territorio, per i confini delle diocesi, ma anche per il grande scontro tra Guelfi e Ghibellini.

Nel corso degli anni questi territori furono teatro di ogni genere di scontri, valevano i saccheggi nei villaggi, gli assedi dei castelli come quello di Caprona, le battaglie in campo aperto per le quali le cronache, ricordano persino una fantascientifica battaglia navale sull'attualmente impraticabile lago di Bientina, quando nel 1147 le navi Pisane attaccarono il castello Lucchese posto sull'isola, di quello che oggi è uno scarsissimo padule, utilizzando 50 imbarcazioni con sopra le truppe e le macchine d'assedio. Uguccione della Faggiola, un po’ da una parte e un po’ dall’altra, il famoso Castruccio Castracani ma anche il temuto mercenario, Giovanni Acuto che per Pisa di Lucca fece razzia. La frontiera oggi non esiste più e le due città restano divise soltanto dal Monte Pisano, a causa del quale, come citato da Dante nell'Inferno, i Pisani veder Lucca non ponno.

Per via delle schiere armate della Repubblica di Pisa che almeno in quell’arco di tempo, erano solite attaccare e saccheggiare la Lucchesia, con temibili scorrerie notturne, era dunque meglio avere un morto in casa che un pisano all’uscio, modo di dire ancor oggi usato dai lucchesi. Dalle nostre parti invece la metafora per un prezzo esagerato è che costa di più che il fiume ai lucchesi, in riferimento alle ancora odierne piene che invadono i campi e le case e si portano tutto verso il mare. Ho avuto notizia che attualmente a Lucca non sanno più come fare ad arginare gli idioti che cadono dalle alte mura. È un fenomeno recente, eppure le mura sono lì da secoli, pare comunque che non siano affatto dei lucchesi, piuttosto dei giovani turisti. Da piccoli a Navacchio si imparava presto la sopravvivenza e anche se i computer non c’erano e nemmeno l’internet se qualcuno ci avesse ordinato di suicidarci, per un qualche simpatico giochino non-on-line, lo avremmo agilmente preso a pernacchie. Passando poi a parlare di vile calcio, che se non è proprio cultura è certamente un assai indicativo fenomeno sociale, oggi la Lucchese è in serie D e il Pisa in serie B; ma quando erano bloccate nello stesso infernal girone toscano, sempre o quasi di serie C, fossero i giocatori trentini, liguri, lucani o siciliani, quando il Pisa e la Lucchese entravano in campo, nel derby, se le davano di santa ragione. Loro stessi non sapevano perché, ma erano bacchiate sode E reciproche, e non limitate alle articolazioni inferiori.

D'accordo: a Lucca si pensa che i pisani siano ignoranti, rozzi e maleducati. A Pisa che i lucchesi siano dei figli di papà, dei fighettini perfino assai snob. C’è un fondo di verità in queste affermazioni, ma non sono certo assolute. Alcune tra le persone più grette che personalmente ho conosciuto erano e sono lucchesi, alcune tra le più raffinate invece pisane DOC. Paradosso: Pisa ha la Normale, oltre che una prestigiosa quanto antica università, a Lucca non se ne parla neanche.

Per conto mio dopo un’infanzia pisana sono stato portato via dai miei genitori, senza nemmeno passare da Lucca, in autobus e poi in treno. L'aeroporto ora ce lo abbiamo noi qui a Pisa, che è anche meglio assai di quello di Firenze, mentre a Lucca ci passa ogni tanto un treno. Sono diventato scultore a tempo pieno in Norvegia, ma il maggiore successo l’ho raccolto a partire dall’Inghilterra, poi negli Stati Uniti e via per il mondo intero, ora in Canada. Il mio cognome è stato cambiato, per oscuri motivi di marketing internazionale Navacchio era più onomatopeico, cioè piaceva più di Porcodi, e Arnaldo assai più di Attanasio. In Italia intanto nessuno ha sentito parlare di me, o forse pochi, ma in giro per il globo ho raccolto un certo successo di conchiglia, direi, un po' più grande di quello di nicchia, insomma, ma non troppo.

I re e le regine, i cavalieri, i soldati, i popolani, semplici cittadini o contadini del medioevo che ho da sempre scolpito, almeno da quando sono diventato quell’Arnaldo Navacchio, descrivevano ed esemplificano ancora la difficoltà che hanno sempre avuto i viventi nel mostrare qualcosa di sé stessi che non è affatto quello che sono, ma che gli piacerebbe di essere. La grana grossa che ho inventato per farli apparire rozzi e - solo fintamente - appena abbozzati, è stato il mio segreto per il raggiungimento del cosiddetto successo della cozza, o mitilo, se vogliamo.

Si notano due istinti uguali e contrari, negli umani di ogni dove, l’istinto di imitazione che si ha fin da piccoli, e quello di disprezzare tutto quello che si possiede e di desiderare tutto ciò che ci manca, eppure dicono che per contrappasso quello che non ci piace nelle altre persone è perché ne abbiamo dentro noi stessi, che ci disturba quotidianamente, sia in quantità e qualità.

È da considerarsi privilegiato chi fosse abbastanza profondo da carpire il suo personale senso nella vita, ma non così tanto da inabissarsi nella ricerca insensata del voler dar un motivo a tutto e di non poter fare a meno di spiegare razionalmente ogni singola cosa, come se fosse separata dal resto, e dunque avesse una sua distinta ragione, se non il fare parte di un disegno più grande che poi sarebbe il cosmo, roba che l'uomo non può comprendere, e forse nemmeno la donna.

Per farlo ho provato a partire dal sangue. Pare che nel corpo umano scorrano dai 4 ai 6 litri di sangue, francamente pensavo di più. Poi dentro c'è un sacco di roba differente. Per quanto possa sembrare strano il sangue è un tessuto anche se liquido e composto da plasma e da elementi detti corpuscolati. Il plasma è un liquido formato prevalentemente da acqua ma contenente anche certe proteine e poi i nutrienti. Gli elementi corpuscolati invece sono i famosi globuli rossi, i cosiddetti globuli bianchi e le note piastrine. Quindi tutto è sempre e comunque basato sull'integrazione, a partire dall'infimo, per arrivare al piccolo, al medio e poi al grande.

Mentre, nella vita sociale, quelli che non riescono a stare da soli non possono veramente apprezzare la compagnia, perché bella o brutta che sia, ce l'hanno sempre, questo crea una certa inconscia indifferenza. Chi ama il lato buono della solitudine, lui sì che l'assapora perbene, lo stare insieme agli altri, perché può finalmente scegliere, se non gli piacesse se ne starebbe piuttosto da solo.

Non sentire più quella malinconia cattiva di quando ero ragazzo che mi faceva un male costante, ora è un vantaggio che mi fa partire bene ogni giorno, che mi permette di pensare al passato senza nostalgia e al futuro senza timore. Fra un mese avrò 60 anni e se dicessi che non avrei mai pensato di arrivare così presto a questa età, forse direi una cosa ovvia, eppure vera.

Da quando ho incontrato Isa Scoglitto le cose sono cambiate in meglio, molto meglio. Ci siamo salvati a Vicenza, cioè reciprocamente, considerato pure che lei è di Schio, anche se ci siamo conosciuti a Bergen, in Norvegia, un bel po’ di anni addietro. Intanto c’abbiamo già dei figli grandi e i globuli rossi trasportano ancora l'ossigeno alle cellule dell'organismo e se ne rimuovono l'anidride carbonica, insomma quelli c'hanno sempre da fare. I globuli bianchi quelli sono più sornioni perché fanno parte del sistema immunitario, la sicurezza, cioè aiutano a combattere le eventuali infezioni. Le piastrine infine giocano anche loro un ruolo importante nella coagulazione del sangue, non vogliono necessariamente vincere, insomma tirano a pareggiare e se tutto va bene ci riescono anche. Per me sono un esempio, nella vita non è necessario vincere, nemmeno perdere, è meglio pareggiare.

Ne ricavo che colui che vede e guarda contemporaneamente, senza fissarsi su un meccanismo che non funziona, con giù le rispettive bestemmie, piuttosto cerca in ogni attimo del suo vivere di approfittare di quello che ha, senza essere irrimediabilmente disturbato da quello che invece purtroppo inevitabilmente gli fa difetto. Da noi si dice anche: di quello che c'è non manca niente.

Lo so a cosa state pensando e allora confesso che nemmeno io appartengo a questa categoria, se non saltuariamente, per quanto mi sforzi di essere saggio, per quanto - a forza di botte - abbia carpito queste tacite ma fondamentali leggi della vita, applicarle è dannatamente più difficile che saperle. Temo che sia un'ennesima invenzione dell'uomo, quella d'immaginarsi un qualcuno che possa risolvere se non materialmente almeno col pensiero, tutti i suoi guai. Ci sono quaggiù troppe dannate distrazioni per cui ci è impossibilitato di avere un fluido disegno d'assieme in movimento, che ci faccia agire e reagire in una maniera dinamica ed efficace, senza essere interrotti, confusi... e pare di dovere cominciare ogni volta tutto da capo.

Niente di peggio, per capire le cose, che l'ansia di dover arrivare in fretta ad una soluzione. Ci vuole o almeno ci vorrebbe della calma. E non dimentichiamoci che il gruppo sanguigno purtroppo o per fortuna è una componente ereditaria e si identifica grazie agli antigeni sempre presenti e sugli attenti, almeno sulla superficie dei globuli rossi. Nel sangue ci sono inoltre, anche se opportunamente rimpiattati, gli anticorpi contro gli antigeni assenti sui globuli rossi di un individuo X. Esistono più di trenta sistemi diversi di classificazione, a che servono così tanti? Non lo so. Prendiamone uno a caso: secondo il sistema AB0 (Abzero) i gruppi sanguigni sono quattro: A, B, AB oppure 0. L’esistenza della classificazione dei gruppi sanguigni per come la conosciamo oggi si deve a Karl Landsteiner, un austriaco che, nel 1901, siccome non aveva nient'altro da fare, cercò e individuò il sistema AB0. Successivamente, emigrato come tanti (o quasi tutti) negli Stati Uniti, scoprì ulteriori interessantissimi fattori che distinguono i diversi tipi di sangue (il fattore Rh).

Secondo questa classificazione è possibile somministrare trasfusioni di sangue seguendo i relativi e rigorosi criteri. Va da sé che una maggiore attenzione debba essere riservata alla donna in stato di gravidanza, in quanto il feto può incorrere a una seria patologia denominata eritroblastosi fetale.

Ovviamente nella vita di un individuo appena nato concorrono vari elementi e motivi che possono aiutare, ostacolare, quindi formare o distruggere totalmente, o anche solo parzialmente, questo stesso individuo, almeno per quanto riguarda l'ambito della sua esistenza terrena, che forse non è l'unica possibile, ma intanto è quella che conosciamo meglio e quindi a cui siamo più legati.

L’ambiente dove crescere è determinante, ammettiamolo, ma non può nemmeno quello avere l’ultima parola, come del resto i fattori ereditari c'entrano ma fino a un certo punto. È stato ampiamente dimostrato che Lombroso si sbagliava: non sono i lineamenti del volto di una persona che ne evidenziano l'attitudine o meno alla delinquenza. Le facce si assomigliano tra di loro, divise in tanti modelli di maschere ripetute e ricopiate da sé stesse, ma dentro è tutta un'altra roba e lasciatemelo dire: totalmente indipendente.

Per cui nascere a Navacchio non so se per me sia stato un bene o un male. Alcuni la potrebbero considerare piuttosto una disgrazia, personalmente direi che partire in salita può bloccare definitivamente, ma anche più o meno progressivamente stimolare, alla luce di quello che è successo dopo, credo che sia stato un trampolino di lancio non indifferente. Non che io sia diventato un presidente degli Stati Uniti, che onestamente non mi sarebbe neppure interessato, ma ho avuto il mio successo, anche se solo di conchiglia o cozza che sia.

A cosa serve il successo se non ad auto-giustificarsi una vita, per credere di rendersi immortali, come fare figli o cos’altro per cercare di sconfiggere la sensazione di transitorio, il limite che ogni vita umana ha e non può assolutamente trascendere?

Mi è stato detto che se fosse stato Ripafratta, Vicopisano o Vecchiano, S.Giuliano, Migliarino, Bientina, Avane o perfino Filettole, non sarebbe stata la stessa cosa. C’è - secondo questi signori un po' snob - un che di volgare, d’ignorante nel suono del nome che influenzerebbe - nel bene e nel male - lo stesso comportamento del suo abitante originario, soprattutto una volta uscitosene, come è capitato a me, in giro per il mondo. Sommando a tutto ciò il mio cognome, Porcodi, che non mi ha certo aiutato, e il mio nome, Attanasio, che potrebbe essere stato diciamo un po' più… agevole, la mia vita è cominciata in salita, ma questo non ha fatto che stimolarmi.

Fatto sta che quando mi sono messo a scolpire il legno ero già più che ventenne e deve ammettere che prima dei dieci anni non ero mai nemmeno uscito dalla provincia di Pisa, territorio nemmeno troppo esteso, visto che Firenze, Siena, Arezzo e Grosseto sono più grandi. Però fin da piccolo sapevo che Lucca era lì accanto in agguato, minacciosa e torva, sempre pronta e ghignante a deridere un pisano e soprattutto uno che, pur senza la minima intenzione a riguardo, fosse nato e cresciuto a Navacchio.

Il sangue rigenera continuamente sé stesso, per fortuna o purtroppo, incredibile alla mia vetusta età accorgersi di non sentirsi più un pisano, ma piuttosto un cittadino del mondo. Più difficile togliersi di dosso la rivalità con Lucca, anche se uno vive a S.Genesio, praticamente sul confine.

 

 

“Chi ha rotto le scatole cinesi?” Comunicato Toscana Nord delle 23 e 30

 

Secondo la testimonianza di Ghino Barsali, che vive o viveva anche lui a Pioppeta, il pittore Orazio Buonasera è stato ucciso non molto tempo fa. I pettegolezzi qua attorno abbondano ma le notizie sui quadri d’autore e le sue bottiglie di vino invecchiato sono come al solito contraddittorie, frammentate e confuse. Figuriamoci se poi lui appartenesse o no ai NO SUV. Secondo gli esperti i nomi anche vengono cambiati, a volte leggermente, quindi ho trovato Gino Bartali, o Dino Bartoli, Pino Barrali e altri. Pare che Buonasera fosse uno dei membri fondatori, intervenuto in Brasile dalla limitrofa Colombia, si capisce che c’è una guerra trai falsi terroristi, come i NO SUV si considerano e quelli veri, che però la gente comune ancora non considera tali, come Forfkos, Whitebread e altri grandi malfattori. Secondo Christa Koch la mandante indiretta degli assassini di Orazio è stata addirittura la moglie, appartenente ai NO FAKE NEWS.

Lo scultore Arnaldo Navacchio, il cui vero nome è Attanasio Porcodi secondo Christa Koch è un pezzo grosso dei NO FAKE NEWS, pare che lo scultore abbia una villa sontuosa a S.Genesio è a poche centinaia di metri da Pioppeta, anche se ora il Porcodi risulta anche cittadino canadese e residente a Vancouver.

 

La nostra assistenza a mamma è giorno e notte, per lavarla, metterla sul seggiolone e riportarla a letto bisogna essere in due, altre cose di ordinaria amministrazione le fa mia moglie da sola. Per sistemare e cambiare il catetere viene un'infermiera ogni tanto, su nostra chiamata. Il sistema sanitario italiano, che per quanto ora incasinato e male organizzato è ancora dei più completi che ci sono in giro, a chi ha l'invalidità manderebbe gratis all'occorrenza gli OSS (Operatori Socio Sanitari) che nel nostro caso sono donne, ma possono essere anche uomini.

L’Italia è la dodicesima nazione europea in quanto a spesa sanitaria. Il paese ha impegnato in questo settore il 7,1% del proprio Pil. La Germania è la nazione che spende più soldi in sanità, ben 217 miliardi di euro. A seguire il Regno Unito, con 191 miliardi, e Francia, 178 miliardi. L’Italia in questa classifica è quarta con 112 miliardi. In questi anni, gli interventi legislativi sono stati occasionali, dettati dalla contingenza, dall’urgenza e non certo da una programmazione coerente con le problematiche che oggi affliggono i sistemi sanitari di tutto il mondo.

Durante il giorno a mamma più che altro bisogna darle un sostegno morale, quello che un figlio aiutato da una nuora possono fornire, le medicine da somministrarle regolarmente poi sono tante, oppure troppe. Quelle solide si sbriciolano con un pestello, poi si mischiano nell'acqua gel, che sostituisce l'acqua ed è una specie di gelatina che le si può dare con una siringa o col cucchiaio, perché mamma non deglutisce più bene e non gli si possono dare né i liquidi, né i solidi, solo pappette e gelatine, insomma cose intermedie.

 

 

 Chiedete e vi sarà detto

 

I NO SUV con il terrorismo c'entrano come il cavolo a merenda, i terroristi finora hanno ammazzato poveracci innocenti, perseguendo lo scopo contrario a quello che professavano, pagati da chi vuole fingere qualcosa e invece vuole il contrario, i NO SUV colpiscono invece solo potenti che fanno del vero terrorismo camuffato e legalizzato a danno di poveracci innocenti, semmai i NO SUV sono contro il terrorismo, così come è stato inteso finora, e fa qualcosa di tangibile ed esemplare, parlano poco o niente e agiscono assai e bene, colpiscono dove e come possono, vogliono e devono, mica i soliti discorsi ipocriti!

Dimitri Orrick (giornalista danese)

 

"Dal campanile della vicina Pioppeta suonarono le otto e nessuno parlò di preparare una cena qualunque, di mangiare proprio non ci se ne stava preoccupando, pensai, forse a ragion veduta, data la situazione. Suonarono le otto e un quarto e se qualcuno avesse anche pensato al vile ma pur talvolta necessario cibo, non ne venne affatto parlato, né tanto meno cucinato. Mi sarei accontentato anche di qualcosa di freddo, è chiaro, ma a parlarne, in quel momento, avrei mostrato magari scarsa sensibilità. Suonarono le otto e mezza e mi parve di sentire un vago olezzar di spezzatino colle olive, o di farro con un filo d'olio di oliva, chissà una volgare eppur interessante pasta al sugo appena servita con un nevicar di parmigiano... ma da lontano assai, forse qualche paradossal vicino, chissà... qualche mente semplice e senza cuore. Rintoccarono le otto e tre quarti, per alcuni addirittura le nove meno un quarto e nessuno si mosse. Un fruscio indistinto veniva forse da fuori, ma la cucina era silenziosa, tutto intorno taceva la casa in penombra nel riverbero di rumori appena immaginati, magari solo ricordati eppur gentili di arrosti campagnoli o anche di fritte patate colla cipolla o pollo croccante, che forse fanno male al fegato, ma sortiscono benefici effetti e pur confortanti, se si appartiene ancor al genere umano. E non sempre è facile.”

“Bell'assai. Sua madre cucinava bene dobbiamo arguire?”

“Forse anche troppo.”

“Che disgrazia! Ma condivisa da troppi italiani. Quantomeno inusuale come incipit di un romanzo, comunque, applausi meritatissimi.”

“Insomma…”

“No, no, io trovo proprio che spiazzi e che non si sappia mai che cosa aspettarcisi dopo, infatti poi il lettore viene sorpreso più volte, anche se non sempre piacevolmente, come nella vita, ma è cosa non tanto comune al giorno d’oggi, in un libro. O anche in un film.”

“Beh…”

“Non mi dica che non è vero. La maggior parte dei libri o dei film che mi capita mio malgrado di attraversare negli ultimi anni sono prevedibili in una maniera oscena, dopo cinque minuti puoi indovinare senza alcuna possibilità di sbagliarsi tutto quello che succede dopo. E poi nessuno ha mai scritto un romanzo fatto solo di dialoghi, senza nemmeno una descrizione, un intervallo qualsiasi tra le frasi dei personaggi…”

“Effettivamente...”

“E dopo?”

“Dopo cosa?”

“Come è continuata la sua vita dopo?”

“Ah, …e dopo ero rimasto solo come un cane, si fa per dire, scusando l'espressione, perché poi invece mi era rimasta Daria, nella quale ho investito tutto quello che avevo, voglio dire: a livello di sentimenti. Ma non durò che pochi anni, le migliori se ne vanno sempre per prime, e dopo sì che mi trovai nel mezzo di uno spaventoso vuoto attorno pieno di niente, ma di un niente doloroso 24 ore su 24. Così, prima di sprofondarmi troppo nel doppio lutto, ho deciso subito di cambiare qualcosa, e qualcosa di grosso, anch'io potevo o non potevo ancora influire su quello che era accaduto e di cui ora non mi va di parlarne, ma voi lo avrete già immaginato?"

"Sua moglie era morta."

“No. Non eravamo nemmeno sposati."

"La sua compagna."

"In un certo senso, ma era piuttosto una cagnetta, meticcia, una volta si diceva bastardina. Oltretutto veda che con lei parlavo tutti i giorni di letteratura, a letto ancora con gli occhi chiusi, a colazione, a pranzo, a cena, la sera davanti al caminetto acceso, a letto prima di addormentarci..."

“Dove dormiva Daria?”

“Sul suo lettino, accanto al mio, sulla sua prima e negli ultimi tempi leggermente infeltrita coperta rosa di lana.”

“E quando parlavate di letteratura lei parlava e Daria ascoltava?”

“...e non m'interrompeva mai.”

“Ma lei si sentiva ovviamente pienamente compreso, anche se la cagnetta non leggeva o non poteva dirle le sue impressioni?”

“Io non glielo facevo pesare e lei aveva un grande buonsenso e una discrezione accompagnata da una sensibilità certo superiore alla maggior parte degli esseri umani, se doveva contraddirmi in qualcosa preferiva non farlo al momento, ma mi guardava negli occhi sempre. Gemeva, ringhiava o abbaiava in maniera diversa dal solito, dopo, proprio quando si supponeva che avesse dovuto farlo e allora io capivo.”

“Mi corregga se sbaglio, sua madre Mariah e la cagnetta Daria erano diventate la stessa persona?”

“Sì, lo so che mi prenderete per matto, ma almeno io la sentivo così, nella sequenza temporale le due situazioni si erano fuse, l'una mi ricordava troppo l'altra, non solo: mia madre voleva tanto bene a Daria che quando è morta si era trasferita in lei. Per stare ancora insieme a me, forse per proteggermi dal mondo aggressivo e banale attorno.”

“Anche con sua madre lei parlava di letteratura?”

“Certo.”

"Sempre?"

"Piuttosto io direi spesso, eppure volentieri."

"Capisco. Non avevate altri argomenti?"

"Sì, tanti altri, naturalmente i soliti e inevitabili della vita, tra cui la culinaria, alla quale abbiamo accennato. Anche la letteratura parla della vita no? Anche i film è di quello che trattano, mi pare. Normalmente tutto partiva o ritornava all'ultimo libro letto o al film ispirato dal romanzo eccetera eccetera."

“Allora alla morte di Daria, dopo quella di sua madre, dopo la necessaria e inevitabile disperazione, lei ha pensato di aprire la prima libreria.”

“La libreria era già aperta, e non ci ho pensato per niente, l’ho solo comprata, a rate, e all’inizio mi è parso un madornale errore, perché ogni libro mi riportava a lei, o a loro, e quando ne vendevo uno mi dispiaceva troppo separarmene, ma è stata solo una questione di tempo.”

“In che senso?”

“Nel senso che era un modo di ricordarmene, di sfogarmi, di fare una terapia intensiva forte, ma efficace… poi i libri si possono sempre ritrovare, o meglio ancora ricordare, voglio dire senza averceli a portata di mano. Sembrano anche più belli. Ha mai provato?”

“No, o forse sì, ma lei poi è guarito?”

“La vita è impietosa, se si vuole si guarisce al volo dei mali più tremendi, ci sarebbe da vergognarsene, nel giro di un anno ero di nuovo in sella, pareva impossibile, ma senza Mariah né Daria.”

“E quando ha pensato di scrivere la sua storia?”

“Questo libro non è la mia storia, mettiamoci subito d’accordo, ci sono dei pezzi che la ricopiano, si fa per dire, la ricalcano, se non li scrivevo forse scoppiavo, è stata come una valvola di scarico. Ma altre parti integranti, qui sono una mia pura invenzione.”

“A leggerlo non sembra.”

“Meglio così. Ho voluto farne un poliziesco, senza poi svelarne il colpevole, il lettore non me lo perdonerà mai. Insomma, questa era l’intenzione che avevo, si fa per dire, cioè quella che mi è venuta dopo, a rileggere quello che avevo scritto di getto, per poi metterlo in ordine, per la forza stessa dell'espressione. Non mi dica che ci sono riuscito.”

“Non glielo dico io, ma i fantasmagorici numeri delle vendite. Ma non ha risposto ancora alla mia domanda.”

“Quale?”

“Quando ha cominciato a scrivere?”

“Ah, io scrivo da sempre, ma per la prima volta ho pubblicato qualcosa.”

“E ha fatto subito centro?”

“Insomma…”

“E il nome della libreria viene dalla bibbia?”

“Sì.”

“Perché lo stesso nome del suo romanzo?”

“Sono nati insieme, in un certo senso e parafrasando chiedete e vi sarà dato ho pensato di incentivare chi volesse parlare di letteratura con me, o con chi altri stesse là dentro a bighellonare in mezzo ai libri nuovi e usati. E poi volevo evidenziare che nel mondo moderno, qui in Italia specialmente, non c’è più niente di gratis. Quindi l’originario dato viene sostituito da un più attuale detto.”

“E a incentivarli c'è riuscito?”

“Oltre le aspettative. Ho avuto modo di pentirmi anche di questo, purtroppo ci sono tante persone, e lo dico tra virgolette, eppure col massimo rispetto, che non hanno idea di come dovrebbe essere un dialogo e che ogni tanto bisognerebbe lasciar parlare anche gli altri, eventualmente. Insomma che esiste un’evoluzione dialettica e che la si può perfino applicare alla conversazione, alla nostra vita di tutti i giorni.”

“Ma che fanno? Litigano?”

“Io so solo che ho dovuto buttarne fuori più di uno e chiedergli di non tornare mai più.”

“E loro?”

“Non aspettavano altro, ho dato un senso alla loro esistenza, ora sono là tutti i giorni. Fanno parte stabile e concreta della mia routine.”

“Il suo innato senso della commedia è notevole.”

“No, è la vita che è tragicomica, e che ci posso fare io?”

“A volte mi viene l'impressione di vedere in lei una doppia vita, due correnti perlopiù parallele, ma ogni tanto anche divergenti, poi ovviamente di nuovo anche convergenti...”

“Bravo! Solo che le dannate correnti sono più di due, non so nemmeno quante che si intrecciano continuamente. Comunque spesso realtà e fantasia sono mischiate. Io mi trovo decisamente meglio nel mondo delle parole, quello della letteratura. Forse perché c'è più tempo per pensare, non si deve sempre correre come forsennati. Certo è meno spietato di quello degli esseri umani, che sono sempre più disumani, insomma è assai meno feroce come mondo in cui vivere.”

“A proposito quali sono i suoi autori preferiti, che diavolo legge il grande Arminio Ciacci?”

“Sul grande, se lei permette, ho qualche dubbio. Per leggere leggo assai, ma a pezzi, mischio un po’ le storie, cinque o sei libri alla volta. Tanti autori differenti, oppure anche troppi, chi se li ricorda tutti?”

“Anche se non è un pentito mi faccia dei nomi, confessi.”

“Ma che ne so? Isherwood, Wodehouse, J.K.Jerome, Camilleri, Benni, Crichton, o magari questi sono solo gli ultimi che ho letto e mi sono garbati, insomma roba come Hans Tuzzi,  Valerio Varesi, Fruttero & Lucentini, il brasiliano Rubem Fonseca, il pisano Malvaldi, naturalmente Manuel Vasquez Montalban, De Crescenzo, Gabriel Garcia Marquez, Durrenmatt, Luis Fernando Verissimo... altro brasileiro, il cileno Bolaño, Von Schirach, il sardo Todde, Piero Chiara, Andrea Vitali...”

“Una marea! Può bastare, ci ha già abbastanza confuso le idee! Piuttosto: sua madre cosa leggeva di bello?”

“Lei andava più sul classico, roba tipo Soldati, Buzzati, Sciascia, Pavese, Flaiano, Rodari, Hemingway, Steinbeck, Faulkner, Cechov ultimamente anche Tabucchi, Maggiani, Terzani e poi la Fallaci, ma su quella purtroppo noi non facevamo che litigare...”

“Qui la gente applaude, sono abituati così, vedo però anche diverse facce perplesse, vuol dire che almeno approssimativamente abbiamo fatto centro. Cambiamo radicalmente argomento, lei è a favore o contrario ai famosi 12 vaccini obbligatori in Italia?”

“Contrarissimo! Faccia lei, quanto lo si può umanamente essere, tutta una manovra per metterci in mano di chi non ha assolutamente voglia di farci del bene, piuttosto di arricchirsi alle spalle di questo gregge di pecore impazzite che siamo, ogni giorno di più!

No, no. Devo essere principalmente io il veterinario di me stesso, e dei nostri bambini, perché in fondo noi siamo ancora animali e come tali ci dobbiamo trattare. Non è che i medici siano incompetenti, di cose ne sanno anche troppe, però poi si confondono, sono esseri umani anche loro, ma la memoria è ingannevole, anche quella di chi, come me, ne ha una ottima. Non ci si può contare al 100%, ma neanche al 75%, si fa per dire. E poi non è solo questione di incompetenza ma anche di disonestà. Di calcolo, di tornaconto, si torna sempre ai soliti discorsi.”

“Che cosa pensa dei NO SUV?”

“Beh, ne penso tutto il bene possibile, anche se sono più dalla parte dei NO FAKE NEWS.”

“Ma non professano esattamente gli stessi ideali?”

“Forse, ma è questione di metodo, secondo me, comunque nelle mie librerie si discutono anche queste idee e si confrontano, litigano anche ma in fondo vogliono le stesse cose. Don Bartolo, che forse lei conoscerà, interviene tutti i giorni con novità e dichiarazioni ad ampio raggio.”

“Lei non ha figli?”

“No, solo un gatto, un pappagallo e una tartarughina, me li hanno regalati, che dovevo fare? Il gatto no, Cocco è libero come il vento, ma il pappagallo e la tartaruga mi fanno pena, vabbè, anche un po' di compagnia. La pena magari è reciproca.”

“A proposito: qual è la scritta su quella maglietta che ha venduto tantissimo, all'apertura della sua prima libreria di Trieste?”

Sono un atleta, non sono una trota.”

“E che significa?”

“La rima è falsa ma intrigante, spero. Ho notato che qua sulla terra, detta anche il mondo, ci sono sempre un'infinità di enti e persone che vogliono che io faccia un sacco di cose che io non voglio fare. A cominciare dall'internet che vuole sempre darmi qualcos'altro al posto di quello che voglio io. La televisione non la guardo più per principio. Prima della modernità meno cose volevano intromettersi, almeno mi pare, ne deduco che per raggiungere un’improbabile libertà l'uomo si imprigiona sempre più. Per resistere a tutte le invasioni e allo stress della vita moderna bisogna prevenire per non curare dopo, per farlo bisogna fare dello sport, per espellere tossine e rendere il corpo più forte, si fa per dire. (Mens sana in corpore sano, insomma, non è una novità, ma non basta dirlo, bisogna anche farlo). La trota è in via d'estinzione, fuori dagli allevamenti, e anche l'uomo, quello che ha ancora una sua - anche solo apparente - libertà non esiste quasi più, è un pesce allevato e cibato di pubblicità e prodotti di cui non ha assolutamente bisogno, per fargli dimenticare i valori autentici e irraggiungibili della vita, che è sempre di più una ripetitiva routine, gli si danno dei palliativi. Ultimamente lo si vuole perfino convincere che mangiare degli insetti è cosa buona e giusta. E non hanno inventato un seggiolino che avvisa al telefonino se ti dimentichi il bambino in macchina? Siamo delle assurdità con le gambe! Prendiamo in giro noi stessi ogni giorno di più!”

“Vero. Lei è mai stato sposato, signor Ciacci?”

“Tecnicamente lo sono ancora, anche se in pratica mia moglie se n'è andata.”

“Mi dispiace, è stata una storia difficile?

“No, certo più positiva che negativa, il fatto è che lei è troppo Napoletana, (Giuseppina detta anche 'Ppina) e magari io troppo esageratamente Toscano.”

“Ma siete rimasti in buoni rapporti no?”

“Certo, lavoriamo ancora insieme, fa la moderatrice alla lettura e discussione su autori e opere nelle mie librerie. L'unica che fa parlare gli altri e si limita a fare domande stimolanti, invece dei soliti discorsi preparati e retorici che sono più facili a farsi, ma non servono granché. Ma perché lei finge di non sapere niente di me e della mia storia?”

“Beh... mi pare ovvio, al pubblico piace condividere le sue emozioni con me, se io mostrassi di sapere già tutto, sarebbe tutto molto più freddo, distante, non crede?”

“Forse, ma questa passione per il facile melodramma è una menata tipicamente italiana, perché si deve simulare una complicità che non c'è? Perché sempre fingere, quando si può essere sinceri?”

“Forse l’italiano è fatto proprio così, anche lei vuole denunciare il solito stereotipo sui peninsulari pizzaioli e mammoni?”

“No, ma questa ne è un'inevitabile conseguenza, il dover vivacizzare sempre tutto con i colori fittizi di un Photoshop, perché ci si deve ingannare sempre e comunque? Come quei programmi televisivi tipo Linea Verde in cui i presentatori fingono di arrivare in quel momento nella fattoria modello e quelli là sorpresi nel vivo della loro pur sana routine li salutano e gli cominciano a spiegare al volo le loro prospettive, la loro filosofia di agricoltura e di vita in venti secondi scarsi, sulla base della decrescita felice, come se non si fossero mai visti prima e non avessero preparato la scena come se fosse teatro?”

“Forse ha ragione, ma a questo proposito le chiedo: c’è una voce che mi ha detto che vogliono fare un film sulla sua vita, lei conferma?”

“Smentisco e confermo, per così dire, confesso che per me la vita è faticosa già una volta e non ho voglia di rivivermela tutta di nuovo. Una volta mi basta e mi avanza.”

“Ma allora il suo libro?”

“Il libro è stato uno sfogo occasionale e non sono riuscito assolutamente a farne qualcosa di autobiografico, ho cambiato i personaggi e i nomi, tutta la storia, per farne un romanzo poliziesco, forse più un noir, in cui il colpevole si deve indovinare ancora, magari non lo so nemmeno io, alcuni dicono sia il creatore, ma io non ci credo neppure a un creatore unico dell'universo, sarebbe una delle solite semplificazioni troppo comode e tanto care agli italiani, ma non solo a loro...”

“...e quindi?”

“...e quindi non ho niente da dimostrare a nessuno, se loro se lo vogliono fare da soli 'sto film, se lo romanzino o se lo inventino, non me ne frega neanche tanto, magari in un secondo o terzo momento il film me lo vedo con calma, non dico di no, magari mi piace pure. Ma se contano sulla mia collaborazione possono anche scordarselo. Dovrei sprofondarmi di nuovo in tante di quelle sofferenze che non ne ho assolutamente voglia.”

“Ma quelli scucivano anche dei bei soldoni, ho ragione di credere. Questa è stata la sua definitiva risposta alla loro più che interessante proposta?”

“Se la memoria non m'inganna, direi più o meno con queste stesse parole. I soldi non mi servono a granché, non sono propriamente un poveraccio e ho di che campare abbastanza dignitosamente, comunque per me non rappresentano una priorità, non sono disposto a schiavizzarmi per dei soldi, per tanti o troppi che siano.”

“E questi applausi se li merita tutti, la gente si emoziona a vedere che esistono ancora persone autentiche come lei. Tutti farebbero carte false per un romantico film sulla loro - anche se non troppo avventurosa - vita e lei che ne ha l'occasione se ne frega alla grande!”

“Si fa per dire. Dicono che la gente a quelli come me non c'è più abituata, nel bene e nel male, io stesso ho delle difficoltà a seguirmi, ma non ho scelta. A volte penso che la vita sarebbe più comoda se mi lasciassi almeno un po' trasportare dalle mode del momento.”

“Ma allora non sarebbe più lei, no?”

“Beh…”

“Arminio Ciacci, signori!”

 

“Allora! Com’è stata l’intervista del secolo?”

“Per me piuttosto noiosa, capirai, ma interessante, forse, a vederla da fuori, magari.”

“A me è piaciuta infatti.”

“Allora l’hai vista?”

“Ovvio che non me la sarei persa.”

“Ah, ma allora che cozza o mitilo mi hai chiesto proprio adesso?”

“Ti ho domandato di come l’hai vissuta te, cinghialotto.”

“Ah. Ecco.”

“E non ci credo che tu ti sia annoiato. L’impressione che ho avuto io è che ti stessi divertendo abbastanza, alla tua maniera.”

“No, infatti.”

“Cioè?”

“Io Carugio non lo sopporto, e tu lo sai, ma stavolta mi pare che mi abbia chiesto le cose giuste, forse anche alla maniera giusta, lo sai che le interviste non mi piacciono, soprattutto se l’intervistato sono io, ma lui ha saputo stimolarmi, è stato sottile ma energico. Ci ha saputo fare, mi ha messo alle corde e io ho confessato tutto, anche quello che non avrei voluto dire.”

“Tipo l'incarnazione di tua madre con Daria?”

“Tipo quella, ma non solo quella.”

“Alla fine gli hai rovinato anche il gioco e lui non se l'è nemmeno presa, forse-forse gli è anche piaciuto.”

“Secondo me ha creduto di averci fatto una gran bella figura, di fronte al suo amato pubblico.”

“Senza il forse, per come è falso e confuso il pubblico attuale italiano, senza alcun dubbio.”

“Ecco.”

“A me Carugio sta proprio simpatico, invece, magari è un po’ pignolo quando ha degli ospiti antipatici, li punzecchia e a volte assume addirittura una identità simile o altre volte anche troppo contraria a quella della vittima prescelta, ma nel tuo caso è stato un perfetto gentiluomo, si vede che ti stima, oltre il suo solito marketing, la sua auto-promozione gonfiata alla Renzi, che ormai in Italia è indispensabile, se vuoi smettere di essere un signor nessuno. E poi è stato lui a volerti lì, non dimenticartelo e non ti ha fatto assolutamente nessuna domanda a trabocchetto. Zero malignità secondo me, almeno da parte sua.”

“Hai ragione. Magari mi ha pure preso un po' in giro, ma bonariamente e io me lo merito anche, diciamoci la verità. Sono troppo spontaneo e sincero, a sessant'anni non ho ancora imparato a mentire a me stesso, figurati agli altri. Purtroppo però vedo che sta arrivando Don Bartolo. Tu non dirgli niente dell’intervista. Fallo per me o per carità cristiana, basta che lo fai, cioè che non lo fai.”

“...e figurati se lui non lo sa.”

“...e tu non entrare nell’argomento.”

“...e se c’entra lui?”

“...tu escine al volo.”

“E te?”

“Io? No, io ho molto da fare, troppo da fare. Amministrazione arretrata, cataloghi, prezzi… fai te.

Diglielo te 'Ppina, fammi il santo favore.”

“Vabbuò…”

 

 

 

“Chi ha rotto le scatole cinesi?” Comunicato Toscana Nord delle 14 e 30

 

(musica di Eric Satie suonata da Steve e John Hackett)

 

Nelle dodici librerie di Arminio Ciacci, in dodici città diverse del centro-nord Italia, si leggono e si discutono tra gli altri anche i comunicati dei NO FAKE NEWS in contrapposizione a quelli dei NO SUV. Pare che i governi e i partiti politici siano ormai superati, ancora esistenti ma manovrati dai super ricchi, dalle multinazionali, dagli amministratori delegati eccetera. Anche la chiesa trai propri membri ha partecipanti attivi alle due reti asociali più in voga.

Pare che ci siano diversi gruppi simili, con varie basi e le lingue più importanti, alcuni dicono che sia lo stesso NO SUV negli altri paesi, per esempio il CRAZY LOCOS spagnolo, in lingua anglo-castigliana, il FAZEKAS SPA greco, gli ECCETERAs in slavo misto all’inglese che quello c’è sempre. Google traduttore aiuta a smascherare, secondo gli esperi le notizie vere, si nota subito il linguaggio sbagliato e poi che tali notizie appaiono a intermittenza, un giorno sì e uno no, 12 ore sì e 12 no, in varie e colorite maniere di fare un marketing antipolitico, o che vuole colpire qualcuno dei sopracitati delinquenti legalizzati su larga scala. A cercare bene ci sono comunicazioni e canali specializzati in quantità, tutti si basano sulle notizie false, mischiate tra le quali ci sono comunicazioni segrete. Gli specialisti dicono che in questi canali che apparentemente lottano contro le notizie false ci siano diversi livelli di falsità. Notizie molto false, notizie false semplici, notizie parzialmente false, notizie quasi vere e notizie vere che sono le più rare e sfuggenti, pubblicate in codice, talvolta, ma spesso solo intermittenti e in Google traduzione.

 

 

La mattina appena sveglia la prima scarica di bombe chimiche: una pasticca di Quetiapina che è un antipsicotico; 200 milligrammi di Depakin liquido, uno stabilizzatore di umore; una pasticca di Bisoprololo per l'insufficienza cardiaca; una di Laxis che è un diuretico; una di Pantoprazolo un riduttore di acido nello stomaco e dieci gocce di Trittico, il famoso antidepressivo. Prima di andare a letto le stesse dosi di Trittico e Depakin, doppia dose di Quetiapina. Il  Neuleptil è un antipsicotico che le diamo solo quando è assai agitata, contro aggressività e ostilità, ma agisce dopo molto tempo e la rincoglionisce completamente, secondo Lorena le inibisce anche l'importante capacità di deglutire, senza la quale avrebbe e avrà, presto o tardi, bisogno di una sonda sia per mangiare che per bere.

Quando è agitata mamma comincia a preoccuparsi per cosa deve fare da mangiare a pranzo la domenica, (ormai sono anni che non cucina più, eppure per lei è  sempre domenica e guai se non si prepara qualcosa di speciale), o per i vestiti da selezionare perché vuole andare via. Pensa di essere in una specie di ospizio, o in una casa alla spiaggia, dice che quella non è casa sua e non c'è verso di convincerla. Per farla stare più tranquilla usiamo anche il Cannabis, che i medici naturalmente sconsigliano, forse perché non ci guadagnano niente sopra e il sistema farmaceutico mondiale è trai più corrotti e vili, combatte una guerra di concorrenza e di potere quotidiana, il benessere dei malati è la loro ultima priorità eppure la prima nella pubblicità.

 

 

Effettivamente

La bestemmia aiuta a vivere e la preghiera a morire.”
Lionel Stander, dal film Per grazia ricevuta, 1971 di e con Nino Manfredi

 

“Sai perché è stata scelta Pioppeta per la base dei SUV?”

“No.”

“Perché nonostante il fatto che sia un paese innegabilmente piccolo, qui la gente non mormora.”

“Effettivamente…”

“E lo sai perché non mormora?”

“No…”

“Perché i vecchi abitanti, che oltretutto attualmente sono pochi, non hanno quasi più contatto tra di loro. La messa è un evento raro, il bar non è più frequentato da pensionati che giocano a carte e parlano di calcio, ma da drogati e ubriachi di altri paesi, o addirittura di passaggio. Chi vive qua è arrivato da fuori, da altre realtà, da altre vite. L’omertà che ne deriva è quasi automatica.”

“In effetti…”

“E poi la Certosa è una garanzia di immobilità! Meno male che c’è la Certosa qui a Pioppeta, siete riusciti a bloccare il famigerato progresso, oltre il Mulin di mezzo non si costruisce più, il tempo si è fermato, perché per fortuna è tutta vostra proprietà. Non si compra e non si vende, il mondo è tornato a essere più naturale.”

“Ma ci sono i pastori, vendono ricotta e formaggio.”

“Tutta roba naturale e a chilometro zero.”

“Forse avrai anche ragione. Purtroppo però noi frati siamo rimasti pochi, te lo sai Don Bartolo, chissà quanto resisteremo, e qui te ci vieni a dir messa, sì, ma ogni tanto, e sempre più raramente. A parte le automobili che passano alla massima velocità, è vero: la natura e il paesaggio sono rimasti al medioevo…”

 “Infatti. Dicono tutti che qua è bello assai Fra’ Tomeo, ci vengono a fare le passeggiate, ma vorrebbero rovinare tutto, se li lasciassero fare vedresti le villette a spuntare fuori come funghi velenosi, qua attorno. Dalla Sarzanese al Mulin di Mezzo non hanno fatto che pigiarci case e casette. La gente parla e parla, ma non fa mai un discorso coerente con i fatti, per esempio, con le loro vere intenzioni. Perché non se ne sta un po’ zitta? Che bisogno c’è di parlare quando il silenzio dice già abbastanza, se non proprio tutto? Sarebbero certo più dignitosi se fossero almeno capaci di tacere.”

“Beh…”

“Lo so: a volte parlare è importante, il dialogo permette di capire il pensiero di persone come te per esempio, un fraticello apparentemente come tanti altri, la cui profondità e complessità però hanno bisogno delle parole, per essere intesa a dovere.”

“Effettivamente…”

“Mio padre diceva sempre che lui era per il dialogo, però se qualcuno divergeva dalla sua opinione passava subito alle mani. Per me è stato un MERAVIGLIOSO esempio di come non si deve vivere...”

“In un certo senso...”

“La prepotenza fa parte dell'ignoranza, anche se non tutti gli ignoranti sono prepotenti, ma quanta gente conosco che parla e parla senza curarsi minimamente se dall'altra parte ci sia o meno una seppur minima voglia di ascoltare, no, anzi, vogliono affermarsi ALZANDO PROGRESSIVAMENTE LA VOCE...”

“In effetti...”

“IN EFFETTI non vogliono che l'interlocutore dica la sua opinione, questo li metterebbe in difficoltà, magari gli farebbe perfino cambiare opinione, paradossalmente, oppure pensano che gli altri siano tutti scemi e che non valga nemmeno la pena di ascoltarli. Io ho vissuto all'estero e ho notato che questa abitudine di prevaricare gli altri a discorsi è tipicamente italiana, forse perché siamo un popolo di commercianti, vogliamo avere la meglio a parole, per vendere il nostro prodotto, anche se gli esperti di marketing dicono che il rappresentante moderno vende di più e meglio se ascolta il suo cliente potenziale, sì, dicono che la persona più ascolta e più è popolare... insomma psicologicamente hanno capito che parlare è ripetere a iosa quello che sai già, ma invece ascoltare è la possibilità di imparare qualcosa, addirittura il carattere della persona che abbiamo di fronte, se non i suoi desideri, anche le sue prospettive può essere interessante non solo per vendergli un qualcosa e guadagnarci sopra, ma per capire gli altri, che sono il nostro specchio, questo ci può essere sempre utile a qualcosa... che ne so, magari a vivere meglio?”

“Ecco io direi...”

“Non c'è bisogno che tu me lo ricordi, fratello mio! In ogni attività, in ogni lavoro, è COSA BUONA E GIUSTA (PAROLA DEL SIGNORE) ogni tanto mettere un punto interrogativo ad affermazioni che abbiamo sempre dato per Vangelo (IPSE DIXIT!). E per questo dobbiamo dialogare con gli altri, prima capire noi e poi farci capire.”

“Però...”

“PERO'... Hai proprio ragione, anzi UNA RAGIONE BENEDETTA: figurati che io c’avevo un amico, insomma un fratello laico che parlava poco, era piuttosto timido e introverso, appena uscito dall'università figurati che si è messo a fare il rappresentante per il liquore di erbe aromatiche e forse anche alpine (o appenniniche) San Giuseppe, o San Cataldo… insomma il nome di un santo. Poi ha cambiato diverse ditte, sempre più grandi e internazionali... gli è venuta fuori una parlantina tipo marea, che per dire non diceva granché, ma non smetteva di cacciare fuori le parole di bocca un secondo e da quello che era, almeno apparentemente è diventato il contrario.”

“Ma...”

“MA! Esattamente, c'è sempre un dannato MA di mezzo, il problema era ed è che non dice niente di interessante, o anche quando lo dice, in quel mare di parole buttato addosso all'interlocutore, non si riescono ad estrarre, a comprendere, a dargli la giusta importanza...”

“Quindi per lui...”

“ESATTAMENTE, QUINDI PER LUI è importante non tanto parlare, ma non far parlare l'interlocutore, il che è un'idiozia, nella pratica della vita di tutti i giorni, perché anche fuori dal lavoro è così, per riuscire a dire qualcosa dovresti metterti a urlare più di lui...”

“Ma lui è così con tutti?”

“NO! ECCO LA PERSONA INTELLIGENTE!

(Che sei tu, non certo lui.)

NO! Dipende da chi si trova davanti, per lui è importante dimostrare di essere all'altezza, o eventualmente sopra, ma mai sotto, ma che ne so? Oppure non ha la pazienza di stare ad ascoltare gli altri, che ce ne vuole molta di più che a parlare, insomma se tu inizi un discorso con delle normali parole, quel cretino pensa di sapere già il resto della frase, tutto il tuo fottuto pensiero che non ti lascia mai dire, che non sa e non vuole nemmeno sapere e interpreta lui da solo tutti e due i personaggi della conversazione! Ma se trova uno come lui, che in Italia ce ne sono tanti, oppure troppi, allora alzando la voce a turno si interrompono e vanno avanti così, come quei talk show alla TV! Ma l'ho visto anche ammutolire di fronte ad argomentazioni che non sapeva combattere, non che fossero cose intelligenti, ma a quelle cose lui semplicemente non ci aveva mai pensato. Cercava più velocemente che poteva di far mente locale, ma non ci riusciva. Biascicava parole messe insieme a caso, tanto per non stare zitto, ma se stava zitto avrebbe fatto miglior figura. FARE UNA BELLA FIGURA in un mondo di apparenze è molto più importante che capire quale è veramente il problema. NON BISOGNA MAI AMMETTERE DI AVER SBAGLIATO o solo lasciare che gli altri lo pensino, ecco il problema. Oppure con individui che riteneva più forti e autoritari di lui, che conosceva da prima e lo mettevano sotto già prima che diventasse un rappresentante di liquori quasi alpini o quel cazzo che vuoi tu!”

“Allora, costui non è un tuttologo.”

“NO! Ha delle lacune enormi che quelle sono normali, nessuno può pigiare dentro di sé la nozione di tutto quello che esiste, NESSUNO!! Però lui tende a nascondere sistematicamente quello che non sa, pensa di poterlo fare non stando mai in silenzio, ma volendo dire la sua sempre e comunque. Per esempio se tu parli di una cosa che non conosce ti deve interrompere per dire una cretinata che ha sentito dire da qualcuno, che magari invece parlava di un'altra cosa, o che lui non sa nemmeno ben ripetere perché non ne capisce affatto il significato...”

“E dei tuttologi cosa ne pensi?”

“Tutti teste di cazzo, nessuna eccezione.”

“Eppure dicono che tu sia un tuttologo.”

“IO? Buona questa! Malelingue. Come vedi i sempliciotti abbondano, in ogni paese e in ogni epoca, trai frati come tra i laici, ma ce ne sono di diversi tipi, si manifestano in maniera differente, ci confondono le idee, ma non lo fanno di proposito, il fatto che siano diversi tra di loro non ci deve trarre in inganno, sono solo degli idioti. Agiscono e parlano in malafede. Prima di tutto ignorano di essere idioti, anzi pensano (se quello che gli passa per la testa si può definire pensiero) che gli scemi siamo noi, loro sarebbero degli intelligentoni incompresi.”

“Cioè?”

“Secondo Hannah Arendt certa gente si comporta così, cioè male verso gli altri e indirettamente contro sé stessi, perché non hanno un dialogo interiore, cioè dentro di sé non si fanno quelle domande che gli impedirebbero di agire in maniera sconsiderata, evitando sistematicamente le misure efficaci per ogni occasione, forse perché le ritengono scomode, e comunque non sono mai stati educati a farlo.”

“Effettivamente…”

“EFFETTIVAMENTE la Arendt dice anche che nessuno abbia mai dubitato del fatto che verità e politica siano in rapporti piuttosto cattivi l'una con l'altra e nessuno, che io sappia, abbia mai annoverato la sincerità tra le virtù politiche. Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista.”

“Effettivamente è difficile definire cosa sia il male e il bene.”

“IO DIREI che il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso sfida il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità. Solo il bene è profondo e può essere radicale.”

“Coincide abbastanza con il pensiero di Hannah Arendt.”

“BRAVO, ero un po’ incerto, volevo vedere se tu la conoscevi.”

“Beh… il convento cerca di proteggerci dal male ma non sempre ci riesce.”

“E che cosa vorresti dire con questo?”

“Che conoscere la Arendt non toglie e non aggiunge niente, ma può forse aiutare a capire, che ne so, una scorciatoia.”

“Magari.”

“Magari la saggezza si raggiunge più facilmente togliendo che aggiungendo.”

“BRAVO! Ma anche quelli che un po’ l’hanno capito tendenzialmente fanno il contrario, perché?”

“Boh? Perché effettivamente il movimento del mondo invita ad agire, e muoversi porta più ad aggiungere che a togliere, forse a combattere contro i mulini a vento invece di rinunciare e mettersi ad ammirarli incantati dal prodigio. A muoversi freneticamente per fare non importa cosa, ma si deve assolutamente farlo, farlo e poi rifarlo! Perché quella pubblicità dice così. Accumulare e non sottrarre, mai sottrarre!”

“Allora avete ragione voi frati qua in convento.”

“Noi religiosi che effettivamente ammiriamo la natura in silenzio?”

“Esattamente…”

“Che ci facciamo mancare quasi tutto?”

“Esattamente.”

“Che stiamo immobili a pregare per chissà chi o cosa, con tutta la calma possibile mentre il mondo là fuori c’è quella guerra urgente anche e soprattutto quando effettivamente sembra una pace?”

“Esattamente!”

“Noi che sembra che ce ne freghiamo, perché poi - anche se sembriamo al di sotto - ci sentiamo al di sopra e ce ne possiamo davvero fregare? Perché noi effettivamente siamo fuori da questa competizione senza un senso apparente?”

“ESATTAMENTE!!”

“No, non sono d'accordo.”

“No, no, forse neanch’io. Facevo per dire. Ma secondo te ce ne rendevamo conto, fra’ Tomeo, quando ascoltavamo le canzoni dei Genesis e camminavano di notte ubriachi per questi boschi, che la nostra era già la ricerca di un disegno occulto del senso della vita che ci sfuggiva?”

“Effettivamente. Allora come adesso.”

 

 

 

“Chi ha rotto le scatole cinesi?” Estratto dal comunicato Toscana Nord delle 22 e 30

 

(Musica di Jean Michel Jarre “Equinoxe”)

 

Sul quotidiano tedesco Berliner Morgenpost, la solita giornalista Christa Koch dice che Pioppeta è stata la base del gruppo, ma che non lo è già più. Pare che l’obbiettivo dei NO SUV fosse eliminare i grossi terroristi legalizzati, i milionari con mania di grandezza esagerata come Forfkos, che alimenta anche gruppi pseudo-spontanei come le Acciughe.

 

 

Mamma rimane parte della mattina e quasi tutto il pomeriggio su un seggiolone polifunzionale a rotelle, che si può mettere in varie posizioni e inclinazioni, per mettercela sopra una specie di paranco metallico, entrambi imprestati dal nostro buon sistema sanitario. Durante questa operazione lei non economizza gli urli. Il resto del tempo è a letto, perché non si può più muovere autonomamente da qualche mese a questa parte.

Quando la puliamo, almeno una volta al giorno, la prende come un grave gesto d'invasione e si arrabbia parecchio, ci apostrofa con tutte le variazioni possibili della parola puttana: puttanaccia, puttanosa, puttaniera, puttanesca, puttanante e puttaneggia, occasionalmente anche al maschile e al plurale, coadiuvati dai meno frequenti maledetti, troie, budelloni e alcune minacce di morte incluse, più qualche parola di uso differente da quello che lei intende o  inventa parole che anche se non esistono possono essere capite, come culagna merdò e puzzante. Cerca di darci calci, sgraffiarci e qualche volta, raramente, degli sputi leggeri che di saliva purtroppo o per fortuna ne ha poca. Mi chiama babbo, nonno e Sandro, che era suo marito e mio padre. Per Lorena ha tirato fuori nomi nuovi e vecchi che da tempo non udivo come Mariannina, che era una donnina sua parente lontana della Garfagnana, che a volte era venuta ad aiutare in famiglia. Se parlando si menziona qualche nome proprio, specie se ha conosciuto qualcuno così chiamato, dopo poco lei lo viene a usare per qualche situazione incomprensibile di cui si captano alcuni vocaboli e a volte si riesce a ricostruire l'intenzione della sua frase, ma più spesso non ci si riesce e allora, per cambiare discorso gli si mette in bocca qualcosa da mangiare o da bere.

Quel che c'è di bello, nell'assurda tragicità della situazione, è che ogni cosa viene dimenticata subito dopo, anche quando si arrabbia con noi perché invadiamo la sua sfera privata e ci offende con tutta la forza che ha, (accompagnando anche i titoli poco nobiliari con gesti della mano, con il dito indice alzato e una faccetta molto poco amichevole, per esempio,) dopo pochi minuti non ricorda più niente e, tornata al calduccio delle sue coperte, ci guarda amorevolmente, magari dice che siamo belli assai e che sta veramente bene.

Siamo sempre più incuriositi dal movimento di questa casa, di persone sempre diverse, che salgono e scendono con contenitori di plastica e sacchi capienti. Dal loro camino poi s'innalza sempre un fumo nero, giorno e notte.

Chiariamo subito che la polizia non mi garba troppo, ma i trafficanti di droga sono un gradino ancora più sotto, nel mio indice di gradimento, che con il tempo ha automaticamente sovrapposto decine di livelli e sfumature.

 

 

 

Sono tornato per dirti che me ne vado

 

Democrazia è quando io comando te, dittatura è quando tu comandi me.

                  (Millôr Fernandes scrittore umorista brasiliano)

 

Dialogo tra due personaggi dalla prima e più famosa rete asociale, uno di loro vive a Pioppeta. Tutti e due hanno vissuto in Brasile, ma quello che ci è nato, poi è morto di cancro. Ha passato gran parte della vita furioso con un cineasta brasiliano che gli aveva rubato un’idea per un film che poi aveva effettivamente girato e distribuito nella rete nazionale dei cinematografi.

“Ho notato che in Italia la gente parla meno di soldi e parla molto di più di cibo, di cucina, di culinaria… vista principalmente dalla parte del consumatore, però. E anche assai di sesso.”

“Ma rispetto a chi?”

“Al Brasile, là per esempio è il contrario, si parla tanto oppure troppo di soldi e mai o quasi di mangiare e di sesso.”

“Forse hai ragione.”

“Certo che ho ragione.”

“Quando uno ha ragione non lo può stabilire da solo. Sono gli altri eventualmente a deciderlo.”

“Gli altri chi?”

“Io, per esempio.”

“Questa è bella. E sulla base di che cosa?”

“Sulla base del ragionamento.”

“Quale ragionamento?”

“Mai sentito parlare di logica? Dico che potresti anche aver ragione, nel caso specifico della gente che parla di soldi in Brasile e di cibo qui in Italia. Perché? Perché tu, come me, hai vissuto in entrambi i paesi.”

“Ah. E cos’è, invece, che ti impedirebbe di fugare ogni dubbio a riguardo e di averne la più completa certezza?”.

“Beh, se io so che hai vissuto sia in Italia che in Brasile, so che almeno hai avuto modo di sincerarti di queste loro tendenze. Però so anche che sei un tipo piuttosto influenzabile, per esempio dal tuo umore, bisognerebbe stabilire se le cose ti stanno andando bene o male, per capire se non c’è qualcosa che ti fa cambiare idea sulla realtà che stai attraversando, se la puoi considerare e giudicare serenamente o no.”

“E tu come faresti a capire che io sono così o cosà?”

“Sulla base della mia conoscenza di te e della tua vita. La tua storia è un po’ il tuo DNA, per intenderci, ma insieme al risultato di come sei diventato, partendo dalla genetica, seguendo i tuoi avvenimenti, quelli importanti ma anche e soprattutto quella routine che hai avuto, ma anche dalle persone che hai frequentato eccetera.”

“Ma te non sei uno scienziato della psicologia, in generale, né un chimico della sociologia in particolare, e poi come fai a sapere così bene come sono io, per il poco tempo che siamo stati insieme… non è che siamo sempre stati in contatto, ho vissuto lontano per anni, nel tuo odiato Brasile che hai rinnegato…”

“Calma, non ho rinnegato niente, io lo conosco più di te il Brasile e poi di brasili ce ne sono tanti o troppi in giro, presenti o passati.

Tornando a noi la gente facilmente ripete sempre le stesse cose, lo faccio io come lo fanno tutti, nel tempo e nello spazio, non solo gli errori, ma anche le cose giuste o ben fatte, nel suo percorso di vita terrena, finché…”

“Finché cosa?”

“Se non c’è uno shock forte non cambia, continua a mandare in campo la stessa squadra, per tutta la vita.”

“Squadra che vince non si cambia?”

“Sì, ma nella vita non si tratta né di vincere né di perdere.”

“Ah, non si tratta di essere vincenti né perdenti?”

“No. Il successo spesso viene misurato su una base di potere, o di ricchezza materiale, che non rappresenta che un metro apparente, cioè solo esteriore di   felicità.”

“E per te cosa sarebbe questa famigerata felicità?”

“Beh, la gente tende a considerare la felicità come un bene durevole, se non definitivo, come non è e non può essere. Da un po’ di tempo la gente cerca questo bene che non sa bene come sia e se esistesse si tratta solo di momenti e non di tempo illimitato, quindi se lo trova non sempre se ne accorge.”

“E allora?”

“E allora se cerchi qualcosa che non sai come si presenta, quando lo trovi non lo riconosci e tiri a dritto. E dopo continui a cercare.”

“E che cosa bisognerebbe fare, invece?”

“Dunque: prima di tutto bisognerebbe capire noi stessi. Che cosa ci piace, quello che ci fa bene, come possiamo ottenerlo in maniera più o meno continuata nella vita di tutti i giorni. Sulla base fluttuante di questa valutazione di noi stessi, dei nostri progetti e le loro possibili realizzazioni, soggette a cambiare, a modificarsi e a seguire le condizioni ambientali che via via ci si presentano, dentro di noi rimaniamo più o meno gli stessi, ma fuori tutto cambia, con ritmi diversi e dinamiche che spesso ci sembrano oscure, ma che possiamo prima di tutto accettare e poi cavalcare, non necessariamente capire ogni loro più piccola parte, senza mai dimenticarsi che niente è definitivo, rigido o separato dal resto. Se capiamo di che cosa abbiamo bisogno per alimentare quella che bene o male è sempre una routine, facciamo bene attenzione a non scegliere progetti di vita improbabili se non quasi impossibili, andando dietro a quelle dottrine idiote che dicono che tutto è aperto e a nostra disposizione, basta andare a prenderselo. Quello che sceglieremo non è nemmeno mai definitivo, può e forse direi deve cambiare per la strada, la soluzione degli eventuali problemi non è mai una sola, possono essere tante e assai diverse tra di loro e da come ce le siamo immaginate…”

“Ah. E secondo te allora perché io sono andato in Brasile?”

“Perché qui ti eri stancato e là ti pareva tutto diverso, nuovo e migliore, (come ho fatto io quando sono andato in Portogallo, tanti anni fa, non ne potevo più del Brasile).”

“E allora perché sono tornato? O anche: perché tu dal Portogallo te ne sei venuto in Italia?”

“Io inseguivo, come te, un mondo migliore, che in parte ho trovato, anche se diverso da come me lo ero immaginato, o da come avrei voluto che fosse, e intanto qui continuava a cambiare e anche là in Brasile. Tu hai visto poi che qui non era così brutto come ti sembrava, e là non era così bello come ti pareva.”

“Hai ragione, ma secondo te sono cambiato da quando sono partito?”

“Dentro non molto, direi, ma fuori sì e parecchio, mi pare.”

“Forse, ma secondo te, sono stato colpito da qualche shock che mi ha fatto cambiare la mia squadra in campo?”

“No, nel tuo caso non credo che sia stato uno shock improvviso, cioè non è stato quello propriamente detto, ma il Brasile ti ha messo di più alla prova, qui eri protetto dalla famiglia, qualsiasi cosa ti fosse successo ti avrebbero aiutato, qui avevi meno stimoli e meno conquiste da fare, là hai conosciuto meglio te stesso, il Brasile ti ha insegnato a essere più gentile e meno egoista, ti ha fatto capire, insomma, che il campionato è ancora lungo e anche le cosiddette riserve ti possono essere utilissime.”

“Ma secondo te posso ancora vincere l’ambito trofeo?”

“No e non è questo il tuo obbiettivo. Il Brasile ti ha fatto capire meglio una cosa che sapevi anche prima, ma che non eri riuscito a comprendere nel suo più completo significato: la vittoria finale e definitiva non esiste, e comunque non la si considera in base a una classifica di punti all’italiana, ma piuttosto rispetto a un ranking internazionale o forse anche cosmico di efficacia, nello spazio e nel tempo. Lo sai quanto me che il miglior leader è quello che non vuole assolutamente essere un leader.”

“Cioè secondo te dovrei essere già soddisfatto della mia vita?”

“Sì, ma non come uno che ha vinto la coppa del Mondo, spero che tu abbia capito che i campionati sono tanti e differenti, tutti valgono per il ranking.”

“Ah, e ci sono ancora trasferte insidiose?”

“Certo, ma le più difficili sono quelle che sembrano più facili, le partite in casa.”

“Penso di aver capito. Comunque, ritornando al sesso e al mangiare…”

“Sì, lo so, ma non so se sono d’accordo.”

“Ma che ne sai tu che sei un asceta?”

“Bravo, bella parola, non credevo che appartenesse al tuo vocabolario, spiacente di deluderti, ma in mezzo al mondo moderno un asceta non è mai un asceta completo, è sempre un mezzo asceta, a volte appena un venti per cento scarso di asceta.”

“Va bene, c’hai ragione, ma ti ho interrotto che stavi per dire uno dei tuoi concetti fondamentali, qual era?”

“Prima la parte facile: sul sesso gli italiani ne parlano tanto perché ne fanno poco. I brasiliani ne parlano poco perché ne fanno tanto.”

“Giusto, e il mangiare?”

“Il mangiare è più complesso, e funziona al contrario, cioè gli italiani che mangiano tanto e bene, ci pensano parecchio perché è una delle poche soddisfazioni complete che hanno e facilmente ripetibili.”

“Ecco, e i brasiliani invece?”

“Ci pensano poco perché pur mangiando spesso male e ripetendo le stesse cose senza una grande varietà, apprezzano di più altre soddisfazioni della vita, cioè si divertono con poco, sono più affettuosi, pazienti e gentili, sanno stare insieme meglio e si godono anche una conversazione, senza starsi a lamentare sempre e comunque, molto di più degli italiani che pensano molto di più a quello che gli manca e molto meno a quello che hanno già e magari potrebbero goderselo di più.”

 

Ogni tanto passano anche notizie da altri siti, come questo di Erspamer, che viene usato spesso come ferrato opinionista, dal quale si capisce meglio oggi l’epoca che attraversiamo, con musica di Vangelis dal CD intitolato China.

Dal sito di Francesco Erspamer, articolo del 3 marzo 2020

Il panico da coronavirus ha rivelato impietosamente il vuoto morale e culturale provocato da decenni di liberismo e di incontrastata regressione nell’individualismo e in un edonismo irresponsabile. Se l’unico scopo dell’esistenza, come predicano i rampanti berlusconiani e renziani ma anche buona parte dei leghisti, è il successo personale e immediato, nei momenti di crisi la società si sfalda. E le crisi sono periodiche e inevitabili, direi fisiologiche e necessarie in sistemi viventi, dunque soggetti (e meno male) a continue trasformazioni; solo un adolescenziale ottimismo all’americana, se non una spregevole malafede, può far finta che sia possibile adagiarsi in una rappresentazione statistica e probabilistica della realtà, mera proiezione del presente a cui siamo abituati. La smodata avidità di pochi ha distrutto la fiducia nello Stato, la solidarietà, la virtù, i legami di appartenenza e di comunità, la morale, la cultura, ossia tutti i dispositivi inventati dalla civiltà umana per assorbire i colpi della fortuna e del caso; è bastato mezzo secolo di sbandamento, di compiaciuta disattenzione di massa.
Invece di costruire degli argini in grado di contenere un improvviso aumento del flusso del fiume, ci si è fatti convincere che fosse un evento improbabile (a questo servono i “big data”), dunque inesistente, o che fosse in nostro potere intervenire a monte – che fossimo i padroni assoluti del mondo e i signori della natura. Balle, che hanno consentito alla classe dirigente più inetta e squallida della Storia di indirizzare altrove le enormi ricchezze create dal progresso scientifico e industriale e dal saccheggio sistematico delle risorse: non al bene comune e all’edificazione di una società egualitaria, saggia e in armonia con l’ambiente, bensì osceni patrimoni personali (una ventina di miliardari che hanno più soldi di metà della popolazione del pianeta) e multinazionali più ricche degli Stati – con la loro corte di giornalisti prezzolati, politici codardi, celebrity senza qualità e dunque servili.
Io non ho paura del coronavirus; non andrò in cerca del contagio ma non rinuncerò a vivere per non morire. Non ho paura della mia condizione umana e ne accetto l’intrinseca vulnerabilità. Mi preoccupano piuttosto le crepe che vedo nella società, nelle comunità, ho paura dell’epidemia dell’egoismo e della stupidità. È ora di ribellarsi, di cominciare sul serio a combattere per i nostri valori, che solo danno senso alla vita e alla morte. È ora di affrontare gli stronzi che stanno distruggendo per interesse quanto c’è di buono e di bello nel nostro paese e nel mondo. È ora che siano loro ad avere paura, e non del coronavirus: di noi.

Francesco Erspamer

 

Francesco Erspamer è professore di Letterature romanze a Harvard. Si interessa di storia delle idee e delle trasformazioni culturali, in particolare fra Otto e Novecento e nella contemporaneità. Il suo libro più recente è La creazione del passato. Sulla modernità culturale (Sellerio, 2009). Ha lavorato anche sul Rinascimento, pubblicando una monografia sul duello e l’onore, ed edizioni commentate di Pietro Aretino, Sannazaro, Lorenzino de’ Medici. Tiene una rubrica settimanale di recensioni su Italica, il sito online di Rai International.

 

La storia dentro la storia

 

Dentro ogni imbecille può annidarsi un genio in attesa di tempi migliori 

 

(Anacleto Pizzi, NO FAKE NEWS, uomo d’intelligenza potenziale e magari notevole)

 

 

Normalmente non leggo saggi, tanto meno poesie, le storie mi piacciono di più, specie quelle dove, oltre alla trama, c’è anche qualcosa da imparare. La maggior parte delle cose che prendo in mano le accantono quasi subito, però. Non penso che siano i libri ad essere peggiorati, almeno quelli scritti tanti anni fa, oppure anche pochi, ma che io non conoscevo ancora e comunque prima di questo nuovo medioevo moderno. Non credo di averli già letti tutti, i migliori, sono io che sono diventato più difficile. Purtroppo non riesco a leggere più molto, ma quando trovo un’opera che mi piace, avvenimento raro, allora sento una allegria prepotente.

Un trattato che ho gradito assai, ultimamente, è quello di un oscuro autore che si firma con lo pseudonimo di Paco De Pachis, non dichiara alcuna nazionalità, ma dalla sua maniera di cucire le frasi, sembra piuttosto un italiano. Una di quelle cose che fanno anche un po’ sorridere, oltre al nome dello scrittore, come tipo di operazione, a prima vista assai ambiziosa, però ben presto si nota una sottile ma forte autoironia, appena accennata tra le righe, certo presente anche nel titolo. C’è un robusto pavimento di verità e una semplicità ammirevole nell’esposizione dei fatti, poi dei sintetici pensieri conseguenti. Me lo leggo e rileggo con piacere, perché è la storia del mondo esposta e spiegata col minimo possibile delle parole, in più, tale sorprendente De Pachis, ha lo spazio e il tempo di ficcarci dentro anche i pensieri dei filosofi locali dell’epoca.

 

Pare che la stromatolite fu l’origine delle origini, fulcro ed embrione delle prime forme di vita, tre miliardi e 700 milioni di anni fa, anno più anno meno.

Agglomerati di alghe, simili a bubboni di corallo, alveari di fango ancora non organico, nelle acque basse dei mari di tutto il mondo, iniziarono senza preavviso a liberare ossigeno, cosa che fino a quel momento non aveva avuto precedenti.

Senza di loro, le forme di vita che sorsero non sarebbero state quello che sono, perché tutto ciò che è vivo, qua sopra la palla rotante, ha bisogno di ossigeno.

Certo che a quei tempi sarebbe potuta anche andare diversamente, ma non si sa come.

Ecco che, di conseguenza, le prime forme di vita presero forma e vita in pochi milioni di anni.

Successivamente i dinosauri dominarono la terra, ma poi per cause ancora da accertarsi, tra cambiamenti improvvisi di clima e meteoriti, scomparvero in altri pochi milioni di anni.

Il creatore, se è mai esistito, o chi per lui, ci pensò su, provò allora in maniera diversa, optò per i mammiferi, primi esseri pelosi, tra cui poca gente e anche bruttina, che cominciò a girare a caso, in cerca di cibo, a partire dalla zona centrale e dal nord-est dell’Africa.

Era appena iniziata la globalizzazione, ma all’inizio camminò assai lentamente.

A quei tempi il mare era così basso che le terre erano tutte in contatto e lo stretto di Bering era una lingua di terra che univa due continenti, oppure le acque erano così basse che si potevano attraversare a piedi.

Tecnicamente non erano ancora continenti, giacché soffrivano d’incontinenza, se così si può dire, perché si stavano lentamente staccando l’uno dall’altro, sì, ma erano partiti da un blocco unico di terre emerse chiamate Pangea.

Questo più o meno due milioni di anni fa.

Più recentemente, ventiduemila anni fa, invece, le masse di terra erano già due, l’Australia e la Nuova Guinea si erano separate, ma a quei tempi erano ancora attaccate tra di loro, calcate dai piedi nudi e callosi di meno del 5% della popolazione mondiale.

La vita nell’antichità era un po’ rude, ma un aspetto - tra gli altri - potrebbe essere giudicato piacevole da alcuni, quello cioè che almeno fino al 20.000 a.c. non si erano mai riunite, in uno stesso luogo, più di 500 persone.

Ogni riunione del genere poi doveva essere fatta alla svelta, giacché, per dare mangiare a questa folla, era necessaria la caccia e un adiacente territorio esteso e vergine.

Non esistevano comizi e concerti, non c’erano ancora né politica né musica, non esistevano ancora le guerre, quindi non c’era nemmeno motivo di riunirsi.

Sembrava che tutto stesse scorrendo rapidamente, i milioni di anni erano passati e ora si ragionava in termini di migliaia, ormai, infatti, più o meno nel 5000 avanti Cristo, i ghiacciai iniziarono a diminuire e i mari a salire.

Il continente Americano era appena stato calpestato, che le acque iniziarono a salire, bloccando così chi aveva cambiato idea e volesse tornare indietro.

Se dalla Francia all’Inghilterra prima si poteva andare tranquillamente a piedi, nell’acqua bassa, improvvisamente non più, anche oggi si deve pagare il traghetto, o il pedaggio del tunnel sottomarino.

Eh sì, l’uomo ha dovuto iniziare a pensare presto, perché la sua conformazione fisica era inferiore a quella degli altri animali.

Era meno forte, meno resistente e meno specializzato in una serie di fasi essenziali di azioni che potessero garantire la sua sopravvivenza.

Sviluppò perciò la sua intelligenza, ultima risorsa, a quei tempi come oggi poco di moda, per poter ovviare alle altre mancanze.

La prima rivoluzione verde avvenne in Siria e in Palestina e attraverso la coltivazione di cereali come orzo e grano, scelti tra altri per i loro grani più grossi e perciò più pratici per raccogliere e macinare.

La gente viveva in casette di mattoni di fango.

 

Nelle pause tra una lettura in giardino e un bicchiere di vino bianco fresco, a volte andavo al bar, per parlare con qualcuno, tra cui il mio amico Anselmo.

Un uomo affabile e che conosceva tutti in giro, mentre io c’ero arrivato da poco.

Anselmo mi aveva già parlato di Italo Tedeschi, una persona più che fidata sempre disponibile per qualsiasi tipo di servizio manuale, dallo svuotare pozzi neri, alla pulizia di soffitte e cantine, poi muratura, falegnameria, idraulica ed elettricità e si resterebbe stupiti di vedere quanti se ne possono inventare, in un piccolo paesino di campagna.

Un omino con una faccia raggrinzita da bambino, eternamente storta in qualche smorfietta, ne possiede una vasta gamma, ma non di tutte si arriva ad interpretarne il significato.

Viene al bar di rado, solo per comprare qualcosa e poi portarselo a casa, alla svelta.

Se non sta lavorando preferisce stare da solo, o meglio con sua sorella Annina, che è peggio che stare da soli, perché lei parla sempre e non ascolta nessuno.

Almeno non si offende mai, per nessun motivo, nemmeno se la prendi a ombrellate, ma è più facile che lei prenda a ombrellate te, secondo le parole di Anselmo.

A Pioppeta, forse perché è in provincia di Lucca, proprio sotto i monti pisani, piove parecchio. Nella piana lucchese le nuvole vengono imprigionate da un cerchio di alte colline e di montagne, non riescono ad andarsene e si sfogano piovendo.

In mezzo a tutta questa umidità, Italo non frequenta nessuno, è considerato un mezzo matto. È una persona troppo sensibile, secondo me, ha una paura sproporzionata di offendere gli altri.

Figurarsi che quando parla con qualcuno s’innervosisce tanto, per il timore di dire o fare qualcosa di sbagliato, che inevitabilmente finisce sempre per farlo, o dirlo.

 

Cinquecento anni dopo si iniziò ad allevare pecore e capre, ma chi coltivava non allevava, il mercato del lavoro stava già iniziando a diversificarsi oggi le possibili occupazioni non sono più due o tre, ma migliaia.

Intanto alcuni legumi erano stati introdotti, come i piselli, la terra si stava scaldando e i ghiacci si ritiravano verso nord, per quanto riguardava l’emisfero boreale, i nomadi diminuivano, la caccia e la pesca continuavano come attività di supporto, anche se in alcune zone continuavano ad essere le principali.

Ci sono almeno 2000 anni di tempo tra le prime fattorie agricole della Grecia e le prime del mar Baltico, seguendo il ritirarsi dei ghiacciai verso nord.

In Europa le foreste coprivano l’80% del territorio, i bovini vennero portati dal centro dell’Africa verso nord, sempre là si addomesticarono pure gli asini per il trasporto e le galline faraone assai presenti sui tavoli egiziani, in seguito e poi a Roma, i primi gatti domestici furono africani e in seguito guardiani dei depositi di cereali che richiamavano i topi.

Nel 3000 a.c. in Grecia si sviluppò la coltivazione dell’olivo e della vite che cambiarono l’alimentazione mediterranea.

Se il nomade passava più tempo nella produzione diretta di alimenti, lo stanziale iniziava invece tutta un’altra serie di occupazioni e di servizi complementari, che rappresentarono ben presto il 10% totale, questi nuovi mestieri si facevano soprattutto nei villaggi, alcuni dei quali stavano diventando città.

La popolazione iniziò a crescere sensibilmente, dato che all’inizio della rivoluzione agricola il mondo doveva avere più o meno 10 milioni di persone, nel 2000 a.c. dovevano essere 90 milioni e 2000 anni più tardi, epoca della nascita di Cristo, 300 milioni.

In alcuni casi le epidemie frenavano la crescita demografica.

 

 

In Italia, in generale, ma a Pioppeta in particolare, la gente è piuttosto permalosa.

Oltre agli stereotipi conosciuti di individui con la coda di paglia, per motivi vari, ce ne sono anche altri, che dicono che si possono trovare solo qui.

A Pioppeta praticamente sono tutti così, per un motivo o per l’altro, simili tra di loro, eppure molto diversi.

Per esempio Italo, proprio per il suo tentativo continuo di sfuggire al suo destino di psicoterapeuta al contrario, involontariamente alla ricerca delle debolezze altrui, le provoca e le stuzzica, fino ad averne poi reazioni che lo spaventano e lo ossessionano di più e ancora, per le occasioni future.

La catena non ha fine, dunque, perché si auto-alimenta.

Italo è uno di quelli che si vergognano a dire le cose, gli si legge in faccia che vorrebbe chiedere chiarimenti, o protesterebbe anche, a volte, ma gli manca il coraggio, c’ha troppa paura d’offenderti e allora sta zitto.

Intanto dentro macera le sue idee zoppe col suo punto di vista storto, quello che ne viene fuori sono nuovi fallimenti di approccio col genere umano circostante, che anche quello non è facile.

Quando il nervosismo lo vince, poi, comincia a parlare dicendo cose che sarebbe meglio tacere, che sarebbe meglio dire in un’altra maniera, che dette come le dice lui possono veramente metterlo nei guai.

 

I nomadi senza saperlo erano più sani, sia perché si lasciavano dietro i bisogni, usavano pochi vestiti e stavano di più al sole, il che impediva il proliferarsi dei batteri.

Se da una parte la nuova economia dava più alimentazione e favoriva la crescita della popolazione dall’altra aumentava il rischio di malattie e epidemie.

L’allevamento sistematico di bestiame di vario tipo portava ulteriori tipi di malattie e epidemie: tubercolosi, vaiolo, morbillo, malaria e influenza.

Se trai nomadi i vecchi e saggi erano i capi, tra gli stanziali iniziò la vera e propria politica con interessi personali perseguiti in nome della collettività: tasse da pagare in natura, schiavitù e lavoro forzato per costruire templi, irrigazione del suolo e altri lavori di pubblico interesse.

Spesso i governanti delegavano ai sacerdoti, che loro stessi ordinavano, i necessari compiti di sacrifici di vario tipo per propiziarsi gli dei e quindi i raccolti attraverso i miti della pioggia e della siccità.

Il massimo e più efficace sacrificio era quello umano.

All’incirca nel 7000 a.c. in Nuova Guinea si praticava agricoltura intensiva, si sfruttava un terreno fino all’impoverimento e poi se ne disboscava un altro.

Le americhe appena scoperte dagli uomini rimasero isolate dalle acque che si alzavano, in Messico nel 6000 a.c. si coltivavano zucche, cotone, peperoncino, più tardi fagioli e granturco.

Sulla costa est degli odierni Usa si hanno prove di agricoltura solo nel 2500 a.c.

 

 

Per capire meglio chi è Italo, forse si dovrebbero adoperare le frasi, anche se un po’ in gergo, di Anselmo, una delle persone più normali di qua, almeno secondo le sue stesse parole:

“Un giorno afoso d’estate, viene Meo, il servo zoppo della defunta signora Del Carmine a chiedergli di fare un lavoretto a casa sua, di lei.

Eravamo lì sull’aia seduti sul cemento, che lì non ci batteva il sole, venne Meo e gli disse quello che gli doveva dire.

Italo non finì nemmeno la sigaretta che s’era appena arrotolata e accesa… ti partì senza nemmeno salutare, poi dopo una decina di passetti corti da uccelletto, si voltò e mi fece gesto colla manina e buttò via la sigaretta per fá prima.

A qué tempi là, stava nella casona, lì della nostra corte, ci stavamo in sette famiglie, quasi una trentina di anime perse.

Ora siamo invece solo due famiglie, si fa per dire, di quattro persone in tutto di anime che però, dopo tutto questo tempo, non si sono ancora ritrovate.

Insomma Italo va via e torna la sera e com’entra in corte lo vedo subito, dalla finestra, che la faccenda n’è andata storta, o peggio ancora: stortissima, allora gli chiedo qualcosa e lui nulla, allora è andata storta davvero e anche troppo, penso e torno in casa.

Il difetto di quel pover’uomo è che anche a sta’zitto ha paura di far torto a quell’altri, allora se una è una sergentessa com’era la signora Del Carmine buonanima, (morta schiantata sotto una caterva di solitudine, qualche anno dopo,) e non si sogna nemmanco di moversi dal posto, per controllare il su’lavoro, e lui comincia a parlà e a parlà… e allora è cotto il lesso… un gli viene in mente di raccontà una barzelletta?

E dovev’essere stata una di quelle sbagliate al momento sbagliato… perché il fatto un me lo voleva raccontà e ci volle del tempo e del freddo andato nell’ossi, ma, a primavera pareva averla digerita, la storia della signora o forse era perché infiascavo il vino in corte e si vede che c’aveva voglia di aiutarmi… anche a berlo, è chiaro, o soprattutto a berlo… vabbè.

Allora si sentiva in colpa anche per quello, per il vino, ma il vino era di quello bono e l’aiutò un po’, anche, che mi raccontò la storia da sé, che io me l’ero anche quasi scordata, ti dico la verità, ma valse la pena di dargli due o tre bicchierotti belli pieni, perché mi ci feci di quelle risate, di quelle risate…

Era proprio una storia buffa, ma anche tragica, per lui.”

Allora, mentre fa il suo bravo lavoretto, con gli occhi della signora puntati addosso, s’innervosisce e le racconta una barzelletta, quella del grande capo indiano pellerossa Bue Seduto che deve fare una dieta dimagrante perché è troppo grasso e per combattere ha alcune difficoltà, il cavallo si rifiuta di portarlo sul Sentiero di Guerra eccetera…

Allora va dallo stregone che gli da’ un potente lassativo a base di erbe montane mischiate con ossicine tritate di topi del deserto, ma lo avverte che da persona a persona la forza e la rapidità dell’effetto può variare, e anche assai.

Lo stregone Melone-Cieco, infatti, vuole un resoconto giornaliero e quando il sole scende e il mondo si fa rossiccio, il suo aiutante Cane-Dagli-Orecchi-Ritti, deve andare da lui a riferirgli i fatti del giorno:

primo giorno: ‘Grande Capo niente cacca’

secondo  giorno: ‘Grande Capo niente cacca’

terzo giorno: ‘Grande Capo niente cacca’

quarto giorno: ‘Grande Capo niente cacca’

quinto giorno: ‘Grande Capo niente cacca’

sesto giorno: ‘Grande Capo niente cacca’

settimo giorno: ‘Grande Capo niente cacca’

ottavo giorno, lunedì, dopo grande mangiata di carne di bufalo e verdura della prateria arrostita: ‘Grande cacca niente Capo’.

Meo ride assai, ma, lui non poteva saperlo, la signora, anche se non è particolarmente grassa, si sente una balena, forse perché il marito non c’è mai a casa e si sospetta che se la faccia con un’altra donna, o più di una, perciò diventa nervosa, più di quello che già era… ed era sempre stata una che non si rilassava mai.

Italo se ne accorge, pensa che si sia offesa perché la barzelletta è sporca, c’è la parolaccia ‘cacca’ ripetuta più volte.

Allora, per potersi redimere, racconta quella dell’ebreo che va al banco dei pegni per impegnare un pappagallo che non parla, ma in compenso è un grande pensatore, insomma pensa molto… ma esclusivamente in lingua yiddish…

Scopre allora che la signora è di religione ed origine ebraica, e in più, di profilo sembra proprio un pappagallo per via del naso a becco adunco.

Come aveva fatto a non accorgersene prima?

Così, sentendosi sempre di più in colpa, racconta allora la barzelletta del negro, cioè quel ‘signore di colore’, che non riusciva a raccontare il finale della sua barzelletta perché era troppo buffa e non poteva proprio resistere, scoppiava sempre a ridere, prima del tempo, senza speranza di fermarsi.

Disgraziatamente, la signora è anche di origine negra africana Falascia, i famosi ebrei negri dell’Etiopia.

Preoccupatissimo e stressato per via degli occhi a sputafuoco della signora, per via della sua faccia sempre più scura che a vederla ora si vede che è nera, ma ormai è troppo tardi, ecco che Italo si emoziona e vomita sul prezioso tappeto persiano.

“Ma il lavoretto, che lavoretto era?”

“Era di pulire quel fottuto tappeto che Meo, il servo zoppo non poteva pulire, perché, per via della gambetta tecca, un poteva piegarsi.”

“Ma non potevano metterlo su un tavolo?”

“No, perché era un tappetone gigante.”

“E la signora allora che fece?”

“Prima lo pagò e anche benassai, poi gli disse che un’era per il lavoro non fatto, poc’anzi addirittura peggiorato, ma perché smettesse di raccontanni le sue sporche barzellette sudice-schifose e un tornasse più da lei e un la salutasse nemmen se la incontrava per strada.”

 

Il sale fu il primo alimento commercializzato e trasportato per la vendita.

I primi vasi furono costruiti in Africa, indirettamente i forni per la cottura dell’argilla furono importanti poi per la fusione dei metalli.

L’età della pietra dette luogo a quella del rame, quella del bronzo che per un certo tempo fu parallela e concorrente a quella del ferro, ma il ferro alla fine la spuntò, perché era più resistente.

Una ventina di anni fa, sulle Alpi Tirolesi fu trovato perfettamente conservato dalle nevi perenni il corpo di un uomo di 5000 anni prima, cioè dell’età del bronzo.

Gli uomini antichi adoravano le stelle, capivano l’importanza del Sole, collegavano quella della Luna alle maree e alle altre varie manifestazioni della natura.

I primi monumenti furono religiosi, ma nel 4000 a.c. non ne esistevano ancora, addirittura non c’erano ancora le città. 

1500 anni più tardi le cose erano già assai cambiate, soprattutto nei bacini dei grandi fiumi, la cui importanza agricola era enorme e stimolatrice di crescita di attività complementari, ecco che vi sorgevano i grandi addensamenti stabili di persone, che prima semplicemente non erano possibili, come abbiamo visto, per motivi alimentari.

Sulla riva del Nilo, il papiro fu la prima carta su cui scrivere, il primo pane con lievito, le prime opere di mirevole ingegneria edile, primi tentativi conosciuti di controllare attivamente le piene ricche di sedimenti del fiume e quindi di canalizzare e forzare la natura.

La nascita dell’arte della scrittura e della lettura sono contese all’Egitto dalla relativamente vicina Mesopotamia (in mezzo ai fiumi), tra i fiumi Tigri e Eufrate, considerata primo stato della storia.

Qui fu fabbricata la prima ruota di legno e relative carrozze, il primo aratro e la prima birra di orzo all’incirca nel 3700 a.c.

Varie maniere rudimentali di contare, per via dei fiorenti traffici commerciali furono create fino al prevalere di un sistema decimale.

Gli Assiri, che vivevano all’inizio sulle prime montagne sopra la Mesopotamia, furono il primo popolo guerriero e rapace, che approfittarono così delle ricchezze di Babilonia e delle altre grandi città limitrofe.

Il primo impero fu loro e il relativo territorio dal mar Caspio fino al golfo Persico, erano astronomi e ingegneri, facevano meravigliosi ponti e realizzavano perfetti sistemi di irrigazione, fu loro il primo vetro, all’incirca nel 1500 a.c.

Il terrore della loro tattica di guerra era torturare, mutilare e esporre gli sconfitti a servire come esempio.

L’Indo è un poderoso fiume che copre ancora oggi di dieci metri di sedimenti alcune località soggette alla sua straripante piena, che allora stimolava accentrazione di gente in città, in quello che oggi sarebbe Pakistan, di una civilizzazione che pare iniziò a coltivare canna da zucchero e cotone.

Il popolo era amante del bello e del conforto, oltre a questo si addomesticavano animali come cani e gatti, ma si faceva uso anche di maiali e cammelli, capre e pecore, asini .

Trai giocattoli per i bambini i primi buoi e vacche che dondolavano la testa, la cui versione dei cagnolini da mettere sul lunotto posteriore delle automobili, è stata molto più recente.

La civiltà dell’Indo non durò che 7 secoli, per le invasioni dei popoli Ariani e di quelle città piuttosto instabili, che dovevano sempre essere ricostruite per la sedimentazione fin troppo generosa del fiume che veniva dalle nevi dell’Himalaya e le piene che salivano sempre più in alto.

Mohenjo-Daro aveva avuto anche 40.000 abitanti e perciò era stata una della maggiori città del mondo della sua epoca, ma fu dovuta ricostruire 9 volte.

 

 

Intanto, dopo le storie raccontatemi da Anselmo, volli conoscere personalmente Italo, sia perché dovevo fare dei lavoretti di restauro di vario tipo, sia per la curiosità di vedere se quello che dicevano di lui era vero o no.

Lo feci chiamare allora a lavorare a casa mia, avevo bisogno di un nuovo impianto elettrico.

Non avevo niente contro i fili esterni e le prese all’infuori, anzi, mi piacevano ed erano perfino romantiche, ma un giorno sì e un giorno no, rimanevo senza luce e più di una volta avevo anche rischiato di rimanerci attaccato e magari arrostito, non c’era nemmeno un salvavita.

Italo ormai aveva i suoi sessant’anni e qualcosa, un pozzo d’esperienza di tanti lavoretti fatti in giro, magari era un poco meno nervoso di un tempo, forse per via dell’età.

Gli spiegai che non avevo nessunissima coda di paglia, che ero natò lì, è vero, ma che avevo vissuto in giro per il mondo, che avevo imparato a non offendermi mai, a meno che non fosse fingendo e per raggiungere un qualche scopo.

Mi poteva raccontare quello che voleva, che avremmo potuto parlare tranquillamente, con calma e un bicchierotto di rosso secco e asciutto che faceva schioccare la lingua.

Ben presto capii che, messa su questo piano la questione, Italo era una fonte inesauribile di storie, perché aveva sempre visitato le case altrui e conosciuto, ‘senza volerlo’, ci teneva a precisare, ‘storie di ogni tipo e misura’.

Mentre faceva un inventario del materiale necessario, io non lo disturbai, ma dopo, seduto a tavola con un piatto di salame nostrano e uno di formaggio, bevucchiando il vino sopracitato e scioglitore di nodi cerebrali, all’inizio ebbe difficoltà ad iniziare, ma il vino e il mio comportamento aperto fecero effetto.

Allora gli chiesi se voleva rimanere a pranzo, rifiutò varie volte, inventò varie scuse, cercavo di essere gentile e non appiccicoso, alla fine sembrò quasi che stesse cedendo alle mie lusinghe.

Poco prima aveva detto che gli piaceva il pesto alla genovese ed io gli avevo promesso un bel piatto di trenette con quella salsa ligure e gliene avevo mostrato anche un vasetto aperto, glielo avevo fatto assaggiare con un cucchiaino, i suoi occhi si erano illuminati e allora gliene avevo regalato un altro vasetto ancora chiuso.

Disse che andava a comprare il materiale e poi sarebbe ritornato, era mezzogiorno.

Tornò un’ora e mezzo dopo e il pranzo era già saltato.

Non gli feci notare il suo ritardo e lo lasciai armeggiare per qualche tempo, prima di accostarmi e di sondarlo con varie tattiche, il risultato fu che mi parve in uno stato mentale soddisfacente e lo invitai a cena.

Accettò.

A guastare tutto intervenne il fatto che il suo impianto, una volta montato, non funzionava, era già buio e le candele ci illuminavano alla meglio e lui diventava sempre più agitato.

Insistetti più volte perché lasciasse perdere e ci bevessimo un po’di vino, mangiassimo in pace e poi lui avrebbe continuato il giorno dopo.

Niente da fare, visto che le mani ormai gli tremavano e non riusciva più a combinare niente che non fosse farsi cadere le pinze o le forbici da elettricista e bestemmiare sottovoce, anche se gli avevo detto più volte che la bestemmia, per me, era cosa divertente e apprezzabile, folkloristica e pittoresca.

Erano quasi le dieci, quando si arrese ed io avevo già mangiato e bevuto i miei bicchierotti necessari per digerire.

La sua etica della colpa non gli permise di accettare da mangiare né da bere, rifiutò tutto e sebbene io gli dicessi che non c’erano problemi, che non doveva prendersela per un normale incidente di percorso.

Se ne andò a casa e la mattina dopo alle otto era già lì a bussare alla mia porta.

Tornai a letto e quando mi alzai, poco prima di mezzogiorno, il lavoro era finito e l’impianto ora funzionava egregiamente, lo invitai allora a pranzo, ma Italo non doveva aver dormito bene la notte, si vedeva.

La colpa non gli aveva dato tregua, disse che andava a riposarsi e sarebbe ritornato la sera a cena, lo pagai e lo ringraziai per l’ottimo lavoro, che mi pareva veramente ben fatto, anche esteticamente.

Tutto esterno come la legge di quel tempo aveva già stabilito e la sua mano d’opera a buon mercato e tutto, ma mi sarebbe piaciuto anche farlo sentire senza ombre di colpa per la sera precedente.

 

Tutte queste grandi civilizzazioni erano protette da un deserto dalle invasioni, tutte erano nate intorno ad un bacino fluviale.

Però, appena gli uomini impararono a navigare, il mare diventò la strada più facile per il commercio, il Mediterraneo univa e divideva Africa, Europa e Asia e oltre che il più piccolo mare, era anche il più grande e calmo laghetto a disposizione, più di ogni altro salato, ebbe un’importanza enorme per gli scambi, non solo di merci ma anche culturali, tali invenzioni nuove e tecnologie innovative.

La prima barca a vela raffigurata su un vaso egiziano fu del 3100 avanti Cristo, successivamente si combinarono rematori e vele per ottenere più rapidità, già che gli schiavi abbondavano.

All’incirca nel 1000 a.c. il ferro e il bronzo erano ancora in concorrenza, a quel tempo i Greci dominavano il Mediterraneo, ma erano sempre in guerra tra di loro, tra città e città.

La Grecia fu la prima grande civiltà basata su un sistema di scambi e commercializzazione navale e marina.

Atene non era grande, la sua popolazione all’incirca di 300.000 abitanti, ma era sicuramente il pezzo di terra più influente del mondo, fino a quel momento.

La schiavitù fece sorgere la prima pigrizia sistematizzata e la filosofia ne fu conseguenza, un cittadino che si rispettasse non lavorava, perciò iniziava a pensare al senso della vita ed era una novità, per quanto se ne sa, permessa anche da un allargamento numerico generale della classe dominante.

Nel 670 a.c. nell’isola greca di Egina si coniarono le prime monete, anche se personalmente non si lavorava, il commercio si stava espandendo, grazie alla mano d’opera gratis e garantita dalle continue guerre: gli schiavi.

Il lusso solo per pochi raggiungeva i massimi livelli, altra conseguenza delle nuove abitudini e di una classe dominante più ampia che negli altri popoli precedenti e contemporanei, fu l’invenzione degli sport competitivi, le olimpiadi.

La democrazia muoveva i suoi primi passi, chi stava al consiglio, (500 uomini di potere,) ci arrivava per sorteggio e non poteva starci per più di due anni.

Naturalmente, però, il potere era solo per le classi alte e chi non apparteneva alle suddette, molto difficilmente poteva dire la sua, il che, poi a guardarci bene in faccia, si ripete ancor oggi, anche se ci si illude che in questo siamo migliorati, giacché ora chiunque può dire quello che pensa, ma non viene ascoltato né si può pretendere, lateralmente, che venga rispettato o che si cerchi di cambiare l’opinione generale in base a teorie nuove, valide, ma che vanno contro l’interesse diretto o indiretto dei potenti.

Ecco però l’inizio dello sviluppo dell’arte oratoria, il primo medico nell’isola di Cos (Kos), il giuramento d’Ippocrate, la stessa parola “storia” deriva dalla lingua greca.

 

La filosofia greca è nata in Turchia e precisamente a Mileto, continuata poi nel sud dell’Italia, nella colonia della Magna Grecia, ha messo piede in patria solo durante una terza fase.

I primi pensieri generali sulla vita furono greci, anche se in Cina, Confucio appartenne alla stessa epoca e formulò teorie a partire dal senso pratico.

Si dice che il primo filosofo fu Talete a Mileto e il primo a coniare questo termine fu Pitagora a Siracusa.

I primi pensatori cercarono di razionalizzare i perché dell’esistenza, i punti fondamentali della vita, l’origine dei fenomeni della natura.

La mitologia politeistica greca vedeva gli dei come esseri superiori, ma non troppo, assai simili agli uomini, con le relative fissazioni e debolezze.

Il passaggio dal Mythos al Logos avvenne quindi a piccoli passi, cercando di abbandonare il mito e di seguire di più la logica, si tendeva progressivamente a sostituire la precedente universale visione cosmica mitologico-religiosa con la scienza, o qualcosa che tentava di assomigliarle sempre più.

Il sorgere del sole, lo sgorgare di una sorgente, la notte, le stelle, il sorgere della luna, la tempesta, le nuvole, la pioggia erano fenomeni che l’uomo non riusciva a spiegarsi, i suoi miti, che talvolta diventarono religioni.

Non molto più tardi, verso il 650 a.c. si iniziò a metterli in dubbio attraverso la filosofia.

Democrito fu “l’inventore” dell’atomo,  come lui i Presocratici si preoccuparono di spiegare i fenomeni della natura, evitando di farsi trasportare del sensazionalismo dei miti usati fino a quel momento.

Socrate e Platone cercarono di studiare e definire il comportamento umano.

Aristotele, a partire da idee e teorie anche altrui, cercò di dare le direttive pratiche ed esemplari per il futuro, la saggezza per la ricerca della felicità

I presocratici furono i fondatori della fisica, Socrate e Platone dell’etica e Aristotele della logica.

Gli Ellenisti in seguito, commentarono e fusero le teorie precedenti con la pratica del mischiarsi delle razze e delle culture dell’epoca e si spinsero da Alessandria d’Egitto fino all’India atraverso le conquiste di Alessandro Magno di cui Aristotele fu maestro.

 

Alle ore 20 e 30, come avevamo fissato, Italo arrivò e vestito anche bene, cioè con la camicia celeste, un panciotto nero ed una giacchetta di spigato grigio, vecchia ma in buone condizioni, assai puzzolente di naftalina, ma per fortuna in cucina c’era caldo e gliela potei appendere in corridoio senza fargli patire il freddo.

E poi il vino gli piaceva e lo scaldò subito, che divenne paonazzo, allegro e ciarliero.

Già dai primi bicchieri capii che aveva una gran voglia di parlare, con sua sorella sapevo che gli era quasi impossibile e con gli altri… beh, questo era il suo problema da sempre.

Fortuna insperata fu che da solo cominciò a parlare di tante cose, tra cui di Anselmo, che per tanto tempo avevano abitato nella stessa corte.

Sfortuna preventivata e temuta però, che gli si incrociassero tutte e gli si incrociarono davvero, le storie e non le capii come avrei voluto.

Beh: Calatafimi era stato soggetto di maldicenze, ma era stato un bravo ragazzo, insieme ad altri ragazzotti faceva andare la sua Fiat 500 con un carburante esplosivo e fuorilegge, che loro chiamavano il ‘tu-m’intendi’, ma invece era toluolo, la velocità aumentava ma il motore soffriva un poco, a volte ne scoppiava una parte, però non c’erano problemi loro erano meccanici e lo rifacevano.

Anselmo e ‘Vincenzo Io T’ammazzerò’, cioè le loro storie, gli si confusero irrimediabilmente, fece un massacro di congiuntivi imperfetti e condizionali passati.

Italo si era troppo entusiasmato, per aver trovato qualcuno che non si offendeva e la sua improvvisa libertà di parola lo rendeva particolarmente felice, o sarebbe meglio dire euforico e non chiudeva il becco un secondo.

Il guaio era che i soggetti delle sue frasi divennero interscambiabili e non si capiva più quando era uno o se era diventato l’altro, o se era la storia che era scivolata in una seconda adiacente e poi in una terza laterale, per un’associazione di idee tutta interna al suo cervello ebbro, per me incomprensibile, ma che certo aveva una logica per lui, almeno nelle intenzioni.

Smisi di riempirgli il bicchiere, gli passai qualche fetta di pane integrale e del formaggio e poi iniziai a fargli domande di chiarimenti.

Alla fine riuscii a stilare un rapporto sostanziale delle vicende: Anselmo era diventato un contastorie perché aveva sempre sognato di essere un giornalista, ma non aveva studiato, non aveva i soldi e la sua famiglia era sempre stata povera, come quella di Italo.

Però, prendeva appunti mentali di tutto e sapeva ogni cosa, secondo Italo a volte esagerava un poco, senza volere, sull’onda dell’entusiasmo, nel raccontare, spesso infiorettava e accresceva o diminuiva, per rendere tutto più appetibile e sensazionalista, ma in genere le sue storie avevano la verità come base fondamentale.

Su ‘Vincenzo Io T’ammazzerò’ si raccontavano molte storie, ma se da tanti anni non parlava più ad Anselmo c’era un motivo, una storia grossa, probabilmente, che non mi parve il caso di approfondire in quel momento, dovevo prendere Italo in un altro frangente.

 

Tra la civiltà Greca e quella Cinese, cresciute nello stesso periodo di tempo, una prateria vasta e una distanza incolmabile.

Nella steppa del sud dell’Ucraina si era sviluppata, a partire dal 2000 a.c. la pratica dell’addomesticare e domare il cavallo, che è diventato prima un ottimo e rapido mezzo di trasporto, poi un tremendo strumento di guerra, nel 700 a.c. e poi anche, con l’invenzione delle staffe, del 500 a.c., i cavalieri avevano più possibilità di riposare i piedi e di combattere meglio con la spada, come di lanciare giavellotti a distanza con più forza e precisione.

Grazie al cavallo queste immense praterie diventarono più popolate, i guerrieri Mongoli sempre più pericolosi.

Con principale punto di riferimento il grande fiume Giallo, maggior trasportatore di sedimenti di ogni altro corso d’acqua del mondo, nasceva e si sviluppava la civiltà Cinese.

Intorno al 1500 a.c. la Cina era in ritardo un po’ su tutto, rispetto alle civiltà dei fiumi del Medio Oriente: nell’organizzazione politica, per la produzione di metalli, per il sistema di scrittura e probabilmente nell’agricoltura e nell’astronomia.

La loro abilità, invece, aveva più che altro a che fare con i forni e la produzione di ceramica, come d’altra parte anche in Giappone, nella stessa epoca, si riscontravano le stesse particolarità.

Nel 400 a.c. dopo essersi specializzati con il bronzo, il ferro diventò uno dei loro punti di forza, grazie alle tecniche di costruzione e di uso dei forni, iniziarono a produrre grandi e forti lame per aratri.

Una delle tecniche innovative per la metallurgia, fu soffiare con una specie di enorme mantice fatto in maniera che immettendovi a comando grandi quantità d’acqua, lo spostamento d’aria conseguente era potente e continuo.

Nei 500 anni precedenti alla nascita di Cristo, i cinesi furono i più creativi del mondo a cominciare dalla suddetta metallurgia, per continuare con i nuovi sistemi d’irrigazione e se ampliarono gli orizzonti conosciuti di matematica e astronomia, con i telai svilupparono nuove tecniche per tessere la seta, che era la loro maggior ricchezza.

Il trasporto anche migliorò, col fiorire del commercio e dell’esportazione, con nuovi tipi di carri, sia per essere trainati da cavalli e buoi, sia a forza umana, parallelamente la forza e la tecnologia per arare la terra subì miglioramenti sensibili.

Se prima la Cina era divisa in più di cento piccoli stati, tra il 700 e il 464 a.c. attraverso guerre e conseguenze varie collaterali, ne rimasero solo sette, poi solo due, infine, nel 221, la Cina era finalmente unificata.

Il che è una cosa senza precedenti, né si conoscono casi paragonabili anche a venire, visto che il suo territorio da quei tempi è rimasto lo stesso fino ad oggi.

A questo punto, se era evidentemente unita dal punto di vista linguistico e culturale, politicamente invece la sua situazione era assai instabile e precaria.

Dal lato della Mongolia le frequenti invasioni li obbligarono a costruire l’unica opera umana che si può vedere ad occhio nudo dalla Luna, la famosa Muraglia lunga 6300 chilometri e per quanto incompiuta, terminata nel 214 a.c.

Costruita col lavoro forzato di centinaia di migliaia di uomini, centinaia di migliaia di soldati la proteggevano e stavano all’erta a tempo pieno.

La coltivazione del riso e la conseguente irrigazione, la metallurgia del ferro furono assorbiti prima del 500 a.c. da Giappone e Corea.

La Cina fu la prima a coltivare pere, pesche e arance.

 

Se la Cina era troppo aperta a ovest e a nord, soggetta quindi alle invasioni, che la costrinsero a costruire la muraglia, l’India protetta sopra dall’Himalaya e sotto dal mare, era pur senza esserlo geograficamente, in pratica, quasi un’isola.

Il passaggio meno disagevole era a nord-ovest, per questo l’India è sempre stata più vicina alle civilizzazioni dei fiumi del medio oriente e alla Grecia, che alla Cina, più vicina in termini di distanza.

Anche linguisticamente, l’India appartiene al blocco indoeuropeo, poiché sempre invasa dai popoli che venivano da nord-ovest, come gli Ariani e mescolatasi inevitabilmente a loro, anche culturalmente.

Un grande cuneo che scende a punta verso sud, con le montagne più alte del mondo come base, a nord, che forniscono una grande quantità d’acque e di sedimenti, fiumi che attraversano e mitigano una grande area altrimenti secca e caldissima in estate, regolarmente invasa e resa inospitale, per contrasto, dai monsoni dell’Oceano Indiano.

Nel 400 a.c. era già assai abitata, probabilmente 30 milioni di persone, a quel tempo, insieme alla Cina, rappresentavano un terzo del totale mondiale.

Il Gange, fiume sacro, è il secondo del mondo per trasporto di sedimenti, dopo il fiume Giallo, da’ fertilità alla pianura riarsa insieme ad altri fiumi meno importanti.

 

La Cina ha avuto una storia di grande e rinnovata tecnologia, l’India ha sempre avuto un’inclinazione religiosa molto marcata, l’Induismo capace di riciclarsi nei secoli, che ha come base la reincarnazione e che fa in maniera che gli indiani siano un popolo senza alcuna fretta, a differenza dei popoli occidentali sempre ansiosi e stressati.

Non si mangia carne perché si crede alla reincarnazione, se un uomo vive bene, passa nel corpo di un uomo più saggio e progredito, se vive male può ritornare ad essere animale.

Le caste indiane sono tuttoggi molto rigide, non si può salire e nemmeno scendere, non si può cambiare la propria condizione, in alcuni casi, tra caste differenti, anche la semplice comunicazione è proibita.

L’odierna sorprendente democrazia si può spiegare forse con la flessibilità della religione.

Siddartha Gautama, fondatore del Buddismo, di famiglia ricca e nobile rinunciò a tutto per capire, per diventare l’illuminato, il Buddha.

Nel 480 a.c. mentre il Buddha era già anziano e predicava le sue idee lungo il Gange, Confucio in Cina scriveva i suoi precetti e gli Ateniesi, sconfitti i Persiani a Maratona, coltivavano le arti e la democrazia.

Siddartha auspicava di annullare il proprio io, fino al raggiungere il Nirvana, stato di dissolvenza nel cosmo.

Il Buddha era contrario alla rigida struttura delle caste sociali.

Il Buddismo ebbe un grande salto di qualità dopo la morte di Siddartha, il re Asoka che governava varie regioni dell’India, che quando il Buddha era in vita, erano ancora divise, aderendo con grande convinzione alla nuova fede, le aprì le porte dell’India e poi per tutto l’Estremo Oriente.

 

La nostra poteva diventare un’amicizia, nonostante tutti i suoi difetti e i miei, pareva che i nostri caratteri si adattassero bene, cosa che a lui non succedeva spesso e, a dir la verità, nemmeno a me.

Forse perché in questo mi somigliava: cercava da sempre un qualcuno con cui comunicare senza fretta, senza timore.

Non lo prendevo in giro, non mi arrabbiavo con lui, né dimostravo il minimo disappunto, questo all’inizio lo fece sentire disorientato.

Dopo qualche tempo di inviti reciproci, dopo aver conosciuto sua sorella, gli spiegai che la sera non mi andava di uscire ed era meglio se veniva lui da me.

Una volta, dopo cena, arrivò senza preavviso, bisbigliava e si guardava intorno senza motivo, visto che eravamo soli, in cucina e l’unica finestra aveva chiusi anche gli sporti.

Italo mi mise in mano delle pagine di quaderno arrotolate, ingiallite dal tempo, scritte a mano, con una calligrafia molto regolare, quasi senza correzioni.

Non lo sapeva nessuno, nemmeno Annina, ma confessò che ogni tanto lui scriveva qualcosetta.

Scoprii in quel momento chi fosse quel fantomatico Paco De Pachis, ci rimasi di sasso, che le coincidenze quando coincidono troppo, cambiano nome.

Non so perché non gli ho mai detto che avevo conosciuto prima il suo libro di lui, magari temevo di offenderlo.

Lui non disse mai di aver pubblicato la sua opera e mi regalò il manoscritto originale, che naturalmente feci rilegare, con una bella copertina di cuoio che quando la vide ne rimase orgoglioso.

Non mi chiese mai se lo avevo letto e se mi era piaciuto.

‘La storia del mondo, che non è mai stato rotondo’ è rimasto per me un esempio di sintesi ed intelligenza, purtroppo se ne vedono poche in giro, si tende più facilmente a complicare, a rendere la cultura inaccessibile.

 

Roma nacque come una repubblica, alcune famiglie proprietarie di terre combatterono e vinsero contro il re che governava la città e il piccolo territorio circostante, nel 509 a.c.

Nel 390 fu assediata dai Galli che entrarono in città e ne distrussero una buona metà.

Sul mare il grande rivale era Cartagine, che possedeva varie isole e un dominio pressoché totale sul mediterraneo occidentale.

Dopo varie vicissitudini e un’invasione vittoriosa della penisola italica, da parte di Annibale e dei Cartaginesi, che passarono le Alpi dotati addirittura di elefanti, oltre che di grande coraggio e determinazione, i Romani alla fine vinsero e seminarono sale sulle rovine della città nemica rasa al suolo.

L’espansione di Roma ebbe base su un esercito ben organizzato di soldati professionisti, ma dietro al potere militare, c’era la capacità di ottimi ingegneri, legislatori e oratori.

Una grande rete di strade ancora solcano Europa e Nord Africa, i ponti ancora sfidano i secoli, le navi che trasportavano cereali, legno e pietra da costruzione erano maggiori di quelle costruite oltre mille anni dopo nel mondo occidentale.

Esistevano nuove idee, per quello che poteva da lontano assomigliare ad una democrazia, che però, come in Cina o in Grecia, non seguiva certo un concetto di parità trai cittadini, ma li divideva in categorie.

Roma è stata la prima città del mondo a sfiorare il milione di abitanti, forse il loro impero non è stato il maggiore in termini di chilometri quadrati, ma certo ha riunito in sé il maggior numero di popoli, di razze, religioni e culture differenti.

Nel primo secolo dopo Cristo, Roma era padrona di quasi tutti i porti più importanti del Mediterraneo.

Roma non era facile da governare, da repubblica diventò un impero per i continui problemi, ribellioni e crisi anche interne alla stessa classe dominante.

Quando l’impero diventò poco pratico, per la sua estrema grandezza geografica e diversità culturale, fu diviso in due parti, quello Orientale durò quasi mille anni di più di quello Occidentale, difficile dire se fu per differenze politiche o metodi divergenti, oppure per condizioni storiche e geografiche.

Il perché della caduta dell’impero d’occidente è da ricercare tra vari motivi: accoppiamento tra consanguinei della classe dirigente, impoverimento delle campagne, eccessive tasse e secondo alcuni storici anche bollendo le bevande in recipienti di piombo si praticava incoscientemente un’involontaria auto-sterilizzazione.

I barbari approfittarono della scarsa resistenza, esterna e interna, per invadere e dominare a più riprese quella che ancora non era chiamata Italia.

Costantinopoli, la piccola città dove Costantino era morto nel 337, era al suo massimo splendore, quando Roma fu semidistrutta dagli Unni nel 410 e poi nel 455.

Costantino aveva fatto convertire Roma dopo che per decenni avevano massacrato i cristiani nel Colosseo e proibito la propagazione della religione di Gesù.

 

Si dice che il difetto determinante della caduta dell’Impero Romano sia stata la mancanza di una religione, almeno fino ai tempi di Costantino, che vide questo vuoto e fece un’efficace operazione di marketing, scrivendo regole nuove e fondendole con fatti ed esempi provenienti da altre religioni e altre culture.

In sostanza ai romani mancava una filosofia valida, non seppero regolare la loro tendenza verso i piaceri della vita, con un senso di responsabilità efficace.

La romanità classica si orientava sulla filosofia greca e il suo merito principale ne è stata forse la diffusione a tutto l’impero, di aver sviluppato un linguaggio specialistico latino poi alla base della successiva filosofia del medioevo.

 

Sia Roma che la Cina si consideravano le migliori e pensavano di non avere bisogno di nessun altro.

L’impero Romano riuniva tante razze e culture, invece la Cina era una razza e una cultura assai più omogenea, almeno apparentemente.

Però Roma aveva un maggior dominio sulle sue conquiste, sulle varie lingue, culture e religioni.

La Cina è sorprendentemente rimasta compatta fino ai giorni nostri, rimanendo spesso e volentieri separata dagli altri, senza assorbire nozioni e senza volerle passare agli altri popoli.

Tra Roma e la Cina c’era un commercio fatto a staffetta, da mercato a mercato.

La Cina riceveva vetro dal Libano e dall’Egitto.

Da oriente la seta cinese veniva ad occidente come il bene più prezioso, ma il rabarbaro anche veniva da là e poi a loro modello si iniziò a coltivare le arance, che erano fonte di ricchezza e il cui legno era usato per gli archi per lanciare frecce.

Per molto tempo la Cina fu l’unico luogo dove si produceva e si lavorava la seta.

Naturalmente poi i bachi furono portati anche altrove, ma anche quando raggiunsero l’India, poi la Sicilia e la Francia, la qualità della lavorazione della seta sempre rimase a favore della Cina.

 

Uomo di famiglia aristocratica, ma di un ramo povero, nato in una provincia lontana nel 551 a.c., Confucio diventò professore a tempo pieno.

Ben presto, arrivò alla conclusione pratica che una vita terrena ben vissuta, era più importante di qualsiasi vita da raggiungersi dopo la morte.

Confucio credeva che i nobili dovessero governare in maniera saggia e umana.

Come la classe dominante Greca, nella stessa epoca, credeva più nella gerarchia che nell’uguaglianza.

Predicava cortesia, lealtà, umiltà e delicatezza; esaltava la saggezza degli anziani che avevano molto da insegnare ai giovani.

 

Nell’angolo sud-est del Mediterraneo gli ebrei ebbero sempre una cultura terrestre e spesso di pastorizia, la loro costa era di difficile attracco per le navi, per questo la loro storia crebbe tra le greggi.

La parola ebreo significa quello “quello che attraversa dall’altro lato”, infatti la loro storia è fatta di spostamenti forzati e non ebbero mai un luogo sicuro per stabilirsi.

Un passato fatto di schiavitù, deportazioni e massacri sviluppò particolarmente la loro intelligenza, a torto o a ragione, per timore o per invidia, forse per semplice mancanza di coesione, furono sempre disprezzati e scacciati dagli altri popoli.

L’attraversamento del Mar Rosso, degli ebrei fuggiti dall’Egitto e dalla schiavitù, è stato così spiegato dagli oceanografi: da queste parti, quando il vento soffia a 70 chilometri orari, per un minimo di dieci ore, il mare - che è già assai poco profondo - retrocede.

Il popolo ebreo è il più pignolo nel registrare successi e vittorie del loro passato, il più pieno di regole rigide, anche in attualità.

Nell’antichità, due secoli prima della nascita di Cristo ebbero un raro o unico caso di indipendenza durato 80 anni, interrotto poi dalla venuta dei Romani.

 

Cristo fu il primo che predicò l’uguaglianza degli esseri umani, che si preoccupò dei poveri e dei diseredati.

Il cristianesimo per quanto confuso e in costante trasformazione, era una religione molto aperta ai nuovi fedeli, bastava pentirsi e si era accettati.

In più Gesù si esprimeva a parabole, perché tutti, specie i poveri e gli ignoranti, potessero capire, ma il marketing diventò poderoso quando l’imperatore Costantino si convertì trascinandosi dietro un impero.

Gli ebrei aspettano ancora il messia, non riconobbero Gesù come tale.

Il calendario ebraico conta 12 o 13 mesi all’anno, di 30 o 29 giorni, calcola l’anno 2013 come anno 5773, cioè a partire dall’anno della creazione  secondo la Bibbia nel 3760 a.c.

 

Scoprii col tempo che Italo non guardava la televisione, non aveva un computer, sapeva appena che cosa era l’internet, leggeva molto e aveva un tipo di cultura magari un po’ fuori moda, ma a 360 gradi.

La sua maniera di vedere il mondo era farcita di cose che anch’io apprezzavo, ma dimenticate dai più.

Mi prestò libri interessanti, che riuscirono ad entusiasmarmi, ne parlavamo e ne discutevamo animatamente, facendo a turno l’avvocato del diavolo, giacché le nostre opinioni erano troppo simili.

I miei li conosceva già tutti o quasi, stranamente gli era sfuggito ‘Allegro ma non troppo’ di Carlo M.Cipolla e non apprezzava, certo quanto me, il Simenon di Maigret, o i gialli in generale.

Rimasi subito colpito da come maneggiava i libri, se li rigirava in mano in una maniera che ne capii subito l’affetto, il piacere fisico che ne riceveva solo al tatto.

Italo non aveva avuto altri amici che quelli.

Tranquillizzatosi definitivamente sul mio conto, non essendo ancora riuscito ad intaccare la mia suscettibilità, veniva quasi ogni sera a trovarmi.

Una volta iniziato a esprimersi con calma, Italo Tedeschi era già un’altra persona, molto più gradevole, cominciò anche a essere quasi affascinante, con la sua personale maniera di parlare e di ascoltare, quasi come se fossero la stessa cosa.

Ora assomigliava di più a Paco De Pachis, anche se non gliel’ho mai detto per paura d’innervosirlo.

Intanto eravamo diventati tutti e due NO SUV, io per aver ereditato il Tesoro dei Templari e Italo d’inerzia, diciamo automaticamente.

L’oca del gioco, che veniva sempre citata nel programma radiofonico “Chi ha rotto le scatole cinesi?” secondo Italo era il momento del biscaro, cioè quando la nostra disattenzione, in determinati momenti sbagliati della nostra vita, poteva diventare fatale se non letale. Lui di queste cose se ne intendeva. A proposito, abbiamo appena cambiato nome, su suggerimento del mai troppo compianto Orazio Buonasera, in codice Good Evening, ora siamo i NO SUV.

 

 

 

Nei rari momenti di lucidità mamma chiede perdono per offese verbali e materiali, ci fa fare qualche risata e lei stessa ride contenta, specialmente la mattina quando si sveglia e non si ricorda ancora in che condizioni sta vivendo da un po' di tempo a questa parte. Dichiara e ripete che il suo sogno è di andare alle Terme di Caracalla, da tanti anni ha questo obbiettivo che non si è mai potuto realizzare per una serie di coincidenze, poi è arrivata la malattia, di tante o quasi tutte le cose si è dimenticata, ma di questa no.

Dopo ripetute domande, seguite non sempre da risposte, eventualmente poco coerenti, abbiamo inteso però che lei vorrebbe recarcisi per fare dei bagni terapeutici, ma sono un po' lontanucci per una che non cammina e non connette più se non raramente o quasi per caso. Quelle terme da tempo immemore non sono più funzionanti e sono una specie di località storica da visitare, pagando anche il biglietto.

Ci sorprendiamo a pensare un po' troppo spesso alla fine della nostra vita, oltre all'impotenza di cui siamo protagonisti ogni giorno sulla terra, forse senza rendercene conto che in determinate occasioni, come questa, per esempio. Un'infermiera che riflette ricorrentemente sulla morte è più che normale, la scura e sensazionalista falciatrice la frequenta costantemente ogni giorno sul lavoro, ma io non ci avevo mai pensato troppo, almeno finora. È un argomento interessante, lo ammetto, non tanto complesso quanto l'esistenza, ma meno semplice di quello che si pensi.

Che cosa tiene in vita mia madre ora che non ne ha più alcun piacere, se non il caldo rassicurante del suo letto, o il sapore di una pappetta centrifugata? Tra poco anche quest'ultimo le sarà negato oltretutto, si paventa già  l'uso della sonda, dalla quale passerà sotto forma di liquido tutto quello che ingerirà.

Trai libri che mi hanno portato i vicini sto leggendo “Piccoli suicidi tra amici” del finlandese Arto Paasilinna, che mi piace parecchio, sia perché non prende tanto sul serio la morte, sia perché in Italia i suicidi all'anno sono ormai intorno ai 4000, quindi si comincia o si dovrebbe cominciare a considerare di più quest'esercito poco casuale, un fenomeno da studiare piuttosto, magari pure nelle sue cause e se ci sono, anche delle responsabilità. Secondo me e lo scrittore finlandese ci sono.

I due protagonisti principali, casualmente trovatisi a suicidarsi nello stesso fienile, trovano nuovi spunti e stimoli per vivere e suggeriscono ai suicidi di unirsi. Sia per morire insieme che eventualmente per ricominciare una vita differente e per quanto possibile migliore.

Difficilmente ci si suicida per mancanza di salute, più facilmente mancano lavoro, soldi, compagnia e amore. Insomma un senso per vivere, un qualcosa con cui e per cui mantenersi occupati. Mi pare buffo che chi fisicamente ha la salute dalla sua parte si tolga la vita, mentre mamma che non ha più la forza di stare al mondo, non vuole a nessun costo lasciarlo.

 

 

“Chi ha rotto le scatole cinesi?” Comunicato Toscana Nord delle 20 e 30, 13 marzo 2020

 

Pare che Italo Tedeschi e Ghino Barsali abbiano aderito solo in vecchiaia, ma hanno avuto anche meriti non indifferenti, all’interno dei NO SUV, non solo a livello di strategia e di pianificazione. Il movimento cerca personale volontario e interessato alle idee ma soprattuto alla pratica contro il terrorismo dei MEDIA, al servizio dei monopolizzatori di potere.

Tante testimonianze insistono del chiedere invece di rispondere. Questa non è una storia sola, sono tante storie allacciate, forse non del tutto vere o anche parzialmente false, che magari non spiegano, ma potrebbero far capire, a chi ci riuscisse, come va il mondo moderno, cosa ha indotto ad accomunare i desideri e i propositi della gente, come questi progetti o fughe dalla realtà che siano, o che possano essere considerati.

I Templari qui uniti ci tengono a far sapere che non sono Massoni, si sono uniti per arrivare a quello che è stato il movimento, forse unico nel loro genere, poi imitato e a addirittura combattuto da coloro che dicevano di essere stati i primi, i NO FAKE NEWS. Stiamo ancora come sempre inseguendo la verità, cioè l’oca del gioco. Il gioco dell’oca che ci obbliga a girare intorno a spirale, ci avviciniamo e ci allontaniamo dal centro, ma più si gira e più ci si approssima a questo punto ipotetico, cioè la verità. Una volta capito il meccanismo si muore e il gioco ricomincia, ma con altri partecipanti. Così è la vita, la morte ne fa parte integrante, il mondo è pieno di ossa sepolte, è un cimiterone che gira.

 

L’Italia è un paese tanto intelligente che alla fine risulta praticamente idiota, d’accordo, ma non completamente inutile o totalmente dannoso, al contrario di quello che molti hanno detto. Potrebbe tranquillamente servire da esempio se non da guida per altri paesi pseudo-intellettuali e stupidi, che non sono pochi, oppure anche da guida, se non da esempio, per non diventare un paese raffinatamente cretino, per paesi meno sottilmente scemi e addirittura per quelli apparentemente rozzi ma intelligenti, fino al punto di diventare efficaci, se un giorno se ne venissero a creare. Tutto è possibile.

Remo Cacciatori (bloggher, facebooker e twitter)

 Personalità miste, pluriartigiani terrestri per ora

 

“Il Parmigiano Reggiano racchiude in sé un viaggio unico e straordinario lungo nove secoli, che si compie ancora oggi negli stessi luoghi con la stessa tecnica. Le origini del Parmigiano Reggiano risalgono al Medioevo e vengono generalmente collocate attorno al XII secolo. Presso i monasteri benedettini e cistercensi di Parma di Reggio Emilia comparvero i primi caselli: grazie all’abbondanza di corsi d’acqua e di ampi pascoli, ben presto in questa zona circoscritta dell’Emilia si diffuse la produzione di un formaggio a pasta dura, ottenuto attraverso la lavorazione del latte in ampie caldaie.” Dice Brenno, proprietario e gestore dell'alimentari omonimo, guardando fuori dalla finestra la neve che cade a grandi fiocchi.

“Ma come facevate nella Pampa?” Chiede Marsilio.

“Non era facile. C'hai ragione. Ci abbiamo anche provato a vivere fuori dall'Italia, noi, ma all'estero mangiarsi fottute quantità di parmigiano non è economicamente conveniente. Qui in Toscana si potrebbe star meglio, ma anche peggio. L'Emilia Romagna per me è il formaggesco paradiso in terra.”

“Effettivamente...” Dice Delia, la sua signora da dietro il banco.

“Eh sì.”Conclude Marsilio che segue attentamente ogni fetta di salame che cade dall'affettatrice sul piattino.

Un po' di silenzio, con un lontano fischiare di vento. Brenno rabbrividisce un po' e continua:

“A livello di storia personale, se penso un po' a come stiamo vivendo, mi sembra di essere nella migliore epoca della mia vita.”

Marsilio lo guarda, si mordicchia un'unghia e dice:

“Ah sì? Sei l'unica persona che conosco che la pensa così.”

“Geograficamente parlando, invece, per tutto quello che ci circonda, distinguo e confesso che il passato mi pare assai migliore del presente, come pure del futuro. Non posso dire di conoscere a fondo nessuno dei tre, sono insondabili per tutti, ho ragione di credere, ma il passato mi pare leggermente più familiare, meno ostile.”

“Beh...” Dice Marsilio guardando ammirato i salami appesi.

Brenno segna sul quadernetto, Marsilio saluta con la mano ed esce coi suoi due etti di toscano dai grandi occhi e mezzo chilo di pane cotto a legna, probabilmente suo pranzo e cena, il fiasco del vino lo aveva comprato due giorni prima.

Delia sospira. Con il freddo e la neve i clienti si rarefanno, ma poi quando arrivano c'hanno una fame della madonna.

“Un condensato di bei ricordi mi cola giù nella memoria senza che io possa o voglia fermarlo, ma non appiccica per niente, anzi mi sembra più onesto e leale, addirittura più reale. Una volta, quando eravamo in Argentina praticavo l'autopsicologia scrivendo semplicemente quello che mi veniva in mente, quando lo rileggevo mi stupivo, ma l'avevo indiscutibilmente scritto io e poi agivo di conseguenza.” Dice Brenno.

Delia alza gli occhi al cielo e commenta mentre scopre e spazza con scopa di saggina ragnatele in alto sul frigo grande a vetrina:

“Fare il salumier-scrittor-giornalista non è facile. Anche perché il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, ma è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti.”

“Bella! Una tua frase?”

“No, di Umberto Eco.”

“Ah, bravo lui, mi garbava.”

“Sì...”

Lei sparge la segatura in terra da un sacco e poi si accende un'altra sigaretta senza filtro, tossisce. E lui continua:

“Il guaio è che se mi siedo al computer, appena poso il culo sulla sedia parto con una serie di congetture che in poco tempo si trasformano e diventano confetture, ho provato a scrivere in piedi ma non funziona, il miele straripa da tutte le parti, è un miele ipocrita, dolce ma velenoso.”

Là dentro è abbastanza calduccio, ma quando si fuma bisogna aprire la finestra, dopo una boccata di fumo lei interviene:

“Beh... comunque da una parte diventi più malizioso, colla maggiore esperienza data dal tempo, dall'altra la tua ingenuità perduta t'impedisce di abbandonarti alle situazioni. Se diventi istintivamente più guardingo assapori meno le gioie, come anche soffri meno dolori. Quando il passato non vuole passare, forse per via della sua perduta spontaneità, è lecito considerare che si stesse meglio assai quando si stava peggio, ma perché non ce ne rendevamo conto? L'inesorabile legge del tempo e dello spazio non ce lo permetteva?

No, no, parla per te, per quanto mi riguarda io - forse anche rimanendo più lenta, sempre un po' di più di tutti gli altri - mi sono accorta della sua bellezza a tempo debito, anzi, mi rendo conto di quello che c'è di buono anche ora. Magari oggi devo scavare di più.

Per esempio, ultimamente ho scoperto che passo più tempo a cercare in giro i libri che a leggerli, e questo all'inizio mi ha un po' irritata, poi mi ha fatto sentire romantica, ho scoperto di essere, a modo mio, ancora una sognatrice a cinquantanove anni e mezzo.

Sto forse cercando quell'emozione che i bei libri mi davano una volta? Probabilmente non erano i libri a essere migliori, ero io che mi sprofondavo in quei mondi paralleli, che mi ci tuffavo dentro e mi scordavo di tutto il resto. Insomma ero io che ero troppo diversa da come sono ora, e da come credo di essere. Forse né peggio né meglio dell'attuale vivente qui scomodamente appoggiata col culo sulla vecchia sedia. I sessanta sono lì dietro l'angolo, anche se è solo una roba psicologica, forse ho sentito di più i trenta, almeno mi pare. Si tratta solo di numeri, comunque sia, quindi entità astratte per me. Le statistiche non le prendo sul serio, ma su cinquanta che inizio me ne garba uno, di libri, cinque sono passabili e li lascio a metà, e 44 - come i gatti della canzoncina che vinse lo Zecchino d'oro - li boccio ai primi cinque minuti di lettura. Chi sono io che posso giudicare l'altrui letteratura, dopo che la mia è stata sistematicamente bocciata da tutta l'editoria contattata? Forse è proprio questo che me ne da' il diritto, nessuno mi può giudicare, come diceva Caterina Caselli, nemmeno tu, aggiungeva subito dopo, ma era una specie di forma impersonale, come per dire proprio nessuno.”

“Hai proprio ragione! Guarda: io scrivo quel che fottuto cazzo mi pare, se cambio non è certo per seguire la corrente! Lo so che sto ancora cercando la maniera migliore per vivere, non me ne vergogno affatto! Anzi questa è la sostanziale differenza che mi separa e unisce a tanti altri che continuano alla stessa maniera da tempo immemorabile, e forse fanno meno fatica a chiedersi se stanno bene o male, se possono migliorare, se stanno sbagliando o se sono sulla giusta strada, ma così rifiutano come sempre la possibilità, per me troppo importante, di cambiare marcia, o idea, o addirittura il fottuto personaggio in cerca di autore che ci siamo cuciti addosso, spesso senza scegliere, solo copiando la realtà degli altri, intorno a noi.

Confesso che non so ancora chi sono, anche se ogni tanto me lo chiedo, è di questo che magari mi vergogno. Non so ancora come voglio essere da grande, anzi forse non lo diventerò mai, un adulto nel vero senso della parola, non so che cosa significhi in pratica e neanche ne sento la mancanza, nemmeno in teoria.”

“Beh, ti dirò: effettivamente la stupidità degli altri mi affascina ma preferisco la mia.”

“Questa me la voglio segnare, chi l'ha detto?”

“Eh?”

“Questa frase è tua o di qualcun'altro?”

“Ah, di Ennio Flaiano.

E comunque l’unica cosa certa è che non esiste nessuna certezza. Te lo dico io. Non ci sarebbe bisogno di dirlo. Quando ci preoccupiamo per qualcosa, crediamo che, in questo modo, riusciremo a prevenire circostanze spiacevoli che potrebbero presentarsi nella nostra vita. Il problema, però, è che finiamo per diventare ossessionati dalla certezza. Questo provoca incertezza in dosi cavalline, se non elefantine.”

“Brava, e pure Flaiano è tosto assai. È ancora vivo?”

“Nooo...”

“Come! È morto?”

“Già.”

“E da quando?”

“Dal 1972.”

“Madonna mia...”

“Quasi una cinquantina d'anni fa.”

“Il tempo passa.” Dichiara Brenno rassegnato.

“Effettivamente, amico caro, da tempo hanno inventato le automobili col cambio automatico, la gente invece non ha ancora capito se e quando sarebbe utile cambiare marcia. Conosco esseri umani che vanno a 100 all'ora in seconda, altri che pretendono di affrontare le salite ripide in quarta. Quanto spreco di energia e di benzina, senza contare che anche gli ingranaggi soffrono e si possono rompere.”

“Eh sì. Hai proprio una fottuta ragione.”

Lei si gratta un po' sotto il mento, poi comincia a contare le lattine di tonno. Il marito intanto, in piedi appoggiato al bancone, rilegge i suoi ultimi pensieri scritti su un quaderno un po' sporco, ogni tanto fa delle correzioni, aggiunge qualcosa e toglie qualcos'altro, o anche quello che aveva appena aggiunto:

“A proposito: se avete un cane nella vostra vita, possedete un autentico tesoro ambulante e peloso. Personalmente abbiamo otto tesori che sporcano un po', è vero, ci tengono alla loro continuata ed esasperata confusione, ma senza non potremmo vivere. Chi ha un cagnolone possiede un vero e proprio esempio di vita. Tecnicamente non ho famiglia, perché non ho e non voglio figli. Fortuna o sfortuna? Dicono che i miei stessi vestiti siano maleodoranti, può darsi, è stata la mia fottuta storia personale che ha deciso per loro. Esco di rado la sera, ma ogni tanto me ne vado al Circolo dei Dissidenti di Viareggio, (la città più vicina, a sei chilometri da qui,) per vari motivi, tra cui un certo qual arricchimento culturale, ma soprattutto sociale e antropologico. Sono un dissidente anch'io e questo non me lo possono contestare, anche se ci provano più o meno spesso.

Mia moglie, laureata in filosofia a Cordoba, ha una sua teoria, assai difficile da dimostrare, quella secondo la quale si possa meglio far comprendere la verità attraverso la bugia. O anche l'intelligenza attraverso la stupidità.

Intanto io ho deciso di stilare un esempio pratico e lineare, per quanto improbabile, del perché insisto ancora nell'andarci, al circolino. L'ho fatto per poter rispondere alle critiche degli amici del mio paese, Camaiore, i quali sono invece piuttosto a favore di tutto, ma stranamente non a questo semplice fatto e opinano piuttosto il contrario, o meglio un ventaglio completo di pareri contrari.

Tutti i dissidenti del circolo di Viareggio pensano cose differenti, oppure le stesse mascherate, il risultato, prendendo un argomento a piacere, è più o meno simile. Pensano di essere liberi pensatori, ma io ho dubbi su entrambe le definizioni. Allora gli ho fatto uno scherzetto, essendo una specie di saltuario giornalista free-lance gli ho detto che volevo intervistarli, per redigere un documento socialmente fruibile da pubblicare su qualche rivista o quotidiano, che loro si stavano già scervellando per capire quale. Sapevo di provocare un'eruzione di lava incandescente di pareri e contropareri e certo non ignorando che anche loro, più o meno di nascosto, scrivono, alcuni celati dietro pseudonimi. I commenti più comuni, in termini di percentuali sono stati sorprendenti, ma non per me, hanno tirato fuori degli stereotipi incredibili, non li credevo capaci di tanta arretrata concezione nelle situazioni in questione, quindi anche nelle altre, più o meno fondamentali. Oltre i temi più comuni, come lavoro, occupazione, crisi, inquinamento, emigrazione, terrorismo e sistema monetario, sui quali si sono espressi con un mucchio di luoghi comuni fritti e rifritti con l'olio vecchio, l'arte in genere e in particolare la letteratura dovrebbe essere stati un argomento apparentemente innocuo per loro, anche se il libro è un UFO per la maggior parte della gente, non si legge nemmeno minacciati da un'arma, però tutti vogliono scrivere.  

Eppure o proprio per questo lo scrittore, quello mitologico, il vero artista, è un marziano in terra.

Questo è l'argomento che ho lanciato, come una bomba in mezzo ai dissidenti sorpresi, ma lieti che qualcuno avesse rotto finalmente quella bonaccia senza alcun movimento degli ultimi mesi. Constatando che lo stesso fenomeno poi capita con ogni tipo di arte, diventata anche quest'ultima un mercato, dove l'unica cosa che conta sono i soldi, quindi il potere. Appartenere alla categoria dei giornalisti è anche vergognoso, almeno in Italia, ma scegliendo a chi dare le notizie, qualche volta interviste quasi scottanti, un po' mi salvo, almeno nella mia stessa concezione e poi quello che scrivo non si allinea con interessi di grandi o piccoli, se non con il mio, indipendente da partiti e lobbies.

Vengo spesso accusato di allontanarmi dal punto essenziale della questione, anche e soprattutto da mia moglie Delia, rispondo a tutti che lo faccio di fottuto proposito, ci vuole un contorno di leggerezza anche per le cose pesanti, secondo me. Comunque qualsiasi cosa io scriva non prendetela sul serio, ve lo sconsiglio proprio. Questo condensato di interviste a decine di persone che si reputano spesso l'una l'opposta dell'altra hanno dato risultati fin troppo simili, non ho usato gli argomenti più classici dell'attualità, perché proprio da quelli che se ne discostano si capisce meglio il problema, se proprio di problema si tratta, ma non credo.

 

Lo scrittore una volta portava sempre gli occhiali e non si pettinava mai. Oggi suo malgrado è diventato un radical-chic e quindi qualsiasi cosa si metta e ogni pettinatura che adotti, pensa principalmente al marketing e si specchia più volte, fa delle prove prima di uscire. Per una metà del suo tempo, era arrabbiato contro tutto; per l'altra, era depresso. Oggi mostra una saggezza e una distanza dalle cose terrene alla quale gli piacerebbe di credere, ma non ci crede e purtroppo si vede. Trascorreva la vita al bar, discutendo con altri scrittori che portavano gli occhiali ed erano sempre spettinati. Oggi interviene al massimo a qualche dibattito, difficilmente si pronuncia e viene giudicato intelligente e saggio dal suo sguardo che cerca di mantenere pratico e sognante allo stesso tempo. Parlava in maniera difficile. Al giorno d’oggi se deve proprio parlare, usa parole semplici e giri di frasi a spirale che non dicono niente ma sembra che dicano tutto. È diventato una specie di politico moderno ma odia la politica moderna, assomiglia a certi presentatori televisivi di programmi alternativi o che si fingono tali, che detesta visceralmente.

 

 

La stupidità deriva dall’avere una risposta per ogni cosa. La saggezza deriva dall’avere una domanda per ogni cosa.


Milan Kundera

 

I dissidenti in questione si suppone che siano anche degli intellettuali, o sedicenti tali, sebbene atavicamente detestino l'espressione. Quello che hanno in comune, sempre a loro dire, è il fatto di ragionare con il proprio fottuto cervello, a costo di andare contro le mode e quindi contro tutti gli altri cittadini del mondo e perciò di Camaiore e Viareggio inclusi. Credono di essere persone emotivamente intelligenti e su questo ho i miei dubbi, già a partire dalla mia stessa persona, beninteso, o dalla mia compagna. Fare autocritica è fondamentale, secondo me e mia moglie Delia, anche non esagerare però è buono e giusto. Noi non lo sappiamo se esageriamo, ovviamente, ma crediamo che l'essere umano sia esagerato per indole, per giocoforza, per via del mondo che funziona in una determinata maniera a oltranza. Secondo me i dissidenti e i non dissidenti si assomigliano troppo, sotto la facciata e il personaggio che si sono costruiti attorno, forse solo per nascondersi e segretamente assomigliarsi, comunque non per seguire il proprio ragionamento, che sarebbe veramente scomodo, secondo il loro stile di vita. Insomma l'istinto di imitazione è seguito più di ogni altro, anche se non ce ne rendiamo conto.

Tutti parlano d' intelligenza, i test d'intelligenza sono tanti o forse troppi, ma la stupidità non è ugualmente studiata e forse ce ne sarebbe bisogno, visto che si presenta in molteplici maniere, un po' come il diavolo, si diceva una volta, sotto varie forme per ingannare meglio e di più. La circonvenzione d'incapace ormai è una mitragliatrice che spara intorno a 360 gradi. Non si capisce nemmeno più chi sono gli incapaci e quali i carnefici.

 

La cosa seccante di questo mondo è che gli imbecilli sono sicuri di sé, mentre le persone intelligenti sono piene di dubbi.


Bertrand Russell

 

L'intelligenza pura non sempre aiuta a vivere, anzi, può disturbare chi tenti di integrarsi agli altri, o solo di starsene in pace a farsi i fatti suoi. Mia moglie Delia non ha formato la sua filosofia dietro il banco di un alimentari e dice che una persona emotivamente intelligente è quella che possiede la capacità di manovrare in maniera efficace i propri sentimenti e rispettare quelli degli altri, però. Le persone emotivamente intelligenti seguono una serie di abitudini e di comportamenti che contribuiscono alla loro capacità di gestire le proprie emozioni e di comprendere i sentimenti degli altri. Cioè un ventaglio di opzioni contrarie a quello che fanno e non fanno loro, perché pur astenendosi da determinate azioni, provocano con il loro non fare, reazioni anche peggiori di chi eventualmente nelle stesse agisse in qualche maniera.

 

L’intelligente ama istruirsi, lo stupido istruire.


Anton Lecho

 

Curiosamente il prode Arcangelo Gommini, capo indiscusso dei dissidenti, ha un difetto di pronuncia e dice piuttosto diffidenti, il che curiosamente è anche incontestabile e parallelo, sebbene chiunque là dentro quell'antro fumoso sarebbe portato a contestarlo. Il Gommini ha anche una leggera sindrome di La Tourette, per cui la sua frase più famosa è : “Ti pigliasse la filossera al culo!” (Che poi diventa “Ti pigliaffe la filoffera ...”)

Gli altri sono lo specchio di noi stessi, dice Buber, ma ci sono persone che sebbene si specchino di continuo non vedono alcuna immagine metaforica, né scorgono alcun disegno divino davanti ai loro occhi. Intanto, mentre non ci pensano, fingono a oltranza.

Mia moglie Delia, con la quale tecnicamente non sono sposato, (ma potrei benissimo anche esserlo, che a tutti e due non ce ne frega niente,) dice che l’autocoscienza consiste nella capacità di riconoscere gli stati d’animo, le emozioni e i sentimenti. Parte dell’autocoscienza implica anche l’essere coscienti su come gli stati d’animo influiscono sulle altre persone. Questa capacità di controllare i propri stati emotivi è un requisito basico per l’intelligenza emotiva. L’empatia implica la fottuta capacità di comprendere le emozioni delle altre persone. Con lo scopo di interagire con gli altri in molteplici aspetti della vita, come al lavoro o a scuola, le persone emotivamente intelligenti sono capaci di sapere quello che sentono gli altri. Tutti. Se un collega di lavoro è infastidito o frustrato, sapendo cosa prova, lo si può aiutare. O viceversa.

Alla maggior parte delle persone che noi conosciamo non gliene frega niente di tutto questo. Pensano di promuoversi con la prepotenza, o semplicemente arrufianarsi ai prepotenti maggiori e chi non lo facesse nella vita sarà irrimediabilmente destinato a soccombere. Chi disprezza il potere, spesso è perché non riesce a raggiungerlo. Spero proprio che questo non sia anche il mio caso.

Tutti loro vorrebbero essere dei leader, questo è il punto, intanto a me e Delia non ce ne frega nulla, anzi ne abbiamo un automatico quanto sacro terrore.

Non lo dicono apertamente, ma secondo loro l’autoregolazione è assolutamente fondamentale, la comprensione delle proprie emozioni è grande da parte delle persone emotivamente intelligenti, ma non è particolarmente utile se non si può fare uso di questa conoscenza. Per questo, le persone emotivamente intelligenti pensano, prima di agire, riguardo ai loro sentimenti. Queste persone sono in sintonia con quello che sentono, ma non permettono alle proprie emozioni di regolare le loro vite.

Ecco come essere falsi motivati da sani principi e come promuoversi in nome di un ragionamento che è l'apologia del successo, appoggiato da un'ipocrisia camuffata da razionalità.

“Le persone emotivamente intelligenti si sentono motivate per raggiungere le loro mete e sono capaci di maneggiare i loro comportamenti e i loro sentimenti con l’obbiettivo di raggiungere il successo duraturo.”

Il successo è una forma di potere, come una grossa di parmigiano reggiano da cinquanta chili, insomma una specie di denaro liquido, per loro. Quello duraturo è come un posto fisso con il relativo alto salario.

“Potranno anche essere nervose quando dovranno apportare dei cambiamenti alle loro vite, ma sanno che gestire questa fottuta paura è importante. Quando realizzano un cambiamento, sanno che possono migliorare le loro vite e questo permette loro di essere sempre un passo più vicine al raggiungimento dei loro obbiettivi.

Le persone emotivamente intelligenti solitamente tendono anche ad avere fottute quanto grandi abilità sociali. Probabilmente, questo è dovuto, almeno in parte, al loro saper essere in sintonia con i propri sentimenti, così come con quelli degli altri. Sanno come comportarsi con le persone in maniera efficace, sanno mantenere salutari relazioni sociali e aiutano chi le circonda ad avere successo.

Oltre ad essere capaci di parlare dei loro sentimenti in pubblico, sono anche disposte a farlo. Perché a volte le persone sono empatiche e in sintonia con le loro emozioni, ma lottano per non condividere quei sentimenti con gli altri. Tuttavia, le persone emotivamente intelligenti, non solo capiscono i sentimenti, ma sanno anche esprimerli adeguatamente e, inoltre, lo fanno.

Le persone emotivamente intelligenti sono capaci di vedere la situazione e identificare la vera fonte dei loro sentimenti. Inizialmente questo può sembrare semplice, ma in realtà non lo è, perché la vita emotiva è complicata. Localizzare la fonte esatta dei sentimenti può essere particolarmente difficile in casi relazionati ad emozioni forti, come l’amore o l’ira. Migliorare l’intelligenza emotiva è un processo che richiede lavoro,ma che è possibile. Anzi, per meglio dire, è necessario se si vuole migliorare a livello personale e se si vogliono migliorare le relazioni con gli altri. Tutti.”

 

La stupidità è la risorsa meglio distribuita. Nessuno si è mai lamentato di averne avuto meno degli altri.

Albert Einstein

 

I dissidenti-diffidenti non fanno certo eccezione, e se hanno una facciata del genere è proprio per distinguersi, ma alla fine, sotto-sotto, sono simili agli altri. L'intellettuale sembra diverso ma rappresenta in togliere il popolo, che invece aggiunge sempre, gli pare più conveniente. L'intellettuale ne riflette le esigenze e le tendenze, è il loro corrispondente negativo fotografico, anche se vuole differenziarsi ne è schiavo e quindi si maschera nel suo stesso contrario, approssimativamente. Qualsiasi cosa io abbia scritto non me ne sento responsabile, voi pensateci ma senza indugiarci troppo. La vita è complicata, la morte è molto più semplice. In sintesi niente è troppo stupido per gli occhi del filosofo, ma fate attenzione che il filosofo potrebbe anche essere lui stesso uno stupido.

Delia e Brenno cenano nel retro del negozio, saliti in camera lei legge il manoscritto ad alta voce mentre lui lo ricopia al computer. Alla fine sospira a più riprese e lui le chiede:

“Ti è garbato?”

“No.”

“Ma l'hai capito che è uno spaccato della società rurale moderna a confronto con quella cittadina...”

“Sei te che non hai capito che i tuoi spaccati hanno spaccato le palle a tutti, quei pochi che li hanno letti, o magari ci hanno solo provato...”

“No, e chi lo ha detto? E poi perché mai?”

“Parli solo dei dettagli infimi e non tiri mai fuori le cose importanti.”

“Questo è quello che mi dici da sempre...”

“Te lo dico e te lo ripeto perché intanto te non ti sei mai smosso di un millimetro, da quando scrivi hai sempre tralasciato le cose importanti e hai sempre dilagato nei particolari insignificanti, allora mi chiedo e ti chiedo: chi se ne frega di quei quattro rincoglioniti del Circolo?”

“Per me sono importanti perché la gente è sempre più rincoglionita e loro quindi la rappresentano bene.”

“Appunto perché è rincoglionita che non si accorge di esserlo, e comunque istintivamente non vuole vedere la propria condizione, ma piuttosto evadere. Qualche punto di vista che consenta una correzione, eventualmente. E poi chi se ne frega degli scrittori e della letteratura? Non lo sai quanta è poca la gente che segue queste cose astratte?”

“Lo dici te. Gli scrittori sono fottutamente necessari, come gli intellettuali per coscientizzare la gente, sennò chi può suggerire come si devono comportare efficacemente?”

“Proprio nessuno, effettivamente - forse - una volta era così, ora gli intellettuali e gli scrittori sono razze in estinzione, perché la gente non crede più a niente se non ai soldi e al potere, il bello è bello perché costa dei soldi, sennò fa schifo.”

“Ma il fottuto bello è che devono mangiare tutti.”

“E allora?”

“Da qui devono passare.”

“Beh...”

Detto fatto entra il secondo cliente della mattinata. Meglio: sono in due.

 

 

Dalla rivista on-line Insideover

 

11 MARZO 2020

 

Come vi abbiamo già raccontato lo scorso venerdì, sta per iniziare Defender Europe 2020, la più grande esercitazione militare in 25 anni su suolo europeo e la terza dai tempi della Guerra Fredda.

Le manovre, che avranno inizio tra la fine di marzo e l’inizio di aprile e si concluderanno a giugno, vedranno partecipare 18 nazioni, tra cui, oltre agli Stati Uniti, che dispiegheranno il contingente più numeroso, Regno Unito, Polonia, Germania, Italia e Paesi Baltici, solo per citare i maggiori.

In particolare si prevede che la totalità delle truppe coinvolte ammonterà a 37mila unità con una larga preponderanza di soldati americani. Saranno 20mila infatti, con altrettanti pezzi di equipaggiamento, compresi 6mila facenti parte della Guardia Nazionale e 900 della Riserva. Lo scopo è quello di ridispiegare una forza “credibile” della grandezza di una divisione dagli Stati Uniti all’Europa.

L’esercitazione, come abbiamo già detto, terminerà a giugno e sarà messa in atto in sei Paesi europei: Belgio, Olanda, Germania, Polonia, Lituania, Estonia e Lettonia. Dove si sono registrati, in queste ultime settimane, casi di contagio e diffusione del coronavirus Covid-19.

La concomitanza dei due eventi ha scatenato una ridda di teorie complottiste partendo dalla considerazione (errata come vedremo) che i due eventi, il virus e l’esercitazione, siano collegati. La tesi che va per la maggiore è quella di una “invasione Usa” per controllare l’Europa con la scusa dell’epidemia, che apre la possibilità, quindi, che i soldati americani siano già vaccinati. Un’altra, che prende le mosse dalla precedente, è quella che ritiene Covid-19 un’arma batteriologica made in Usa per mettere in ginocchio la Cina.

 

I soldati americani sono quindi già vaccinati? No, anzi, il comando europeo dell’Us Army ha riferito, come anche riportato su Formiche.net, che “sta monitorando da vicino Covid-19 e sta lavorando diligentemente con i funzionari delle nazioni ospitanti mentre prosegue l’esecuzione di Defender Europe 20. Per ora il virus non ha influito sull’esecuzione dell’esercitazione”, mentre è “costante” il confronto con le autorità sanitarie dei vari Paesi su cui le truppe si stanno muovendo. “Abbiamo piani di assistenza sanitaria e medica per identificare eventuali carenze che potremmo avere e stiamo affrontando tali carenze e requisiti con ogni singola nazione ospitante”, ha concluso Andrew Rohling, generale dell’esercito Usa e vicecomandante delle forze americane in Europa dal primo agosto scorso.

Se non fosse ancora abbastanza chiara la preoccupazione per l’epidemia arrivano le parole dello stesso segretario generale della Nato Jens Stoltenberg che ha affermato che l’Alleanza ha stabilito piani di contingenza in caso di un significativo scoppio del virus, ma che per il momento l’esercitazione prosegue come da piani prestabiliti.

“Stiamo chiaramente monitorando e seguendo la situazione molto da vicino perché potenzialmente potrebbe avere conseguenza anche per la Nato” ha detto il segretario durante un’intervista a Zagabria mentre si stava tenendo il vertice dei ministri della Difesa europei. “Non prevediamo di cancellare l’esercitazione, ma questo lo stabiliremo durante il corso degli eventi. Siamo pronti per aumentare gli sforzi e le misure preventive che stiamo già implementando” ha concluso Stoltenberg.

Non si capisce poi perché Defender Europe 2020 preoccupi di più rispetto a Covid-19, ma anche rispetto ad altre manovre militari che sono attualmente in atto in Europa o in Italia e che vedono la presenza di contingenti dei Paesi Nato e degli Stati Uniti anche abbastanza numerosi. Pensiamo infatti a Dynamic Manta, esercitazione navale che si sta tenendo in Italia a cui partecipano 10 nazioni, oppure Cold Response 2020, che si sta tenendo nel nord della Norvegia e vede la partecipazione di 16mila uomini (di cui 7500 americani) di Regno Unito, Norvegia e Finlandia, impegnati in sedici giorni di manovre terrestri e anfibie.

Certo, possiamo pensare, questa volta giustamente, che un così grande numero di uomini impegnati su così tanti fronti – quelle riportate non sono le uniche esercitazione che si stanno tenendo o si terranno a breve in Europa – sia comunque un rischio sanitario perché potrebbero aiutare a diffondere ulteriormente l’epidemia. Ma questa considerazione, l’unica sensata, non rientra nelle corde dei complottisti.

 

 

 

“Chi ha rotto le scatole cinesi?” Comunicato Toscana Nord delle 21 e 30 del 20 marzo 2020

 

Musica “The Myths and Legends of King Arthur and the Knights of the Round Table” di Rick Wakeman

 

Le bottiglie invecchiate e incrostate e i quadri famosi per cui è morto Orazio Buonasera venivano dai sotterranei della villa Caproncini, a Pioppeta. Come ci siamo arrivati? La terra e le incrostazioni suggeriscono un tipo di terreno e di cantina che Brenno conosceva. Il discorso poi che la famiglia Bottazzi sia di origine e magari attualità templare è da analizzare. Brenno è uno studioso un po’ di tutte le cose che esistono, specialmente di quelle che possono avere a che fare con la gastronomia, e mangia anche parecchio, ma il suo movimento di cervello e poi anche di gambe non lo fanno diventare grasso come altrimenti già sarebbe. Non si fa mai i cavoli suoi, è parte integrante della sua caratteristica peculiare, il giornalismo subdolo e pettegolo. Sua moglie Delia lo ostacola, lo critica, lo prende in giro e lo accompagna nel suo navigare, anche attraverso reti asociali, come abbiamo visto e annotato. Lei è una dei leader dei NO SUV, lui collabora e simpatizza, ma non appartiene al movimento.

 

 

La Macchina dello Spazio e del Tempo

 

 

Una singolare conversazione radiofonica a tre voci, da Graz, in Austria: il presentatore austriaco di origine ungherese Miroslav Janosch, la signora W. italiana ma di origine francese, lo studioso di storia Mordecai Porcelli, italiano di famiglia ebrea, di Roma.

Janosch è un giornalista molto seguito in patria, i suoi programmi hanno sempre propositi interessanti, spesso polemici. Porcelli esce spesso e volentieri dal suo ruolo di storico competente e di ebreo romano con vivacità, una personalità notevole. La signora W. , il personaggio più importante della serata, ha più nervosismo che carisma e mostra una certa irritabilità, e, se è vero quello che la sua situazione le impone, potrebbe anche essere giustificata.

“Buonasera a tutti i nostri ascoltatori, questa è la voce di Miroslav Janosch, ma qua dietro il microfono c’è anche tutto il resto, che non è poco.

Siamo qua riuniti per il nostro attesissimo programma del venerdì: ‘La Macchina dello Spazio e del Tempo’, abbiamo la signora W. come ospite d’onore e Mordecai Porcelli, famoso storico italiano, espertissimo sul nostro argomento di oggi: I Cavalieri Templari.

Siamo in incognito, come sempre, ma stasera in maniera particolare, vi spiegherò in seguito i motivi.

Mi scuso se, forse, la qualità del suono non sarà proprio eccellente, come è per noi abitudine, ciò è dovuto al fatto che stasera non siamo in studio.

La vostra curiosità sta crescendo?

Calma. Iniziamo subito con l’argomento della serata:  i Cavalieri Templari, o Cavalieri del Tempio, anche chiamati in seguito, in Portogallo, Ordine di Cristo.

Vi ricordo che siamo sui 116 megahertz, della nostra Radio Cultura Graz, mentre la terra opera i suoi annuali 365 giri su se stessa, noi ci teniamo stretti e informiamo la nostra amata zona sud-est dell’Austria, più qualche altra parte culturalmente interessata della nostra nazione.

Ma eccoci a W. : suo padre era un medico e dopo la nascita di W. si trasferì, con la famiglia, in una casa all’interno del recinto del manicomio di S.Genesio dove lavorava, a quel tempo. Quel manicomio stesso era stato, a suo tempo, una fortezza dei cavalieri in questione. Lei di tutto questo non sapeva ancora niente. Intanto la sua famiglia si era trasferita di nuovo e questa fu la loro prima casa di proprietà, a Pioppeta, in campagna, vicini assai a una villa rinascimentale momentaneamente abbandonata, che durante la 2a guerra mondiale era stata quartier generale dei tedeschi, naturalmente il loro colonnello, Hans Hartwig Von Weissen, era un templare. Questo lo si è scoperto dopo.

A dieci anni W. entrò in contatto, all’interno di questa sinistra mansione, con i dipinti inneggianti a qualcosa che lei non capiva, oltretutto, a quel tempo non conosceva ancora la lingua tedesca. Si trattava di Villa Caproncini? Molto probabilmente sì.

Il secondo contatto fu nella cappella della villa, che recava, invece di immagini divine, l’affresco di una figura umana con baffi e pizzetto, con zampe pelose e caprine, sull’altare, davanti al dipinto murale, in un vassoio argentato, due autentiche estremità posteriori di capra.

W. non capì, non avrebbe potuto.

Quasi vent’anni dopo, forse per caso, forse no, lesse un libro che per la prima volta le presentò, seppur sommariamente, i Templari, che gli fece intendere che quella divinità era Baffometto e che quelle zampe di capra servivano per le cerimonie.

Lei ne rimase assai impressionata, ricollegò i fatti e si sentì affascinata... ma anche spaventata da quel mistero.

Poco tempo dopo, stanca della sua routine lucchese, si era trasferita a Berlino, il caso volle che la strada dove abitò per due  anni, prima di tornare in Francia, si chiamasse Tempelherren strasse, in tedesco strada dei Templari, il numero civico 789, era la sequenza dei tre numeri simbolici dei cavalieri...

Ritornata in patria cominciò a fare ricerche e a scoprire una buona parte di tutto quello che prima non sapeva e che le fece credere che un incredibile insieme di coincidenze univa la sua persona alla formidabile storia dei Templari.

Sempre occupata con altre cose si decise, cinque anni dopo a trasferirsi in Brasile.

Là scoprì che tutte le grandi imprese di scoperte navali del Portogallo erano state finanziate ed ideate dai cavalieri, scacciati dalla Francia all’inizio del 1300 e rifugiatisi in quell’estremità meridionale dell’occidente europeo.

La maggior scoperta, almeno in grandezza fisica e  geografica era stato proprio il Brasile.

Visto che il suo matrimonio andava male, andò da una cartomante, che quando vide sul tavolo la disposizione delle sue carte, disse che era stata in una vita precedente un cavaliere dell’Ordine e che la sua missione sulla terra era quella di recuperare gli errori fatti a quel tempo, debiti morali o in denaro?

Per quanto W. si ribellasse a quella storia assurda, ogni cosa del passato e da quel momento in poi, le mostrava collegamenti con i Templari.

 

Bene, la signora W. oggi vive girando per il mondo e sta passando alcuni giorni nella nostra città, la sua tensione e preoccupazione è evidente, poi capiremo perché, per tutto questo insiste nel non voler rivelare la sua identità.

Per conto mio, se qualcuno avesse intenzione di rapirmi, magari subito dopo il nostro programma, forse di minacciarmi con una arma da fuoco puntata alla mia tempia, è meglio anticipare una cosa: anche io non so il nome della signora W. , né l’indirizzo provvisorio qui a Graz e garantisco che, tutto quello che si potrà dire verrà detto ora, in diretta.

Il fatto è che la signora W. ha, dal giorno della scoperta della cappella nella villa del bosco, visioni frequenti di quelle storie, ha riempito centinaia di quaderni, pubblicato vari libri, è diventata, in incognito, una personalità nell’ambito di questo ramo.

Lei non crede nell’occultismo, ci dice, né ha mai fatto pratiche di questo genere, ma possiamo dire che si guadagna la vita facendo rivelazioni e mantenendo tutto questo mistero su di sé.

Alcuni dicono che sia tutta una finta, ma più lei insiste con questo mistero e più valore viene dato alle sue deposizioni.

La sua maniera di essere schiva ne rappresenta, nel mondo globalizzato, la maggior pubblicità, più lei mostra di ribellarsi a questo suo destino, più tutti la cercano.

Ha cambiato nome, usa per questa sua occupazione lo pseudonimo W. , ne avrete già sentito parlare, forse avete pensato che non esisteva, ma eccola qua, tra poco ne sentirete la voce caratteristica, vi do la mia parola di giornalista, per quanto valga poco, oggigiorno, la parola di un giornalista, insomma, ci siamo capiti.

Eccola qui, qui accanto a noi e ripeto che noi non possiamo rivelare la sua vera identità, anche perché non sappiamo quale realmente sia.

Il nostro programma radiofonico ha oggi la signora W. come ospite d’onore, è qui per spiegarci queste cose, per raccontarci fatti dell’epoca o delle varie epoche, che, ci crediate o meno, sono certamente trai più affascinanti.

“Buonasera W. , il suo nome è celato da questa iniziale misteriosa, in base a che cosa è stata scelta?”

“Buonasera a tutti. W. è solo una delle venticinque lettere restanti dell’alfabeto francese che non sono la vera iniziale del mio nome.”

“Bene, avrete capito allora che qui si deve un poco andare per esclusione. Questo è piuttosto affascinante, non è vero?

Ma chiediamo allora: qual è stato il motivo di questa intervista, se lei non è interessata a farsi pubblicità, come ci appare evidente?”

“Il motivo posso dirvelo, il fatto è che si crede in giro che io sia una reincarnazione di uno dei Templari, per questo, visto che i tesori dei Templari sono ancora ricercati ai nostri tempi, sono perseguita da persone pericolose, per la loro avidità e che si dimenticano che, se io fossi una reincarnazione di un cavaliere, avrei visioni limitate a quell’epoca, invece le mie sono anche precedenti o più recenti, ma questo in fondo non gli interessa, perché se ho una larghezza tale di visioni e di escursioni virtuali indietro nel tempo è ancora meglio per loro, visto che vogliono scoprire solo dove stanno i gioielli, i soldi insomma.”

“Ma allora, esporsi qui non è un ulteriore pericolo per lei?”

“Ho accettato di farlo per radio perché non c’è la necessità di fare una trasmissione in una sede conosciuta e si hanno rischi minori che con la televisione, su giornali e riviste ho già detto cosa dovevo, siccome vorrei vivere in pace, sto tentando di aprire più possibile il gioco e di dire, essenzialmente questo: se avessi accesso a questi segreti, mi sarei già precipitata a prendere personalmente queste ricchezze. Invece no, vorrei spiegare che le mie visioni sono separate e non hanno collegamenti l’una all’altra, mi è impossibile sapere dove si sono svolte e quando... salvo pochi isolati casi.

 Ve ne racconterò più di una, con tutti i particolari che posso rammentarmi, se ci sarà tempo, nel corso di questo programma. 

Sto dando questa intervista proprio per chiarire l’inutilità di rintracciarmi e prendermi come specialista di una macchina del tempo che non  possiedo e da quando questa storia è cominciata ho avuto solo problemi. Per favore lasciatemi in pace, tutto quello che sta succedendo non ha senso.”

“Un appello suggestivo che ci rende ancora più curiosi. Ma, prima di passare la parola al nostro esperto della Templarità, se così posso esprimermi, voglio confermare che la trasmissione è stata programmata in sede segreta e per questo W. ha accettato di farla.

La prima cosa che vorrei chiedere, al nostro esperto del ramo, è questa: una rapida cronistoria dell’incredibile e misteriosa avventura dei Templari, iniziata storicamente alla fine del medioevo, fino ai giorni di oggi. A lei la parola.”

“Buonasera a tutti, il compito di raccontare in poche frasi la storia dei Templari è una sfida e allo stesso tempo un onore.

Una sfida perché le ramificazioni e le versioni dei fatti sono tante e c’è molta incertezza e confusione a riguardo... ed un onore, perché ho dedicato, anche se in maniera diversa dalla signora W. , tutta la mia vita a questo ed essere considerato un esperto su questi temi è il massimo onore che io possa immaginare per me.

Ma bando ai discorsi di introduzione, i Templari nacquero in occasione delle crociate, quando il predicatore Bernardo di Chiaravalle fece una dichiarazione secondo la quale combattere ed uccidere per la causa del cristianesimo era, non solo giustificato, ma positivamente un bene per il cristianesimo e per la chiesa.

Tale San Bernardo, che non aveva niente a che fare col famoso cagnone delle nevi, salvatore e in alcuni casi ubriacatore di vittime di valanghe, questo San Bernardo di Chiaravalle che era santo, sì, ma che non porgeva l’altra guancia, come si era detto fino a quel momento, anche se i fatti discordavano sempre di più dall’attitudine cristiana, rompeva con le sue parole una specie di tabù, la violenza era non solo permessa ma gloriosa, se era per difendere la causa cristiana, che da quel momento non si sentiva più protetta da Dio, in quei tempi difficili era necessario dare in giro schiaffi e all’occorrenza fendenti di spada!

I cavalieri, molto speso erranti, che avevano sempre combattuto per un feudatario contro un altro, per piccole storie spesso ipocrite e di scarsa importanza, come in guerre tra piccoli e bellicosi feudi, ma anche in veri e propri atti di banditismo, vi intravidero un salto di qualità, sia per motivi di nobiltà cavalleresca, che per motivi di pura cassa... è possibile che i soldi siano e siano stati sempre stimolo e ragione per quasi tutto?

Pare di sì, nella vita ci vuole pazienza, anche solo per sopportare questa aridità umana... in ogni modo, a quei tempi, varie congreghe si formarono e tra le quali presto si distinsero sia per il coraggio che per altre doti che poi considereremo con calma, gli Ospitalieri ed i Templari o Cavalieri del Tempio.

Il tempio al quale si allude è quello del re Salomone, sì, quello delle famose decisioni salomoniche, definizione che si usa, ancor oggi, per descrivere soluzioni in caso di controversia, tra due o più parti, in maniera più che equa, se non quasi decisa dalle stesse parti in causa.

Tornando ai Templari, specialmente dopo la prima disastrosa crociata, non ufficiale, bandita dal papa Urbano IIo, ed una seconda, questa ufficiale e sottolineata dalle parole infiammate dal fuoco purificatore di San Bernardo (considerato il vero ispiratore dell’Ordine) e che ebbe un esito molto, molto migliore, almeno dal punto di vista cristiano... le loro opportunità unite alla loro competenza, li portavano a risultati immediati come, prima di tutto, la ricchezza dei loro saccheggi.

(Tra parentesi la prima crociata fu un massacro, migliaia di diseredati capeggiati da Pietro l’Eremita, si erano portati in Terra Santa armati con bastoni e forche, senza la minima organizzazione, il che non gli aveva impedito di flagellare, saccheggiare e distruggere tutto quello che aveva la disgrazia di capitare sul loro cammino, per arrivare fin là, il tutto in nome di cause sacre a Dio, ma che alle prese con vere e proprie forze militari potevano solo essere massacrati e lo furono immancabilmente.

A proposito voglio citare un film italiano molto divertente ma pure di qualche valore storico, almeno indicativamente: “L’armata Brancaleone” di Monicelli, figurarsi che poi in Italia si cominciò ad usare e si usa ancor oggi questo termine, ‘Armata Brancaleone’, per definire un esercito mal armato e mal organizzato, un qualsiasi gruppo di persone che perseguono uno scopo qualsiasi senza competenza né preparazione opportuna, rappresentando tragicomica confusione.)

Tornando ai Templari, prima di perderci nel mare delle opzioni possibili e gradevoli, con i saccheggi e i primi accumularsi di tesori, cominciarono automaticamente le maldicenze, se da una parte erano chiamati eroi, dall’altra mercenari e vari fatti ci indicano che alcuni di loro veramente amavano eccessivamente le ricchezze e molto meno la religione o la giustizia.

Per esempio si potrebbe citare la strana attitudine del signore del Krak, robusta fortezza a ciò che dicono veramente inespugnabile, (tra l’altro ancora esistente, per chi fa un viaggio in medio-oriente è una ben conservata rovina di un passato agitato,) che faceva pagare un pedaggio altissimo a chi frequentava disgraziatamente quella strada... passaggio obbligatorio per le ricche carovane musulmane tra la Siria e il Libano, dirette alla Mecca, cariche di ricche offerte per le gloriose spoglie di Maometto in loco conservate.

Comunque fosse, le malelingue e le conseguenti polemiche accompagnarono i Templari fin dall’inizio, e non solo per i motivi già citati.

Si diceva, per esempio, che facessero cerimonie in nome di divinità che con la cristianità non avevano niente a che spartire (ricordiamo Baphomet, o Baffometto, misteriosa creatura simbolica che si suppone derivi dall’adorazione della figura della testa di Cristo, unica parte visibile rappresentata dalla Sacra Sindone, allora in loro possesso, piegata in quattro dentro una cornice; ma altre fonti dichiarano che fosse la rappresentazione della Materia Pura), che praticassero omosessualismo (famosa l’immagine dei due cavalieri sullo stesso cavallo), arroganza, quando non vollero unirsi agli Ospitalieri per una buona causa cristiana, in un altro caso non acconsentirono a salvare pubblicamente il re prigioniero del Saladino, ma pagarono il riscatto solo cedendo i danari sulla base di una dichiarazione ufficiale di estorsione forzata e non spontanea, perché proibito dalle loro regole.

Insomma, non si sa veramente se alcune di queste cose erano state dette per invidia, o se realmente avevano giustificazione, comunque sia, apparentemente la loro sorte terminò per tutti questi motivi, con Filippo il Bello, in Francia, quando riuscì a metterli al bando, uccidendone vari pubblicamente e impadronendosi di parte dei loro tesori, visto che le casse reali ne avevano estremo bisogno.

Il papa non li protesse come avrebbe potuto, e a quell’epoca gli intrighi politici erano senza frontiere, come oggi d’altronde, ma molto più apertamente, chi poteva distruggeva chiunque e come voleva e l’opinione pubblica non contava un tubo.

Oggi, invece, almeno apparentemente, il parere del popolo è preso in considerazione, perlomeno se ne può parlare, ma poi si fa quello che si deve fare, come se prima non si fosse detto niente.

I Templari però sapevano difendersi da tutto e da tutti, poiché riuscirono, a salvare il grosso della truppa, in buon numero di cavalieri e tesori, pur perdendo il Maestro Giacomo De Molay e importanti capi, riuscirono a prevedere le mosse altrui e a conservare intatta e agguerrita la motivazione e la sostanza dell’Ordine.

In seguito si ramificarono altrove, specie in Portogallo dove segnarono la nascita e lo splendore della sua navigazione esplorativa, mettendo anche a capo del governo maestri dell’Ordine, scoprendo il Brasile e tagliando in lungo ed in largo mari inesplorati, a quel tempo, in cerca di tesori che puntualmente trovarono e arricchirono ulteriormente le loro proprietà.

Al giorno d’oggi sono più nascosti di prima e più ricchi che mai, probabilmente, ma dove sono?”

Il presentatore però vuol mantenere la più romantica esplorazione del passato remoto, almeno per il momento: 

“La seconda domanda è questa: lei ha motivo di credere che le visioni di W. siano autentiche e che rivelino particolari originali di questa grande, misteriosa, ramificata, storia Templaresca?”

“Sì e no, diciamo nel limite del possibile, la storia dei Templari per noi tutti è piena di buchi, sia perché va molto indietro nel tempo, sia perché ha sempre avuto caratteristiche segrete, quindi, si sono sempre fatte ipotesi e in tanti casi si sono seguite piste che si sono rivelate poi false, naturalmente non si riuscirà mai a sapere tutto.

Come sui dinosauri, per esempio, facciamo ipotesi suffragate da ossa, appoggiate da mezzi tecnici sempre più avanzati, ma nessuno ci racconterà mai come è veramente è stato.

Nel nostro caso abbiamo un grande vantaggio, le visioni della signora W. , anche se sono parziali e slegate tra di loro, sono molto interessanti.

Ma voglio farvi un esempio, magari anche stupido, per darvi un’idea di cosa stiamo trattando qui: prendendo il caso della Sacra Sindone, per esempio, anche loro, i cavalieri stessi, ignoravano che era un tessuto molto più grande di quello che adoravano, solo dopo che si è aperta la cornice si è visto che non era solo la testa, ma un corpo intero, un pezzo di stoffa grezza ripiegato quattro volte.

Secondo me la storia dei Templari è così, sappiamo ancora molto, molto poco, quella che ci appare è forse la testa o forse la coda, metaforicamente parlando, è chiaro... pochi frammenti, proprio per questo che la testimonianza della signora W. è così preziosa, la loro storia in sé è un vero e proprio tesoro, in tempi di carissime informazioni priviliegiate, in epoca di forze globalizzate e virtuali, forse più che i tesori stessi dei Templari, che la mia logica dice che sono stati tanto frazionati, deviati e trasformati in altri valori da non esistere più al giorno d’oggi.

Non in maniera da potersene impadronire, di nascosto o meno.

È tutto in metaforiche salde mani, figurarsi se non hanno avuto tempo di cambiare il nome degli intestatari... figuriamoci se non hanno avuto modo di cercare e trovare gli eventuali tesori nascosti... non credo proprio che esista più niente del genere.”

“È vero che le banche sono state inventate, in pratica dai Templari e che già a quei tempi si facevano grossi trasferimenti di denaro a distanza, presentando un semplice documento firmato e bollato dall’Ordine?”

“Certamente, questa è una certezza. All’inizio era solo esclusiva all’interno dell’Ordine, naturalmente, ma poi la loro abilità di banchieri cominciò ad essere appannaggio di tutti coloro che lo desiderassero, tra cui i sovrani, questo da una parte e dall’altra della barricata.

Mi spiego meglio, anche i nemici arabi pagavano denaro ai Templari, in varie epoche, come protezione.

Per esempio un ambasciatore degli Assassini fu trucidato perché loro avevano smesso di pagare, per un eccesso di autorità di Amalrico re di Gerusalemme, che li aveva dispensati- senza averne il potere - dal versare quella tangente.

Amalrico poi lottò fino alla morte per estinguere dalla faccia della terra l’Ordine.

A quei tempi si riscuotevano tributi dai governatori musulmani, che davano ai Templari un rispetto ben maggiore di quello attribuito a qualsiasi altra istituzione europea, in base ad accordi di non-belligeranza.

Insomma i Templari erano sempre più uno stato indipendente e onnipresente... uno stato molto meglio organizzato di tutti gli altri, all’interno del quale c’erano leggi e regole diverse dagli altri e che facevano solo riferimento alla Santa Sede, ma in collaborazione e non in dipendenza anche indiretta.

Uno stato piantato in ogni luogo gli facesse comodo e che riscuoteva tanti tipi di tasse quali: bannalità, toloneo, imposte di successione sui feudi, sottoscrizioni, decime, elemosine... senza parlare delle donazioni che ricevevano come appoggio da tanti ricchi signori che, piamente convinti della ‘giusta causa’ intrapresa dai monaci-guerrieri, si dimostravano assai generosi nei loro confronti... tutti se li volevano accaparrare come amici e pagavano.

Insomma, detto tra noi, il capitale che amministravano era sempre più grande e sempre più famosi diventavano per la loro abilità bancaria... affidabili come depositari del denaro e di beni altrui, iniziarono a fare prestiti su pegno e istituirono addirittura le lettere di cambio... che si narra che furono le prime cambiali apparse sul suolo terrestre... si dice infatti, per tutto questo, che nessuno, in sede medioevale, contribuì tanto alla nascita del capitalismo!”

“Molto ampia e profonda la descrizione dei fatti del nostro storico, complimenti al nostro prestigioso Augusto Mordecai Porcelli da Roma!

Lo ringraziamo e chiediamo ora una prima rappresentazione di una delle visioni che la nostra W. ritiene più suggestiva o importante, che insomma le è rimasta più impressa.”

“Sì, anzitutto devo ribadire che il carattere delle mie visioni è frammentario, come abbiamo già accennato, ho visto e sentito, più volte, perciò ricordo, molti particolari, ma attraverso questi episodi è quasi impossibile ricollegare i fatti, sia per l’ordine sparso sia per la parzialità delle scene.

È come se io fossi stata veramente una persona presente a tutti questi fatti straordinari, ma la mia memoria fosse stata cancellata nei collegamenti tra di essi, gli eventi sono tra di loro lontani sia nel tempo che nello spazio, di secoli e migliaia di chilometri.

Alcuni luoghi che ho sognato li ho riconosciuti nelle foto e nei quadri, come il famoso Krak, fortezza di Rinaldo di Chatillon... visioni di Gerusalemme, nelle varie epoche e crociate, teatro di intrighi e battaglie, altri luoghi che non conosco, come questo che incomincio ora a raccontarvi.

Il sogno si è ripetuto varie volte, non so dove siamo, ma è un luogo umido, un sotterraneo di un castello, decine di cavalieri, di cui non faccio parte, stavolta, aspettano per ore in silenzio il segnale convenuto.

Ronzio di migliaia di zanzare, subito dopo il tramonto, che incrina in maniera impressionante il silenzio di quel luogo sotterraneo, tanfo di chiuso con acque putride.

All’inizio, l’unico suono è rappresentato dai milioni di piccole ali che volano in cerca di sangue, poi i cavalieri si cominciano a schiaffeggiare cercando di fare il minor rumore possibile, per difendersi dagli attacchi di questo sciame di nemiche numerose ed aggressive.

Cercano di non farsi udire, ma una spada cade sopra uno scudo, rotola giù... viene dato l’allarme, tanti soldati arrivano e infuria il combattimento, nell’oscurità ora tagliata da luce di alcune fiaccole, i nostri per quanto più abili purtroppo, in numero sono inferiori...”

“Ma i nemici chi sono, arabi?”

“No, sono altri cavalieri, di pelle chiara, parlano un miscuglio di lingue simile ai nostri...”

“Come va a finire lo scontro tra le due fazioni?”

“In poco tempo i nostri sono massacrati, l’odore dolciastro di sangue è forte e acre, quando il clamore della battaglia tace di nuovo, la mia visione termina con le torture.

Gli unici due superstiti, vengono legati a dei tavolacci, si comincia con la tortura dell’acqua, con un imbuto in bocca gli versano una grande quantità di liquido...”

“Sappiamo chi sono?”

“No, però tra i cavalieri, prima dell’agguato, si parla di Eudes, probabilmente di Saint-Amand... che ho poi scoperto che è un Maestro, il Maestro è il capo dei Templari, siamo intorno all’anno 1100...”

Dalle centinaia di radio in ascolto, il racconto della signora W. viene interrotto dallo storico Mordecai Porcelli:

“Più vicini al 1200 direi, già che, alla salita al trono d’Egitto del cosiddetto ‘feroce’ Saladino, corrisponde la nomina a Maestro dei Templari di Eudes, conosciuto per aver fatto massacrare un ambasciatore degli Assassini, setta specializzata nel fumare ‘hashish’ e negli attentati politici, il nome potrebbe essere originato dal fumo, o anche dall’arabo Assas, guardiano.

Con questo atto Eudes si inimicò Amalrico, re di Gerusalemme, che era stato appena omaggiato da questa setta, il cui nome evidentemente non aveva, a quel tempo.

L’origine della parola assassino si dice che venga proprio da questa setta.

Il buffo è che Dante, nella Divina Commedia, si guarda bene dal mettere il Feroce Saladino dentro all’inferno, anzi, ci fa sprofondare invece diversi papi aguzzini del medioevo e Filippo il Bello, re di Francia e autore della cacciata dei Templari, però più di duecento anni dopo l’epoca che stiamo trattando.

L’episodio raccontato suggestivamente dalla signora W. non ha comunque niente a che fare con questo, se qui i nemici dei Templari erano chiari di pelle e parlavano miscugli di lingue europee e non, visto che gli Assassini erano scuri e parlavano il corrispondente di una lingua araba di quel tempo.”

“Chiediamo allora al nostro valoroso storico italiano, quale potrebbe essere stato questo episodio, lei ne ha un’idea?”

“No, nessuna, ma credo che le occasioni non siano mancate, a quei tempi, nessuno andava tanto per il sottile, ti tagliavano la testa per un nonnulla... se poi scoprivano di essersi sbagliati, le teste non si potevano riattaccare ai corpi, allora pazienza...”

Si sente la risata di Porcelli che poi domanda:

“...piuttosto,  signora W. non potrebbe descrivere il castello o rocca che fosse, dall’esterno? Sa, tanto per capire meglio, darci una collocazione geografica... “

“No, questa mia visione è tutta dentro i sotterranei, non si esce di là.”

“Molto bene. Se il nostro storico non ha gli elementi necessari per riconoscere l’episodio in questione, passiamo ad un altro, qual è una altra visione che potremmo meglio localizzare, nello spazio e nel tempo?”

Chiede il presentatore del programma, la signora W. pensa per un attimo e si decide:

“Ho un sogno ricorrente con il Krak dei Cavalieri, la fortezza sui confini tra Libano e Siria, faccio parte del gruppo che dovrà scendere sulla strada per farsi pagare il pedaggio.

Un fatto strano, per me ancora incomprensibile, è che nell’episodio appena raccontato, ho la visione senza prendere parte attivamente, sono là in mezzo, ma non sono un cavaliere.

Mentre in questa sono un personaggio ben determinato, una specie di soldato contabile.

Allora: le carovane sono sempre dirette alla Mecca, quello che si trasporta per più di millecinquecento chilometri di viaggio, sono offerte religiose per il defunto profeta Maometto nella città sacra.

Alcuni di noi dormono, già vestiti, pronti per uscire, dopo ore di attesa arriva la carovana, i soldati di guardia ci chiamano, scendiamo rapidamente... è una carovana grande, con centinaia di uomini e un capo importante, di nome Al-Yasseer, una di quelle che hanno un valore enorme in merci preziose, forse sono partiti calcolando il tempo e lo spazio in maniera di arrivare qua solo di notte avanzata, per non essere controllate a dovere.

Ma anche di questo siamo stati avvertiti.”

Porcelli commenta:

“Vedete che lo spionaggio già a quei tempi era in uso e dava i suoi buoni frutti...”

Conclude ridacchiando rapidamente, anche perché la signora W. , indispettita, continua:

“Fare una stima esatta dei valori è cosa proibitiva, ci mettiamo però a farlo più puntigliosamente possibile, senza fretta, con rigore.

È buio pesto, una notte senza luna, il vento caldo del deserto soffia senza troppa forza, ci facciamo aiutare dagli inservienti con le torce accese.

Il malcontento tra i carovanieri è manifesto, ma centinaia di cavalieri in assetto di guerra sono schierati minacciosamente sui due lati della pista, le spade e gli scudi riflettono a intermittenza il fuoco delle torce, le figure grigio scuro a tratti, dipendendo dagli spostamenti delle luci, si stagliano contro il cielo nero.

Fatto l’inventario ci si riunisce, in piedi in mezzo alla pista, siamo dieci cavalieri dell’ordine dei Templari specializzati in estimo e conteggio, il nostro capo Ives di Armentiéres stabilisce il prezzo da pagare.

Ci si avvicina con lui al capo-carovana Al-Yasseer, una fiera figura montata su un cavallo bianco, con il turbante vermiglio e beige, con striscioline dorate, un turco dalla faccia di cuoio e dagli occhi di brace ardente, che non cambia minimamente la sua grave e profonda inespressività, scende da cavallo e da una sacca di pelle morbida tira fuori i denari lucenti e paga l’ingente cifra senza dire una parola.

La carovana riparte lentamente, cammelli e cavalli trascinano il carico fino a scomparire dietro alla collina rocciosa verso sud, verso l’Arabia.

 

In quei giorni si parla sempre più insistentemente del progetto di Rinaldo di Chatillon di attaccare la Mecca, per prendere le spoglie di Maometto, per poi trasferirle nel nostro inespugnabile Krak, per far pagare l’ingresso a chi volesse vederle.”

A questo punto lo storico irrompe con una delle sue risatine diaboliche e dice:

“Progetto infame ma pure infausto perché, anche se in quel momento non lo sapevano ancora, Rinaldo a Medina sarebbe poi stato sconfitto dal Saladino e si sarebbe salvato a stento... ma lo stesso Saladino avrebbe poi avuto l’onore e il modo, nel 1187 di tagliare un braccio con un fendente a Rinaldo di Chatillon nella battaglia del Monte Hattin, che subito dopo sarebbe stato fatto decapitare a pagare il prezzo della sua cupidigia...”

Interviene il giornalista Janosch:

“Però è interessante parlare, a questo punto, della figura del Saladino, che cosa se ne dice tra gli storici?”

“Come sui Templari, si dicono cose contrastanti tra di loro, per esempio Dante, che oltre che storico è un importante opinionista (che in molti casi si è dimostrato al di sopra delle parti) non lo mette all’inferno, come abbiamo già detto prima e alcuni storici lo definiscono persona giusta e degna, anche se capo della fazione dei terribili egiziani.

Ecco che il Feroce Saladino per alcuni è feroce e per altri no, una personalità controversa, sicuramente di grande valore storico, protagonista di decisioni e battaglie storiche.

Qui interviene la signora W. con la sua voce roca:

“Ma quello che può essere interessante è anche il fatto che questo episodio e l’altro raccontato da me in precedenza, sono di epoche probabilmente contigue, per via della menzione del maestro Templare Eudes di Saint-Amand, che nel 1179 era stato preso prigioniero dal Saladino, pochi anni dopo, come abbiamo detto, nel 1187 ecco l’episodio della battaglia del Monte Hattin...”

 

 

 

“Chi ha rotto le scatole cinesi?” Comunicato Toscana Nord di mezzogiorno e mezzo 6 marzo 2020

 

A Pioppeta c’è una fattoria, rivendita di salumi, latte e formaggi che risulta essere di tre figli di un defunto templare o massone abbastanza conosciuto nel ramo: Berto Bottazzi. L’italiano Brenno Facco, rientrato dall’Argentina, gestisce sulle colline limitrofe un alimentari e si serve dai fratelli Bottazzi dei prodotti della campagna. Nella proprietà c’è la villa Caproncini, ex quartiere generale tedesco durante la seconda guerra mondiale. Christa Koch, rompiscatole tedesca dedita al giornalismo, conosce Facco e attraverso lui scopre una cappella con tipiche celebrazioni templari tra cui gambe di capra e l’altare con l’affresco di Baffometto, divinità dei cavalieri. Il tutto condito dalle notizie false o quasi vere, la giornalista berlinese cerca di stabilire una connessione tra le cose. Trai fondatori dei NO FAKE NEWS ci sono i Templari, tra cui i Bottazzi? Sono stati loro ad uccidere Orazio Buonasera? Era stato lui a rubare le bottiglie e i quadri? Questa e altra roba era alla fine veramente parte di un tesoro dei templari e successivamente dei nazisti? Buonasera era davvero un capo dei NO SUV?

La famiglia Bottazzi è erede di un passato dei cavalieri in questione e soprattutto di un tesoro dei templari, nella villa per uno di quei fatti logici a quel tempo, ma misteriosi adesso, si era lasciato a giacere un tesoro inestimabile, frutto dei dazi e delle ricchezze arrivate da ogni lato ai cavalieri del tempio, ma anche delle razzie dei tedeschi durante la 2° guerra mondiale, poi lì accumulato e lasciato chissà perché a marcire nelle umide cantine della villa Caproncini. Non si sa se è stato rubato da Orazio Buonasera e da Bruno Cavendish, ereditato poi da Ghino Barsali. Altra ipotesi potrebbe essere che ci siano moderni templari, sia nel ramo italiano dei NO SUV che in quello dei NO FAKE NEWS. Che uno di questi gruppi si sia distaccato dall’altro, ma non si sa quando, esattamente chi o come. Fatto sta che Buonasera è morto, Barsali ha ereditato il patrimonio nascosto poi nel Mulino di Sopra di Pioppeta e ora chissà dove.

 

Intanto quei personaggi sospetti, continuano a portare su e giù con la teleferica qualcosa, ma non si capisce cosa. Decidiamo di chiedere consiglio a Moreno, uno dei vicini, un poliziotto. Se ne viene a casa nostra un pomeriggio, due o tre giorni dopo e ci rimane a osservare, con il cannocchiale o senza, fino alla sera tardi. Dopo i ripetuti caffè ci spariamo alcune grappette da polverose bottiglie che sono in casa da chissà quando, credo almeno da quando era vivo mio padre, quindi sono assai invecchiate.

Gli facciamo vedere i filmati che abbiamo registrato con il cellulare, ma dice che non si vede niente di potenzialmente utile e non possiamo non dargli ragione.

Tra un sorso e l'altro Moreno ci chiede cosa abbiamo visto e non filmato, cosa ci è sembrato il materiale trasportato, ma poi gli argomenti degenerano e quando se ne va ci stiamo quasi addormentando parlando di cinema e teatro.

Forse ci siamo distratti troppo, oppure è stata semplicemente sfortuna, ma non è stato avvistato nessuno salire né scendere con la teleferica, nessuno in casa o negli immediati dintorni.

Dopo il comunicato Toscana Nord qualche cenno di storia, a cura della rivista on-line Vanilla Magazine. Forse c’è qualche attinenza con il Corona Virus? Musica di pianoforte solo di Ludovico Einaudi.

 

 

La Peste uccise i Neolitici: scoperto il Batterio in una Donna di 4.900 Anni Fa

 

I resti di una giovane donna morta 4.900 anni fa potrebbero cambiare la conoscenza di uno dei morbi più terribili della storia dell’umanità: la Peste, veicolata dal famoso batterio Yersinia pestis. Alcuni resti recentemente analizzati di Gӧkhem, in Svezia, spostano indietro la data in cui comparve il primo ceppo della famosa “morte nera”, in grado di decimare la popolazione europea più volte durante il secondo millennio.

Lo rivela uno studio dell’Università di Copenhagen, che ha identificato il codice genetico del batterio all’interno dei denti di una giovane sepolta con altri 77 morti nel cimitero svedese, risalente all’epoca neolitica.

Quando un essere umano muore di peste il sangue contiene alti livelli di batteri, che lasciano una firma genetica nella polpa dentale.

Gli scienziati ritenevano che la malattia fosse originaria dell’Asia, ma la scoperta del batterio in una regione tanto remota, la Scandinavia, scombina le ipotesi fatte in precedenza. Nicolás Rascovan, ricercatore presso Aix Marseille Université, commenta che “E’ davvero inaspettato“, e il nuovo studio suggerisce che la peste potrebbe aver avuto origine in Europa, forse raggiungendo anche una diffusione epidemica.

La scoperta apre nuovi scenari, che potrebbero spiegare un accadimento sinora dibattuto e non del tutto chiaro. Simon Rasmussen, ricercatore presso l’Università Tecnica della Danimarca e co-autore dello studio, suggerisce che la peste potrebbe essere fra le cause del calo della popolazione europea durante l’epoca neolitica.

 

I Mega Insediamenti

Circa 6.000 anni fa la popolazione umana europea cresceva in modo costante e florido, lasciando testimonianze quali i “Mega-Insediamenti” nelle zone centrali oggi identificabili con la Moldavia, la Romania e l’Ucraina, delle proto-città che potevano ospitare sino a 15.000 individui e che convogliavano persone, beni di prima necessità e difese contro la natura. Ogni 60-80 anni circa l’insediamento veniva bruciato e abbandonato, per esser ricostruito a una certa distanza dal precedente.

All’interno dell’insediamento si viveva gli uni a stretto contatto con gli altri, naturalmente senza alcun tipo di precauzione igienica o sanitaria, una situazione ideale per il proliferare di malattie e contagi. 5.400 anni fa, per qualche ragione a noi sconosciuta, il meccanismo si interruppe, e i mega-insediamenti non vennero ricostruiti, con la popolazione europea che smise di crescere come prima.

Se fino a poco tempo fa si riteneva che l’arresto della crescita fosse dovuta agli invasori asiatici provenienti dalla steppa (che sostituirono il 70% della popolazione europea e il 90% di quella della Gran Bretagna), questo studio coinvolge anche la peste fra i fattori del brusco calo della crescita.

Se la peste si fosse diffusa, come suggerito dagli ultimi studi, mediante i pidocchi e non dai topi, gli insediamenti sarebbero diventati dei luoghi pericolosissimi dove contrarre il morbo, e per questo non sarebbero stati rinnovati una volta distrutti.

La conferma a questa affascinante ipotesi verrebbe dal ritrovamento del batterio fra i resti degli insediamenti, ritrovamento che, ad oggi, non è ancora avvenuto. L’ipotesi sarebbe quindi questa:

Fra i 6.000 e i 5.400 anni fa la peste si sarebbe diffusa a macchia di leopardo nei mega-insediamenti, raggiungendo poi le zone più remote grazie alle prime rotte commerciali

La conferma a questa ipotesi sarà difficilissima da trovare. David Anthony, antropologo presso l’Hartwick College, spiega che nei mega insediamenti non venivano costruiti dei cimiteri e neanche delle fosse comuni come quella svedese, e quindi non ci sono ossa da analizzare.

Formulare un’ipotesi di epidemie a partire soltanto dal campione di DNA di una donna di 4.900 anni fa è azzardato, ma il campo è assolutamente sperimentale. Il prossimo passo sarà trovare campioni più antichi di peste nei resti ossei già ritrovati in tutta Europa. La storia di come lo Yersinia pestis sia arrivato in Nord-Europa così tanti millenni fa è incompleta, e i ricercatori possono ricostruire il quadro soltanto guardando alcuni pixel dell’immagine, pixel che andranno completati con analisi su altri resti umani.

È interessante evocare però il passato, e come questa donna e il suo villaggio potrebbero esser morti. Pensiamo di vivere in un piccolo insediamento agricolo svedese, con 20 o al massimo 50 persone. Uno di loro porta a casa del cibo barattato in un villaggio vicino, e in pochi giorni tutti si ammalano e muoiono. La drammatica ironia è che hanno dovuto attendere 5.000 anni per sapere cosa gli fosse successo.

 

 

 

 

IV uno dei fondatori dei NO SUV e il suo allievo

Il capitale non sa fare altro che rapinare il presente, la lungimiranza non rientra nei suoi disegni. Il denaro investito deve essere moltiplicato in fretta e non importa se i sottoprodotti del profitto sono la malattia, la miseria e la schiavitù

Marco Vichi (scrittore fiorentino)

 

Secondo i concetti del mondo occidentale, gli indios sudamericani non sono affatto un buon esempio di apertura mentale, né di cultura globalizzata, ma rappresentano, un po’ per tutti, un ritardo incredibile sull’orologio della macchina del tempo. C’è da notare, altresì, che loro non hanno la pretesa di essere qualcosa di somigliante ai nostri gusti.

Indio Velho, chiamava sé stesso con la corta e pratica sigla IV, insegnando io il francese, all’inizio pensavo che fosse scritto Ives. Lui chiarì e poi si corresse subito, dichiarando che nessuno avrebbe mai avuto motivo di scriverlo e qui si sbagliava, ma non poteva saperlo.

Era uno che aveva viaggiato in diagonale per i cinque continenti conosciuti, studiato da autodidatta un po’ di tutto e vissuto con i bianchi e altri popoli di vario tipo e colore, prima di ritirarsi, come diceva lui, a vita privata.

Lo conobbi lassù nel suo boschetto, sulla collina più alta, di fronte alla favela. Ero andato a fare un giro con il cane di un mio cliente e lui, Argo, l’aveva scovato, seduto su un sasso, con gli occhi chiusi e le mani sulle ginocchia.

Dopo avergli abbaiato per un po’, quando IV lentamente aprì gli occhi, Argo si chetò miracolosamente, poi si lasciò accarezzare da lui e io mi avvicinai, sembrava un rugoso indiano apache di un film americano, aveva anche la regolamentare fascia sulla fronte.

 Ogni tanto, quando lo incontravo, pensavo alle condizioni, spesso penose, in cui si trovava la sua gente. Eppure vedevo in lui quasi l’opposto, c’era qualcosa che li univa e che li divideva, che mi affascinava troppo: la ribellione tranquilla e pacifica a tutto ciò che gli accadeva intorno, da secoli.

 

Usurpato e massacrato, ripetutamente violentato sul suo stesso territorio, l’indio brasiliano ha rifiutato di mischiarsi al popolo invasore e ultimamente - amara ironia della fine del nostro secondo millennio - ci si è perfino stupiti se ha protestato per i festeggiamenti dei 500 anni della scoperta del Brasile, dichiarando che lui era qua da prima e che era stato scoperto, sì, ma solo nel senso che gli avevano fregato la coperta.

 

Insomma, essere un indio non è mai stato facile, in Brasile come in tutta l’America Latina, ora come prima.

Però IV aveva deciso di essere prima di tutto un essere umano e poi anche una persona illuminata, alla sua personalissima maniera, vincendo però sistematicamente la resistenza di secoli di mentalità completamente estratta da quelle classiche occidentali o anche di altri tipi di popoli. Secondo lui un indio era solo un indio ed era diverso da tutto e da tutti, questo almeno nella gran maggior parte dei casi. IV aveva scelto la sua strada senza protestare, non avevo mai conosciuto nessuno più soddisfatto di lui, eppure sapeva benissimo tutto ciò che era successo prima, quello che stava succedendo in quel momento, anche meglio di me, quello che sarebbe successo poi.

La logica per lui risolveva tutto, filtrata dalla sua filosofia, certo, a sua volta derivante dalla sua lunga e larga esperienza di vita, ma anche di morte.

“Come va l’esistenza?” Mi disse con uno sguardo indescrivibilmente pacifico e serio.

“Bene, bene… stavo facendo un giretto.”

“Bravo. Ti piace la natura, eh?”

“Mi piace sì, vivo in quella casa là nella favela, sull’altra collina, vede?”

“Ah sì, ma non c’è bisogno di darmi del Lei, buon uomo, non che me ne offenda, insomma fai come vuoi.”

“D’accordo.”

Indio Velho, autonominatosi senza cerimonie o formalità Sceriffo della Palude Collinosa, viveva lì, in una baracchetta di legno che aveva appena lo spazio per stare sdraiati su una brandina e per un rudimentale fornello a legna che si era fatto con le pietre.

 

In Amazzonia l’indio continua a campare alla stessa maniera di migliaia di anni fa e questo in generale viene detto con disprezzo, ma certo là in mezzo alla foresta, non si sa nemmeno cosa è lo stress, come non si conoscono, parimenti, altre malattie moderne.

 

Quando potevo mi trasferivo volentieri nello spazio e nel tempo, in quel luogo ideale e calmo, insieme al cane Argo o da solo, verso quella piccola palude romantica, che era sulla collina di fronte alla mia favela.

C’ero stato spesso, anche prima di conoscere IV, ma ora avevo un motivo in più per andarci, almeno una volta alla settimana, a fare un giro, era un boschetto incontaminato in mezzo a un banhado, una specie di palude periodica del Brasile.

Lassù dove i tramonti mandavano una luce primitiva e autentica, piena di bellezza incantatrice, i rumori delle automobili e sirene della polizia e di ambulanze parevano lontani, il vento fischiava un poco di più, insetti e uccelli dialogavano intrecciando i loro rispettivi ronzii e cinguettii sotto il sole che andava e veniva, tra le nuvole basse. Mai viste nuvole così basse come in Brasile, diceva spesso IV e lui poteva anche saperlo.

Argo, il cane, si godeva la libertà della natura e correva soddisfatto di qua e di là, con la lingua penzoloni.

 

Nelle periferie delle grandi metropoli l’indio vive in capanne di nylon nero (quello dei sacchi della spazzatura) e il suo stato è di miseria e abbandono, ai margini più sporchi e insalubri, l’indio intreccia e vende cestini di vimini.

 

Anche da prima che me ne andassi in Europa avevo sempre sentito il bisogno di uno come lui, cioè mi mancava e non lo sapevo, lo scoprii appena lo trovai.

Magari perché potevo chiedergli cose e ricevere in cambio delle signore risposte articolate, IV addirittura mi ascoltava quando parlavo e non m’interrompeva. Se gli chiedevo qualcosa pensava bene alle parole che stava per dire, ci metteva un bel po’, a volte pareva che non avesse nemmeno udito la mia domanda. Poi gli uscivano delle robe troppo utili e illuminanti, riguardo i miei recenti interrogativi, oppure anche semplicemente per intavolare una conversazione interessante, o solo piacevole. Era già difficile trovare qualcuno che avesse tempo, in più lui ci metteva una serie di altre qualità entusiasmanti.

Indio Velho aveva una grande esperienza in conversioni, si era sempre dato, anima e corpo, a quel che credeva. Quello che aveva imparato, di conseguenza, era forse il contrario di quello che la gente normalmente faceva. Anche se IV stesso puntualizzava che di contrari ne esistono tanti o troppi, in quel campo. Diceva che era bello capire e riconoscere di aver sbagliato tutto fino a quel momento, perché ricominciare ci faceva sentire vivi. L’umiltà di ammettere il proprio errore era fondamentale per riuscire a imparare qualcosa di utile, per l’immediato futuro. Trincerarsi sulla propria posizione era quanto di più idiota poteva esistere, era come tapparsi gli occhi, infilare la testa in un buco, come gli struzzi, di fronte al pericolo. Spesso la gente agiva così, per debolezza, per non affrontare la necessaria rivoluzione che ne sarebbe sortita fuori.

Questo vecchio saggio rappresentava un’essenza atavica e filosofica, per la cui esistenza nessuno avrebbe mosso un dito, là in basso, dove io passavo le mie giornate di lavoro. Era un esperto attraversatore del mondo, uno che poteva dare regole e mostrarne addirittura l’applicazione, non c’erano in giro molti esseri umani del genere e, disgraziatamente, non se ne sentiva affatto la mancanza, perché non si aveva nemmeno il tempo di pensarci.

IV chiamava le persone che vivevano là sotto i Valligiani, mentre io, che abitavo in collina, ma lavoravo soprattutto in città, ero un Collinare, un mio vicino, di cui gli parlavo spesso, era un Valligiano, perché abitava in collina, sì, ma gli sarebbe piaciuto abitare in città. Lui, Indio Velho, era un Montanaro. Nessuno pensava alla saggezza, tra i Valligiani, i Collinari forse ci riflettevano un poco di più, per motivi puramente geografici e per certe necessarie conseguenze. In montagna ecco che avevamo i pochi casi conosciuti di umani persi in un mondo in cui non si faceva male a nessuno e si ragionava del più e del meno, senza pestare i piedi al proprio prossimo, non perché ci piacesse, il prossimo, non necessariamente, ma perché faceva parte di una certa maniera di essere.

Indio Velho parlava un portoghese perfetto, con grande varietà di vocaboli, ma conservava un tipico accento indio. Aveva la faccia liscia, senza rughe, gli occhi diagonali, non era un selvaggio, ma aveva scelto di vivere nei boschi del Morro Terezinha, perché la sua idea di vita, in progressivo cambiamento, glielo aveva suggerito e per questo era un esempio refrigerante e rigenerante per me, che passavo le ore perso per le rumorosissime vie della capitale, in mezzo a gente anche piacevole, simpatica e tutto, ma un po’ troppo agitata e che faceva agitare anche me. IV diceva che in genere, la gente non sceglieva, s’infilava in un tunnel di situazioni concatenate e usciva, viva o più frequentemente morta, molto tempo dopo, dall’altra parte.

 

Nelle loro comunità, nelle foreste pluviali, l’indio pratica caccia e pesca, un po’ di agricoltura e nel rapporto uomo e donna non prestabilisce limiti o canoni, di nessun tipo: esistono nuclei di due uomini e una donna, come di tre donne e un uomo, a differenza della maggior parte delle civiltà occidentali e orientali, tranne poche eccezioni e tutte a vantaggio dei maschi.

 

Indio Velho era un indio vecchio, lo diceva il suo nome stesso in portoghese, saggio come un diavolo di angelo bonario, che viveva di non so quali alimenti, giacché non me ne voleva parlare mai, anche se glielo chiedevo sempre, su una collina ai limiti della grande città.

Mi piaceva vederlo mentre si cibava di valori veri e dimenticati nella corsa al denaro, nel giorno per giorno dell’uomo comune che, secondo lui, era una specie in estinzione, che veniva progressivamente sostituita dall’uomo banale, l’uomo che non sapeva quello che voleva, ma lo voleva fino in fondo, perché credeva di non avere alternative. Per IV, vivere male significava non concedere a sé stessi più di una opzione possibile.

Per andare a trovarlo dovevamo risalire la collina a piedi, il cane ansava e bilanciava la lingua verso il basso, io avevo una lingua più corta ma i miei polmoni faticavano a mantenere il ritmo, a differenza di Argo, potevo sudare e già che c’ero, sudavo a volontà.

Arrivati sul falso piano, usciti dal bosco grande, dovevamo attraversare la palude, di acqua non ce n’era molta, era seminascosta da una specie di giunchi, ma era sufficiente per bagnarsi fino alle ginocchia, se si incappava nella pozza giusta, per meglio dire sbagliata. Ecco che dovevo studiare meticolosamente ogni mio passo, Argo invece ci s’infilava dentro, per lui pareva una goduria, che in un certo senso gli invidiavo. Lui superava le punte vegetali di una testa, ma la sua era una testona triangolare e in più le sue orecchie ritte sfidavano ancora di più il cielo. Entrati nel boschetto lui sapeva già dove andare e lo seguivo, perché io invece mi sarei perso, non c’erano viottoli, certo quell’uomo non amava fare due volte lo stesso percorso. Argo sentiva l’odore di Indio Velho, mentre io non lo distinguevo dall’odore caratteristico che c’era in giro, di natura più meno selvaggia.

L’umidità era forte e odorosa di muschi e acque ferme, c’erano degli avvoltoi che volteggiavano nel cielo, li vedevo apparire e scomparire tra i rami, mi pareva di sentire dei tamburi ancestrali, ma forse era il mio cuore che batteva troppo forte. Mi fermai a riposare un momento. Quando il mio respiro ritornò alla normalità, sentivo un improbabile rumore alla mia sinistra e girandomi scoprii Indio Velho che stava placidamente voltando la pagina di un libro, seduto su una pietra larga e piatta e disegnata dai licheni di vari colori e consistenza, in una minuscola radura dove il sole, fuggito per un attimo dalle nuvole, riusciva a battere su pochi metri quadrati di terra erbosa, forse solo per qualche minuto.

Indio Velho mi guardava profondo e serio, chiuse il libro lentamente, accarezzò il cane, i suoi occhi come due fessure, c’era una pace liquida e sonnolenta, la luce era dorata, a larghe fette, il verde attorno vivissimo.

“Olà professore di lingua e cultura francese.”

La sua voce pareva adattarsi bene alla natura circostante, la mia invece era meno armonica, spezzava la qualità di quel silenzio fatto di mille piccoli rumori, sarà stata colpa dei miei polmoni stanchi:

“Olà Indio Velho, come va la vita in mezzo alle frasche?” Gli dissi avvicinandomi.

“In mezzo alle frasche niente di nuovo, perciò la vita va bene, si riesce a leggere e anche a meditare, a fare un’osservazione minuziosa e piacevole della natura, la respirazione funziona a dovere anche perché la facciamo quasi esclusivamente col naso, le orecchie filtrano i sussurri della boscaglia e da lontano si sentono gli infernali rumori che fate voi laggiù, scoreggioni, che dite di correre dietro alla felicità…”

“Sì, lo so, siamo gente abituata non solo ai rumori forti, vogliamo emozioni violente, la televisione sempre accesa e a tutto volume, e se te li portassi qui, i Valligiani, il tuo silenzio li farebbe impazzire…”

“Il silenzio non è mio, è alla portata di tutti, almeno in teoria… anche se nessuno lo vuole, ma tu dici che non resisterebbero, a questo fragoroso silenzio?”

“Non lo so, non ci sono abituati, di sicuro non gli piacerebbe. Magari gli spaccherebbe i timpani…”

“Beh, allora è meglio che non ci vengano qui, pazienza.”

“Pazienza, sì, sì, ci vuole pazienza, ma tu di pazienza ne hai da vendere, mi pare…”

“Ma la pazienza nessuno la compra…”

“Hai provato a offrirne in giro?”

“Sì, ma per quanto sia preziosa, non è quotata in mercato. Ne ho immagazzinata un bel po’, l’ho mostrata alla gente e gliene ho decantato le proprietà miracolose, ma sembrano considerarla senza valore, allora sono costretto a tenermela.”

“Per me ha un grande valore, invece, potresti darmene un poco, te la pago, ne ho un gran bisogno io, con il mio lavoro…”

“Prendine quanta ne vuoi, io ne ho di avanzo, non voglio niente in cambio.”

Disse con aria solenne e poi sorrise in maniera seria o viceversa. Sì, rimase serio sorridendo.

Stavo pensando seriamente a come fare per prendere e portarmi via un carico della preziosa pazienza di Indio Velho, ma la soluzione si trovava già in questa pausa del dialogo, solo a vederlo mi veniva naturale e automatico essere più paziente e tollerante, esattamente come a vedere certe persone stressate mi stressavo anch’io, queste cose magari erano trasmissibili o forse anche contagiose…

Quando mi sentii di aver immagazzinato abbastanza pace e serenità, poi gli domandai:

“Ma tu, piuttosto, non ti senti solo, qui?”

“Mi sono già sentito solo, all’inizio, ma per fortuna avevo avuto tanta compagnia, prima, ora è stivata in deposito, tu non lo sai, ma io ho attraversato il mondo, in lungo e in largo, ne ho conosciuta di gente, sono un po’ stanco di tutto quel parlare, sì… parlare è bene ma stare zitti ha anche il suo fascino… quelli che parlano di più sono quelli che hanno meno da dire, la conversazione è solo un veicolo, ma potrebbe essere anche un’arte, la gente però ha bisogno di fare tutto alla svelta, non ha tempo e poi, quando ne ha, pensa ad altro… comunicare è importante e necessario, ma dovrebbe essere anche un piacere. Invece è diventata esclusivamente una necessità. Ed ecco che il suo fascino è diminuito, almeno per me.”

Il sole stava scendendo e nella boscaglia stava diventando sorprendentemente assai meno caldo, per non dire un freddo dannato e umido. Indio Velho si alzò e io lo seguii, camminammo insieme senza parlare.

La sua presenza era rassicurante, per me, non come quella di una guardia del corpo, cosa da Valligiani, ma piuttosto come quella di una guardia della mente, che era invece roba da Montanari.

Uno che sapeva attraversare ogni quesito con il suo ragionamento, la sua filosofia personale, senza pretendere di risolverlo, senza dover credere che tutto avesse necessariamente una risposta urgente o definitiva. Insieme a lui non mi sentivo in dovere di parlare, riusciva a trasmettermi la sua energia quieta a sguardi, a gesti, anche nella sua immobilità in mezzo al teatro esoterico della natura circostante. Usciti dal boschetto, attraversata la salita coperta da erbe basse, certo spuntate da poco e di un verde chiaro vivissimo, arrivammo su un altopiano più largo, vicini al crinale, il vento era aumentato.

Ci sedemmo su una pietra, dove il vento sembrava più caldo, nella boscaglia invece l’aria era ferma e umida. I suoi occhi si spostavano lentamente attorno e il suo naso sembrava fiutare a lungo, come quello di un cane:

“Hai sentito qualche odore o qualche variazione dello spazio e del tempo?” Gli domandai ironicamente.

“Sì. Domani pioverà, o forse stasera, o stanotte.”

“Come fai a saperlo?”

“Aria di pioggia, dal lato della laguna, di là gli odori arrivano in anticipo.”

Non mi sorpresi, in città non ci riuscivamo più a sentire gli odori della natura, ma una volta la gente era più legata a queste cose. Indio Velho era come un vecchio cane selvatico della boscaglia, sentiva tutto e tutto aveva il suo odore attaccato al suo rispettivo significato, là in mezzo, per lui. Là sotto, nella grande città, invece noi barcollavamo nel buio, non capivamo la metà di quel che ci succedeva, eravamo barchette in mezzo alla tempesta. Indio Velho fiutava e vedeva e ascoltava, era sempre padrone del suo presente e non pensava troppo al passato e al futuro.

“I cani lo fanno ancora. Fiutano. Loro non perderanno mai il loro contatto con la campagna, il loro bagaglio di memoria gli viene trasmesso, istintivamente e spontaneamente. Noi da piccoli dobbiamo imparare tutto, gli animali invece hanno tante nozioni acquisite dai loro predecessori, che sono praticamente autosufficienti da subito, noi invece, senza i nostri genitori moriremmo, nei primi giorni.”

“E allora?”

“Allora la nostra scarsa attitudine fisica, ai primordi, ci ha fatto sviluppare l’intelligenza.”

“Secondo te eravamo predestinati?”

“Non lo so, ma se fossimo stati ugualmente abili a procacciarci il cibo, come gli altri animali, forse ora non saremmo così complessi.”

“Questo sarebbe il famoso elogio all’inferiorità?”

“Ecco, ma se ora abbiamo sviluppato tutto questo progresso attorno a noi, ci siamo distanziati da loro, gli animali, e dalla natura, siamo diventati di nuovo inferiori, è perché non stiamo bene…”

“In che senso?”’

“Non capiamo più qual è il senso della vita.”

“Ma come, non è il denaro?” Chiesi con il mio più stupido sorriso indagatore. Indio Velho sorrise, guardò lontano, dietro alle mie spalle, diventò serio e pensieroso, forse perché laggiù il denaro dettava la sua inesorabile legge. Era proprio per quello, per le sue dannate e ramificate conseguenze, che lui aveva scelto di vivere lassù.

“Il denaro è il prezzo della vita, non mi ricordo chi lo ha detto, ma credo che sia vero. Io però, credo che il senso della vita sia da cercarsi nella natura, più ce ne allontaniamo e meno ci sentiamo bene.”

“Allora tu cosa suggeriresti?”

“Di cambiare argomento.”

Tre giorni dopo, nella mia visita seguente, iniziammo a parlare dei giovani. A proposito dei giovani, lui voleva che gli raccontassi i dialoghi che sentivo in giro per la città, lo facevano ridere, si divertiva e diceva che imparava tante cose nuove, specie quando riuscivo a trovargli qualche storia inedita.

Quel giorno ne avevo una che forse gli sarebbe piaciuta:

“L’altro giorno ho sentito una conversazione interessante per strada.” Proposi, con sguardo desideroso di approvazione.

“Tra giovani?” M’incalzò avido Indio Velho.

“Giovanissimi.” Dissi orgoglioso di me e del mio ruolo di testimone della società moderna brasiliana.

“E com’è stata?”

“Rapida, ma simpatica e indicativa.”

“Sono pronto. Raccontamela allora. Che diavolo aspetti?” Disse preparandosi seduto Indio Velho.

“Sì, va bene, ma non c’è bisogno di sedersi, è velocissima.

Dunque: ieri pomeriggio c’erano due ragazzine che passavano camminando davanti a me, avevano forse quattordici o quindici anni, non lo so, siccome avevano quasi la mia stessa velocità di passi, prima che attraversassero la strada, le ho sentite raccontarsi le loro cose… e qui devo dirti che, per loro, quello che dicevi, qualche giorno fa, della necessità del comunicare e dello scarso piacere nel farlo, non valeva, sembravano veramente contente di parlare tra di loro…”

“E che dicevano?” Domandò lui.

“Bene, una di loro, quella che parlava di più, ha riferito: ieri ho incontrato Mello, e lui mi ha detto: Perché non facciamo non so cosa, non so quando, uno di questi giorni?”

“Ah, bello, e l’altra che cosa ha risposto?” Chiese Indio Velho.

Ma quanto tempo ci vuole? Ha domandato.”

“E l’altra?” Domandò IV.

Ah, questo non lo so! Ha risposto la prima ragazzina.”

IV rise, lo sguardo alto oltre di me, come se si immaginasse la scena, per qualche secondo. Poi disse entusiasta:

“Meraviglioso, piccola-grande storia, sei un grande osservatore Evair, questo è uno stupendo esempio di stringata banalizzazione moderna, pieno di mancanza di significato e perciò autenticamente significativo e significante, ma… a proposito: cosa diavolo significa?

Ti dico la mia interpretazione: i giovani non specificano più le situazioni che già appartengono a schemi standardizzati e conosciuti da tutti e si riferiscono a essi con parole e frasi cortissime e convenzionali.

(Un po’ come la barzelletta del club dei raccontatori di barzellette, che ormai le raccontavano citandole e ridendo usando i loro relativi numeri di riferimento dopo averle catalogate…)

Insomma, le persone nel mondo globalizzato pensano di non avere tempo per stare a conversare e allora usano i nomi per le situazioni, avendole da tempo catalogate e divise in categorie… la totale assenza di specificità appiattisce e semplifica tutto, senza doversi dilungare in descrizioni noiose e fuori moda, dato che il tempo corre. Fenomenale!” Aggiunse lui, cercando forse in me una qualche reazione.

“Fantastico.” Dichiarai io, con malcelato poco entusiasmo.

“Incantevole.” Terminò Indio Velho con autentica e grande gioia bambina.

“Ma questo non è anche un poco triste?” Rincarai allora, da mezzo avvocato del diavolo, per capire meglio cosa ne pensava Indio Velho e perché pensavo poi che fosse triste veramente.

“Non lo so.” Disse lui. “La gente è così, specialmente quella giovane che studia e quella che lavora, mi pare che veramente non abbia tempo, per conversare come vorrebbe e comunque non ci è più abituata. Non si sente più piacere nella conversazione, nella modernità tutto si frammenta, tutto diventa rapido e apparentemente necessario, allora si va al passo con i tempi, oppure si perde tempo e si viene dimenticati. Basta pensare ai computer, all’economia virtuale, ai dialoghi tra persone che lavorano, ai cellulari e ai messaggi di testo o di voce, agli incontri rapidi e in più interrotti da continue telefonate. La comunicazione sta correndo come impazzita, per forza diventa uno stereotipo, perché la descrizione sarebbe molto più lenta, no, no, si deve sintetizzare al massimo, per mantenere il ritmo!” Aggiunse lui, con entusiasmo, come se fosse una catena di cose positive.

“E questo non è malinconico per te?” Domandai io.

“Forse sì, o forse no, ma quello che noi dobbiamo pensare è che la natura stessa non si fa questa domanda, va avanti e non pensa alle soluzioni, ma vive la sua realtà dolorosa o meravigliosa che sia, dipende dai punti di vista, dai momenti, dalle situazioni, da chi sta da una parte o dall’altra. La natura non ha punti di vista è qualcosa di enorme e mischiato, e in movimento. Io cerco di ragionare in questa maniera, essendo io stesso poco ragionevole, ma in fondo quello che voglio è essere pratico, più che altro, le soluzioni per me sono diventate automatiche, da qualche anno a questa parte non ne ho bisogno più, delle decisioni, tutto si muove da solo. Come la mia maniera di isolarmi, che non è stata cosciente né improvvisa, ma il risultato di tutto quello che ho vissuto prima, sommato al mio carattere, alle condizioni di vita che stavo attraversando…”

“Ma per fare così bisogna un po’ disumanizzarsi…”

“Certo, ma non fa così male come si pensa, animalizzarsi un poco, perché è il ritorno alle nostre origini, io sto meglio ora di prima, certo non posso consigliarlo a tutti, ma chi se ne importa?”

“E allora non ti rattrista per niente questo processo di diminuzione del valore della cultura? L’appiattimento del dialogo, la morte della piacevole conversazione?”

“Forse sì, ma solo se fossero cose prese separatamente.”

“Che cosa vuoi dire?”

“Voglio dire che tutto questo progressivo peggiorare è solo una sensazione di gente che è abituata a cercare i difetti e non i pregi, a separare e non ad associare, ma questa tristezza la maggior parte della gente non la sente, secondo me, perché nel progressivo cambiare della loro routine, si è abituata a vivere in questa maniera…”

“Certo che l’ignoranza e la povertà, almeno qui, fanno parte della vita di tutti i giorni…”

“Non solo qui, la storia si ripete come la geografia, la religione e la storia dell’arte, sì, sì, certo anche come la matematica… ridi? Ma è la pura verità, amico caro, tutto è copia di tutto, io non so immaginare un mondo differente, è sempre stato così e lo sarà ancora, nei secoli dei secoli…”

“Ma noi, però, dovremmo sperare che il mondo migliori, non è vero? Magari anche fare qualcosa affinché questo possa succedere.”

“Certo sarebbe bene, ma non tutti lo possono fare.”

“Non sono d’accordo. Secondo me tutti quelli che se ne rendono conto dovrebbero fare qualcosa, attivamente, non solo parlare.” Dissi io con una certa convinzione.

“Il difficile è non guastare la propria vita, nella ricerca di un qualcosa del quale probabilmente non vedremo risultato.

Beh, il mondo è stato infelice sempre, più o meno come ora, anche se in maniera differente, si può scegliere un’epoca preferita del passato, ma non si sa se le persone erano più felici di ora. Si potranno sempre migliorare alcune parti, ma allo stesso tempo altre peggioreranno, almeno dal nostro punto di vista. Dal punto di vista di altre persone, invece, proprio le cose che per noi saranno peggiorate, per loro sembreranno migliorate e ogni cosa e il suo contrario si avvereranno puntualmente, insieme alle mezze misure, nelle minuzie come nelle cose importanti, ci sarà eternamente una mistura confusa, sarà sempre difficile trovare la verità, ognuno ne avrà sempre un’idea differente, in un momento, e in un altro sarà già cambiato.

Per esempio: siamo abituati a dire come nostre le parole di un commentatore televisivo, a crederci veramente come se fossero nostri pensieri, le frasi udite in giro e che ci sono piaciute, ma il nostro pensiero sarebbe assai differente se veramente conoscessimo i fatti e non le notizie… perché i fatti sono già stati presi e filtrati, mangiati e digeriti da quel giornalista, che magari parla così per un suo interesse personale, per proteggere o promuovere qualcosa o qualcuno. ”

Rimanemmo zitti per qualche attimo, gli uccelli cantavano forte, erano in tanti, mi pareva che ci fosse in loro una particolare agitazione. Me ne accorgo solo ora, che Indio Velho mi aveva aperto una nuova porta, come sempre. Insistere nel mio punto di vista però mi portava a capire meglio, a sviscerare più completamente possibile l’argomento, come se immaginassi il punto di vista di chi sta di fronte a me e come se le parole di IV fossero le mie. La pausa finì quando io gli dissi:

“Ma quella maniera di parlare, se ho ben capito, non ti piace, così rapida, disturbata, frammentata, sintetizzata, senza personalità. Se la gente vive in questa maniera, non è peggio anche per noi?”

“No, o almeno solo in parte, quella è la loro vita, come potremmo fare per uniformare il nostro pensiero a quello di loro? E anche se potessimo, non può essere che in alcune cose loro abbiamo ragione e noi torto? E poi noi chi siamo? Tu sei diverso da me, siamo tutti diversi… anche se ci sforziamo di apparire uguali.”

“Va bene, va bene, ma vedere gli altri che stanno male non fa stare male anche noi?”

“Sì, in un certo senso, ma è la condizione dell’uomo, se anche tutti gli uomini stessero bene, non sentiremmo pena per gli animali? Se potessimo anche risolvere tutti i problemi animaleschi, poi le piante e le pietre ci parrebbero sfruttate e mal retribuite della necessaria e dovuta gratitudine… la pietà, insomma, nel senso classico, la compassione, certo, è bene avercela… ma non dobbiamo esagerare, prima di tutto perché non siamo per niente onnipotenti.

Come fanno gli stessi animali? Il tuo cane, per esempio - sì, lo so che non è tuo - pensa a se stesso, o forse nemmeno a quello: cammina, abbaia, mangia, poi dorme, se glielo lasci fare si procrea e non pensa mai, tanto per dire, a come sta male il cane del vicino che invece è legato e non può nemmeno farsi un giretto per il terreno recintato, e che nessuno lo accarezza mai…

Ecco: la pluralità porta la diversità e la diversità è più da accettare che da capire, il senso della vita è godersi la bellezza che c’è in giro, approfittare di quello che abbiamo e non stare a riflettere troppo su quello che non abbiamo noi o che gli altri non hanno. In sintesi, se noi stiamo male per gli altri, è solo perché non sappiamo dare, a loro o alla situazione, la opportuna collocazione nell’ordine delle cose. Invece, se le dedichiamo un po’ del nostro prezioso tempo, formiamo la nostra filosofia personale e solo allora possiamo accettare, perché allora non è più una cosa passiva, ma attiva. Ecco che possiamo aiutare gli altri, non dico materialmente, ma anche solo con la nostra presenza, una frase, una parola… cosa che non possiamo certo fare se stiamo in pena, se soffriamo, se la vita ci pare ingiusta e penosa, il bene che potremmo fare si tramuterà in dolore, questo sarebbe ciò che doneremmo agli altri, solo che di questo nessuno ne ha bisogno, però.”

 

“Ma allora come fai a giustificare a te stesso che esistono persone che muoiono di fame e altre che invece hanno milioni di dollari in banca nelle isole Kaiman? Come puoi sentire giustizia nel fatto che questi secondi si arricchiscano sfruttando i primi?”

“Non sto dicendo che è giusto, ma solo che è inevitabile, perciò non me ne sento responsabile, come mi sentivo un tempo, che pensavo e dicevo che volevo cambiare il mondo e poi mi sono accorto che invece era me stesso che volevo cambiare e che il personaggio di lottatore politico che mi ero costruito addosso, anche lavorando come sindacalista, era quasi tanto falso quanto quello dell’industriale arrogante e vorace di sangue dei suoi operai… con le debite e necessarie proporzioni, naturalmente.

Insomma, ho pensato che tutti rientravamo nei modelli stereotipati di una società costruitasi nel tempo e nello spazio, progressivamente dimenticandoci della propria natura e calcificando e pietrificando odio nei propri ruoli, per arrivare a dimenticarsi anche degli obbiettivi, difendendo le proprie posizioni senza pensare più alla realtà al di fuori della mentalità standard del partito o della propria condizione - privilegiata, da un lato e scomoda dall’altro - di difendere coi denti la proprietà, senza accettare critiche o variazioni, ma solo difendendoci e attaccando, esattamente come facevano e fanno gli animali, nella foresta, gli uomini primitivi.

Però noi siamo uomini, invece, adesso più civilizzati di prima, almeno in teoria, abbiamo la nostra libertà - seppur relativa - a disposizione di tutti, o quasi.

Ecco che la pratica la dobbiamo sviluppare personalmente, ognuno in maniera diversa, evitando ogni tipo di schiavitù.

Cominciando da noi stessi, prima di tutto dobbiamo capire come siamo fatti noi, ognuno deve farsi un esame di coscienza regolare e cercare di non ingannarsi nelle risposte, perché rappresenteranno la base del nostro cammino futuro.”

Indio Velho si era scaldato più del normale, aveva alzato la voce, aveva accelerato il ritmo delle frasi.

Lo guardai incuriosito e cercai di infilarmi in quella fessura, in quel punto debole, perciò, di approfittarne, domandandogli subito in maniera leggermente provocatoria:

“Che cosa vuoi dire, che secondo te non vale la pena di fare attività politica? Che nemmeno i sindacati servono a niente?”

“No, al contrario, molte cose sono migliorate grazie agli scioperi e ai sindacati, all’esistenza di un’opposizione che controbilanciasse un potere che non deve mai diventare assoluto, sennò sono guai per tutti.”

“Qual è allora il tuo pensiero? Non ci ho capito niente.”

“Aspetta, non sono ancora arrivato al punto principale… però, rispetto all’attività politica e a quando facevo il sindacalista in Italia, quello che volevo dire era questo: in genere i ruoli diventano stereotipati, nessuno fa quello che dovrebbe essere fatto, si è legati al personaggio e si fanatizza in maniera perlopiù fanatica, con le mani legati da un lato e l’etica del partito dall’altra, senza mai uscire dai binari, si andava avanti come un treno, senza decidere né come né dove, in mano a meccanismi che non si capivano, ma si correva come matti.

Ecco, per questo ho messo metaforicamente in parallelo i due ruoli del politico di sinistra e dell’industriale di destra, tutti e due non escono mai dal loro ruolo e si portano avanti lotte standard con proteste e contro-proteste su un sistema binario che non ha mai variazioni significative.

Quando mi sono reso conto di questo aspetto ho abbandonato la politica, e l’idea di cambiare il mondo, è troppo dannatamente difficile spostare un sassolino, dentro a un sistema di sistemi, in modo che abbia una qualsiasi importanza, in compenso è molto più facile riuscire a frustrare e a rovinare di conseguenza la propria vita.

E noi di vite non ne abbiamo due o tre, io alla reincarnazione, non ci credo.”

“Sì, ora ti ho capito, ma il punto principale qual’era?”

“Ah, secondo me il nodo grande è questo: nella natura i pesci grossi mangiano quelli piccoli, la legge del più forte esiste, da sempre, è crudele e spietata, quello che vuoi tu, ma fa parte della natura.

Il comunismo predicava: pesci tutti uguali nello stagno, ma alcuni pesci erano più uguali degli altri, quelli che dedicavano la loro vita al partito, non tanto per il bene del popolo, come dicevano, ma per il loro tornaconto personale. Denaro potere e sesso, è chiaro finivano per essere di nuovo pesci grandi, un nuovo tipo di pescioni, capitalisti anche loro, mangiando i pesci piccoli, giurando che era per il loro bene.

Esistono animali erbivori e altri onnivori, i carnivori sono i più pericolosi, l’uomo è un animale progredito, ma è sempre un animale. Nella società moderna cambiano i metodi, la mentalità è più complessa e in costante evoluzione, ma esistono vari tipi di persone e alcune non si accontentano, altre sì, alcune vogliono una vita tranquilla, altre invece hanno bisogno di emozioni violente.

Certo, gli animali uccidono solo per necessità, l’uomo ha sviluppato molto di più questo lato, perché soprattutto dopo la rivoluzione industriale ha iniziato, come fenomeno di massa, a immagazzinare ricchezza, a pensare al domani, lavorando oggi per prevenire i tempi duri.”

“Facendo i suoi tempi attuali indurire, per qualcosa che domani forse non avverrà mai, economizzando un’esagerazione per quello che poi, nel futuro, non avrà mai luogo.”

“Anche, anche. Ma l’industriale è convinto che può mantenere il suo stato di privilegio, conquistato duramente, solo sfruttando il lavoro altrui, estraendo il suo bastardo plusvalore, mettendosi sotto i piedi tutto e tutti, per lui è necessario come per il Tirannosauro sgozzare la sua vittima ogni giorno, sennò muore di fame, o almeno è quello che crede, questo è ciò che hanno in comune, hanno bisogno del sangue altrui.

Io non dico che bisogna sottomettercisi, al contrario, ma che ognuno ha il suo ruolo ed è proprio questo che ogni uomo deve scoprire, prima di tutto.

Esistono uomini pacifici e altri aggressivi, come gli erbivori e i carnivori degli animali, secondo me l’onnivoro avrà sempre una vita migliore, perché saprà riconoscere il pericolo da che parte viene e non dovrà pensarci più di tanto e vivrà di conseguenza, divertendosi abbastanza, se mancherà la verdura mangerà anche la carne e il pesce, metaforicamente, insomma si adatterà meglio a ogni condizione di vita e ai cambiamenti costanti, ma irregolari e discontinui che la vita gli impone.

Questo per dire che gli uomini non sono né cattivi né buoni, ma semplicemente grandi e piccoli, aggressivi e pacifici, eccetera eccetera.

È sempre e comunque una questione di sopravvivenza, in teoria, o di economia, in pratica, ma i risultati sono più o meno quelli dei tempi passati, come tra gli animali, anche per noi è cambiato poco, i metodi si sono trasformati progressivamente, a volte anche improvvisamente, ma ora c’è più stress, perché ora il pericolo è più difficile capire da che parte viene, come si manifesterà, e c’è più ansia, perciò.

Una volta, non troppo tempo fa, si cacciava per mangiare o si era cacciati per essere mangiati, si scappava dal predatore o s’inseguiva la preda, non esistevano altre possibilità, non c’era da lambiccarsi troppo il cervello.

Ora no, ora le maniere in cui le cose possono andare storte sono moltissime e quando uno sta troppo attento a tutto quello che gli può succedere vive una vita che non vale la pena…”

“Aspetta un po’, sennò me lo dimentico: tu hai detto poco fa, che tutto è una questione di economia. Io non sono completamente d’accordo. E il potere? Dove lo metti il potere? Non credi che tanta gente sia ammalata di sete di potere?”

“Certo, il potere. Ne abbiamo parlato anche prima. Anche quello è antico, mi pare che, quando qualcuno alza la testa, già gli vengono automaticamente manie di potere.

Magari è vero che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma era meglio se non lo diceva a nessuno.

E poi, per me, è più facile che invece sia successo il contrario, è l’uomo che si è costruito un Dio nel cervello, a sua immagine e somiglianza.

Quello è nato appena ci si è creata l’idea dell’essere superiore, è un istinto di imitazione, tanto infantile quanto innato, purtroppo dannoso e in nome del quale tutto passa in secondo piano, è una malattia, fa parte dell’ordine a volte apparentemente disordinato delle cose. Ma è un disegno a fantasia, sebbene complesso ha la sua logica.”

“Allora dobbiamo accettare tutto pacificamente, no? Certo, basta risolvere nel cervello tutto questo e ci siamo conquistati la pace? Vorresti lasciar governare il mondo dalle multinazionali?”

“No, prima, infatti, parlandoti dei Tirannosauri, volevo dire che la multinazionale è come un enorme Tirannosauro moderno fatto di macchine e gente, che per il proprio lucro sacrifica ogni cosa altrui, ma indirettamente anche sua… provoca ogni genere di danno, all’economia e all’ecologia, insomma alla qualità di vita di più paesi, in generale.

La loro tattica è esternalizzare i costi, produrre a basso costo e vendere a prezzi competitivi… o meglio, a prezzi che strangolano senza pietà le piccole fabbriche, i piccoli commercianti.

Quando vogliono fargli pagare qualcosa che loro non hanno intenzione di pagare, rispondono con frasi fatte, perché non si tratta più di persone, ma di macchine di lucro, di mostri senza testa.

Per esempio, a Porto Alegre si tentò di negoziare, insomma, di trattare questi esagerati costi esternalizzati alla comunità di Guaiba e la Ford, che voleva metterci su una grande fabbrica, recitò a memoria la famosa frase, attraverso un suo rappresentante:

“Non potete farci carico di questi costi, sennò i nostri prezzi non saranno più competitivi…”

E detto fatto, rotta la trattativa, se ne andarono a 3000 chilometri di distanza, nello stato di Bahia, dove c’era più povertà e avrebbero accettato ogni tipo di condizione.

Dentro la multinazionale le persone cessano di comportarsi come tali e si vendono l’anima, è l’unica maniera di sopravvivere nella tempesta dei mercati globalizzati, il mondo è un mercato, solo i mostri carnivori sopravvivono, gli onnivori vengono a scoprire metodi alternativi e vivacchiano, gli erbivori spesso soccombono.

La multinazionale inquina la natura, abbassa i salari nella regione in cui opera, diminuisce i prezzi della merce in maniera che l’impresa piccola fallisce, in generale, nel mondo intero, obbliga le persone a comprare i prodotti a un prezzo più basso, ma solo relativamente, pagando stipendi anche più bassi, visto che il costo della manodopera è uno di quelli su cui può giostrare, non importa se poi le persone che si scannano per lavorarci fanno la fame e le condizioni di lavoro non sono sane. La multinazionale non ha coscienza e le persone che ci lavorano anche non ne devono avere.”

“Che cosa proporresti allora?”

“Non lo so, che ne diresti di parlare di qualcos’altro?”

“Va bene… o magari potremmo anche stare in silenzio…”

“Come quando si ascolta il vento?”

“Sì, ecco, ascoltiamo il vento.”

Quando IV si stancava preferiva riposare, non voleva forzare, ecco cosa lo contraddistingueva dagli altri, se non aveva più voglia, se non ne ricavava piacere, ecco che smetteva, semplicemente.

Che cosa c’era di più naturale?

Se non resistevo troppo ad ascoltare il vento, non provavo il gusto che avrei voluto, non sentivo tutti gli odori e i segnali conseguenti che portava, il mio piacere era guardare Indio Velho che lo faceva.

 

Alcuni giorni dopo, eravamo seduti su un gruppo di rocce, con il vento sferzante e alcune nuvole che ogni tanto ci facevano rabbrividire, perché tagliavano il cammino del sole in direzione dei nostri corpi.

Indio Velho parlava molto lentamente, lo punzecchiai su un argomento del quale mi sarei potuto anche pentire: gli chiesi quale fosse, insomma, la sua dannata filosofia di vita.

Lui ne rimase tutto soddisfatto, come mi aspettavo, anche perché potenzialmente poteva sfoderare il suo concetto di base, del quale aveva un orgoglio quasi infantile, ma non lo faceva, ci girava intorno, voleva testare la mia capacità, la mia resistenza, forse mi voleva insegnare la sua arte di essere paziente.

O forse aveva troppi argomenti, che si ingorgavano per trovare la via della bocca

Intanto io diventavo sempre più nervoso.

 

La mia personale filosofia fu deformata e poi modificata dal pensiero di IV, in quei mesi, non glielo dissi mai, ma lui certo lo sapeva.

Quando partiva a tutto gas dalla filosofia in generale, sebbene non ce ne fosse nessun bisogno, forse lo faceva solo per me, non per insegnarmi cose che sapevo già, ma per temprare i miei nervi.

“Essere un filosofo significa credere a qualcosa e applicarlo, nel mondo ci sono tante variazioni, tante apparenti o effettive opzioni, ma la gente non sceglie quasi mai la sua strada, si prende strade già pronte, prefabbricate.

La gente dice cose a cui non crede completamente, udite da altre persone, pensa in una maniera, parla in un’altra e agisce in una terza ancora.”

“E tu, invece?” Cercavo d’incalzarlo.

“Io sono uno scettico tranquillo, lo sai, dopo averne attraversate tante, di strade, ho visto che quelle che portano ai dogmi non m’interessano, i grandi filosofi sono stati quasi tutti dogmatici… secondo me erano gente geniale, non dico di no, ma con i piedi lontani dalla terra, io no, io cerco di essere più pratico, non pretendo di risolvere tutto subito, lascio gli interrogativi aperti, se non riesco ad arrivare alla risposta, non m’invento delle storie suggestive, delle dimostrazioni forzate, aspetto di vedere la soluzione in seguito, col correre del tempo e della mia esperienza.

Non ho paura di dire non lo so, anzi mi pare una dimostrazione di attaccamento alla realtà, giacché non si può sapere tutto.

Quello che conta è che non forzo il mio ambiente a darmi quello che non può, non cerco cose assolute e definitive, perché per me non hanno troppa importanza, se tutto si muove ed è in costante evoluzione, perché perdere tempo con statue di verità formale che forse non erano vere nemmeno ieri, già che stanno attraversando l’oggi e diventando un’altra cosa ancora nel domani?”

Aveva detto tante cose, ma non aveva detto ancora niente, che cosa diavolo significava essere uno Scettico Tranquillo?

Secondo me non ce n’era bisogno di buttarsi in quelle lunghe spiegazioni delle filosofie greche, tra cui il mito della caverna di Platone. Quando partiva per questi viaggi, però, nella storia della filosofia, non c’era maniera di fermarlo, ci avevo già provato, ma non serviva a niente, allora io mi mettevo a cercare le zecche nel pelo folto del cane.

Tra le altre cose, Indio Velho mi aveva insegnato a infilarle dentro a un barattolino con un forte detersivo per tappeti, là morivano narcotizzate e non potevano spargere uova in giro, come facevano se uccise schiacciandole col piede o un sasso.

Anche quella era una dimostrazione della legge del più forte, mi aveva spiegato a suo tempo, la pietà era un’altra cosa, da usarsi, magari, con chi non ci succhiava il sangue.

Il sentimentalismo, in sé, era una specie di autocommiserazione, secondo lui gli italiani erano troppo sentimentali e questo li fregava sistematicamente, io non ne conoscevo nessuno e non potevo dire niente.

Dopo qualche mezz’ora di racconti e di storie, di filosofie legate e slegate, moderne e antiche, eravamo arrivati forse e finalmente alla definizione della sua: perché Indio Velho era un cazzo di Scettico Tranquillo?

Manco per niente: se ne scappò di nuovo da un’altra parte, magari limitrofa, adiacente se non consecutiva e complementare, ma non quella che io volevo, vedendo che cercavo le zecche del cane, ecco che prese una ramificazione a caso ma non troppo del suo frondosissimo pensiero e la seguì:

“Il difficile nel mondo è il non alterare l’equilibrio della natura, perché la natura quando s’arrabbia non le si può più domandare scusa, spesso è troppo tardi.

L’attenzione che dobbiamo dedicargli è una cosa delicata, ma è estremamente naturale, non uccidere nemmeno una formica, quando possiamo evitarlo e non usare la violenza se non è necessario e soprattutto se è dannoso.

Rispettare animali e alberi e perfino le pietre, amarne la purezza, come rappresentanti molto più semplici e nobili di noi esseri umani, ecco che ci fa essere migliori.

La vedi questa pietra qui, dove sono seduto? Non so niente della sua storia, ne deve aver viste e sentite di cose, a volte è anche troppo dura con il mio sedere, che non se lo merita e allora io ci potrei anche litigare, ma altre volte mi fa da poltrona in maniera egregia, ecco, pensa quello che vuoi, ma io ci sono affezionato, la rispetto e ne sentirei la mancanza, se non ci fosse.

Non si muove da lì da millenni, non dice niente, non puzza e non profuma, eppure…

Dare il valore giusto ai vari elementi significa non essere rigidi, statici, ma sempre in costante movimento, ogni cambiamento di posizione, di punto di vista, è necessario per accompagnare una realtà che non è mai stata ferma, non lo è ora e non lo sarà mai.

Come diceva Kant la nostra idea delle cose le modifica dentro di noi, ma la cosa è reciproca, perché loro, le cose, intese come tutto, in generale, ci influenzano anche dal fuori.

È, cioè, un processo di andata e ritorno continuo, l’unica maniera per poterne usufruire con continuità e soddisfazione è l’elasticità, che è grande nemica dell’assoluto, almeno apparentemente, secondo la concezione umana.

Kierkegaard risolveva tutto dicendo “Non si può realmente sapere, ma solo aver fede”, io sono parzialmente con lui, ma quell’aver fede è un poco delegare la nostra propria responsabilità a qualcun’altro o a qualcos’altro, che potrebbe essere indifferentemente: un dio qualsiasi, magari inventato da un leader spirituale, un boss mafioso e un conseguente grasso e apparentemente pratico conto in banca garantito da un lavoro materialmente e moralmente sporco, ma chi se ne frega?

È vero, però, lateralmente, che non si può realmente sapere, gli interrogativi sono troppi e non sempre possiamo rispondergli, ma quello che dovremmo fare noi, secondo le mie esperienze passate, è un poco provare a noi stessi tutto quello che succede, anche attraverso le discussioni con gli altri, ma partendo da un dialogo interno, che ci stimoli a metterci anche in dubbio e perciò ci dia costantemente, anche se a volte faticosamente, una posizione nello spazio e nel tempo, cioè ci faccia capire chi siamo e cosa stiamo facendo al mondo.

Allo stesso tempo dobbiamo accettare che la nostra sete di verità non sempre sarà saziata, non dobbiamo rinunziare, ma non possiamo nemmeno credere che tutto si possa regolare al momento, che si debba dare un corso a tutto, per arrivare ogni giorno a qualcosa di nuovo, perché è una capacità che non abbiamo, noi, come non ce l’ha nessuno.

Dobbiamo invece mantenere l’attenzione costante, magari alle risposte, anche arrivate in ritardo, di domande fatte nel passato, o alle novità assolute passate di fronte a noi all’improvviso, se ci facciamo attenzione queste cose ci accadono continuamente, ma di solito, purtroppo, noi siamo troppo distratti per accorgercene…”

Rinunciando su suo recente insegnamento all’insistenza su un unico punto, non gli rinnovai la domanda che avevo ancora dentro di me, no, anche se con difficoltà, pazientavo.

Il suo ultimo suo ragionamento mi era parso logico, ma difficilmente attuabile, allora domandai a IV:

“Come facciamo a fare attenzione a tutte queste cose, se dobbiamo lavorare, tirare su una famiglia, confrontarci tutti i giorni con i cimenti quotidiani della nostra vita nel mezzo degli altri, una vita che diventa sempre più rapida e complessa?”

Indio Velho sorrise, forse contento che avessi lasciato perdere la sua filosofia personale e allo stesso tempo individuato il punto essenziale del discorso:

“Ti posso dare due risposte, entrambe sono verosimili, ma sono estreme e la verità è una media tra le due, che tu potrai fare, non oggi né domani, ma nel correre del tempo: la prima è quella che mi viene più naturale, per la scelta che ho fatto, ma questo non significa che io non mi renda conto delle difficoltà che si trovano là sotto, tra i Valligiani e i Collinari, per cercare un equilibrio.

La mia prima risposta è che non si può e proprio per questo io me ne sono uscito e sono venuto qui, a fare il Montanaro.

La seconda risposta, più aperta e flessibile, meno assoluta, è che dentro la vostra realtà di lavoro di tutti i giorni voi potete scegliervi una strada poco battuta, che è quella di seguire il vostro cuore.

È la scelta più difficile eppure è la migliore.

Non fare come gli altri è difficile, certo, almeno all’inizio, ma poi scivola meglio, è indispensabile saper separare, distinguere, ragionare su tutto quello che succede e può succedere, vivendo insieme a tanta gente tutto è più complicato, ma ragionare col proprio cervello, agire secondo il nostro pensiero e dire cosa pensiamo veramente, per quanto apparentemente la strada più faticosa, è la meno stancante, perché andiamo dietro a noi stessi e non agli altri e non ci sentiamo stressati, perché facciamo, in fondo, quello che è naturale, anche se tutti intorno si sono dimenticati di come è, e in più, grazie a noi, tanti ritroveranno questo anello di congiunzione con se stessi.

È inutile parlare e dire cose importanti, se poi nella vita agiamo in maniera differente da quello che diciamo, quello che conta sono i fatti e la gente ci vede e confronta le nostre idee con quello che facciamo. Se facciamo come loro non gli pare strano, in fondo è ciò che vedono e sentono tutti i giorni, ma se invece la nostra armonia è maggiore, se siamo più compatti, vedono e sentono la differenza e inevitabilmente gli piace, ma questa non è la nostra unica prospettiva, quella di piacere agli altri, il nostro fine è piuttosto quello di stare bene, anche piacere agli altri è importante, certo, ma dobbiamo anche farci piacere gli altri e quello è più difficile, che è possibile, anche se sono diversi da noi.

Quello che è profondamente sbagliato, nella tendenza umana occidentale, è di voler parere tutti uguali, mentre dal dentro le persone vogliono affermare la loro individualità e non sanno come.

Questo provoca una grande frustrazione.

Hai visto gli adolescenti come vogliono vestirsi in maniera originale e invece seguono sempre e solo le mode?

Si stanno aprendo al mondo, cercano di affermarsi, di capire chi sono e di impressionare gli altri, poi finiscono per fare esattamente quello che tutti si aspettano, e se non lo facessero sarebbero guai. La gente ama l’originalità, ma solo dopo che si sia affermata, prima, invece, qualsiasi cosa è sbagliata, perché è nuova, non è conosciuta, perciò può essere solo un errore.

In seguito le loro ali - quelle dei giovani - verranno immobilizzate, fasciate da una realtà molto differente da quello che avevano immaginato e finiranno per vivere come formichine casa e lavoro e lavoro e casa, il mondo ha tarpato i loro sogni in pochi anni e li ha standardizzati.

Forse questo è necessario, forse sono solo fasi, caratteristiche delle varie età, ma quello che conta, poi è riuscire, presto o tardi, ad avere una meccanica di vita che funzioni e per funzionare deve dare all’individuo soddisfazione, prima di tutto dal punto di vista del divertimento, non c’è cosa peggiore della noia. O forse sì, peggio ancora di annoiarsi c’è il fingere di divertirsi, ma sono due cose che vanno bene insieme, le vediamo ogni giorno nella gente che ci circonda, in tutta questa indifferenza che c’è in giro.

Hanno perso l’anima? Dirai te. No, hanno scelto di farne senza, e come hanno fatto a scegliere? Non sono stati dei singoli ma è un movimento collettivo, in fondo l’anima è un’invenzione dei borghesi, ne avevano bisogno per affermarsi, perché stavano cominciando a esistere in un mondo in cui la classe media era una novità.

Il successo diverte, certo, affascina, ma spesso schiavizza, pochi hanno l’umiltà di scegliere e poi di realizzare sogni semplici eppure costruttivi, tante cose distraggono dal punto focale, dal baricentro del ragionamento necessario, gli esseri umani.

Uno di questi è il sesso, ma il denaro e il potere sono altri, sono collegati e intrecciati, ma il nostro riferimento deve sempre essere la natura, invece. Ed è esattamente il contrario di quello che sta succedendo…”

 

Per la visita seguente, già durante la ripida salita, mi ero preparato a mantenere IV sul punto, a non farlo fuggire e a farmi spiegare finalmente e definitivamente cosa significasse essere uno Scettico Tranquillo. Ero uscito presto, perché tutte le volte, quando lui sembrava al punto di rivelare la regola fondamentale, era tardi e non aveva più voglia di parlarmene o io me ne dovevo tornare a casa.

Lo trovai sdraiato sotto il sole, trascorremmo i nostri primi minuti insieme senza parlare.

Argo stava pascolando, appariva e scompariva, cercando odori, tracce e relativi animaletti di appartenenza, i quali non sempre ne erano divertiti e in alcuni disgraziati casi, venivano addirittura spiaccicati senza che lui ne avesse alcuna intenzione, magari per il bene della scienza canina, testandone - per esempio - la consistenza con le robuste zampe.

IV mi guardò per un po’ alla sua maniera. A volte mi pareva che fissasse lo sguardo su un oggetto o una persona, senza realmente vederla, ma andando oltre. Poi finalmente partì con quello che volevo e aspettavo da giorni:

“Ma te l’ho già detto varie volte cos’è uno Scettico Tranquillo, lo scettico tranquillo è uno come te, che non crede a tutto quello che gli dicono e non ha nessuna fede fissa, uno che non ha bisogno di piattaforme di regole fatte da altri, ma semplicemente vive in maniera empirica, provandosi tutti i giorni la propria capacità in modo pratico e cercando di imparare cose nuove.

È scettico perché non usa mai, senza filtrarlo, un consiglio dato da un altro, è tranquillo perché non ha bisogno di risposte immediate.”

In genere, nella mia vita, e in particolare in quel determinato momento, mi sentivo assai poco tranquillo, anzi, al contrario, piuttosto ansioso di risposte urgenti.

Ero scettico, sì, ma principalmente per quanto riguardava la mia capacità di usare il suo consiglio di portare pazienza.

“Io sono Scettico, con la S maiuscola, per determinare non uno stato momentaneo, ma, se possibile, quasi definitivo. Perché?

Ecco un esempio: in Brasile la filosofia e i filosofi sono scarsi, tutto è abbastanza materiale, per motivi storici e geografici che ora, per mancanza di tempo, magari lasciamo perdere.”

Visto che io non ribadivo, i motivi venivano per il momento lasciati di lato e IV continuava la sua arringa:

“Ma la filosofia s’insegna a scuola e all’università, una materia come un’altra, ci si confonde facilmente, tra gli stessi specialisti, tra l’essere professore di filosofia e l’essere filosofo, addirittura!! Che sono due persone che potrebbero anche coincidere in una, ma non lo sono quasi mai. Il professore pensa una cosa, ne dice un’altra e ne fa un’altra ancora. Il filosofo non può, lui, almeno lui, se mi permetti, deve pensare, dire e fare la stessa identica cosa, sennò perde la sua identità speciale, la sua credibilità eccetera.

Ora, come abbiamo detto la filosofia qua è insegnata male, da cattivi professori, come spesso in tutto il mondo moderno, professori che non sono filosofi e che contraddicono il loro pensiero con la loro azione.

Bada bene che la mia presunzione di essere un filosofo è basata solo sul fatto che penso, dico e faccio quasi la stessa serie di cose.

Ci riesco poco ma meglio di tanti altri e questo già non è facile, ma è importante, e bisogna rinunciare a tante cose, alle comodità per esempio, e ad altre che non sto qui a elencarti.

Sono Tranquillo, perché la mia filosofia mi permette di incastonare il tutto al suo dovuto posto, di capire come funziona il mondo e come ha funzionato fino a questo momento, certo, tutto abbastanza approssimativamente.

Ciò non significa che domani un gruppo di giovinastri non possa venire qui ad appiccarmi il fuoco e a tramutarmi in una torcia umana, solo per farsi quattro risate.

So che sono indifeso, ma ne ho coscienza e non sto a perdermi dietro polizze di assicurazione e a mettere denaro da parte per il futuro, perché, sebbene sia quello che tutti fanno, per me è pazzia pura.”

“Anche perché non hai un soldo.”

“Certo, ma anche quando ne avevo non mi sono mai perso dietro a queste cose, perché cercare di controllare il futuro partendo da ora, è solo una trovata di marketing, le assicurazioni sono nate per guadagnare soldi, non per proteggere le persone, loro cercano di non pagare i danni, e spesso ci riescono anche.

E poi il mondo è burlone e ti farà facilmente succedere una delle tante cose non previste dalla polizza, lo sai meglio di me.

Ma dicevo che sono Tranquillo perché, questa mancanza della totalità delle risposte, che tanto fa soffrire l’uomo, non significa per niente l’inutilità delle mie domande, io sono disposto a pazientare e anche a dibattere i temi polemici con chiunque, anche ad ammettere di aver torto, per me proprio questo è un punto di arrivo migliore che quello di aver ragione, perché ammettendo di aver torto io capisco qualcosa d’importante e questo può rivoluzionare la mia vita, avvicinarmi un po’ di più alla verità, insomma: che ben venga.

Ciò non significa che in una discussione io non faccia appello a tutte le mie forze dialettiche per difendere la mia tesi.”

Rimasi un po’ in silenzio a pensare, IV stava accarezzando Argo e il vento fischiava un’armonia sommessa, sul ronzio di insetti tra cui api sui fiori e pio-pio di uccelli sul pino solitario, lì vicino, a una ventina di metri, che ci faceva un’ombra enorme perché allungata dalla posizione del sole e dal pendio della collina.

Trovavo tutto giusto, quello che aveva detto e forse avevo anche capito, finalmente, cosa voleva dire con la definizione della sua filosofia. Però c’era qualcosa che non avevo capito bene, tra le sue ultime frasi e glielo chiesi:

“Aspetta un po’: hai forse rinunciato ad amare una donna, tra le rinunce che mi hai detto prima, per le quali riesci, o quasi, a pensare, dire e fare la stessa serie di cose?”

“No, non ho rinunciato ad amare una donna, in quella maniera fisica che tu probabilmente intendi, anche se non mi capita quasi mai di poterlo fare.”

“Sì, ma ieri hai detto che il sesso, come il potere e il denaro, è una distrazione…”

“Sì, non che lo sia in generale, ma lo diventa, perché viene strumentalizzato nella propaganda di articoli di consumo, forzato dalle mode del momento e dai mass-media, o addirittura ci si rinuncia, perché è rischioso, ma in ogni caso ci si pensa troppo… se fosse una cosa più naturale, come dovrebbe essere, sarebbe meglio, sarebbe più bello.”

“Allora: vuoi per caso dire - con tutto questo - che tu hai rinunciato al sesso?”

Il suo sorriso se ne uscì fuori differente dal solito, mi parve profondo e triste.

“Questo è un punto dolente, non è che io abbia rinunciato al sesso perché non mi piaccia, anzi, cosa c’è di più bello che fare all’amore?”

“E allora come fai?”

“Mi astengo. Anche se per me la donna è meravigliosa, è la purezza della bellezza, hai visto che ho delle riviste pornografiche, che hanno per me due funzioni, come ho già detto, quella della ammirazione della bellezza pura…”

“E la seconda?”

Pausa imbarazzata.

“E anche quell’altra.”Rispose alla fine.

Mi venne da ridere a pensare a un filosofo qualsiasi che lavorava di mano dietro a un cespuglio, anche se quel filosofo lì, in quel determinato momento della sua vita, non aveva nessuna voglia di ridere, evitava addirittura di guardarmi in faccia.

Allora gli domandai ancora, incuriosito:

“Ma allora come fai: senza-senza?”

“Beh, non è proprio senza, sai… il mio sesso è autogeno, come ti stavo dicendo - e per favore non fare quella faccia – perché semplicemente non trovo nessuna donna che mi piaccia che sia disposta a farlo con me.”

“Ah.”

Rimanemmo in pausa di nuovo, per pochi attimi in cui le nuvole coprirono il sole e di nuovo lo lasciarono uscire.

Dopo mi parlò di sesso e distrazione, di funzione distorta, di quanto avesse a che fare con denaro e potere, (almeno nel mondo moderno, e invece non avrebbe proprio niente da spartirci,) ma ero troppo distratto dalla sua precedente rivelazione, per fare attenzione alle sue parole.

Pensavo piuttosto che lui avesse rinunciato a tutte e tre le cose. Sesso, denaro e potere. E lui me lo confermò, come se avesse letto nel mio pensiero:

“Se per avere quel sesso che tanto mi piace, io devo rappresentare una porzione di successo nella società, se devo essere uguale agli altri o più uguale ancora, perciò migliore, secondo il concetto di regole fatte dagli altri, e che io non accetto, che ti devo dire? Io ci rinuncio.”

Poi recitò come se fosse una cosa seria:

“Se è per denaro, non è amore, disse la prostituta.”

Ci ridemmo su. Poi gli domandai:

“Ma mi dici una cosa? Una curiosità: ma quanti anni hai?”

“Settantadue… pensavi di più o di meno?”

“Pensavo di meno. Sembri più giovane.”

“Negli ultimi anni sono stato bene, mi sono stressato poco o niente.”

“Ma da quanti anni ti sei ritirato a… diciamo così: vita privata?”

“Una ventina.”

“E quando l’hai fatto il sindacalista?”

“Subito prima, è stato il mio punto di scoppio, da lì è cominciato il cambiamento.”

“Ah. E il coso laggiù in basso ti funziona ancora?”

“Certo, il coso funziona ancora bene e senza additivi moderni, poi il desiderio quello non passa mai, anche per chi non riesce più a farlo alzare…”

Sorrisi e ci fermammo di nuovo a guardare le nuvolette.

Il mio silenzio lo incoraggiava a parlare ancora, a rivelarmi a pieno quella sua parte nascosta:

“Non è che negli ultimi anni io non avessi mai fatto sesso, qualche volta mi era capitato, ma l’amore non c’era, sono esperienze che svuotano gli organi e stappano le orecchie, tirano le ragnatele, ma sono un po’ vuote, se non c’è niente che le accompagna; e poi vivendo quassù, non frequentando né la bassa, né l’alta società… lo sai da te, le occasioni non sono molte e allora l’attività manuale offre due vantaggi in uno.”

Lo guardai in maniera interrogativa, lui mi riguardò in maniera a suo modo significativa e disse:

“La prima funzione è quella puramente sostitutiva, l’altra è per la buona manutenzione della prostata.”

 

Un mio amico medico poi mi confermò che il mancato uso dello sperma fa peggiorare negli adulti lo stato della prostata, pare che la manutenzione dell’organo riproduttivo funzionasse coi due tipi più comuni di sesso: autogeno e/o in collaborativa compagnia.

 

Intanto io cominciai a preoccuparmi per la sua salute, avevo un gran bisogno di avere qualcuno con cui conversare, come facevo con IV, mi ero assai affezionato a lui. Allora, visto che lui a valle non scendeva per principio, gli portai su un tipico Valligiano, Mariano Ruiz, il mio amico medico, e lo feci visitare.

Mariano disse che era in perfetta salute, aggiunse però che una prosperosa professionista a buon mercato, ogni tanto, sarebbe stata una piacevole diversione, non solo per la sua prostata.

Finita la nostra risata, IV partì con una acuminata serie di teorie concatenate, che Mariano, che se ne stava andando, si sedette e si mise ad ascoltare.

Il mio amico medico, per quanto assai intelligente e sensibile, era proprio uno di quelli che nella vita aveva scelto poco, era partito che si trovava già dentro al tunnel, per lui denaro, potere e sesso erano essenziali, era un formidabile e fottuto materialista.

Proprio ultimamente, però, aveva ammesso che la competitività del mondo occidentale era un rincorrersi la coda senza senso, poi uno si rendeva conto, alle soglie della vecchiaia, che aveva girato e rigirato, ma solo su sé stesso: non si era mai mosso dal posto.

 

IV diventò suo paziente e Mariano accettò di essere suo discepolo, in cambio un po’ di spiritualità lo aiutava a proteggere materialmente il suo vecchio corpo. Anche se, per questo vecchio, piccolo e grande filosofo contemporaneo, il problema del sesso rimaneva ancora irrisolto.

IV scese a valle finalmente per unirsi ai NO SUV, quando ancora si chiamavano La Fine della Pazienza, tutti e tre cominciammo a militare, per così dire, nel giro di pochi mesi.

 

 

“Chi ha rotto le scatole cinesi?” Comunicato Toscana Nord delle 10 e 30

 

(musica di Art Van Damme, dal CD “Art Van Damme Quintet”)

 

Pare che i NO SUV brasiliani, i primi a nascere fossero chiamati dai loro fondatori OFDP (O Fim Da Paciencia, ovvero La Fine Della Pazienza) e si definivano una Rete Asociale. A quel tempo il consenso era molto importante, ora notiamo che la gente usa di più la libertà di pensiero individuale. Qualche anno fa i NO SUV sarebbero stati perseguiti dai governi di tutti i paesi allineati al pensiero unico dominante. Oggi no. Il fallimento della politica e dei partiti come sistema di decisione pilotato dai poteri forti ha determinato una spaccatura dentro la quale la ribellione è diventata prima tollerata e oggi quasi protetta, se non dai governi almeno dai liberi cittadini, anche se sempre più monitorata da ogni lato.

 

 

Iraq un altro fondatore della prima rete asociale

 

Il Brasile ha un accordo per comprare armamenti di seconda mano dagli USA per una frazione del prezzo originario. Nel 2001 gli americani ci hanno venduto 91 carri armati M60 per 11,7 milioni di dollari, un decimo del suo valore originario.

(Diogo Mainardi, giornalista e opinionista brasiliano)

 

Quando incontrai mio cugino Edmilson per la prima volta dopo il suo matrimonio, non avrei mai creduto possibile che un giorno io avrei potuto scrivere un libro, anche perché fino a quel momento non ne avevo ancora letto nessuno.

E invece sì, neanche troppi anni dopo, fu pubblicato a mie spese e ci dovevano essere cinque racconti, didattici esempi di dialoghi con noi stessi, base della nostra problematica ma necessaria filosofia di vita. Poi diventarono tre, più che altro perché io credevo che le mie pagine fossero molto più piccole di quello che effettivamente erano, ma anche per altri motivi, uno dei quali è il fondamento di questo racconto.

Avendo saltato ogni pur ipotetico editore, sia per risparmiare i soldoni che loro pretendevano, che per essere indipendente e non dover dar soddisfazione a nessuno, dovetti, in compenso, incaricarmi personalmente di condurre questo passaggio dal sistema di scrittura Word al Page-Maker.

La tipografia Saudades, che mi aveva dato il preventivo più economico, mandava a fare questo tipo di trasferimento informatico da un certo signor Iraq, (che per via della pronuncia diventava una specie di Iracchi) il quale viveva e aveva il suo piccolo laboratorio, non molto lontano dalla loro sede, appena fuori dalla favela Pedra Quadrada, in Rua Felizardo Furtado 402, cioè Felice Derubato. Mi parve di cattivo auspicio, ma era un autentico nome di persona, mi avevano spiegato, con il suo conseguente riferimento storico, del quale, però, nessuno sapeva niente, nemmeno l’internet che di solito risolve ogni quesito. Era l’epoca dell’attentato alle due Torri Gemelle a New York, ogni nome arabo era guardato con sospetto, anche qui in Brasile. Al nostro secondo incontro, il primo da soli, chiesi a Iraq se era di origine musulmana e lui si affrettò a dire di no, a raccontarmi la storia della sua famiglia, gli dissi che stavo scherzando, che non c’era bisogno che mi spiegasse niente, ma notai che per lui quella non era affatto una cosa comica. La mia era stata una domanda fuori luogo e si poteva anche constatare dal fatto che Iraq ostentava cristianità in ogni sua frase iniziando ogni sua frase con grazie a Dio, se Dio vuole, o, qualche volta, meno spesso, con l’aiuto di Dio.

Il nostro lavoro era a botta e risposta, cioè lui faceva il passaggio da un sistema all’altro e io andavo, praticamente tutti i giorni, a correggere eventuali errori e a vedere, successivamente, se erano stati veramente tolti, il che purtroppo accadeva e anche spesso, senza sabati e domeniche che potessero infilarsi in mezzo, più o meno indesideratamente, approfittando della nostra momentanea stanchezza e conseguente distrazione.

Mi sembrò subito evidente che Iraq fosse un affabile ragazzone di cinquant’anni, che viveva ancora con la mamma, la quale ci accompagnava spesso con il suo sguardo protettore, nel dirci qualche parola d’incoraggiamento, insomma, ci dava il suo apporto morale. Sostava in silenzio, insieme a noi in quella stanza per ore, a sbucciare e a tagliare frutta e verdura, effettuando tutte le opere culinarie e di cura della casa, che non avessero bisogno di fornelli o altri aggeggi pesanti o ingombranti che aveva in cucina o altrove nell’abitazione, che naturalmente era separata dalla zona lavoro.

Notai ben presto che Iraq era un irriducibile testardo, come me. Mi rimase subito simpatico. Purtroppo dal punto di vista della sua efficacia, mi resi conto che le cose andavano avanti tanto lentamente che pareva che tornassero indietro. Il lavoro di Iraq non era semplice, né poteva essere rapido, come avevo pensato prima, sennò lo avrebbero fatto nella tipografia stessa, ma aldilà delle difficoltà oggettive, mi pareva che lui non avesse affatto le condizioni minime e fondamentali per poter lavorare in quell’ambito, che per me erano, prima di tutto, un’attrezzatura valida. Fin dal primo giorno mi abituai a dover correggere e ricorreggere le stesse cose già passate al vaglio e corrette già prima più volte. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a considerare naturale e fisiologico che si dovessero fare e rifare le medesime correzioni per poi rivedere apparire di nuovo sul testo le parole sbagliate esattamente come prima.

Ci avvicinavamo alla Festa del Libro della Lapa, quartiere malfamato del centro di Rio de Janeiro ma anche contenente una larga piazza incorniciata da un acquedotto relativamente antico dalle grandi arcate. Temevo, sempre di più, che sarei rimasto senza il mio agognato primo volumetto, da lanciare alla fine di ottobre, o agli inizi di novembre del 2001, per approfittare in pieno di quelle due settimane più propizie, durante le quali si comprano più avidamente che mai, ai prezzi migliori, prodotti cartacei rilegati e, a volte, perfino letterari.

In gran parte dei casi, non sarebbero mai stati letti, ma avrebbero fatto bella figura negli scaffali delle case della gente più intelligente, quella che almeno capiva di dover dare un’impressione migliore di se stessa. Per tutto questo, si precipitavano a frotte alla fiera del libro, seguendo gli sconti e la moda del momento. Il consumista non compra perché ha bisogno di una cosa, ma compra per comprare e, per quanto sia difficile credergli,  per risparmiare.

Ubara Sepulveda, amico del mio amico Carlos Brogi Diaz, che aveva già pubblicato varie opere non sue, suggeriva come tattica opportuna e addirittura fondamentale, per vendere subito un buon numero di copie e coprirmi le spese, di partecipare alla Fiera del Libro, firmare autografi e fare la faccia intelligente dell’autore seduto a una delle scrivanie in fila, sistemate sulla piazza.

A quei tempi un manoscritto doveva essere passato attraverso un programma di computer chiamato Page-Maker, per farne poi pellicole trasparenti che servivano in seguito per stampare dei foglioni con decine di pagine, successivamente tagliate a coppie, che poi erano cucite e incollate. Si faceva la copertina, che richiedeva un lavoro abbastanza simile ma separato, e poi tutto questo, messo finalmente insieme, si chiamava libro.

Le pagine erano sempre a coppie, perché la dimensione dei fogli, normalmente usati dalle tipografie, era del doppio di una pagina.

Quindi il lavoro di Iraq era anche accoppiare le pagine, in modo che la prima fosse a lato dell’ultima, la seconda con la penultima e così via, per poterle cucire poi una sopra l’altra, come si usava fare in questi casi e per arrivare poi alla coppia centrale, nel centro del libro, che finalmente era composta di due pagine che risultavano numericamente consecutive.

Iraq era un uomo simpatico e ottimista fino al limite dell’incredibile, cosa che qua in Brasile ho riscontrato spesso, a vari fenomenali livelli, ma sempre e comunque in contrapposizione con la cultura europea, per quello che mi ha detto Oda, poi letto e visto nei film e documentari, fatta di pessimismo come regola di vita, inframezzato dallo stagnante immobilismo, spesso alternato a depressioni profonde.

Iraq era una persona che credeva fermamente in Dio, per me era un esempio di stile e anche di contenuto, crederci sarebbe piaciuto anche a me, è una cosa piuttosto confortante, ma purtroppo non si può barare.

Per quanto riguarda quello stesso contenuto, però, per quel che ne capivo io, almeno nella stesura della impaginazione, Dio non lo aiutava con piacere, anzi, si burlava di lui. Qui devo riconoscere che non sapevo cosa sarebbe successo senza l’aiuto misericordioso del Signore, magari stava già facendo miracoli e io non me ne rendevo conto.

Fatto sta che mi pareva di tornare a rifare tutto ogni giorno, mi sembrava che, per quanti sforzi facessimo, non riuscissimo a tirarci fuori dalle sabbie mobili di lettere, frasi, spazi e inizi di pagina ribelli che ci avevano imprigionato e c’inghiottivano inesorabilmente sempre di più.

Il computer di Iraq era vecchio e ingiallito, era una evidente verità anche per me, che non m’intendevo per niente d’informatica, che il suo principale attrezzo di lavoro fosse antiquato e perciò obsoleto, ma oltre a questo era chiara evidenza che i suoi programmi erano copiati e perciò difettosi. Qui è bene chiarire che al mondo una percentuale enorme di programmi, se non la stragrande maggioranza, sono copiati, chi ce lo farebbe fare di comprarli quando sono a disposizione gratis? Però credo che questi programmi mai si ribellino ai loro abusivi proprietari in una maniera tanto agguerrita, convinta e ripetuta, come nel computer di Iraq.

Insomma la nostra era da considerarsi un’impresa disperata, visto che quella di Iraq pareva una guerra con il computer, che abbastanza spesso o quasi sempre veniva persa e senza condizioni né prigionieri.

Per esempio, all’inizio di una pagina si profilava spesso il finale di un periodo, due o tre parole e poi il punto, che non stavano bene come prima riga, non erano, formalmente, una bellezza. Facendo complicati giochi di prestigio con le parole e cambiando a volte il significato stesso del testo, aggiustavamo da una parte, mentre si guastava dall’altra. Mi pareva impossibile che il programma non avesse un automatismo in questi casi, ma Iraq assicurava che non era previsto un caso del genere e io lo guardavo cercando di dissimulare il fumo che mi usciva dalle narici.

Di positivo c’era che a ogni seduta mi dava utilissime lezioni d’ottimismo incrollabile, pur se, ogni volta, lasciandoci e dandoci appuntamento al giorno seguente o a due giorni dopo, la sua immancabile frase, che diceva che grazie a Dio noi ce l’avremmo fatta, mi pareva di un’ironia esagerata e, in quei momenti, perfino piuttosto crudele.

Un altro fatto nuovo e spiacevole venne fuori in seguito, attraverso una delle sue alchimie computeristiche, causate dall’inefficienza della sua attrezzatura hardware e software, il cui meccanismo cercò varie volte, invano, di spiegarmi. Qui constatai anche e purtroppo che i limiti della sua dialettica si scontravano a ogni occasione con il mio portoghese scritto, frettolosamente imparato e piuttosto assai maccheronico, che era così diverso e lontano dal suo, similmente pessimo ma in una maniera diversa, che non trovavano punti in comune.

Attraverso uno dei suoi passaggi, per me sempre più incomprensibili e misteriosi, una parte di testo era stata perduta totalmente, non erano più di due pagine e me ne ero accorto dalle decine di errori che erano comparsi d’incanto, in quel tratto di prosa, più volte passato a correzione.

Lui confessò, quasi piangendo che, dopo averlo perso, aveva cercato di ricopiarlo dalle prove già stampate in precedenza, ma ci aveva aggiunto del suo, cioè una nuova e indipendente caterva di sbagli.

Iraq ammise anche, magari con l’intento di farmi arrabbiare violentemente, che l’atto del ricopiare era stato effettuato alle due di notte e che i suoi occhi forse, a quell’ora, non ci vedevano più bene.

Dopo aver lavorato tutto il giorno al computer, gli si verificava un interessante fenomeno di sdoppiamento dell’immagine, che, messo insieme alla sua complementare ignoranza della lingua, dava, come logico esito, quel massacro.

I segreti tentativi di scrivere a mano di Iraq erano ripetuti e penosi nei risultati, ogni volta cercava di non dirmelo, ma il testo, nell’arco di poche pagine, diventava improvvisamente così pieno di errori che non potevano non saltarmi subito all’occhio.

Una volta scoperto il misfatto, lui riscriveva il tutto su mia dettatura, a testa bassa, lettera per lettera, poi ricorreggevamo il testo intero.

Ci mettevamo delle ore, ma alla fine eravamo soddisfatti e più volte, quando stavo per andarmene, stanco, ma quasi felice, perché forse finalmente potevamo dare l’inizio al procedimento di tipografia vero e proprio... ecco che mancava la luce.

La luce in Brasile salta spesso, non c’è bisogno né di temporali, né di catastrofi naturali, è solo per rendere le cose più imprevedibili e interessanti. Contemporaneamente, infatti, nella vecchia Europa non succede mai niente, mi dicono, i giorni passano seguendo la logica già pronta di copioni scritti nei cervelli della gente. Non è solo il fatto che non manca più la luce, ma anche altre cose impreviste non accadono più e la vita è un arido video-game, razionale e solitario, in cui lo sviluppo della giornata sembra uno stanco manovrare i tasti in qualche maniera, i risultati, quelli veri, non cambieranno. Niente a che fare con le emozioni, le persone non rischiano più, vivono vite virtuali. Un’equazione i cui termini e il cui ordine si presentano sempre uguali e gli effetti sempre i medesimi, dove la più vibrante Teoria del Caos è immeritatamente e inspiegabilmente accantonata. In Brasile no, è tutto più emozionante, nel bene e nel male.

Comunque sia, ogni computer che si rispetti salva automaticamente le cose mentre si fanno, in intervalli che l’operatore può programmare, che possono essere anche brevi come un minuto o due. Credo che Iraq si vergognasse a dirmelo e passò un po’ di tempo, ma un giorno confessò che, per un difetto del programma, il suo non lo faceva più. Con lui non protestavo perché pensavo che fosse inutile, vedevo che si sforzava al massimo, anche se la sua mancanza di attrezzatura era parte integrante della sua incompetenza, pensavo anche che i miei sguardi irosi o rassegnati, a seconda dell’occasione, erano eloquenti e migliori di parole pesanti e conseguenti sensi di colpa.

Quella faccenda era già abbastanza complicata ed era troppo tardi per tornare indietro. Quello non era un computer meritevole di considerazione e rispetto, forse nemmeno Iraq lo era, dal punto di vista professionale, ma che cosa avrei potuto fare, per togliermi da quella situazione?

Lo zenit della disperazione lo raggiungemmo in un pomeriggio afoso di venerdì, quando arrivai là esausto dopo il lavoro e lo vidi subito dai suoi occhi, mentre mi apriva il cancello che la situazione si era ulteriormente deteriorata. Trovai Iraq meno ottimista e più stanco, si vedeva che aveva dormito male, la sua fede era stata gravemente incrinata e mi spiegò subito perché. Il problema era che, a partire dal capitolo intitolato Don Gaspare, il programma si rifiutava di collaborare, forse per una mancanza di coesione con quella specifica parte del testo, magari considerata antipatica dal suo programma Page-Maker, che pareva avere una volontà propria, più forte e persistente delle nostre due messe insieme. Iraq mi raccontò, in seguito, che Don Gaspare, il personaggio del libro, gli era apparso in sogno, ma non era stato proprio un sogno, più che altro un incubo.

“Il capitolo intero di Don Gaspare non entra, non ci sono santi, ho provato in tutte le maniere...”

“Come non entra? Non è un capitolo come tutti gli altri? Perché non ci dovrebbe entrare?”

“Non lo so, se lo sapessi potrei fare qualcosa, semplicemente il programma lo rifiuta, io ce lo metto e dopo sparisce, nel senso che non so nemmeno dove vada a finire, dopo bisogna fare tutto di nuovo e il risultato è sempre lo stesso. Giuro che non l’aveva mai fatto, ma ieri ho tentato per ore e sono riuscito solo a ossessionarmi e stanotte ho avuto anche un incubo con Don Gaspare che mi inseguiva con una spada enorme, vestito rinascimentale e con l’elmo col pennacchio, ma i ricami della sua camicia bianca erano tutte lettere dell’alfabeto, parole e frasi che si incrociavano e.... pareva che fossero tutte fuori posto.”

“E perché erano fuori posto?”

“Perché non ci capivo niente!”

“Forse perché lei non conosce la grammatica e sintassi della lingua portoghese, io stesso non sono un asso ma per il suo lavoro...”

“No, ma non era solo questo, il fatto è che erano anche storte, le lettere, non erano in riga, alcune erano in altre lingue, o con maiuscole troppo grandi, non proporzionate, insomma... i caratteri differenti da quelli del mio programma, poi si muovevano, non volevano stare fermi...”

“Ma come faceva lei a vedere che le lettere non andavano bene, che c’erano degli errori... come faceva ad avere il tempo di leggere con Don Gaspare che la inseguiva con lo spadone sguainato?”

“Non lo so, è strano, quelle cose che funzionano così solo nei sogni, ma mi facevano più paura le frasi incrociate e sbagliate dello spadone di Don Gaspare, era un incubo e quelli sono sempre simbolici, no?”

Iraq aveva ragione, in un certo senso, all’interno del suo tipo di logica, almeno in quella determinata situazione onirica. Però l’ossessione di quelle pagine che non riusciva a far rimanere nel luogo dove dovevano stare, comunque, era una cosa assurda, e, per quanto possa parere comica ora, in quel momento nessuno di noi due la considerò neanche un po’ divertente.

Ci guardammo in faccia per qualche minuto, senza parlare, quella situazione cominciava a stressarci più del dovuto. Che magari fosse un dovuto differente, che ognuno avesse la sua misura, quello era già un altro discorso separato e distante.

Forse sarebbe servito semplicemente spiegargli che Don Gaspare, il personaggio del libro non era un pazzo furioso e rinascimentale, ma un personaggio a noi contemporaneo e di animo bonaccione, ma questo accorgimento allora non mi venne in mente, e anche così avrebbe poi migliorato la situazione?

Ci rimettemmo al lavoro, il caldo e il malumore ci avevano contagiato, riuscimmo comunque a correggere tutto di nuovo e, dopo un martellante stillicidio di quasi tre ore, mancò di nuovo la luce.

Gli chiesi se aveva salvato le modifiche e lui rispose che era inutile, il programma era difettoso e un blackout faceva perdere tutto quello che si era scritto dall’ultima volta che si era acceso il computer... il suo sguardo esausto e rassegnato m’impedì qualsiasi reazione, me ne andai sentendomi un completo idiota a essermi fidato di Iraq e della tipografia Saudades.

I giorni passavano e Don Gaspare faceva ammattire Iraq, il quale, di conseguenza, mandava fuori di testa me, solo che io ero un terapeuta e non potevo permettermelo. Bisogna dire che la volontà incrollabile di quell’uomo, molto religioso, era già stata assai provata, per quanto fiducioso nel bene, sembrava evidente che il male, ora attraverso questo Don Gaspare, lo stesse esasperando.

In un secondo incubo, il Don gli aveva detto puntandogli un lungo e grosso dito contro, che si opponeva alla pubblicazione del libro perché rivelava particolari pericolosi, per lui che era un capo mafioso. Gli spiegai allora che il personaggio del libro non era mafioso per niente e che nel suo incubo ci doveva essere un errore. Ma Iraq non sorrise, né mi parve meno preoccupato. Poi gli chiesi come era vestito e lui disse che quello si era presentato esattamente come la volta precedente. Con la massima e puntigliosa calma che m’imponevo come un mantra gli dissi scandendo bene ogni parola che un mafioso non poteva avere un vestito rinascimentale, con elmo e pennacchio, la mafia era nata dopo, poi, per motivi pratici, magari per non essere riconosciuti, la loro divisa era perlopiù senza lettere dell’alfabeto sulla camicia. Gli parlai anche del personaggio del quinto racconto, Don Gaspare, un signore di mezza età, che abitava a Berlino e al quale piaceva raccontare storie metaforiche agli amici emigranti riuniti. Iraq, però, anche dopo le mie parole, che avevo sperato fossero state chiarificatrici, non mi parve per niente tranquillizzato.

Nel frattempo era sorto un altro problema, come avevo accennato all’inizio del racconto, le pagine erano molte di più di quelle che avevo stabilito con il responsabile della tipografia. Insieme ad altre caratteristiche, come tipo di carta e di copertina, questo numero aveva determinato il prezzo, che, per quanto basso, era già più di quello che potevo spendere. Ne parlai con Iraq, appena mi resi conto che, per una fortuna insperata, un problema risolveva l’altro.

“...ho fatto il conto delle pagine, sono troppe, il libro mi viene a costare molto di più del preventivato, allora tiriamo via la storia della Commedia, sì, quella di Don Gaspare, va bene?”

Iraq ovviamente non credeva alle sue orecchie e mi chiese se veramente si doveva fare così o era solo perché lui, anche se solo provvisoriamente, non era riuscito a mettere Don Gaspare nella sua impaginazione. Si sentiva colpevole, sospettava che quella fosse una mia mossa per risolvere i suoi problemi tecnologici e tecnici, anche se forse in quei giorni erano anche diventati abbastanza semantici e psicologici. Lo convinsi a stento che era una cosa necessaria e indolore, anzitutto voluta da Dio in prima persona. I racconti erano cinque, ma purtroppo o per fortuna ne dovevamo scartare due corti o uno grande. Allora, visto che in totale erano tre corti e due lunghi, che la Commedia di Don Gaspare e Il Punto di vista di un pastore tedesco non solo erano corti, ma erano anche gli ultimi due scritti, mi pareva logico di doverli togliere e magari, chi lo sapeva, metterli nel prossimo libro.

Mancavano meno di venti giorni alla Fiera del Libro della Lapa. Tutte le altre fasi: pellicole, stampa e rilegatura, solo per essere cominciate, aspettavano la fine di questa nostra prima e sofferta introduzione. Senza contare che dovevo organizzare un cocktail e mandare inviti ad almeno quattrocento persone, per riceverne, diceva Ubara, forse meno della metà. Per non dire che stavo lavorando come terapeuta tutti i giorni come una trottola impazzita, ma esternamente calma e ben ponderata.

Dovevo fare questo passo decisivo, anche se Iraq insisteva che sarebbe riuscito a farcelo entrare, quel diavolo di un capitolo e non c’era bisogno di accantonare la storia intera, anche se non sapeva ancora come.

Non ho ancora capito perché la gente non crede mai a quello che gli si dice, forse sarà per colpa della loro storia corta ma densa d’intrighi, della sfacciata politica del mondo globalizzato. Fatto sta che quando qualcuno dichiara una cosa, quella sarà l’unica versione automaticamente scartata dalle loro menti abituate alla bugia, incapaci di credere che le cose stiano veramente così come gli abbiamo ripetutamente detto, giurato, spergiurato e riconfermato. La vita li ha abituati all’inevitabile bugia o a serie di bugie concatenate, dette per mascherare i fatti, e a diffidare sistematicamente delle verità qualsiasi esse siano. Anche e soprattutto quando sono finalmente verità piacevoli.

Riuscimmo a mettere comunque da parte i due racconti in questione e i problemi con Don Gaspare, ripassammo le correzioni, dimenticando per il momento la stanchezza e il resto del mondo in agitazione attorno a noi.

Pareva che finalmente tutto stesse marciando meglio, dopo venti giorni di sforzi sovrumani e a un certo punto dissi a Iraq che andava bene così, si stampava e basta. Naturalmente alcune cose non ci pensavo nemmeno più a correggerle, come i maledetti inizi di pagina con una frase che terminava a metà riga con un punto. Dichiarai con la mano sudata sul cuore, di fronte a Iraq e a sua madre come testimoni, che non me ne fregava più niente, i lettori si sarebbero dovuti adattare a questa mancanza di forma, alla bisogna mi sarei scusato personalmente con loro. Sia lui che sua madre non erano d’accordo con me, dicevano che bastava solo un poco di pazienza in più e tutto sarebbe stato risultato perfettamente a posto. Qualche volta la loro fede cieca era fonte di imprecazioni dentro di me, ma forse avevano ragione loro, oppure ormai non capivo più chi ce l’avesse. Avrei dovuto essere io a insistere per correggere tutto per bene, invece era lui, anche se il suo guadagno era lo stesso, fosse con due settimane di lavoro invece di una. Iraq si preoccupava, assai più di me, che tutto fosse ottimizzato, prima di stampare.

L’arte della diplomazia era quello che stavo imparando direttamente da Odair e indirettamente dalla vita ed era veramente una scuola efficace perché, ora che ci riuscivo meglio, vedevo che era più pratico che perdere la calma e dire tutto quello che mi passava per la testa al momento, offendendo i miei eventuali pazienti, amici e collaboratori, inevitabilmente peggiorando il mio rapporto con loro.

Ci lasciammo e salutai prima sua madre, che sembrava fosse stata impegnata per ore a scegliere i fagioli sul tavolino delle riunioni, alzò la testa e mi guardò caritatevole per augurarmi buona fortuna, che ne avrei avuto bisogno, ma anche e soprattutto dell’aiuto di Dio. Al cancello strinsi la mano a Iraq mentre concludeva sorridendo che se Dio avesse voluto ci saremmo riusciti, a pubblicare quel libretto indiavolato. Gli promisi che un giorno sarei passato di lì per bere quella birretta, della quale avevano parlato qualche volta, ma che non avevamo ancora potuto scolarci insieme. Se Dio vuole, disse lui.

Dentro di me pensai se era stata una maniera che il Dio di Iraq e di sua madre, che forse era il mio stesso, aveva inventato per testare i miei nervi, la mia determinazione, per vedere se veramente meritavo qualche tipo di successo in quella direzione, ma non sapevo ancora se avevo superato la prova.

La birretta con Iraq non l’ho mai bevuta, la sfida, qua sulla terra credo che sia giornaliera. Dobbiamo sempre provare, a noi stessi e poi agli altri, che siamo disposti ad affrontare la bufera e la bonaccia, l’ironia pungente e a volte anche violenta della vita.

Non so se sarò creduto, ma lo dico lo stesso: anche in questi giorni, nei quali sto scrivendo questo racconto didattico, forse non per caso, sono stato vittima della maledizione di Don Gaspare. Per due volte, una ieri e una oggi, ho toccato qualche bottone sbagliato della mia tastiera e ho perso ore di lavoro, tutto quello che avevo scritto. Ho dovuto fare tutto di nuovo.

 

 

 

I fondatori

 

“È possibile che individui apparentemente normali e giudicati tali da esperti psichiatri possano rivelarsi in particolari circostanze criminali efferati senza il minimo senso di colpa? Quanto può essere potenzialmente diffusa quest’anomalia dell’animo umano? Tali circostanze si possono verificare se mancano le radici, la memoria degli errori passati, il non ritornare sui propri pensieri e azioni, insomma la mancanza di un dialogo interiore con se stessi.

L’azione morale nasce dal dialogo interiore, e proprio l’assenza, l’incapacità di questo dialogo trasforma persone banali in agenti del male.

 

                                                                (Hannah Arendt)

 

Edmilson e Binho

 

 

Questa è la base dell’insegnamento di Edmilson che non era un ciarlatano e predicava cose nelle quali credeva per esperienza diretta, non per averle lette da qualche parte. Un dialogo interiore è necessario, per chiedersi se quello che facciamo è giusto, se è quello che vogliamo, se non nuoce a nessuno, se ci può portare dei risultati utili e magari anche equi.

Il luogo dove tutto è partito è stata la favela, perché i bisogni degli esseri umani, fisiologicamente risultano acuiti dove si vive male, dove si rischia la vita ogni giorno, dove l’esistenza proprio per questo diventa un bene più concreto e tangibile.

Nella favela si pensa meno agli altri problemi dell’uomo moderno, come per esempio al senso della nostra permanenza in questa valle di lacrime, qui la sopravvivenza diventa l’unico scopo, l’unico pensiero. In un certo senso, quindi, si è più umani e ci si allontana dalla mancanza di ideali della gente che va dietro al consumismo selvaggio, alla globalizzazione, ma non per scelta propria, piuttosto seguendo la maggioranza, come le pecore.

Dall’altro lato queste cose che si vedono continuamente in giro, specie alla televisione, ma alle quali non si accede facilmente, sono un generatore continuo di ansia di ricchezza, per cui le persone che riescono a uscire da quello stato di miseria, non saranno mai capaci di pensare a nient’altro, nella loro vita.

Quest’immagine di miseria sempre davanti agli occhi genera un tipo di società che idolatra il denaro e porta la gente di classe media e ricca a odiare questo - per loro vergognoso - aspetto del Brasile, che per esempio non volevano mostrare nei film e meno ancora nelle novelas, almeno fino a poco tempo fa, ma che ultimamente invece ne hanno scoperto il fascino feroce e sensazionalista, da vendere specialmente fuori dal Brasile e anche questo può essere un buon business.

Edmilson venne intimato di lasciare la favela, ma non avendo ubbidito alla fine venne giustiziato dai trafficanti che controllavano la favela Collina dell’Avvoltoio (Morro do Urubu) perché era diventato un pericolo per loro, già che lui insegnava alle persone a vivere meglio, la gente lo seguiva come un’autorità. Visto che Edmilson era diventato un personaggio famoso, la fazione Amici degli Amici (Amigos dos Amigos) ha dovuto mettersi d’accordo con le altre due fazioni di Rio de Janeiro, cioè Comando Rosso (Comando Vermelho) e Terzo Comando (Terceiro Comando).

Io magari ci avevo fatto dei soldi, ma non diventai mai un buon terapeuta perché facendolo mi trovai ben presto a un bivio e scelsi l’altra strada. Avevo capito che per fare veramente bene alla gente dovevo almeno cercare di eliminare i prepotenti che purtroppo non avevano nessuna voglia d’imparare a sviluppare un dialogo interno, ma preferivano piuttosto fare a pezzi gli avversari, togliere il loro potere individuale per poco che fosse, ma in quel modo accumulare il proprio, mattoncino su mattoncino costruivano dei grattacieli d’ingiustizia e di sangue rappreso, ma anche di soldi e quindi di potere, che se non sono esattamente la stessa cosa, spesso coincidono.

La mia seconda carriera iniziava segretamente, tutto quello che mi aveva insegnato Edmilson mi serviva, soprattutto a capire chi avevo di fronte, ma questo era il momento in cui dovevo imparare a usare le armi, comprare informazioni direzionate e il denaro ora ce l’avevo. Un addestramento da killer anche era un tipo di prodotto non proprio facile a trovarsi in giro e soprattutto da parte di chi - magari - non lo sarebbe andato subito a spifferare in giro. Intanto avevo conosciuto tanta gente nuova che aveva bisogno del mio aiuto, ma che poteva anche darmene, magari fare uno scambio, bastava trovare la persona giusta, per fortuna che nel frattempo avevo anche iniziato a riconoscere di chi mi potevo fidare e di chi no.

Iniziai a guardarmi intorno in quella ben determinata prospettiva e dopo non molto capii che Luiz, con il quale aveva più volte conversato sull’argomento, era la persona che cercavo.

La guardia specializzata finse di credere che era tutto per sicurezza personale, ma poi mi chiese se poteva collaborare più attivamente al progetto. Io caddi dalle nuvole ma pur negando iniziai a pensarci, intanto Luiz mi addestrava e parlavamo spesso di vari argomenti, passando tempo insieme e condividendo alcune idee diventammo quasi amici. Uno strano tipo di amicizia.

In seguito mi sono stupito che Luiz Amaral Valdeno facesse parte di quell’organizzazione che aveva le mie stesse idee e quelle di Edmilson, dentro c’era anche IV, Indio Velho, amico e consigliere di Edmilson. IV che aveva  cambiato stile di vita, per noia forse, o per mancanza di donne, magari perché era sorta una nuova favela sulla sua collina, ma anche perché voleva farsi una specie di giustizia che anche secondo lui al mondo non esisteva ancora.

Le menti dell’associazione segreta erano sei quindi, oltre a Luiz, c’era Iraq, di cui ho già parlato, c’era Nadine, ex moglie di Edmilson e poi Charles, un sudafricano fuori di testa ma intelligente assai. Questi ultimi due erano quelli che portavano i soldi, o almeno la maggior parte, che poi non erano direttamente loro, piuttosto dei loro ricchi genitori, ma ne avevano in quantità e qualità. Gli altri finanziamenti li fornivamo tutti, nel limite delle nostre possibilità. Una cinquantina sparsi per il mondo i collaboratori.

In sintesi noi eravamo persone che volevano aiutare gli altri, insieme a noi stessi, abbiamo provato a fare del nostro meglio, almeno per sentirci meno stupidi e manipolati, ma abbiamo perso la capacità di credere che potesse bastare, che non si potesse e non si dovesse fare qualcosa di più.

La mia prima pistola fu una Glock, perché non aveva quasi per niente rinculo ed era facile da usare.

 

 

Iraq 2

 

„La parola serve a nascondere il pensiero, il pensiero a nascondere la verità. E la verità fulmina chi osa guardarla in faccia.“

                                                    Ennio Flaiano




Da solo non avrei potuto far niente, se non altro perché non ho soldi e per fare quello che volevo fare ci vogliono i soldi, oltre che coraggio e determinazione.

Il sistema t’incatena al denaro e anche quando ti ribelli al sistema stesso, non per caso, quello ancora ti controlla, in qualche maniera, attraverso quei meccanismi di cui l’uomo è schiavo se non da sempre o quasi, è incredibile come è difficile fare qualcosa di differente.

Quando è morta mia madre, per un’infezione all’ospedale S.Marta, mi sono trovato pronto all’azione e Binho mi ha portato qua da loro.

Tra di noi c’è anche IV, Indio Velho, un vecchio indio di quasi ottant’anni, una specie di filosofo tranquillo e incazzato allo stesso tempo, che ha vissuto come un eremita fino a non molto tempo fa. Direi che nella vita si cambia e parecchio, almeno all’esterno, nelle nostre manifestazioni, voglio dire, anche se dentro di noi siamo sempre gli stessi.

Una volta non capivo che cosa pretendevano fare i terroristi, per me erano solo dei matti da manicomio, anche se dal fuori forse è quello che tanti pensano di noi, ma per fortuna non tutti. Insomma poi ho capito che il mondo ti porta a certe scelte drastiche, non sono tutte inevitabili, ma solo possibili e logiche, credo che sia questione di temperamento.

Avete fatto caso che i terroristi ammazzano sempre innocenti che non hanno niente a che fare col problema che si vuole combattere? Luiz mi ha fatto notare che tante volte applicano il terrore per arrivare esattamente al contrario di quello che dicono. Spesso vogliono ottenere sdegno e reazioni del consenso pubblico, spostare il suffragio universale nella direzione desiderata. I terroristi veri dovrebbero agire diversamente: perché non colpire i potenti, invece, chi veramente ha le mani in pasta?

È un successo che esista già una rete asociale in concorrenza con noi, il terrorismo sta subendo una fottuta evoluzione dialettica, finalmente si è capito chi e cosa bisogna colpire, se vogliamo dei risultati utili a tutti. Il gruppo degli Amici dei Nemici, nato nell'estremo oriente e sviluppatosi in Australia, Cina, Giappone e Filippine emula le nostre epiche gesta, con efficacia esemplare e relativa ottima organizzazione. Non è escluso nemmeno che un giorno ci si possa unire, ma forse è meglio, almeno per ora, agire separatamente e in concorrenza, per raggiungere più qualità e quantità negli interventi.

 

 

 

 

C'è un grande amore brasiliano per il fallimento. È il desiderio nascosto della società. Il fallimento ci nobilita. Per molti è una vittoria. C'è un negativismo cronico nel pensiero brasiliano. L'abisso per noi è un pensiero segreto.”

 

Arnaldo Jabor (opinionista e cineasta)

 

 

Luiz (artigliere capo dei NO SUV)

 

Niente più del silenzio spaventa gli esseri umani, perché da quello si possono immaginare infiniti pericoli in agguato e la vigliaccheria spesso per noi non è altro che l’incapacità di arrestare la corsa dell’immaginazione.

Passiamo la vita intera a cercare di capire quello che ci circonda, leggendo, documentandoci sulle cose del mondo, fino al punto in cui ci rendiamo conto che abbiamo finalmente un’idea approssimativa e generale sufficiente. La gioventù ci ha già abbandonati da tempo e quel temperamento esplosivo di una volta è diventato assai più riflessivo, raggiunta e passata la cosiddetta mezza età e quella necessaria distanza che ci permette di vedere le cose con una invidiabile visione d’assieme, è vero che ora il tempo passa troppo rapidamente, è una caratteristica della vecchiaia. Ma ora non abbiamo più dubbi a rispetto di come funziona il mondo.

Chi difende gli altri impara - anche senza volerlo - il miglior sistema per farli fuori. Credo che la mia esperienza professionale sia stata utilissima al gruppo, ma ho dovuto studiare cose alle quali non avevo nemmeno mai pensato. Se ci si addentra in un campo qualsiasi si vede che la complicazione aumenta, ma i risultati sono direttamente proporzionali alla competenza, oltre che alla freddezza e alla determinazione, nel nostro caso.

Da qualche anno mi sono reso conto che si parla di terrorismo a sproposito, nel mondo, spesso sono gli stati stessi, spinti da grossi privilegiati alla ricerca di ulteriori vantaggi, che intraprendono il vero terrorismo, quello che non si vede ma che si sente sulla pelle di milioni di persone, quelli che hanno votato per certi politici che fanno esattamente il contrario di quello che dicono. In sostanza tutti vogliono i privilegi giacché ai diritti non ci crede più nessuno. Però questo significa prendersi quello che è degli altri.

 

 

Gli ideali sono come la stella polare, sono irraggiungibili, ma indicano la retta via

(Anonimo)

 

 

Delia

 

Se queste mie parole diventeranno pubbliche, un giorno, significherà che qualcosa è andato storto, che ci siamo sfasciati contro il muro dell’indifferenza, il che non è troppo difficile a immaginarsi. Oppure che siamo diventati eroi internazionali, piuttosto, questa è una guerriglia a tutto campo e ogni cosa può accadere, noi non siamo certo qui per la gloria.

Il Brasile è il luogo ideale per nascondersi, da sempre, lo abbiamo scelto come sede. Il termine terrorista è sempre stato usato a sproposito, ma noi siamo dei veri terroristi, alla fine e/o finalmente. La favela è il luogo dove l’ingiustizia sociale è più evidente, non ci ho mai abitato, ma il nostro movimento si può dire che sia nato in una favela brasiliana, perché è proprio lì che la gente può comprendere al volo l’ipocrisia dell’epoca moderna, della civiltà occidentale, di un mondo dove le cose brutte si nascondono e quelle apparentemente belle si sbandierano.

Spesso è proprio la rabbia che ci viene fuori prepotente, ma ci hanno insegnato che bisogna contenersi, perdere il controllo non serve a niente e su questo siamo d’accordo.

Bisogna sfogarsi però, sennò s’impazzisce, quindi ho capito un’altra cosa, che la rabbia si può controllare e anche sfogare, basta non perdere la visione d’assieme, un disegno generale con una prospettiva razionale, un obbiettivo anche pazzo da raggiungere. Non so perché ma sento il bisogno di giustificarmi, eppure so che chi ci stima non ne ha bisogno, che a chi ci odia le mie spiegazioni non serviranno certo a cambiare idea. Forse ho solo bisogno di convincere me stessa, chi lo sa?

Ho conosciuto Charles all’aeroporto di Buenos Aires, da tassista incontro quasi solo e sempre gente che non rivedrò mai più, ma con lui ci siamo trovati subito bene, proprio sulle idee spicce e fondamentali, quelle che sono alla base per una ribellione ben calcolata, studiata nei particolari.

La nostra rabbia contro il mondo, la società, la politica, le banche, le multinazionali, il WTO e via discorrendo, quella rabbia fredda e controllata ha deciso per noi, in fondo e i soldi di Charles ce lo hanno permesso, o meglio, quelli di suo padre, oltre a quelli dei miei, che non sono pochi, tutti collaboriamo nel limite dei mezzi che abbiamo a disposizione.

Purtroppo nella storia del mondo di grandi uomini ce ne sono sempre stati pochi, non  sto parlando di ciccioni, che quelli sono numerosi. Un grande uomo era il mio ex marito Edmilson, piuttosto magro, un altro è stato Ghandi, secco come un chiodo.

Un’ironia che il primo pratico, ma anche simbolico, atto del nostro sodalizio è stata l’esecuzione dei capi dei tre comandi dei trafficanti di Rio de Janeiro, che avevano ammazzato Edmilson, mentre ci preparavamo ancora a entrare in azione.

Il bandito è un traditore naturale, ogni sottocapo vuole diventare capo e così via, è stato relativamente facile e a buon mercato. Edmilson ci mancherà e non solo a noi, il mondo ha bisogno di gente come lui.

Dopo ecco il deputato brasiliano Sandro Vaia, suggerito e poi documentato da Iraq e Binho, scappato negli USA dopo che uno dei suoi grattacieli, costruiti con sabbia di mare e materiale scadente era caduto e la gente superstite, oltre alla vita dei familiari, aveva perso anche la sua casa senza speranza di potersela vedere risarcita.

Non era stato difficile assoldare un professionista e metterlo sulle tracce dello schifoso. Naturalmente poi iniziammo anche a fare la propaganda sui giornali e su internet, chiamammo il nostro gruppo la Fine della Pazienza. Noi naturalmente miravamo molto più in alto, perché Vaia era un pesce piccolo, era stato cassato dal parlamento e se ne era dovuto andare dal Brasile, era solo un simbolo del passato, anche se piuttosto recente.

 

 

“Chi ha rotto le scatole cinesi?” Comunicato Toscana Nord

 

Lo scomparso presidente Sala, riapparso in Brasile, forse eclissatosi per misure precauzionali, si dice sia riuscito a portare in loco il tesoro misto dei templari-nazisti. Nel frattempo l’offensiva ai veri malfattori, gente che si diverte a spostare i capitali e a provocare le crisi finaziarie mondiali, secondo i NO SUV, si è intensificata. Naturalmente le notizie pubbliche, spesso false, dicono il contrario. Si sta arrivando ad associare le due principali reti asociali? Forse, visto che dalle due parti ci sono cavalieri templari che remano in questa direzione. L’import-export di persone intanto continua guidata da Ghino Barsali e Bruno Cavendish, del quale alcuni dicono che sotto questo nome si nasconda il fantomatico Charles di cui si parla come primo socio fondatore dei NO SUV.

 

 

 

Salatino Il Feroce

 

I Testimoni di Geova determinarono la fine del mondo prima nel 1914, poi nel 1918, poi nel 1920, dopo nel 1925 e l' ultima nel 1975, nessuna di queste fini del mondo ebbe luogo, forse l'umanità non è ancora matura.

(Aristide Bernazzetti, giornalista e sociologo, probabilmente mente nascosta dei NO FAKE NEWS svizzeri)

 

Niente di meglio che una pandemia per colpire il sistema nei suoi fulcri più solidi e apparentemente sicuri. Il mondo è assai distratto dal rapporto di perdite giornaliere del Corona Virus, alla fine se c’è un defunto riccone vecchio e diabolico in mezzo, tra tanti vecchietti poveri e tranquilli, chi se ne frega? Il prossimo passo era qualcuno di molto più importante, molto più attuale, ma già passato oltre il suo periodo d’oro di danni insistiti al suo paese e di ricchezza disonesta, l’ex presidente del consiglio italiano Alipio Bottaini. Figurarsi che dopo essere stato condannato per corruzione, concussione, abusi di potere, vari scandali sessuali e non, dopo aver tenuto sotto scacco l’Italia per quasi venti anni, dopo essere stato mandato via dal parlamento, continuava sottobanco a dirigere l’Italia, aveva ancora diritto al vitalizio e alla scorta pagata dai contribuenti, che invece lo avrebbero volentieri fatto a pezzettini. Tutto grazie all’appoggio di quell’altra parte del paese, che lucrava con la disfatta di quella che chiamavano ancora patria.

Intendiamoci: la nostra idea era piuttosto internazionale, ci tenevamo a chiarirlo nei nostri comunicati, volevamo e vogliamo colpire duro ovunque ci fosse del marcio a grandi livelli e c’era l’imbarazzo della scelta, bastava guardarsi intorno.

Naturalmente uno dei nostri punti forti è avere un basista o addirittura gruppi che abbiano interesse contrari alla nostra futura vittima, non necessariamente per amore della libertà, ma a volte solo per prendere il suo posto. Per questo non dobbiamo mai rivelarci o aprire il nostro gioco, con nessuno.

La corruzione era il modus operandi di Alipio, scappato in Francia all’inizio dell’epidemia e noi riuscimmo a farlo spiaccicare al suolo a Biarritz dopo una caduta da venti piani, con i suoi stessi metodi, cioè grazie a uno dei suoi uomini della sicurezza, che avremmo pagato bene, ma riscosse solo la metà, cioè l’acconto, perché fu massacrato dai suoi colleghi, idioti prezzolati.

Industriale di armi, il padre di Charles sarebbe stato un uomo da colpire come tanti altri, ma lui lo voleva fare in maniera intelligente, senza ammazzarlo o rovinarlo, come certo meritava, piuttosto eliminando, grazie ai suoi soldi, quelli come lui.

Il prossimo nome era nientemeno che Joachin Whitebread.

"Per più di un secolo, gli estremisti ideologici ai due lati opposti dello spettro politico hanno colto al volo incidenti ben pubblicizzati per attaccare la mia famiglia, per l'influenza eccessiva che sostengono noi maneggiamo sulle istituzioni politiche ed economiche americane. Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che lavora contro l'interesse anche degli Stati Uniti, oltre a quelli di tutti gli altri paesi, definendo me e la mia famiglia come internazionalisti e di cospirare con altri nel mondo per costruire una struttura politica ed economica globale più integrata. Se questa è l'accusa, mi dichiaro colpevole, e sono orgoglioso di esserlo ".

Ecco cosa ha avuto la faccia tosta di dire in un’intervista recente. La moneta unica, magari i microchip in un secondo momento, sono gli obbiettivi, in verità e tutto questo orchestrato a forza di crisi globali, al costo di tante vite distrutte di persone economicamente insignificanti.

Whitebread si era ritagliato su misura e a pieno diritto il suo posto nell’olimpo degli idioti di famiglia ricca e rapace particolarmente arrogante, non solo per quelli che lo conoscevano personalmente o per averci avuto disgraziatamente a che fare.

Tutti sanno che lo squalo ha cinque marce in avanti, ma sta quasi sempre in quinta. Non ha la marcia indietro, forse per un difetto di fabbricazione. Joachin non conosce la possibilità di tornare indietro sulle sue pinne, se glielo dicessero non ci crederebbe nemmeno che c’è qualcuno che lo fa. Per lui essere odiato è qualcosa che lo fa sentire importante, insomma che la sua vita sia servita a qualcosa, per rendersi immortale, che diamine, un po’ come essere molto amato per altre persone.

Una volta dei falsi terroristi italiani dicevano colpirne uno per educarne cento, qui la dimensione è molto maggiore, la ripercussione sarebbe stata una Tsunami, se ci fossimo riusciti. Certo, ma non era facile, riuscire a raggiungere uno che da sempre è stato oggetto di odio, aveva una notevole esperienza nel difendersi, mentre attaccava il mondo con delle altre armi più ipocrite e nascoste, gestendo il consenso insieme ad altri figli di puttana del genere.

Dopo Bottaini e alcune altre teste parziali e fottute dall’avidità, la stampa di tutto il mondo si era accanita contro di noi, lo stesso Milo Mörbach, già nella nostra lista, acerrimo nemico di Alipio, ma molto più ricco e potente, proprietario di testate giornalistiche e di reti televisive in lingua inglese tra le più importanti e numerose del mondo.

Charles dice spesso:

“Ora tutte i giovinotti più importanti stanno pensando che potrebbe toccare a loro, chi lo sa, magari la prossima volta, i nostri comunicati sono vaghi ma precisi, per chi ci vuole intendere, e noi andiamo in crescendo, loro stanno perdendo punti, per la prima volta nella storia.”

Whitebread bisognava colpirlo nel suo relax quando non ci pensava neanche, infiltrare un uomo trai suoi era possibile, ma ci voleva tempo, pensammo allora al vecchio e caro fucile col cannocchiale, ma la mongolfiera non andava bene, la sua villa era circondata da un parco, c’erano troppi alberi, la vegetazione era fitta. Il banchiere aveva una specie di castello finto antico, nel Vermont, faceva spesso passeggiate nel parco, magari parlando col cellulare tutto il tempo.

A Charles allora venne l’idea dell’esplosivo dentro il cellulare, ce ne entrava poco, se usava il vivavoce non andava bene, doveva scoppiare mentre lo teneva accostato all’orecchio, per farlo senza uccidere altre persone vicine era necessario vederlo e il parco era l’ideale, anche se tra un ramo e l’altro. Riuscimmo ad arrivarci attraverso la cameriera, ce lo fece avere di notte, lui lo lasciava sempre nel suo studio, in un cassetto chiuso a chiave. Col cannocchiale lo seguimmo a stento finché iniziando una conversazione tra le tante, la testa gli esplose in modo assai spettacolare, anche se purtroppo non si poté filmare. I suoi uomini cercarono il punto da dove fosse partita la fucilata ma non lo trovarono, perché non esisteva, c’era solo un potente telecomando.

Ci fermammo per qualche mese, anche perché il nostro uomo che aveva ucciso Vaia aveva venduto la sua intervista ai giornali e ci venne paura che potessero risalire a noi.

Meno male che l’avevamo contattato per internet e tra noi c’erano due hacker colle palle rotanti, gente che aveva le nostre stesse idee e che ora faceva parte del nostro staff in pianta stabile.

Ora ci stiamo preparando per colpire a livello ambientalistico quelli che non accettano di dare limiti all’inquinamento, l’inesorabile distruzione delle condizioni di vita sulla terra è un aspetto determinante, ormai allacciato e mischiato con altre magagne politiche a livello internazionale.

Insomma le rivoluzioni ci sono anche state al mondo, e pure spesso, anche se meno di quante avrebbero dovuto essercene, e comunque sono servite come simboli magari anche notevoli, ma di poca durata, perché chi prendeva il potere poi si comportava ugualmente se non peggio, un esempio recente è stata la Primavera Araba. Comunque le rivolte riuscivano a provocare del disturbo, dei costi e allora i potenti sono corsi ai ripari.  Ora c’è una rete di menzogne impenetrabile che manipola tutto e tutti, in maniera sistematica, il consenso viene venduto e comprato come una merce qualsiasi, ma sempre più preziosa.

E non dimentichiamoci, anche se i professionisti lo disdegnano, che è difficile sfuggire a un buon cecchino armato di un moderno fucile col cannocchiale e computer integrato; gli americani ne hanno inventati e realizzati di quelli che calcolano anche l’incidenza del vento. Come cazzo fanno le guardie del corpo a proteggere questi potentissimi coglioni, se si possono ammazzare anche da distanze oltre il chilometro?

Una delle nostre vittime è stata giustiziata da un pallone aerostatico, tutti l’avevano visto e salutato con la mano, ma nessuno ha pensato che i colpi erano partiti proprio da lì, ci sono diventati matti e non c’hanno capito una beneamata.

Non è anche un’ironia che i soldi di Charles presi dai genitori, siano proprio quelli a castigare gente come loro, che fabbricano armi e le vendono in tutto il mondo?

Alla fine tra quello forte e quello intelligente chi vince? Per molto tempo ho pensato che purtroppo vinceva quello più forte, ora penso invece che la spunti quello più intelligente, perché la sua mente gli ha permesso di capire che non è astuto come sembra vivere sulle disgrazie degli altri e che doveva trasformarsi e diventare anche forte. Insomma lo diceva pure Darwin, chi sopravvive sarà colui che saprà adattarsi meglio alle situazioni.

Magari uccidere questi simpaticoni non serve a niente, perché poi ne arrivano altri, a volte sono famiglie con tradizioni secolari, come nel caso di Whitebread. Forse è una cosa solo simbolica, ma almeno ci si sfoga un po’, non ci si sente impotenti, non si sta colle mani in mano.

Chissà che poi invece facciamo nascere una moda, che una volta tanto possa servire a qualcosa di concreto e gli schifosi associati capiscano finalmente che non vale più la pena di rischiare.

Magari a forza di calci in culo lo capiscono che la prepotenza è anche un metodo efficace, sì, ma solo finché non trovano qualcuno più prepotente di loro.

Se la natura ha fatto sviluppare l’umanità in questo senso, la Fine della Pazienza è ancora solo un virus, spero pericoloso però come quel casuale asteroide che a un certo punto, per caso o per destino scritto da chissà chi, mise fine al dominio di 160 milioni di anni dei dinosauri sulla terra.

 

In barba alla pandemia un giorno poi cediamo alle sue periodiche insistenze, portiamo mamma alle Terme di Caracalla, il medico ha detto che basta proteggerla dal freddo ed essendo metà luglio, pensiamo che non ci siano problemi. Per il catarro le farà anche bene.

Coll'ambulanza facciamo un giretto per Bagni di Lucca e magicamente arriviamo alla Roma imperiale. Mamma sorride e sguazza, come una bambina di 89 anni e si guarda intorno, avrà notato che la struttura attorno è magari un po' successiva a quella delle autentiche Terme di Caracalla? Non lo sappiamo, ci sembra di no, è assai contenta, forse troppo e si spegne tra le nostre braccia, mentre ancora in acqua la stiamo facendo scivolare fuori dal materassino gonfiabile per riportarla sul bordo della piscina e poi a casa.

Dicevi sempre. “È colpa mia se non mi riesce morire?” Ora sarai contenta.

Dopo sommarie indagini Moreno ha agevolmente scoperto che la casa con la teleferica non è di trafficanti di droga o peggio, ci vivono piuttosto venti indiani di Sri Lanka, sei donne e quattordici uomini che producono a raffica specialità tipiche da vendere a Lucca, dove hanno un negozio. Solo da qualche ora abbiamo avuto comunicazione che sono operai semplici dei NO FAKE NEWS, lavorano principalmente in internet e sono stipendiati, hanno anche dei bonus per risultati, come è normale. La loro facciata è che trasportano su e giù le leccornie pronte, le materie prime e le rimanenze che poi se le mangiano. Il continuo fumo dal camino è normale con un forno in piena attività. Una fumata nera come quella del papa morto, non ancora eletto il nuovo, che mia madre non c'è più e noi, che pensavamo che sarebbe stato un sollievo per tutti, in questi giorni ci sentiamo assai pesanti. Con qualche eccessiva lacrima di nascosto. Dopo quasi due anni di clausura torniamo al mondo là fuori sapendo che probabilmente rimpiangeremo questi lunghi mesi di relativa pace, in cui ci siamo sentiti utili più di quello che ci eravamo sentiti prima, e che magari ci sentiremo anche dopo.

All’inizio eravamo un po’ scettici sulle notizie dei NO SUV e dei NO FAKE NEWS, ma i grossi personaggi citati poi sono morti davvero schiantati e, per quanto se ne sa, proprio nella maniera in cui è stato scritto qua sul nostro sito preferito d’internet.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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